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Autore: La sposa di Ade    29/02/2012    3 recensioni
Volute di fumo si innalzavano dalla macerie di quella che una volta era stata la capitale più fiorente del mondo degli Umani, l’ immensa e sfarzosa Ethis era ora ridotta a un campo di battaglia per un’ ultima guerra.
Una figura, pallida e barcollante, affacciata alla finestra della sua stanza osservava con occhi di pece quello scenario troppo familiare, così poco era passato; quel breve periodo di dopoguerra in cui chiunque si trascinava in cerca di una luce, seppur effimera, era finito. Sostituito da ciò che di peggio si poteva immaginare.
Il suono della battaglia, cozzare di armi, schizzi di sangue e morte si era diffuso ovunque, un requiem caotico risvegliava una sete di sangue che da tempo sperava di aver abbandonato, sperava di averla lasciata in quella cella due anni prima insieme a tutto quel sangue che aveva versato solo per il desiderio di uccidere. Con una daga legata al polso e ciò che restava dell’ Ala d’ Argento avrebbe combattuto, gustandosi tutto il sangue che sarebbe riuscita a versare.
6° Classificata
al contest ‘Aboliamo gli Happy Endings!’ indetto da
WodkaEiffel
Genere: Angst, Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dirty souls'
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Ci sarà la terza parte di questo capitolo… il fatto è che non riuscivo più a scrivere, infatti si più notare il calo d’ ispirazione nell’ ultima parte, lo so l’ ho fatto finire in un modo schifoso ma cercate di capirmi >.< Domenica scorsa (il 26) è stato il mio compleanno e da allora l’ ispirazione è andata a farsi trucidare da Neah ._. Ehm, ringrazio chi segue in silenzio e chi recensisce, ringrazio Homicidal Maniac che mi tiene compagnia durante le serate noiose ^^
Non so che altro dirvi, buona lettura!

 

Capitolo 12. Un’anima sporca.

Parte 2

“In un bagno pieno di sangue, sono solo, sono ancora in piedi.”
[Sum 41 – The Jester]

Si risvegliò nuovamente nel suo letto, nella sua stanza con un lieve formicolio alla mano sinistra.
Si mise a sedere e notò con orrore che avevano messo un’ altro specchio proprio dove si trovava quello precedente, la sua immagine si rifletté di nuovo su quella dannata superficie; la pelle nivea, i capelli neri un po’ scompigliati, le labbra piene, un occhio blu e uno vitreo.
Si mise in piedi ignorando lo specchio, chiuse gli occhi e si passò una mano sul viso. Non notò il colore scuro che aveva preso la mano sinistra, non pensò al fatto che stesse marcendo e che piano piano ne avrebbe perso l’ uso, prima le dita, poi la mano intera, il polso, il braccio…
 

“Credi abbia funzionato?” Chiese dubbioso il Generatore a Dimitri. Lui era l’ unico che si permetteva di dargli del tu, divertendosi a vedere gli occhi del re stringersi quando lo faceva.
“Anche se non credo abbia appreso che lei è in grado di creare altri vampiri, sono certo che prima o poi lo capirà e allora sarà l’ istinto ad agire per lei.” Sogghignò. Stettero in silenzio per qualche istante, entrambi persi nei propri pensieri.
“E potrei sapere cosa le hai fatto?” Il Generatore scosse le spalle mentre le labbra si incurvavano in un lieve sorriso.
“Mi sembra di aver capito che ti piace vederla soffrire.” Alzò le sopracciglia come per cercare il consenso del re. “Allora non ti dispiacerà vederla con una mano in meno.” Finì il Generatore mentre sotto il suo sterno cresceva una fragorosa risata.
 

Era in una delle stanze del re a rovistare fra i vari scaffali, l’ elfo aveva in mano un bicchiere a coppa di cristallo opaco, lo teneva fra due dita mentre con l’ altra mano spostava strani oggetti nel tentativo di trovare quel che cercava. Dopo vari minuti sbuffò e portando alle labbra il bicchiere tenendolo con i denti. Con due mani era decisamente meglio. I capelli argentei gli ricaddero più volte sugli occhi, e stava per rimetterli a posto per l’ ennesima volta quando le sue dita scontrarono qualcosa di freddo, riconobbe il rumore del liquido che si muoveva dentro una bottiglia. Un mezzo sorriso increspò le sue labbra, ma che scomparve subito perché rischiò di far cadere il bicchiere che ancora teneva fra i denti.
Con immensa soddisfazione tirò fuori una bottiglia di liquido trasparente. La studiò un attimo, tentando di capire se quella che aveva in mano fosse della semplice acqua o qualcosa di alcolico. Si versò comunque un po’ di quel liquido nel bicchiere e ne bevve un sorso, sent’ la gola andare in fiamme e così anche la bocca dello stomaco, si gustò per qualche istante quella piacevole sensazione che si irradiava in tutto il corpo, mentre la testa si svuotava e si faceva leggera.
Al centro della stanza c’ era un tavolo di granito sul quale Zephit posò il bicchiere già vuoto, ci si sedette e fissando il muro spoglio davanti a lui iniziò a sorseggiare con calma la nuova bevanda scoperta. La cicatrice su collo stringeva come una fune, rendendogli difficile mandare giù la vodka. Quasi senza accorgersene si portò una mano al segno chiaro che aveva impresso sul collo, mentre vivide immagini correvano fugaci davanti ai suoi occhi.

Un uomo, alto, pallidissimo, gli occhi come pezzi d’ambra lucente.
Un’ enorme macchia di sangue sotto il proprio corpo.
Il sorriso di un gatto.
Un coltello infilzato in un occhio.

Rabbrividì involontariamente, mentre il proprio passato chiedeva di essere affogato nell’ alcol.
Un cigolio richiamò la sua scarsa attenzione, dalla porta alla sua destra spuntava una testa minuta, con la pelle nivea come quella di una bambola, occhi come pozzi di tenebra e i capelli raccolti dietro la nuca, Lishe, la figlia del re lo fissava con quegli occhi accusatori.
“Non dovresti essere qui.” Lo accusò la voce candida della bambina.
“Neanche tu.” Rispose scontroso l’ elfo guardando la bambina che ora aveva messo il broncio. La bambina entrò nella stanza, continuando a fissare con astio l’ ubriacone che ora sembrava non fare più caso a lei.
“Guarda.” Disse la piccola Lishe allungando l’ oggetto circolare che teneva tra le braccia. Zephit con la bottiglia alle labbra abbassò lo sguardo, quel tanto che bastava per vedere ciò che gli stava porgendo la piccola figlia del re. Uno specchio, ma era strano, perché non rifletteva la sua immagine, quello che vedeva in quella superficie erano solo il tavolo e il muro alle sue spalle.
“Ma che…?” Inclinò la testa, senza capire. La bambina le sorrise. Un sorriso smagliante, ma negli occhi una scura luce agghiacciante.
Sullo specchio di delineò una striscia scarlatta, come un taglio.
L’elfo notò con orrore che si trovava all’ altezza del suo collo, proprio lì dove c’era la sua cicatrice.
Poi, lentamente, dal quello sfregio immaginario iniziò a colare il liquido rosso di cui era fatto, colò per tutto il vetro e la cornice dello specchio, lentamente, fino a gocciolare a terra, creando dei piccoli cerchi perfetti. .
Nell’ aria si diffuse un odore pungente, l’ odore del dolore e della disperazione.
La cicatrice sul suo collo sembrò stringersi, come una vera a propria fune, rendendo difficile la respirazione, Zephit si portò una mano alla gola ma la ritrasse subito quando sentì il contatto con un liquido viscido e caldo, la mano era sporca di sangue, il dolore si irradiava in tutto il suo corpo, mentre sentiva le mani intorpidirsi e la maglia bagnarsi di quel liquido tiepido.
L’ aria non arrivava più ai polmoni e l’elfo scivolò a terra tentando di aggrapparsi al tavolo, ansimò più volte fissando la bambina che continuava a sorridere, e proprio nel momento in cui sentì le forze abbandonarlo la piccola Lishe ritirò lo specchio e tornò a stringerselo al petto. Il dolore svanì e Zephit poté tornare a respirare normalmente.
“Tu non hai più un’ anima.” Disse la bambina indugiando con lo sguardo sul suo collo immacolato.
 

Teneva le mani in grembo una dentro l’ altra, massaggiandosi la sinistra, la sentiva intorpidita, un formicolio le correva dal palmo alle estremità di ogni singolo dito. Il colore che aveva assunto le dava fastidio, era scura come la pelle di un cadavere macchiato dalla terra.
La appoggiò sulla superficie fresca su cui era seduta, nella speranza di trarne un po’ di sollievo, niente, la mano era diventata insensibile.

Alzò lo sguardo, fissando la raffigurazione della dea oscura, che ricambiava con il suo sguardo invisibile, i toni vermigli dominavano il centro, dando alla figura un aspetto lugubre, accompagnato da ramificazioni che partivano dagli avambracci, dalla testa e dal resto del corpo della dea, in contrasto con tutto c’ era l’ azzurro, presente solo in piccoli particolari. Infine si poteva vedere il colore del ghiaccio che dava vita al cuore di Andhera.
Sospirò, ricordando che l’ altare su cui era seduta in quel momento, due anni prima sarebbe dovuto essere la sua tomba.

Dona la bocca a chi sta per morire,
il suo sangue macchierà le candide labbra,
la solitudine verrà colmata dal bacio dell’ abbandono.

Quelle poche frasi le risuonavano nella mente, creando un’ eco spiacevole. Non aveva idea di cosa significassero. Guardò la dea con sguardo angosciato, ricordava il detto che girava per il loro mondo; “Lascia che siano le lacrime a lavarle via dalla pelle infangata le incertezze, permetti che volteggino con le caduche foglie per riposare l’ ultima volta. Ricordale come l'ultimo respiro prima della morte.” Era anche scritto alla base dell’ altare. In teoria qualunque domanda posta alla dea trovava risposta, anche se non era un risposta vera e propria, più che altro era una consapevolezza che serpeggiava nella mente.
Non era la prima volta che si trovava in una situazione simile, molto tempo prima aveva provato a chiedere alla dea cosa fosse successo a sua madre, ma le aveva risposto solo uno straziante silenzio.
Continuò a fissarla, ripensando alle tre frasi che aveva udito prima.
Quando lentamente immagini sempre più nitide si facevano largo nella sua mente, riaffioravano come vecchi ricordi; il volto esague di una delle sue tante vittime, canini allungati che perforavano la pelle pallida, occhi che si coloravano del colore del sangue.
 
Tornò in camera sua, scoraggiata dopo la risposta alla sua domanda e al silenzio alla richiesta delle notizie sulla madre.

Cosa sono diventata? Come si viveva nell’ immortalità?
Continuò a salire le rampe di scale, intenzionata a lasciare quel posto il prima possibile quando un capogiro la costrinse ad appoggiarsi al muro. Due aste di metallo le si strinsero attorno alle tempie, mentre le orecchie iniziavano a fischiarle e la vista a riempirsi di macchie nere, si accorse a malapena di scivolare contro il muro ruvido.
Perse i sensi.

 
Ah, già… dimenticavo, temo che Neah perderà la mano destra, ma non temete! Ho già in programma di rimediare per bene ;)
Neah: Sarà meglio per te *sguardo assassino*

  
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