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Autore: honeysuckle_s    28/02/2012    7 recensioni
Il mio Walt Disney preferito? "La Bella e la Bestia"! Ma in questa ff nel castello, al posto di Belle e il principe, ci trovate Rin e Sesshomaru!
*****"Prima che sfiorisse del tutto, Sesshomaru avrebbe dovuto imparare la compassione, la pietà e l’amore verso gli essere più deboli; se non ci fosse riuscito, sarebbe rimasto segregato in quel luogo e senza i suoi poteri per sempre."*****
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rin, Sesshoumaru
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dopo tanto tempo son tornata!! Mi scuso davvero per la lunga, lunghissima attesa, ma purtroppo sono incappata in un blocco :( Non riuscivo a proseguire con la storia nemmeno a pagamento, dal momento che più cercavo di trovare idee, più il mio cervello era come una pagina about blank. Son stata poi impegnata cn l'uni e la benedetta laurea ke mi è slittata, e quindi addio sessione invernale.. ora ke finalm sn ritornata slla cresta dell'onda.. voilà, je suis ici!! ^_^ Dal momento ke sn mesi ke nn pubblico, vogliamo fà insieme un replay? :)))




replay
 

La 17enne Rin è addetta alla custodia della grande biblioteca del maniero. Presa dall'entusiasmo dei libri, provenienti anche da nazioni differenti, si lascia andare alla visione di immagini inerenti l'India e poi immagini inerenti dipinti artistici. In successione, analizza delle riproduzioni di dipinti, ma l'ultima incisione le scatena un moto di paura...


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Emperor, your sword won’t help you out
Sceptre and crown are worthless here
I’ve taken you by the hand
For you must come to my dance








  

Padron Sesshomaru si bloccò ed incrociò le braccia sul petto. Le dava le spalle e non si muoveva.
Rin prese a mordersi il labbro inferiore.

Quasi si spaventò quando quel silenzio martellante fu interrotto dalla domanda che il padrone le pose, in tono assolutamente incolore.

"Allora, ragazzina. Sembra che ieri ti abbia inseguito un fantasma. Da quale oscura culla proviene?"

La domanda la colse impreparata. Totalmente impreparata.
Lui che le chiedeva da dove avessero origine i mostri della sera precedente? Era un modo per burlarsi di lei? Era un modo per venirle incontro? Era un modo per dimostrarle quanto fosse stata sciocca qualche ora prima?

Con un certo nervosismo, voltò automaticamente lo sguardo al tavolinetto proclamato come proprio.
Non avvertì la leggerezza con cui padron Sesshomaru si voltò a sua volta e puntò lo sguardo esattamente dove lo aveva fissato lei.

Per qualche secondo nessuno dei due si mosse. Poi Rin avvertì un fruscio e intravide il kimono bianco del suo signore muoversi verso il tavolinetto.
Il demone fissò per un pò i volumi, poi scosse distrattamente una lunga ciocca di capelli.

Rin sentì il bisogno di portarsi per un attimo la mano sulla bocca. C'era un qualcosa di vagamente

(bello)

vanitoso in quel gesto. Era già la seconda volta che ripeteva quel movimento, in maniera noncurante.
Scosse la testa, imbarazzata. Non era il caso di far venire a galla certi pensieri, e tra l'altro strani.

Non staccando gli occhi da quei capelli, li vide sollevarsi un attimo verso l'alto e poi precipitare verso il basso. Sbatté le palpebre. Padron Sesshomaru si era lasciato cadere per terra. Come avesse fatto a ritrovarsi col busto dritto, e con le gambe incrociate, non avrebbe saputo dirlo.
La rapidità felina dei movimenti doveva appartenergli come un organo vitale.
E invece lei riusciva ad essere così brava nel mostrarsi puntualmente impacciata...

Il corso dei suoi pensieri fu interrotto dallo sguardo fisso del suo signore. C'era una leggera traccia di impazienza in quegli occhi.
Con grazia e lentezza Rin scorse la manica lunga del bel kimono alzarsi e poi fermarsi, scoprendo parte del polso diafano e il palmo della mano proteso verso l'alto.

Le ci volle qualche secondo per interpretare quel gesto.
Ma certo.
La stava invitando esplicitamente a sedersi lì.

Non appena realizzò quel muto ordine, si sentì avvampare.

Sedergli vicina.
Vicina.

Sedere vicina a una creatura demoniaca, e tra l’altro  così contraddittoria. Prima feroce e poi affascin...
Scosse nuovamente la testa, unica arma per non tradurre certi pensieri che era meglio affogare.
Con passo incerto si avvicinò al demone e mise i piedi sotto il sedere, badando a posizionarsi ad una certa distanza dal padrone.

Aveva paura di stargli accanto.
E non solo perché rispettava una gerarchia (superiore-inferiore) vecchia quanto l’uomo, e non solo perché aveva visto poco prima la rabbia in quel campione di compostezza.
Si morse il labbro per impedire ad un'idea malsana di venire vivacemente a galla.

La lunga mano del suo signore toccò la pila dei libri accatastati, fermandosi sul primo in alto.

Con una leggerezza che le parve ultraterrena lo sollevò e lo posò davanti a sé.
Con lentezza prese a sfogliarlo.

In quel lasso di tempo brevissimo e nello stesso tempo lunghissimo, Rin aveva abbassato lo sguardo, completamente condizionata dalla nuova figura presente in biblioteca. Era strano non essere sola. Ed era strano essere sola con lui.

Ancora una volta, fu la sua voce bassa e neutra a distoglierla dal suo flusso di pensieri.

"E' evidente che ti sia soffermata soprattutto sulle pagine delle illustrazioni. Hai grosse difficoltà a leggere il testo?"

Domanda più che legittima.
Osservazione più che sagace.
Come aveva fatto a capire che si era soprattutto nutrita delle illustrazioni? Forse aveva lasciato ditate o segni su quelle pagine, simbolo di una (leggera) usura, che mai sarebbe sfuggita a quell’occhio
(quegli occhi)
Non umano?.
Oppure, spiegazione più probabile nonché più logica e meno trascendentale, il suo signore sapeva di avere a che fare con una “povera” ragazza “modesta”, anche a livello culturale, ed era stato alquanto garbato nel porle quella domanda retorica?
Voltò timidamente la testa verso il demone ed annuì con la testa, imbarazzata.

Sesshomaru mise lentamente una mano sotto il mento ed iniziò a leggerle quel libro.
"Hai scelto un racconto di viaggio sull'India. Terra lontana. Si dice che sia uno dei Paesi più antichi che esistano."

Sfogliò il volume. Evidentemente le stava facendo una specie di riassunto del testo, a giudicare dalle poche frasi articolate per un certo numero di pagine.
Quando si trovò davanti l'immagine che aveva scandalizzato Rin, il demone non si scompose minimamente.

"La sessualità è percepita come un'elevazione spirituale. Ecco il perché di quest'illustrazione."

A sentire quella parola, Rin sgranò gli occhi e divenne ancora più rossa di tutti i pigmenti presenti in drappi color porpora. Si ricordò dell'illustrazione, ed è scontato dire che a sorprenderla non era stata tanto la riproduzione del corpo femminile (così simile al suo), quanto di quella maschile, con gioiellino simile a una carotina ben in vista.
Meno male che si era seduta a una distanza relativa dal demone e meno male che da quella postazione non riuscisse a captare tutte le immagini del libro, altrimenti si sarebbe probabilmente alzata e sarebbe scappata via per l'imbarazzo.

Il fruscio delle pagine, simbolo di "argomento chiuso e andiamo avanti", che seguì subito dopo le diede modo di calmarsi. Padron Sesshomaru non aveva fatto battutine, aveva liquidato subito l'argomento e, ringraziando i Kami, non si era messo a guardarla negli occhi mentre le spiegava cosa volesse significare la sessualità per gli Indiani.
Le era capitato, in passato, di avere a che fare con qualche giovane, ma soprattutto vecchi o uomini maturi, che utilizzavano qualsiasi scusa per parlarle di sesso. Mamma Kaede le aveva sempre dato un monito al riguardo: quello di non cedere e voltare subito i tacchi, ovviamente se possibile. Una donna del Giappone feudale che non preservava la propria integrità era una donna persa: purtroppo per tanti, troppi secoli la donna è stata considerata come una sorta di oggettino da collocare come un trofeo, o un gingillino piacevole da usare quando e come si desiderava. In poche parole, l’unica virtù riconosciuta ad una donna era la sua castità prima di un eventuale matrimonio. L’intelligenza, l’essere multitasking, sensibile ed aperta venivano non riconosciute e non si dava nemmeno modo di manifestare tali competenze e virtù. La donna viveva semplicemente all’ombra dell’uomo. Solo quella cosa poteva, in un certo senso, riscattarla socialmente.
Per questi motivi Rin fu grata al suo padrone di non addentrarsi in questioni imbarazzanti. Ma qualcosa le sussurrava che non era nella natura di quella creatura essere viscido…
No, malgrado avesse la fama di assassino nei secoli dei secoli, era un gentiluomo.
O forse, un gentil demone maschio.

Inoltre, doveva essere parecchio colto, dal momento che doveva essere a conoscenza della rigida educazione che veniva impartita a tutte le ragazze sin dalla tenera età. Per questo, credeva Rin, non si era addentrato nei particolari: conversare di sesso e dintorni era, per una donna ricca e non, praticamente un tabù e se la si costringeva ad intrattenere conversazioni (o qualcosa di più) al riguardo, la vergogna per la diretta interessata era qualcosa di inimmaginabile.

A Rin non venne in mente di considerare, tuttavia, un'altra possibile ipotesi: che al suo padrone non importasse proprio un bel niente di illustrazioni sessuali indiane e tantomeno di conversazioni inerenti il mero erotismo.

Mentre riprendeva fiato e soprattutto riprendeva fiato il suo essere pudica e casta, padron Sesshomaru si era fermato nel frattempo su un altro argomento.
Di nuovo avvertì quel tono neutro.
"Oh, qui il viaggiatore descrive la religione hindu."

A Rin sovvenne per un momento l'immagine di quella strana divinità a quattro braccia. Istintivamente voltò lo sguardo sul suo signore. La sua curiosità si era finalmente risvegliata, ora che anche l'imbarazzo era andato decisamente scemando.

"Beh, è più complessa della nostra." Fissava come rapito il testo. "Essa si basa su dei testi sacri detti Veda. Vi sono tre divinità principali: Brahma, il dio creatore dell'universo; Vishnu, il dio che conserva nell'essere il mondo; Shiva, il dio che dissolve tutto. Questo viaggiatore ci dice che tali dei sono venerati in templi bellissimi ed immersi nella…”
Esitò.

(Giungla. Natura selvaggia. Libertà. Adorazione.)

“…giungla”.
Sospirò e levò gli occhi al soffitto. "Immagino sia davvero così."

Rin espose in maniera crescente la sua suggestione di ascoltatrice che ode per la prima volta di mondi diversi.
Senza rendersene conto, protese il busto verso il padrone, dimenticando man mano di quanto fosse timida.

Lord Sesshomaru riabbassò gli occhi e recuperò il controllo di sé stesso. Stava per scivolare in un'avvolgente malinconia e per non cascarvi doveva pensare ad altro. Si concentrò sulla situazione attuale: era in una biblioteca con una serva-allieva e

(voleva)

doveva capire cosa diavolo l'avesse turbata tra quelle marea di pagine. Fissò nuovamente il volume e proseguì con la lettura sintetizzata.
"Questa triade, definita Trimurti, rappresenta le tre energie eterne della natura. Il dio Shiva ha spesso una personificazione femminile conosciuta come dea Parvati, che rappresenta il potere della fecondazione. La sposa vera e propria del dio Shiva è invece la dea Kalì. E' una... Oh, ma qui è stata riprodotta."

Rin non ricordava esattamente a quale incisione si stesse riferendo padron Sesshomaru, per cui protese ulteriormente il busto per sbirciare l'immagine. La vide di sbieco e la riconobbe. Quella divinità a quattro braccia e con dei serpenti intorno.

"Beh, anche le divinità possono essere malvagie. Essa è la dea della distruzione e della morte, e spesso richiede sacrifici umani."

Allora aveva sbagliato. Il testo non si riferiva al concetto di "madre", ma di "morte". Rabbrividì all'idea del sacrificio umano in nome di un dio. Non riusciva a cogliere il motivo di tanta crudeltà gratuita.

Una labile sensazione di paura vibrò intorno alle orecchie di padron Sesshomaru. A chiunque sarebbe sfuggita quella nota così accennata, eppure lui l'aveva colta. Si girò verso la ragazza. "Il sacrificio non è da intendersi in termini così atroci. E' un modo per ricongiungersi alle divinità. Le persone sacrificate molto spesso sono contente di perdere la vita, perché sanno che ciò che troveranno dopo sarà infinitamente più bello e più dolce."

Rin non riusciva a credere a quelle parole. Il sacrificio umano era bello e dolce? A lei terrorizzava la sola idea di dover vedere un sacerdote che le puntasse un coltellaccio alla gola. Tuttavia, aveva un certo timore nel non dimostrarsi concorde alla spiegazione del padrone: egli, infatti, aveva manifestato un leggerissimo disappunto per quella nota di contrarietà e paura di lei. O almeno, così credeva.

"Dì un pò, ragazzina. E' questa immagine che ti ha spaventata?"

Quella domanda le fece dimenticare di quell'astrazione chiamata Trimurti e dei sacrifici, dolci o atroci che fossero.
In quel momento non badò a "rispondergli", perché si era totalmente concentrata sul tono della voce.
Le era sembrato più basso, più lento. E le parole le sembravano scandite meglio.
Alla sua mente bastava davvero poco per fare voli pindarici, e in quel momento volava in un cielo azzurro e cristallino, colmato dall'eco di quelle parole che aveva percepito come intrise di empatia.

Non percependo il minimo movimento di risposta, Sesshomaru si voltò nuovamente a scrutare la ragazzina, la quale lo fissava a bocca semi dischiusa e con gli occhi lucidi. No, evidentemente non era quell'immagine che aveva generato oscure presenze la sera prima.

Incrociò le braccia al petto ed aspettò. Non si era mai trovato a leggere testi e racconti per qualcun'altro, e il fatto che stesse succedendo per la prima volta gli causava una certa confusione. Non sapeva, poi, nemmeno come comportarsi e proseguire. Doveva legger(l)e ancora qualcosa? Doveva farle scrivere qualcosa?

La mente di Rin si catapultò con dolore sulla solida terra e in un baleno il cielo azzurrino scomparve, per lasciare posto alle pareti azzurrine della biblioteca.
Il suo signore aveva incrociato le braccia al petto e sembrava che aspettasse.
Si considerava davvero una sciocca.
Il demone le faceva le domande e lei non solo si prendeva la briga di non rispondergli, ma si permetteva anche di sparire dalla terra per qualche secondo!

Forse si stava prendendo davvero troppe libertà col suo signore. Deglutì, assunse un'espressione seria e allungò un braccio verso un volume che giaceva solitario verso il tavolinetto.

Padron Sesshomaru seguì il movimento di quella manina bianca e fissò il pesante testo grigio che non era stato messo insieme agli altri.
Bene.
Era quello.
Si chiese che razza di immagini potessero esserci lì dentro.

Richiuse il volume sull'India con lentezza e quella grazia che nemmeno in quell'occasione sfuggì a Rin, e la lunga mano diafana e striata si protese verso il pesante libro grigio solitario.
 

Rin si morse il labbro inferiore. Quanto era stata sciocca la sera precedente! Un libro che raffigurava quattro ossa e lei che per poco non si prendeva un infarto perché l'uscita della sala le sembrava maledettamente lontana. La mente umana gioca davvero brutti scherzi. Se poi si aggiunge che quegli scherzi, oltre ad essere poco carini, sono di una stupidità lampante...

Beh, al diavolo tutto. Lei non aveva paura. Ce l'aveva avuta, d'accordo. Ma era tutto passato.
Non appena il suo signore aveva messo

(l'elegante)

mano sul pesante volume, si fece sorprendere da un moto d'ansia. Chissà come l'avrebbe derisa! Beh, per una servetta era abbastanza normale essere derisa, ordinaria amministrazione. Solo che beccarsi una derisione dal signore che le dava nuovamente il profilo non era... bello.
Non immaginava chissà quale risata sgangherata, crudele e isterica, ma un ghigno. Avrebbe scavato una fossa nel pavimento fino a perdere le unghie pur di sotterrarsi e sfuggire a quel ghigno.

Perché non avrebbe accettato che lui la bollasse come una sciocc... Basta. Era ora di smetterla, una volta per tutte.

Congiunse le mani in grembo e si diede un paio di pizzicotti nei punti dove scorrevano le arterie. Il fastidio e il formicolio la costrinsero ad interrompere il corso di quegli assurdi pensieri.

 Padron Sesshomaru, intanto, aveva sfogliato, con la solita lentezza, le prime pagine del volume e si bloccò.

"Ah", disse, con un tono che dimostrava una punta di sorpresa.

Rin lo fissò con il viso rigido. Che era successo? Cosa doveva aspettarsi?

Ecco che lo fece di nuovo. Immerso a contemplare la prima pagina, il demone mosse la mano nella liscissima chioma bianca, e con un gesto lento, rivolto verso il basso, spostò una ciocca portandola sul torace.

Poi voltò lentamente il viso verso quello della ragazza. La sua espressione era assolutamente incolore.

"E' difficile leggere un libro in caratteri occidentali. Perché hai scelto proprio questo?"

Caratteri occidentali? Dunque quel testo proveniva da chissà quale remota regione dell'Ovest.
E comunque, la domanda era più che lecita. Già era difficile interpretare un testo stampato nel suo stesso Paese, figuriamoci uno proveniente da chissà quale lato del globo. Beh, aveva voluto spingersi lontano. Voleva sfamare la curiosità di adolescente che guarda le stelle ed immagina di poter possedere le ali, per poter volare e oltrepassare feudi, contee, reami. Voleva soddisfare dei sogni tipici di chi è giovane e farsi un tutt'uno col mondo, conoscerne la vastità ed immergersi. E se la vita fisicamente lo impediva, perché il vero uomo libero è colui che non nasce in società, allora si poteva controbilanciare con la propria fantasia, con la propria immaginazione, con gli occhi della curiosità intrisi della voglia di ubriacarsi del mondo, dell'alba fino all'alba del giorno dopo e fino all'alba del giorno dopo ancora.
Peccato che in quel momento la sua giustificazione sembrasse così lontana, così remota, così evanescente e soprattutto così sciocca.

Davanti a sè aveva un demone colto, aggressivo e gentile nello stesso tempo, se mai tale mescolanza possa realizzarsi in una creatura, e soprattutto doveva aver vagato per lande, mari e monti. Chi più fortunato di lui? Una punta di invidia la sfiorò, ma se la fece passare in fretta. Contava adesso "rispondere" alla domanda che le era stata posta.

Abbassò lo sguardo fino al suo obi rosso scuro e si mordicchiò lateralmente il labbro inferiore. Se continuava di quel passo, in concomitanza con il freddo che disidratava alla perfezione la pelle, si sarebbe ritrovata due mucchietti di paglia pieni di croste al posto delle labbra. In quel momento, però, la questione passava in secondo piano. Le era stata rivolta una domanda e aveva il dovere di "rispondere".



Un flashback. La stessa identica attitudine.
Aveva alzato le spalle, aveva allargato le braccia ed aveva assunto un'espressione di imbarazzo e confusione. Se avesse avuto le corde vocali come una persona normale gli avrebbe probabilmente detto "Non ne ho idea. Adesso, per favore, lasciami stare."
Sembrava che quella ragazzina innocua facesse molto spesso cose senza esserne consapevole.
Perché mai si era approcciata ad un testo proveniente dal mondo occidentale, quando aveva dimostrato di non possedere le conoscenze essenziali e basilari della scrittura sillabica e dell’ortografia nipponica? Imperatori, signori e sacerdoti avevano accesso all'alta cultura, e agli scritti. Nonché i demoni, ovviamente. Specialmente nel suo caso, visto che non era un demone da quattro soldi, ma un principe, diamine. Ma lei...? Chi era veramente?

Si fece prepotentemente avanti una parte di lui. Ma che si era messo in testa? Ora stava pure divenendo superstizioso tanto da assumere quasi un atteggiamento guardingo verso una creatura umana “limitata”?
A quel punto, il signore bollò le sue brevi elucubrazioni per liquidarsi la faccenda: lei era giovane, i ritmi della vita quotidiana nel feudalesimo erano di una lentezza esasperante, c'erano tanti libri, o meglio, tanto oro, e la ragazza si era divertita ad osservarlo da vicino quell'oro, perché mai l'aveva visto in vita sua prima dell'ingresso in quella rocca.
Punto. E che le sue superstizioni andassero dritte all'inferno. Non aveva già avuto le prove che quell'umanotta non era né una maga, né una sacerdotessa?

Quindi, tanto voleva tornare all'unico obiettivo, vale a dire quello di sciogliere il nodo della matassa.
Tanto voleva aiutare una povera e silenziosa ragazzina e nello stesso tempo mantenere una fede (improvvisata quella mattina) a un patto da lui stesso stabilito.

"Hai sbagliato verso."

Rin lo guardò senza capire.

Il signore voltò il libro di 180° e fu allora che la ragazza scorse il titolo in caratteri dorati.

"Nelle terre dell'Ovest gli umani leggono al contrario rispetto a noi. Si legge da sinistra a destra."


Affascinata da quella scoperta, Rin non si accorse di aver nuovamente allungato il busto verso il suo signore. Quindi lei aveva cominciato a sfogliare il testo direttamente dalla fine.

"Questi caratteri sono in gotico, e la lingua impiegata si chiama alto tedesco. Rispetto ai kanji, questi caratteri occupano più spazio, perché quei parlanti utilizzano una singola lettera per ogni suono della parola. Non sillabe. Quando si inizia un argomento, la prima lettera, ossia il primo suono della parola, viene tracciata in maniera più grande rispetto alle altre."


Estasiata, Rin contemplò quell'alfabeto straniero tutto ghirigori. Quanti mondi, lingue e culture differenti c'erano oltre i villaggi in cui aveva vissuto ed oltre quel maniero così tetro?



Nei suoi secoli di approccio alla cultura, Sesshomaru non si era interessato più di tanto alle arti figurative. Forse era una caratteristica dei demoni, in quanto, aventi una forza fisica notevole e godendo di una vita lunga, si interessavano quasi del tutto all'arte della guerra, della conquista e del potere. Specialmente nel suo caso.
Ragion per cui il Lord non era in grado di capire alla perfezione il testo, ma poteva comunque contare sul riconoscimento immediato dei significati delle parole più importanti.

"E così, ragazzina, hai scelto un libro sulla storia della danza", le disse, senza staccare lo sguardo dai caratteri stampati.


Rin lo fissò. Non sapeva che quel libro fosse una storia di qualcosa: aveva pensato fosse un'accozzaglia di dipinti, anche belli, e che fosse presente un'immagine di cattivissimo gusto. Dunque era un libro sulla storia della danza... Argomento del quale lei sapeva poco o niente, dal momento che la danza era un'arte appartenente alle geishe, danzatrici o artiste che spesso erano associate alle cortigiane. Inutile sminuire il rango della donna, perché, se qualche geisha era anche e soprattutto una cortigiana, questo non toglieva che la geisha in questione era mantenuta da un sistema ricco (formato da nobili, geishe più ricche o addirittura imperatori). Fare la geisha significava vivere in un palazzo, al riparo da freddo, da fame e dallo squallore della vita contadina. Qualsiasi ragazza del suo stesso rango avrebbe dato un braccio per sottrarsi alla vita nei campi e vivere in un palazzo, al coperto. Meglio il presunto meretricio, se davvero le geishe erano meretrici, che la fame.

Decise però di smetterla di fare paragoni con l'arte della danza nipponica, dal momento che quel testo aveva l'intenzione precisa di portare quei due giapponesi nel mondo della danza occidentale. Anche a giudicare dalle illustrazioni, nell'Occidente (o Terre dell'Ovest, come lo aveva definito il suo padrone) il ballo era inteso in maniera molto, molto differente.

Respirò profondamente e si preparò all'ascolto di cose mai udite, intriganti ed affascinanti.


La ragazzetta doveva avere tutta la sua attenzione, dal momento che quasi aveva smesso di respirare. Forse, ma forse, e in un certo senso, poteva anche comprenderla, dal momento che parlare di luoghi esotici (ma soprattutto aperti) sembrava avere la precedenza assoluta nel sistema cerebrale. Nel suo, e in quello di lei.

Una nube malinconica si manifestò improvvisamente e il Lord dovette mettere in quell'attimo i canini ben in vista, a mò di vampiro, per evitare di farsi circondare. Non era una buona idea precipitare in quel dolce, lento e immenso oblio ora che la sua giornata si era prefigurata diversa dalle centinaia di giornate praticamente identiche da quando quella strega l’aveva imprigionato. Negli anni di reclusione forzata aveva avuto occasione di leggere, solo che quella era la prima volta che lo faceva in

(piac...)

compagnia.

Sospirò appena e con lentezza sfogliò le pagine ricche di quei caratteri che Rin aveva trovato disordinati ma molto carini.


Lo sguardo di Sesshomaru sembrò farsi più intenso. Rin poteva quasi giurare che l'occhio destro (vedeva il suo profilo da quell’angolazione) si fosse spalancato un pò e l'iride fosse diventata leggermente più scura. Poteva essere solo una sua impressione, tuttavia credeva che quel testo esercitasse il suo fascino non solo su avventate ragazzine che si attardano alla lettura.
Di fatto, dovette aspettare un pò prima che il suo signore le facesse da interprete, nella solita maniera laconica.


"Qui descrive, in maniera un pò rapida, come la danza abbia origine antichissime, come si diffonda nei teatri semicircolari dove erano rappresentate le tragedie dei Greci, e cosa significasse per quel vasto territorio definito Sacro Romano Impero."

La sua testa si muoveva piano, seguendo l'andamento della lettura corretta di quel libro. I capelli si muovevano appena a quel ritmico e ripetitivo movimento del capo. Per Rin risultava un pò strano che il padrone leggesse al contrario di come era abituata, ma comunque non mancò di ringraziare il cielo dato che era già un privilegio il solo poter vedere un libro.


Sesshomaru aveva ulteriormente rallentato il tono piatto della voce.
"Quando quel vasto Impero si sottrasse definitivamente alla luce del sole, ritornarono in auge le danze ancestrali dedicate a più divinità. Fu un ritorno al paganesimo che la Chiesa combatté, in nome di quell'unico Dio da essa, e da quei fedeli chiamati Cristiani, adorato ed osannato."

Un solo Dio? Paganesimo? Protese ancora di più, senza rendersene conto, il busto. Le sue pupille color della terra erano quasi completamente dilatate.
Non aveva ben chiara la successione e la nomenclatura di quelle popolazioni, ma ne aveva capito ad ogni modo il senso. Ora restava da comprendere in nome di cosa quelle remote persone ballassero.


"Qui", aveva sottolineato la parola, come se volesse sottolineare la pagina fonte dell'informazione che stava per comunicare, "spiega come in quel periodo buio detto Medioevo le danze fossero fatte di saltelli e movimenti sfrenati, per rendere onore alla fecondità, al fuoco, alle spade. Nel 1348 d. C. si abbatté il flagello... Oh, immagino sia questa."
Avvenne tutto in un secondo. Rin aveva appena fatto in tempo a registrare l'incoerenza grammaticale di quell'ultima frase ed aveva appena alzato un sopracciglio in segno di perplessità, che il suo signore aveva alzato il libro e lo teneva ben aperto rivolto nella sua direzione.

Eccoli lì. Gli scheletri della sera prima.
Gli scheletri danzanti della sera prima.

Vedendo l'immagine proiettata di colpo, Rin ebbe l'istinto di ritrarsi, ma poi, nel giro di pochissimi secondi, la sua razionalità si impadronì completamente di lei. Era solo un'illustrazione, tra l'altro esplicativa, che diamine. Una stupida illustrazione che qualche ora prima aveva scatenato oscure presenze. Tutte nella sua mente.

Che sciocca.

Socchiuse gli occhi e fissò a lungo quel teatro di oscurità infernale.
Che quella mattina era divenuto una semplice raffigurazione di qualche osso e di qualche cranio. Tra l'altro, Rin aveva commesso un errore di interpretazione, in quanto il terzo scheletro da sinistra non ballava affatto in posizione innaturale: semplicemente, era raffigurato di schiena.

Beh, ora che gli incubi e i deliri della serata trascorsa si erano definitivamente dissolti, vuoi perché era pieno giorno, vuoi perché in biblioteca non era sola, beh, ecco che si sentiva una perfetta imbecille. Aveva scatenato un uragano nel suo essere solo per una sciocca paura, tra l'altro ingiustificata.

Rivolse lo sguardo verso il basso, spostando gli occhi alla sua sinistra, assorta. Le labbra si muovevano rigide da un lato all'altro.


Non aveva il coraggio di guardare in faccia il suo padrone, specialmente adesso che si sentiva meno che una serva.
C'era anche un'altra questione: una parte (se non più parti) di lei non desiderava che ora lui si alzasse e sparisse, individuata la "culla di provenienza di quel fantasma".

Incappò nuovamente nell'errore di tormentarsi il labbro inferiore e fece una mossa avventata: levò il capo e lo fissò, forse nemmeno tentando di fermare il desiderio nascosto (o forse no?) che fremeva nelle sue iridi.

Ricambiò lo sguardo neutro del suo signore, che nel frattempo aveva posato il volume e ora aveva compostamente posato una mano sull'altra senza muovere il minimo muscolo.


Reggere lo sguardo di un demone

(maschio)

(bello)

non era affatto semplice. Però la timidezza stava avendo la peggio, in quel momento.
Nonostante le sue guance avrebbero provocato un'ustione a chiunque avesse cercato di poggiarvi le dita, Rin non staccò gli occhi da quelli felini del padrone.

Respirò profondamente, annuì incerta e fece un piccolo movimento con il braccio sinistro, ruotando la mano, nel chiaro segno di comunicargli un  "Avanti".



Ma guarda un pò.
Quella ragazzina a quanto pareva gli stava chiedendo per la prima volta qualcosa.
Percepiva lo sforzo notevole che le stava costando. Lei, una semplice umana muta, che lottava per farsi forza e chiedere qualcosa al Glaciale Principe dei Demoni.
I suoi occhi castani erano determinati nonostante il profondo imbarazzo.
Beh, in effetti...

Non era su un campo di battaglia, non aveva a che fare con nemici subdoli che imploravano pietà solo per aspettare il patetico momento in cui lui avrebbe abbassato la guardia, non aveva a che fare con un essere umano che lo infastidiva.
E poi, la verità era che, purtroppo,

(nebbia)

(nebbia nera)

(vai via)

da molto tempo non aveva nulla di che fare.
Cosa gli costava, per una volta in vita sua, accontentare la minuscola richiesta di una

(fanciulla)

(quella fanciulla)

serva?
La ragazza che aveva alla sua destra gli stava semplicemente chiedendo di continuare con quella lettura sintetizzata. Poteva forse considerarsi irritato o infastidito da un desiderio così minuscolo?
No

(no non lo sei non vorresti)

(resta non andare)

che non lo era.

Senza pronunciare una singola parola, ruotò con lentezza il capo verso il libro, ma la sua iride saettò all'angolo dell'occhio.

La ragazza aveva tirato un enorme sospiro di sollievo, aveva posato una mano sul petto all'altezza del cuore e stava sorridendo al suo obi rosso scuro.



Le iridi tornarono lentamente a fissare ciò che aveva davanti, ossia gli scheletri danzanti.
Poteva essere tutto sommato interessante anche per lui intraprendere quel cammino sulle culture provenienti dall'Occidente.
Aveva valide alternative su come passare il resto di quella giornata? No che non ne aveva.

Ed a ogni modo, era ora di piantarla di dare retta ai pensieri, alle elucubrazioni, alle malinconie che gli ronzavano intorno peggio di mosche agguerrite. Era a conoscenza di un detto che diceva che un grammo di pratica valeva più di mille grammi di teoria.
Ragion per cui, scelse di spegnere quell'interruttore che aveva nella mente e che lo metteva in collegamento col Negativo.
Bene, che si mettesse all’opera e la piantasse di dare adito ai suoi vaneggiamenti cerebrali. Focalizzare l’attenzione su quello che si faceva era un rimedio noto da secoli e molto praticato nella cultura buddhista. D’altronde, quando si ha qualcosa da fare, nemmeno ci si accorge di non pensare ad altro. Bene, firmò mentalmente il patto con sé stesso: leggi, o Demone, si disse, e questa giornata passerà.


La lunga mano demoniaca girò la pagina successiva a quella degli scheletri e si fermò. Per poi riprendere il ritmico e lento movimento poco dopo. E ancora dopo.


Rin non si accorse di essere stata scrutata per un istante. Quando aveva volto nuovamente lo sguardo verso il profilo del padrone, lo aveva visto col capo chino sul libro. Una certa euforia si impadronì di lei. Era come se lui avesse tacitamente accettato di non recidere quel filo magico che si era venuto a creare. Ci sarebbe rimasta male se lui avesse spezzato l'incantesimo. Le sembrava che tutta la biblioteca avesse assunto una nota diversa dalle volte precedenti. Quella mattina, infatti, essa accoglieva l'essenza del Nuovo e dell'Esotico. E Rin non aveva intenzione di farla svanire. Sperava che anche il padrone la pensasse così (sempre se la sua mente demoniaca avesse condiviso quell'atmosfera invisibile ed euforica).
Beh, a quanto pareva, era stata premiata per l'attimo di audacia.


Lord Sesshomaru continuò, così, con la lettura riassuntiva.
"Gli scheletri rappresentati ballano la cosiddetta "Totentanz", o "Danse macabre", ossia la danza della morte. Nel 1348 d. C. le terre dell'Ovest furono colpite da un'epidemia chiamata peste. Di fronte a un tale Male che tutti colpiva, la "Totentanz" era l'allegoria dell'universalità della morte: imperatori, prìncipi, papi, donne, bambini e contadini erano invitati a ballare, tutti insieme. Era impossibile mantenere quel fragile ed evanescente sistema di rigidi ceti sociali."


Rin ascoltava perfettamente immobile. Dunque anche nelle terre dell'Ovest c'era una rigida gerarchia sociale. Rimase affascinata dal fatto che, in quelle lande tanto lontane, la danza affondasse le sue radici in epoche tanto remote, e restò scandalizzata dal fatto che a praticarla, seppur per disperazione, fossero uomini e donne insieme. Da quel che sapeva, la danza nel suo paese non era un'arte così vecchia, e comunque erano le donne a praticarla, a suon di shamisen.
Solo le donne.

In quelle terre, inoltre, il significato di morte, da quanto aveva inteso, venivano connotato di accenti molto cupi e tragici. Forse era una diversa prospettiva nell'interpretare quel cammino tortuoso che era la vita, oppure quell'epidemia detta peste doveva davvero essere un demone crudele e soprattutto ineliminabile.

L'argomento in sé, ad ogni modo, restava sempre ricco di significati non esattamente ameni, e la ragazza si augurò ben presto che il padrone potesse slittare a spiegarle cosa significassero quei dipinti colorati che l'avevano affascinata. Dal momento che quel pesante testo grigio narrava della storia della danza, era ora di conoscere altri aspetti del ballo occidentale.
Composta, silenziosa come da tanti anni, ed in attesa, seguiva quasi con un fremito le mani del suo signore che si addentravano in quelle descrizioni e racconti.


"La "Totentanz" non è stata l'unica danza a imporsi nello scenario medievale. Forse è stata quella più particolare, ma non l'unica."


Bene. Questa frase aveva tutta l'aria di lasciare il grigio mondo della peste. Rin era tutt'orecchi.


"I balli avevano come protagonisti non soltanto i suonatori, ma una figura chiamata giullare. Egli era..."
Si bloccò, corrugando lievemente la fronte ed avvicinandosi alle pagine.

A Rin non sfuggì quella scena: dunque anche i demoni potevano avere delle difficoltà e non essere a conoscenza proprio di tutto. Beh, quella posizione così concentrata lo rendeva più... umano. Sgranò gli occhi alla naturalezza di quella conclusione.


"Non riesco a comprendere chi fosse questa figura."
Tac. Affermazione secca e tremendamente vera. Rare volte si era fatto trovare impreparato, ma questa volta non gli pesò particolarmente ammettere un limite. Non era in battaglia, giusto? Poteva permettersi di sbagliare o non capire. E poi era sicuro che quella ragazzina non si sarebbe certo compiaciuta di quell'ammissione dal momento che
1) le stava facendo una cortesia a farle da interprete

(sei tu che hai vol...)

2) doveva solo provare a schernirlo e l’avrebbe punit

(non lo farai non la toccherai)

Maledette voci provenienti dal proprio oltretomba. Aveva voglia di distruggere l'intera sala per farle uscire e seppellirle, ma era anche vero che non era arrabbiato abbastanza da poterlo fare. E poi, non poteva certo comportarsi da demone maldestro e alle prime armi. Il suo carattere era associato alla rigida compostezza assassina, e quella mattina, non avendo materialmente nemici, era inutile mettersi a fare scenate. Sarebbe risultato patetico ai suoi stessi occhi. Riprese, quindi, l'unico pensiero fissatosi nella sua mente, come un'esca ad un amo, e vi si abbandonò: leggere, leggere, leggere, non pensare ad altro che a leggere. E che tutte le sue voci leggessero all’unisono con lui, come un canto corale, dove non vi è neppure una nota stonata o fuori tempo. Un’unità. Che meravigliosa sensazione.


Visualizzò così il pensiero del leggere: l'azione della lettura si materializzò come un ovale in rapida espansione fino a che non gli circondò completamente la testa.
Ora era perfettamente concentrato.
Ora poteva andare avanti, come quei canti corali dove non vi è neppure una nota stonata o fuori tempo. Un’unità.

La cosa non gli risultava tanto difficile, dal momento che l'argomento di quel pesante volume non era così male.

Dunque, era rimasto...? Ah si, il giullare. Chi fosse propriamente non l'aveva capito. Ad ogni modo, proseguì con la lettura.

"La danza era generalmente condannata da persone dette ecclesiastiche, per via dei movimenti del corpo, ma questo non impedì la sua crescente diffusione. La danza poteva avvenire in maschera, e qui ne riporta un tipo molto praticato. Si chiama carola."

Quando girò la pagina, trovò l'illustrazione che Rin aveva giudicato mediocre rispetto alle altre.

"Dovrebbe essere questa. Uomini e donne che si prendono per mano e saltellano."


Senza rendersene conto aveva ritratto leggermente il busto. Uomini e donne che si prendevano per mano? Non sapeva se giudicare più sfacciati quegli Indiani o quegli occidentali. Arrossì ed abbassò lo sguardo.

(Uomini e donne che si prendevano per mano per mano per mano)



Anche un tonto, credeva, avrebbe percepito l'imbarazzo della giovane ascoltatrice. Non ci voleva chissà quale scienza o quale magia per capirlo. Gli venne istintivo cercare un modo per ridimensionare la situazione e fece finta di interpretare la pagina seguente. Fosse stato veramente scritto oppure no, il demone aggiunse: "Era un modo, per chi scampava alla peste, di esprimere la propria contentezza."


Di nuovo le iridi saettarono alla sua destra, senza che il capo effettuasse il minimo movimento.
Beh, la strategia sembrava aver funzionato.
La ragazzina sembrava essersi rincuorata e stava lentamente risollevando la testa.

Il padrone era di profilo, e fissava le pagine che aveva davanti. Sperava non capitasse nuovamente in passi e narrazioni... particolari.
Inconsciamente gli fu nuovamente grata per non aver utilizzato quell'interpretazione come possibile pretesto per parlare di cose strane.


Il fruscio delle pagine sfogliate con cadenza più o meno regolare era l'unico suono costante nella grande sala. Ogni tanto padron Sesshomaru arricchiva quel lieve rumore col suo tono di voce basso e neutro.

Il demone riprese la sua narrazione.

"La danza viene ritenuta successivamente come una forma di educazione, e viene ora praticata dai nobili, che si vogliono però discostare dalla rozza danza del popolo. E’ una danza, quella cortigiana, più elegante, composta, galante e raffinata”.

Sbirciando dalla sua postazione, Rin posò nuovamente lo sguardo sul libro, e quando il demone si soffermò sull’immagine stampata, poté riconoscere l’illustrazione che tanto le era piaciuta la sera precedente.

I colori sfumati, luminosi, i danzatori e le danzatrici riprodotti in maniera magistrale, l’abbigliamento decisamente ridicolo del ballerino… Sì, quel dipinto le era piaciuto davvero molto. Riassumeva in un certo senso le differenze culturali con la sua terra.

Le ritornarono alla mente le parole pronunciate dal suo signore poco prima, quando aveva affermato che “uomini e donne che si prendono per mano…”.
Per mano.
Ma com’era possibile lasciarsi andare a quel modo? Prendere una persona per mano equivaleva ad annullare delle distanze e poteva essere un preludio ad un seguito anche sconveniente.
Ora, era vero che si era in un contesto ben preciso come quello della danza nelle terre dell’Ovest, ma era pur sempre un gesto che Rin riteneva in un certo senso azzardato. Nei suoi 17 anni di vita si ricordava di aver visto pochissime persone scambiarsi delicate effusioni. Ricorda vagamente i propri genitori, o mamma Kaede quando le arruffava teneramente i capelli in segno di affetto, o qualche coppia anziana del villaggio. Se un pittore dipinge un prendersi per mano in una raffigurazione, significa che egli sta ponendo un filtro nella rappresentazione del vero, perché vuole ottenere i tratti più salienti di comportamenti sociali: se nel ballo i protagonisti si prendono per mano, allora in tutti i balli occidentali tutti i danzatori si prendono per mano.
Senza rendersene conto, aveva sollevato la propria mano sinistra ed aperto le dita a ventaglio, per poi girare la mano col palmo verso l’alto. Provò ad immaginare che quella sua manina potesse toccare e stringere la mano di un ballerino come aveva visto nel dipinto, e la scena le risultò irreale.
Tornò a rivolgere gli occhi incuriositi verso il testo, in attesa che il proprio padrone potesse continuare con la lettura sintetica.

Padron Sesshomaru continuava a sfogliare lentamente il volume, facendo saettare le iridi color ambra da sinistra verso destra, immagazzinando le informazioni che riusciva a captare.
Quando padron Sesshomaru sfogliò l’ultima pagina, le prime ombre del pomeriggio iniziarono ad allungarsi in quella vasta sala.
Rin aveva perduto la concezione del tempo, dal momento che tutta la sua mente era stata attenta e concentrata. Sbatté più volte le palpebre nel realizzare come il tempo  fosse passato velocemente, quella mattina. Con il recupero della dimensione temporale, e anche un po’ di quella spaziale, anche i suoi sensi si risvegliarono, e la scossa adrenalinica provata durante quelle ore le ricordò prepotentemente che era ora di occuparsi del corpo e non più della mente. Avvertì a un tratto un senso di fame, di sete e di vescica da svuotare anche presto.
Si alzò in maniera goffa avvertendo un certo formicolio alle gambe e un lieve mal di schiena. Se non ci fosse stato il padrone si sarebbe abbandonata a un lunga distensione muscolare, ma dato che non era da sola dovette ricorrere a un rapido stiracchiamento per riattivare la circolazione. Dopodiché congiunse le mani al di sotto del pube, lasciando cadere in maniera morbida le braccia, e fece un inchino col capo. Alzò lentamente la testa come ad attendere istruzioni o una risposta da parte del padrone. Nel frattempo, il demone aveva richiuso il testo e aveva rivolto il capo verso una finestra, pensieroso. Le dava le spalle.
Dal momento che la sua vescica cominciava a inviare vivaci segnali di protesta, Rin sperò che lui si girasse presto verso di lei così da chiedergli congedo. Dal momento però che il padrone sembrava non voler cambiar posizione, e lei aveva ormai grosse difficoltà a resistere, dovette voltarsi e volare verso i piani inferiori.
Quando placò i suoi stimoli, Rin si affrettò a tornare in biblioteca, quanto meno per cercare di dare una spiegazione ad un comportamento repentino nonché maleducato. Le rampe di scale non le pesavano affatto, quel giorno. L’eccitazione mentale vissuta le aveva fatto dimenticare tutto, e si sentiva viva e attiva come pochi.
Giunta in biblioteca, trovò il padrone in piedi, con la fronte poggiata sul vetro della finestra. Rin si bloccò. A prescindere dal fatto che il più delle volte aveva visto un’espressione neutra, o meglio, una non espressione sul volto del suo padrone, questa volta le parve di leggere una precisa emozione in quel volto diafano. Era come se il suo signore stesse comunicando all’intera sala quello che stava provando: malinconia.
Oh si. Malinconia. Un pesante drappo di tristezza avvolgeva e appesantiva gli occhi e la bocca del suo padrone, una nostalgia a suo avviso mal celata, un senso di oppressione protratto per troppo tempo. Era questo quello che gli leggeva in volto.
Poteva mai un demone provare quel sentimento così forte e spiazzante? Poteva mai un demone provare quel sentimento così negativo che avvelenava lentamente l’Essere? Eppure, un demone aveva tutto quello che un umano poteva desiderare: la lunga vita, la forza, la capacità di compiere azioni quali il volare o fare delle magie. Nonostante la natura avesse loro assegnato tutto, perché altro non si poteva desiderare, pensò Rin, a quanto pareva la stessa natura aveva privato loro di qualcosa di non indifferente. Non riusciva a comprendere il motivo che aveva dato vita a quel viso così assente e assorto in pensieri negativi ed elucubrazioni. Non che ci fosse la minima espressione in quel volto fermo ed immobile.

Ma quel che faceva differenza, per Rin, erano le impressioni che emergevano a fior di pelle, su quelle guance bianche, lisce e striate.  
Poteva paragonare il suo viso a una distesa marina: in superficie, tutto calmo; sul fondo, pericolosi vortici.
Staccò gli occhi da quell’alta e maestosa figura, pensando rapidamente a cosa fare. In normali circostanze, e solo in presenza di donne, ragazzine, anziane e bambine, si sarebbe permessa di poggiare delicatamente una mano sulla spalla e abbozzare un sorriso triste. Ma qui non era assolutamente il caso di abbandonarsi a simili gesti, nemmeno per idea. Doveva lasciare il padrone da solo a pulire, disinfettare e cicatrizzare quella che appariva come una ferita non piccola. Una parte di lei si chiese di sfuggita quale potesse essere il suo tormento, quale fosse la ragione di tanta tristezza. Ma non era certo suo compito far da custode di segreti e ricordi dolorosi. Tuttavia, prima di lasciarlo solo, doveva comunque rendere grazie alla sua gentilezza. Aveva passato l’arco della giornata sotto una tempesta emozionale, ed ancora avvertiva un lieve capogiro per le sensazioni che quella lettura sintetizzata era stata in grado di provocarle.

Si diresse a passo felpato verso il tavolinetto, afferrò il calamaio ed intinse la punta all’interno della boccettina, dove un inchiostro denso ed oscuro come un drappo funebre altro non aspettava che asciugarsi e fissarsi per sempre su della carta. Probabilmente stava per compiere un gesto poco carino, ma doveva “marchiare” quella splendida giornata. Padron Sesshomaru aveva richiuso il pesante testo occidentale e la retrocopertina grigia fissava muta il soffitto di quella vasta sala. Sfregiare dei libri non era di certo il suo hobby, e tuttavia in quel pomeriggio timidamente soleggiato avrebbe fatto un’eccezione. Distrattamente, la sfiorò il pensiero che lui non le avrebbe fatto storie
(no non lo farebbe non con te)

e non avrebbe avuto nulla

(è così non ti farà niente)

da ridire.

Sollevò la punta grondante e gocciolante di inchiostro nero e si affrettò a posizionarla sulla retrocopertina, cercando di disegnare il kanji quanto prima per avere una riproduzione uniforme del simbolo. Ricordava bene quel giorno in cui aveva tracciato con la mano quello stesso simbolo e lui, con un’espressione appena accennata di disapprovazione, aveva tracciato a sua volta il concetto correggendo l’errore. Senza nemmeno accorgersene, un mezzo sorriso le spuntò sul visino.
Diede un’occhiata rapida e soddisfatta all’operato. Poi si voltò nuovamente verso il suo padrone, il quale non si era praticamente mosso di un millimetro. Rin lo fissò con una certa compassione, dal momento che…
Ah si, certo. Ora erano pure divenuti amici, dal momento che provava tenerezza per lui? E soprattutto, cosa diavolo la rendeva così sicura nel constatare che il suo padrone fosse avvolto in una nube malinconica?
Automaticamente si voltò verso la porta della biblioteca, nell’atto di dare per l’ennesima volta ragione a quella vocina così

(maledettamente odiosa)
 
razionale. Stava per alzarsi, ma non poté resistere all’atto di voltarsi nuovamente verso il suo signore. Un timido raggio di sole che stava per lasciare il posto a un imminente crepuscolo aveva creato un grazioso gioco di luci sulla sua liscia capigliatura. Abbozzò un sorriso, determinata a non perdersi in pensieri poco definiti. Voleva togliersi di torno: glielo doveva. Era il suo riconoscimento per la giornata trascorsa.
Si rialzò, e facendo il meno rumore possibile, si affrettò verso la porta, avendo l’accortezza di richiuderla silenziosamente.
Sorrise alle ante chiuse, e si diresse verso il mondo reale, fatto di una convivenza non molto riuscita con gli altri umani. Si sentiva serena ed ancora su di giri, e cercò come poté di coinvolgere mamma Kaede nella sua narrazione, omettendo accuratamente il fatto che avesse passato la giornata in compagnia.
Quando posò la testa sul cuscino, ci mise un po’ più del solito a prendere sonno, e solo in uno stato di semi coscienza le venne in mente che non aveva voluto dire di padron Sesshomaru alla sua matrigna perché… perché si sarebbe preoccupata per lei

(bugiarda)

e perché magari non aveva dimenticato di come lui le avesse dato una frustrata alla schiena e quindi poteva portare del rancore nei suoi confronti, e quindi era meglio tenerla all’oscuro per proteggerla

(bugiarda)

e quindi non avrebbe detto nulla perché… perché… la sua mano striata sfogliava, lentamente, lentamente, lentamente…


Si era seccato. Si era disciolto a contatto con l’aria e ora era destinato a giacere su quella sua compagna grigia. Il suo forte odore era andato scemando gradualmente. Non era un odore che gli provocava fastidio, o gli dava piacere. Sostanzialmente era un odore che gli era indifferente.
Scosse sovrappensiero una ciocca di capelli, con quel gesto di farvi scorrere le dita fino alle punte, portando la ciocca in avanti, sul petto.
Fissava i kanji creati con quell’inchiostro nero, che in maniera silenziosa gli trasmettevano un semplice messaggio.
“Grazie”.
L’aveva sentita ritornare e fare piano, smanettare col calamaio, aveva sentito le sue narici dilatarsi leggermente nel captare l’odore dell’inchiostro. Ma aveva impiegato diverso tempo per andare a vedere che cosa avesse combinato quella ragazzina. Era ricascato nella subdola trappola di farsi avvolgere da pensieri tristi e nostalgici, non riuscendo a sottrarvisi. Era un meccanismo molto insidioso, peggiore di tanti nemici affrontati in battaglia.

Voleva spegnere quell’interruttore impazzito e capriccioso, che lo coglieva alla sprovvista e si accendeva puntualmente senza che lui riuscisse a fermarne il meccanismo di accensione. Si sarebbe ritirato nella sua prigione, sprofondando in un sonno profondo e senza pensieri, sogni o ricordi.
Fissò un ultima volta la retrocopertina macchiata e marchiata. La fissò a lungo. Poteva percepire un certo odore insieme a quello della carta, dell’inchiostro, e dell’aria leggermente viziata della sala. Il suo naso al riguardo era il servo più perspicace ed affidabile che conoscesse. L’odore… Attuò una discesa immediata in uno stato di trance mentale che bloccava l’accesso a tutte le forme di pensiero, dalle più logiche alle più introspettive. Quella sera doveva rimettere la veste di guerriero. Nessuno avrebbe passato quella zona di confine che tanto gli garantiva la razionalità e la ragionevolezza. Era determinato a lottare e vincere. Senza rendersene conto, rovesciò le pupille feline all’indietro fino a che non restò visibile solo il bianco degli occhi. Con lentezza esasperante uscì dalla sala e si rintanò nel suo mondo, senza pensieri, sogni o ricordi. Le sue palpebre si chiusero sempre sul bianco degli occhi, perché le pupille non volevano tornare in prima fila.


Molti metri più giù, anche delle palpebre si chiusero su degli occhi, con le pupille però in prima fila. E se qualcuno avesse aperto anche uno solo di quegli occhi, avrebbe assistito al curioso fenomeno di una pupilla che un po’ si dilatava e un po’ si restringeva: come se stesse scrutando e cercando qualcosa. 

 




 

  
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