Ci
sarà la terza parte di questo capitolo… il fatto
è che non riuscivo più a
scrivere, infatti si più notare il calo d’
ispirazione nell’ ultima parte, lo
so l’ ho fatto finire in un modo schifoso ma cercate di
capirmi >.<
Domenica scorsa (il 26) è stato il mio compleanno e da
allora l’ ispirazione è
andata a farsi trucidare da Neah ._. Ehm, ringrazio chi segue in
silenzio e chi
recensisce, ringrazio Homicidal Maniac che mi tiene compagnia durante
le serate
noiose ^^
Non
so che altro dirvi, buona lettura!
Capitolo
12. Un’anima sporca.
Parte
2
“In
un bagno pieno
di sangue, sono solo, sono ancora in piedi.”
[Sum 41 – The
Jester]
Si
risvegliò nuovamente nel suo letto, nella sua stanza con un
lieve formicolio
alla mano sinistra.
Si
mise a sedere e notò con orrore che avevano messo
un’ altro specchio proprio
dove si trovava quello precedente, la sua immagine si
rifletté di nuovo su
quella dannata superficie; la pelle nivea, i capelli neri un
po’ scompigliati,
le labbra piene, un occhio blu e uno vitreo.
Si
mise in piedi ignorando lo specchio, chiuse gli occhi e si
passò una mano sul
viso. Non notò il colore scuro che aveva preso la mano
sinistra, non pensò al
fatto che stesse marcendo e che piano piano ne avrebbe perso
l’ uso, prima le
dita, poi la mano intera, il polso, il braccio…
“Credi
abbia funzionato?” Chiese dubbioso il Generatore a Dimitri.
Lui era l’ unico
che si permetteva di dargli del tu, divertendosi a vedere gli occhi del
re
stringersi quando lo faceva.
“Anche
se non credo abbia appreso che lei è in grado di creare
altri vampiri, sono
certo che prima o poi lo capirà e allora sarà
l’ istinto ad agire per lei.”
Sogghignò. Stettero in silenzio per qualche istante,
entrambi persi nei propri
pensieri.
“E
potrei sapere cosa le hai fatto?” Il Generatore scosse le
spalle mentre le
labbra si incurvavano in un lieve sorriso.
“Mi
sembra di aver capito che ti piace vederla soffrire.”
Alzò le sopracciglia come
per cercare il consenso del re. “Allora non ti
dispiacerà vederla con una mano
in meno.” Finì il Generatore mentre sotto il suo
sterno cresceva una fragorosa
risata.
Era
in una delle stanze del re a rovistare fra i vari scaffali,
l’ elfo aveva in
mano un bicchiere a coppa di cristallo opaco, lo teneva fra due dita
mentre con
l’ altra mano spostava strani oggetti nel tentativo di
trovare quel che
cercava. Dopo vari minuti sbuffò e portando alle labbra il
bicchiere tenendolo
con i denti. Con due mani era decisamente meglio. I capelli argentei
gli
ricaddero più volte sugli occhi, e stava per rimetterli a
posto per l’ ennesima
volta quando le sue dita scontrarono qualcosa di freddo, riconobbe il
rumore
del liquido che si muoveva dentro una bottiglia. Un mezzo sorriso
increspò le
sue labbra, ma che scomparve subito perché
rischiò di far cadere il bicchiere
che ancora teneva fra i denti.
Con
immensa soddisfazione tirò fuori una bottiglia di liquido
trasparente. La
studiò un attimo, tentando di capire se quella che aveva in
mano fosse della semplice
acqua o qualcosa di alcolico. Si versò comunque un
po’ di quel liquido nel
bicchiere e ne bevve un sorso, sent’ la gola andare in fiamme
e così anche la
bocca dello stomaco, si gustò per qualche istante quella
piacevole sensazione
che si irradiava in tutto il corpo, mentre la testa si svuotava e si
faceva
leggera.
Al
centro della stanza c’ era un tavolo di granito sul quale
Zephit posò il
bicchiere già vuoto, ci si sedette e fissando il muro
spoglio davanti a lui
iniziò a sorseggiare con calma la nuova bevanda scoperta. La
cicatrice su collo
stringeva come una fune, rendendogli difficile mandare giù
la vodka. Quasi
senza accorgersene si portò una mano al segno chiaro che
aveva impresso sul
collo, mentre vivide immagini correvano fugaci davanti ai suoi occhi.
Un
uomo, alto, pallidissimo, gli occhi
come pezzi d’ambra lucente.
Un’ enorme macchia di sangue sotto il
proprio corpo.
Il sorriso di un gatto.
Un coltello infilzato in un occhio.
Rabbrividì
involontariamente, mentre il proprio passato chiedeva di essere
affogato nell’
alcol.
Un
cigolio richiamò la sua scarsa attenzione, dalla porta alla
sua destra spuntava
una testa minuta, con la pelle nivea come quella di una bambola, occhi
come
pozzi di tenebra e i capelli raccolti dietro la nuca, Lishe, la figlia
del re
lo fissava con quegli occhi accusatori.
“Non
dovresti essere qui.” Lo accusò la voce candida
della bambina.
“Neanche
tu.” Rispose scontroso l’ elfo guardando la bambina
che ora aveva messo il
broncio. La bambina entrò nella stanza, continuando a
fissare con astio l’
ubriacone che ora sembrava non fare più caso a lei.
“Guarda.”
Disse la piccola Lishe allungando l’ oggetto circolare che
teneva tra le
braccia. Zephit con la bottiglia alle labbra abbassò lo
sguardo, quel tanto che
bastava per vedere ciò che gli stava porgendo la piccola
figlia del re. Uno
specchio, ma era strano, perché non rifletteva la sua
immagine, quello che
vedeva in quella superficie erano solo il tavolo e il muro alle sue
spalle.
“Ma
che…?” Inclinò la testa, senza capire.
La bambina le sorrise. Un sorriso
smagliante, ma negli occhi una scura luce agghiacciante.
Sullo
specchio di delineò una striscia scarlatta, come un taglio.
L’elfo
notò con orrore che si trovava all’ altezza del
suo collo, proprio lì dove
c’era la sua cicatrice.
Poi,
lentamente, dal quello sfregio immaginario iniziò a colare
il liquido rosso di
cui era fatto, colò per tutto il vetro e la cornice dello
specchio, lentamente,
fino a gocciolare a terra, creando dei piccoli cerchi perfetti. .
Nell’
aria si diffuse un odore pungente, l’ odore del dolore e
della disperazione.
La
cicatrice sul suo collo sembrò stringersi, come una vera a
propria fune,
rendendo difficile la respirazione, Zephit si portò una mano
alla gola ma la
ritrasse subito quando sentì il contatto con un liquido
viscido e caldo, la
mano era sporca di sangue, il dolore si irradiava in tutto il suo
corpo, mentre
sentiva le mani intorpidirsi e la maglia bagnarsi di quel liquido
tiepido.
L’
aria non arrivava più ai polmoni e l’elfo
scivolò a terra tentando di
aggrapparsi al tavolo, ansimò più volte fissando
la bambina che continuava a
sorridere, e proprio nel momento in cui sentì le forze
abbandonarlo la piccola
Lishe ritirò lo specchio e tornò a stringerselo
al petto. Il dolore svanì e
Zephit poté tornare a respirare normalmente.
“Tu
non hai più un’ anima.” Disse la bambina
indugiando con lo sguardo sul suo
collo immacolato.
Teneva
le mani in grembo una dentro l’ altra, massaggiandosi la
sinistra, la sentiva
intorpidita, un formicolio le correva dal palmo alle
estremità di ogni singolo
dito. Il colore che aveva assunto le dava fastidio, era scura come la
pelle di
un cadavere macchiato dalla terra.
La
appoggiò sulla superficie fresca su cui era seduta, nella
speranza di trarne un
po’ di sollievo, niente, la mano era diventata insensibile.
Alzò
lo sguardo, fissando la raffigurazione della dea oscura, che ricambiava
con il
suo sguardo invisibile, i toni vermigli dominavano il centro, dando
alla figura
un aspetto lugubre, accompagnato da ramificazioni che partivano dagli
avambracci, dalla testa e dal resto del corpo della dea, in contrasto
con tutto
c’ era l’ azzurro, presente solo in piccoli
particolari. Infine si poteva
vedere il colore del ghiaccio che dava vita al cuore di Andhera.
Sospirò,
ricordando che l’ altare su cui era seduta in quel momento,
due anni prima
sarebbe dovuto essere la sua tomba.
Dona
la bocca a chi sta per morire,
il suo sangue macchierà le candide
labbra,
la solitudine verrà colmata dal bacio
dell’ abbandono.
Quelle
poche frasi le risuonavano nella mente, creando un’ eco
spiacevole. Non aveva
idea di cosa significassero. Guardò la dea con sguardo
angosciato, ricordava il
detto che girava per il loro mondo; “Lascia
che siano le lacrime a lavarle
via dalla pelle infangata le incertezze, permetti che volteggino con le
caduche
foglie per riposare l’ ultima volta. Ricordale come l'ultimo
respiro prima
della morte.”
Era anche
scritto alla base dell’ altare. In teoria qualunque domanda
posta alla dea
trovava risposta, anche se non era un risposta vera e propria,
più che altro
era una consapevolezza che serpeggiava nella mente.
Non era la
prima volta che si trovava in una situazione simile, molto tempo prima
aveva
provato a chiedere alla dea cosa fosse successo a sua madre, ma le
aveva
risposto solo uno straziante silenzio.
Continuò a
fissarla, ripensando alle tre frasi che aveva udito prima.
Quando lentamente
immagini sempre più nitide si facevano largo nella sua
mente, riaffioravano
come vecchi ricordi; il volto esague di una delle sue tante vittime,
canini
allungati che perforavano la pelle pallida, occhi che si coloravano del
colore
del sangue.
Cosa
sono diventata?
Come si viveva nell’
immortalità?
Continuò
a salire le rampe di scale, intenzionata a lasciare quel posto il prima
possibile quando un capogiro la costrinse ad appoggiarsi al muro. Due
aste di
metallo le si strinsero attorno alle tempie, mentre le orecchie
iniziavano a
fischiarle e la vista a riempirsi di macchie nere, si accorse a
malapena di
scivolare contro il muro ruvido.
Perse
i sensi.
Ah,
già… dimenticavo, temo che Neah
perderà la mano destra, ma non temete! Ho già
in programma di rimediare per bene ;)
Neah:
Sarà meglio per te *sguardo assassino*