– Angolo dell’autrice –
__Salve a tutti. Allora… ehm… intanto, grazie mille della visita e poi, ecco… Non saprei davvero cos’altro aggiungere; a parte che, se giunti fin qui, non potete che avere la mia stima e riconoscenza più sconfinate, per quanto interessate.
__Ah, una cosa, però: allegria, ciurma! Gioite, perché la mestizia è finita, giurin giurello. Insomma, accidenti, almeno sul finale di partita ci voleva un po’ d’ottimismo; quindi preparate l’insulina, poiché siamo a rischio diabete, mi sa. Diabete enneacca, poi, altro che mellito: abbandonate la nave, gente! (Se salti tu, salto anch’io, Jack! – Okay, prima le signore, allora.) Bene, a questo punto credo non sia più il caso d’indulgere in ulteriori moine o cerimonie, quindi, niente.
__Come di consueto, vi rinvio alla fine del capitolo per riconoscimenti, ringraziamenti, deliri d’onnipotenza, diarrea verbale e demenza interattiva. (Siamo proprio simpatici oggi, eh?) Grazie per esser passati, ancora o per la prima volta, e ecco la conclusione. Spero quest’affare sia valso il vostro disturbo e tempo.
Grazie mille e buona lettura.
Capitolo in revisione: ci scusiamo per il disagio.
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Can’t Help Falling in Love |
__Wise men say only fools rush in
__But I can’t help falling in love with you
__[Gli uomini saggi dicono che solo gli stupidi si gettano nelle cose
__Ma non posso fare a meno d’innamorarmi di te]
__“Cant’t Help Falling in Love”, Elvis Presley
__Tu guarda che testa… E che scema. Già, proprio una scema…
__Così mi sento: una scema e una stupida, debole, e impotente, e amareggiata, e arrabbiata… e rassegnata. Come di fronte a mio padre. Come di fronte a Neji-niisan. Come da bambina.
__Mentre tu, invece, no. Non ti rassegni. Puoi essere amareggiato e arrabbiato, sentirti da schifo, ma no: non lo accetti. E mai lo accetterai. Un fuoco che è pira e fiaccola intensa e calda. Un fuoco che è volontà carnivora. Un fuoco chiamato necessità.
__Sarai fiero e orgoglioso di ardere per altri, la gloria delle fiamme, l’eletto con il peso dell’umanità intera sulle spalle! Pirotecnico, molto e davvero, tuttavia… no, io non lo credo. Buono, sì, senza dubbio, ma la tua mano, il tuo pugno, ce lo dovremo sudare. Andare sull’ara? Volentieri! A randellar il sacerdote e tutto il tempio; a dir la tua in muso al Moloch! Di certo, non per cuocer come agnello! O forse sì, anche cuocere, sì, bruciare, eccome, ma di un fuoco che arda di sé e sé solo; di un fuoco, né pira né fiaccola, che sia tuo, tuo e solo tuo. Di una volontà, ardente o splendente, poco importa, ma tua. Prima di ogni cosa, tua.
__La tempra di morire cadendo in avanti. Così recitano le pergamene ninja. E così si onora una scelta, non giusta o sbagliata, bagnata di coraggio o di codardia, ma perché tua. È necessità. La tua.
__Alcuni la invocano a testa bassa, poiché, contro quanto è, ed è da sempre eterno e immobile, nulla può nessuno: fato lo consacrano. Altri, invece, non si chinano, ma tengono ben levato il capo, davanti. Del resto chi ha molta strada da fare, e fare davvero, dall’argilla e dalla terra come un artigiano, non può trattenersi ai soli propri piedi: destino lo battezzano. Ed è adesso, adesso che si fa, adesso!
__Sostare, e da sempre, credo ti vesta stretto, stretto e male, con fastidio. Meglio andare, dove, dove, chissà dove, poco importa dove, ma per prima cosa andare, andare, andare! Andare, con la franchezza un poco grezza di uno starnuto.
__La strada, la via che si segue, la si sceglie, non la si trova. Si crea, un passo davanti all’altro… E anche dopo tanti lividi e luci rotte a terra, dentro, qualcosa stringe i denti per tenersi assieme. Testardo, insiste ancora a brillare. Così si va, vai avanti.
[Si cade in avanti.]__
__Vai e non cambi via.
[Non si fugge indietro.]__
__Non ti arrendi.
Non ti sei [mai] arreso.
__Mai. Dal battesimo a genin fino a… fino a…fino alla fine?
__Non so se sperarlo o temerlo.
__Ancora adesso, mi sembra assurdo: da dove ti viene tanta forza e resistenza, da dove, tanta energia? Non è solo il tuo chakra, il tuo straordinario chakra, capace di tollerare persino la vigoria ferina della Volpe; è altro nella brace sotto; è la facoltà di affrontare e reagire, superare, pur con le ferite e la fatica, la delusione e il fallimento, le bassezze e le barbarie; pur con tanto e tutto assieme, ti spinge e permette di andare, andare oltre, sempre oltre. Come ci riesci? E come, senza esaurirti? Trenta copie di se stessi sono tanti arti, tante estremità tue, tanta pelle esposta, consegnata alle lame; centuplicato, sì, ma è la frazione a permettere il numero, e così diviso, quanto peso puoi portare?
__Più cadi all’indietro, più t’intestardisci a rialzarti. Un poco, certo, ti lamenti pure, e grazie al cielo, ma non rinfacci, qui sta il salto: fa male e lo senti, eppure non lasci, stringi i denti e continui. È la tua strada, e non la lasci. Avanti, sempre, come fosse la cosa più ovvia e candidamente giusta del mondo. Come se fosse naturale. Come se fosse comune a tutti.
__Ed è sbalorditivo. E incomprensibile.
__Non so immaginare a quale fonte miracolosa tu ti possa abbeverare, per nutrire tanta vita, per sorridere all’offesa, giunga con un pugno o in punta di lingua, senza chinare la testa. Ancora, io non lo so. So solo che, se mi fossi trovata io laggiù, oltre la linea, l’andare avanti, sicuramente… non sarebbe stato naturale. Anche appena andare, per cadere, non sarebbe stato né naturale né ovvio. Non sarebbe stato, ecco tutto. Caduta da ferma, questo.
__Ma io, be’, io non sono certo te.
__È una differenza, l’ennesima, una gola lunga e larga, enorme, che mi disorienta: non posso saltarla e non posso aggirarla. Mi ferma e, oltre, io non so andare. Quindi resto io, io di fronte a te. Di fronte, come il dito contro il sole.
__Io di fronte a te… no. Non c’è misura. Io, coi miei piccoli fallimenti; la primogenita; la legittima erede; la figlia inetta e incapace, non ha la tempra del capoclan, Hiashi-sama; nata al tempo e nel ramo sbagliato; quella che, se solo fosse stata forte, capace, diversa, con tutta la nobiltà connaturata al suo sangue, sarebbe potuta divenire il giglio più alto del giardino; io di fronte a te… no. Non posso stare. Non voglio stare.
__Io di fronte a te. È ostico. E semplice.
Sparisco.
__Non c’è proporzione, capisci? Non è mera questione d’inferiorità o superiorità, è un salto. Un salto lungo e largo. Enorme. Uno spazio, da me a te, che io non so colmare.
__C’è una differenza, un altro tra quanto mio e quanto tuo, che li separa in peso e profondità. E come li rapporti, come, se sono tanto distinti? Se, invero, sono distanti?
__Da lontano, paiono quasi attigui, ma c’è tutto un cielo in mezzo: non si incontreranno mai. Opposti e, forse sì, forse complementari. Come il pieno e il cavo. Ma, per quanto affini, saranno sempre lontani, eternamente lontani.
__Strano, vero? Strano sì, davvero. Assurdo, e pure un po’ patetico. Buffo, quasi.
__Di fronte, dicevo; tu davanti e io dietro, più facilmente. Ma anche così va bene: guardarti le spalle, vedere dove e come metti in terra i piedi, seguirne la rotta, pur restando indietro, va bene. Mi rende felice. Anche solo questo.
__E se comunque non capisco, né mai riuscirò capire, farmi travolgere senza trascinare, allora posso solo restare. Restare e ammirare. Annichilire, dietro chi, anche con i sessantaquattro punti di fuga chiusi, seguita a rialzarsi. Non sottovalutarmi! Sostare qui, a bocca aperta. Io non fuggirò! Come al torneo di selezione dei chūnin. Anche se dovessi restare genin per sempre! Come a dodici anni. Ti ho sempre attaccato pronto a finire in pezzi! Come da bambina. Non ho paura!
__Sei bianco, sei nero, sei questo, sei quello, te lo senti ripetere da tanto, da sempre; però tu non ti senti né bianco, né nero, né questo, né quello. Tu ti senti tu. È così: tu sei solo tu, e va bene, questo va bene… Ripeterselo, crederlo non è poco. Per niente.
__Ci sei tu e, poi, ci sono loro. Tu e loro. Non è facile farli coesistere, separati ma nel mucchio; resistere tu, solo tu, tra loro. Far diventare il tu nel mucchio un noi. Non è facile. Per niente.
__A esaminarlo dall’esterno, fuori dal mucchio, è quasi ridicolo: capita che per esser considerati uguali, come gli altri, si debba inevitabilmente superarli, staccarli. Capita; ti è capitato; tanto hai fatto e hai dovuto fare per agguantare, là in alto, il bollo con su il tuo nome. La cifra in grado di farti restare. Accettare.
__Dentro il cerchio.
__Se sei nel gruppo è perché sei uguale a chi sta nel gruppo: stai dentro il cerchio. Se diverso, tu lo sia per davvero o solo frainteso, non importa: stai fuori e non puoi entrare. L’esser uguale, l’esser diverso dal diverso, l’esser come noi, lo devi dimostrare. Come se diverso fosse male.
__Capita di partire più indietro, di trovarsi piazzati in basso; così, occorre più strada per recuperare terreno e raggiungere il gruppo: dovrai dare e fare di più, per esser dove sono loro. Non hai molta scelta, purtroppo, se è là che vuoi stare: dovrai camminare, correre e sfacchinare, più di quanto camminino, corrano o sfacchinino loro; dovrai rimboccarti le macchine ed educare gambe forti per risultare diverso e per essere uguale. Per arrivare.
__Dimostrarti diverso, per essere valutato uguale. Bizzarro, no? Si potrebbe trovarvi di che ridere, con forza sufficiente alle burle… Grazie al cielo, però, là in mezzo, sarà possibile riposare, si potrà respirare: hai fatto tanta strada, vero? Lo immagino bene! Ma dai, su, su, siedi, ora sei qui. Riposa e respira, Naruto-kun. Ora sei qui.
__Si potrebbe trovarvi di che ridere… se l’eco fallito non ronzasse per la testa; se la parola mostro non legasse tra loro le caviglie; se ieri non continuasse a sottrarre sempre la metà di oggi; se fosse davvero fattibile perdonare per dimenticare, anche solo accantonare…
__Come nelle fiabe: c’era una volta un ragazzo, il garzone di un villaggio, un sognatore. Lo chiamarono scemo, gonzo, mostro, vattene via, non sei come noi, qui non puoi stare, e lo scacciarono come appestato. Lui, per contro, se ne andò, se ne andò davvero, solo per tornare e farsi ancora vedere.
__Da vicino, non si vede mai troppo bene: scorgi giusto quanto hai sotto il naso, non quanto sta ai lati. Serve spazio, distanza per inquadrare tutto; per notare come un ragazzo sia, prima di tutto, solo quello: un ragazzo. Un ragazzo che è tornato fattosi uomo. Un uomo fattosi, poi… eroe? Chissà…
__Non ne sono tanto sicura.
Cioè, ti prego, n-non f-fraintendermi. Ecco, v-vedi…
Vedi [Naruto-kun], per quanto gli altri [tutti], il villaggio intero ti chiami [ora] “eroe”, tu, ai miei occhi, non sei diverso.
Nel senso: se sei un eroe [se veramente sei un eroe], allora lo sei sempre stato [per me].
E questo, già a dodici anni, quando [chiassoso e terribilmente caotico] turbinavi declamando, a gran voce e con genuina determinazione, che saresti divenuto il prossimo Hokage.
Per questo [per me] tu non sei diventato un eroe…
[Perché forse, in qualche modo, lo sei sempre già stato.]
E ogni volta in maniera differente e commisurata alla situazione, alla difficoltà…
[Perché è nella relazione che sta la distanza, la levatura, e non già nell’assolutezza, nell’astrazione.]
Perché, per me, eri già un eroe fin dai primi anni d’Accademia.
Quando, benché bocciato per ben tre volte all’esame di diploma, tu non ti sei [comunque] mai arreso, pur di stringere fra le mani quel coprifronte blu.
Perché, per me, eri già un eroe ad appena dodici anni.
Quando, durante l’esame per la selezione dei chūnin, pur di fronte ad avversari invasati e [quasi certamente] letali, non hai comunque [mai] smesso di lottare, in vista di ottenere quanto agognato.
Perché, per me, eri già un eroe anche a soli dodici anni.
Quando, durante il mio scontro con Neji, pur nella quasi completa evidenza della mia inferiorità, tu hai avuto il coraggio e la schiettezza…
[La dolcezza, forse…]
D’incitare e credere in quella gracile e maldestra ragazzina…
[In me…]
E in quell’unica possibilità su un milione che lei…
[Che io…]
Potesse…
[Potessi…]
Farcela.
Perché, per me, eri già un eroe anche [soltanto] a poco più di dodici anni.
Quando, dopo la fuga di Sasuke-san, tu non hai mai smesso di sperare e credere [in te stesso, come in lui].
E non ti sei arreso, né lo hai abbandonato: lo hai, invece, inseguito.
Testardo, determinato, fedele, lo hai rincorso e continui a rincorrerlo [anche a distanza di ormai ben tre anni].
In barba alle delusioni [costanti, purtroppo].
Ai fallimenti [inevitabili], amari [brucianti come fuoco sulla carne viva].
Al dolore [martoriante], implacabile [acuto come sale su una ferita aperta].
All'odio che ti viene [ogni volta] sputato in faccia con velenoso e gratuito disprezzo; acido, aspro, nero [come la bile gonfia e infetta].
In barba a tutto, tu…
[Tu…]
Non hai [mai] ceduto.
Non lo hai lasciato [non puoi e non vuoi lasciarlo], in un intreccio flottante: scarlatto [come le fragole] e affilato [quanto un rasoio].
Lungo una corda, tesa a doppio filo, che vi stritola e separa; che strozza e allontana [che dissangua proprio perché lega].
Sperando…
[Pregando…]
Possa un giorno riunirvi…
[E non già impiccarvi.]
Perché, per me, eri un eroe già a sedici anni.
Quando, dinanzi alla distruzione del tuo villaggio [dinanzi all’apocalisse ammantata di nero e ghignante di rosso] tu, fino a ieri appena cucciolo, ti sei battuto come un leone.
Tu, poco più che adolescente, hai combattuto come un uomo; difendendo con il sangue la [tua] Foglia.
[La tua casa.]
Arrivando a voler pagare con la vita… quella di noi tutti.
Di chi ti aveva amato e di chi ti aveva disprezzato [indifferentemente], tanto era il bisogno, l’urgenza [la voglia] di dare.
E dare tutto, tutto te stesso, se necessario: la carne [il sangue], le lacrime [la vita], tutto, pur di proteggere [pur di non perdere] anche quello.
Tutto quello che ti restava della tua infanzia, del tuo passato, del tuo affetto.
Pur di non veder scivolar via dalle tue mani anche quell’ultima [a n c h e q u e l l a] parte di te, senza riuscire ad afferrarla [e salvarla]. Ma tu non eri [sei] certo destinato alla morte salvifica di un villaggio che [purtroppo] non ti ha mai ben capito o accettato [e ciecamente].
Per cui tu non potevi; non dovevi…
[N o n d o v e v i.]
Per nessuna ragione…
[P e r n e s s u n a r a g i o n e.]
Per niente al mondo…
[P e r n i e n t e a l m o n d o.]
Mai e poi mai…
[M a i e p o i m a i.]
Mo-…
M o r i r e.
No.
[Mai.]
M a i.
Perché tu dovevi…
[Tu devi…]
V i v e r e.
E sarò anche poco obiettiva…
Egoista, forse, e pur certamente irrazionale…
Vergognosamente e deliberatamente menefreghista, ma…
Piuttosto che vederti mo-morire…
[Saperti morto…]
Piuttosto che doverti perdere…
[Perderti…]
Piu-piuttosto…
[Piuttosto…]
Avrei dato tutto il villaggio.
L’intera Konoha.
Dal più piccolo pezzo di legno, fino alla sommità del palazzo dell’Hokage.
Dalla più insignificante zolla di terra, sino all’ultimo briciolo dei sacri volti in pietra, scavati a numi del villaggio.
Tutto.
[Tutto quanto.]
Avrei [d a r e i] dato tutto [t u t t o].
E, se non le vite, almeno l’inutile carcassa di un corpo ormai morente.
Perché avrei dato ogni cosa: la Foglia, il Paese del Fuoco, le Cinque Grandi Terre, la pace del mondo intero, se necessario [le fiamme dell’inferno e l’immensità del cielo]… Qualunque cosa…
[Qualunque…]
Per n o n perderti.
[Purché t u viva.]
Qualunque…
[Davvero.]
Tuttavia…
Posso parlare e fantasticare all’infinito sull’immensità di quanto avrei desiderato [con tutta me stessa] poterti dare; ma [tanto] restano sempre e comunque inutili astrazioni.
Perché nulla di tutto ciò è in mio potere [purtroppo].
Perciò, ho tentato di dare a te qualcosa di mio: di dare io [per una volta] qualcosa a te.
[A te, che invece mi hai dato tutto.]
E così…
Ho sperato [ho pregato] di riuscire a dare [a fare] qualcosa a [per] te, almeno per una volta [la prima, probabilmente], e qualcosa di concreto, di reale, di vero.
Per questo mi sono gettata tra le fauci di Cerbero: perché era la sola cosa che potessi [volessi] fare.
Stupida [certo].
Sconsiderata [obiettivamente].
Folle [assolutamente].
Completamente e lucidamente suicida [già] ma…
Mia.
Per una volta, totalmente mia.
Per questo sono franata in quell’abisso di polvere: perché era l’unica cosa che potessi e volessi fare [per me stessa e per te].
Perché: se non potevo dare le Cinque Grandi Nazioni, né l’antico Paese del Fuoco, né il forte Villaggio della Foglia; almeno la vita…
[Almeno la mia vita…]
Potevo…
[Volevo…]
Darla…
A te.
Malgrado sapessi non sarebbe stata nemmeno lontanamente sufficiente a eguagliare [a “pagare”] la tua.
Ma… non m’importava.
Egoisticamente, non mi importava.
Perché finalmente avrei potuto fare qualcosa [per te].
Perché finalmente avrei potuto contraccambiarti; restituirti qualcosa [seppur in minima parte], sebbene per la prima [e ultima] volta [forse].
Ma non mi importava.
Perché eri tu…
[Perché…]
Perché sei tu…
[Sei…]
L’importante.
[Importante.]
Perciò, a ben guardare, sono stata proprio una patetica egoista anche quella volta.
[Egoista e codarda sino all’ultimo, già.]
E sai, Naruto-ku-…
[N-no.]
Sai… sai, Naruto?
Tu sei straordinario.
E questo, ben prima di salvare la Foglia dalla devastazione dell’Akatsuki [o di fronteggiare la serpe e le sue spire].
Prima ancora di dimostrare tutto il tuo valore dinanzi alla meraviglia del villaggio intero.
Prima di diventare l’eroe di Konoha [e di rivelarti tale agli occhi di tutti].
Prima di tutto.
Perché, per me [straordinario], lo sei sempre stato.
E questo, fondamentalmente perché [ai miei occhi] non hai poteri; doti trascendentali o particolarmente sovrumane [beh, Volpe a Nove Code esclusa, s’intende].
O almeno: se effettivamente molte [tante] delle tue qualità sono comunque fuori dal comune, lo stesso non può certo dirsi dei tuoi limiti, delle tue debolezze [e dei tuoi sentimenti].
Tutti [sempre, completamente e pienamente] umani.
Perché, probabilmente, queste tue stesse doti; questa tua sorprendente forza [nel senso più ampio e alto del termine] è comunque commisurata al peso, al carico [e al dolore] che ti porti dentro.
E allora, in quest’ottica, in questa proporzione, tu non sei poi così diverso…
[Se non nella gravità del tuo fato; se non nella straordinarietà della tua reazione.]
Perché, comunque, tu sei già come tutti noi [tu sei uno di noi].
Nella sostanza, nella materia primigenia, sebbene parimenti diverso [distante] e [meravigliosamente] incredibile nella scelta.
Ma nei tuoi sforzi [e nei tuoi limiti], nei tuoi pregi [ e nei tuoi difetti], tu sei proprio come tutti noi.
Solo differente nelle proporzioni [e talmente differente da apparire quasi altro]; ed è proprio per questo che sei tanto più straordinario, ai miei occhi.
Perché non è nella casualità accidentale che risiede [a mio avviso] la meraviglia…
[Ad esempio: io ho due gambe. Ci sono nata.
Le ho sempre avute, fortunatamente, certo, ma comunque non ho fatto nulla per ottenerle.
Non me le sono sudate; molto semplicemente le ho sempre avute. E basta.
E in questo, io non ho mai visto nulla di meraviglioso.]
Non nella naturale predisposizione…
[Ad esempio: io ho due occhi; due occhi bianchi. Io ho il Byakugan.
L’ho sempre avuto perché, banalmente, ci sono nata e non fatto davvero nulla per meritarlo.
Perché ereditario, genetico, naturale. E basta.
E in questo, io non ho mai visto davvero nulla di meraviglioso.]
E [forse] sarò anche irriconoscente ma, a parer mio, la meraviglia [la vera meraviglia], il valore, la cifra…
Risiede nell’ottenere, nel sudarsi; nell’afferrare qualcosa.
A dispetto dei propri limiti [a dispetto di tutti i limiti], a dispetto delle proprie capacità [e a dispetto delle proprie tare].
Perché la vera differenza sta nell’intenzione [piuttosto che nell'inclinazione].
Nella volontà [rispetto alla casualità].
Nella fede [rispetto alla constatazione].
Nella fatica, nella lotta d’inseguire [di perseguire] un obiettivo…
Un sogno.
[Nella fiducia in se stessi, senza arrendersi mai.]
Per questo ti ammiro e ti ho sempre ammirato; e da quando avevo solo dodici anni, probabilmente.
[Se non addirittura prima.]
Perché, nonostante tutto, tu non hai mai smesso di credere.
E credere in te stesso come negli altri.
Ed è qui che si vede l’amore e la forza [insieme], la natura e la scelta [insieme].
Perché ti hanno marchiato e tu non hai chinato il capo.
Perché ti hanno deriso e tu non ti sei fatto giullare.
Perché ti hanno ridotto in catene e tu non ti sei fatto schiavo.
Perché ti hanno ingiuriato e tu non ti sei prostrato.
Perché ti hanno ferito e tu non ti sei spezzato.
Perché ti hanno tradito e tu non ti sei vendicato.
Perché ti hanno odiato e tu non hai smesso di amare.
Perché tu sei la vita.
[Perché tu sei vita.]
Perché sei un vortice.
Perché sei la forza centripeta e centrifuga.
Perché ami [pur se non ricambiato].
Perché ami senza neanche pensarci [o chiedere] di essere contraccambiato.
Perché ami [a prescindere].
Perché ami [in relazione].
Perché ami: ami e basta.
E perché tu, schiacciato nel fango…
Sei più luminoso di chiunque altro.
Perché sei incandescente [abbagliante].
Meraviglioso [bellissimo].
Lontano [lontanolontano].
E [fatalmente] irraggiungibile.
Come il sole.
[Anche più del sole.]
Ma forse era destino, già: forse era inevitabile.
[Mpf, mi sembra quasi di parlare come Neji nii-san.]
Ma [del resto] ero già condannata fin dall'inizio [dalla partenza], perché io…
Non sono altro che un posto soleggiato.1
Per cui non posso neanche lamentarmi troppo. In fondo è quasi armonico, lirico, e ironico. Già, sempre [spietatamente] ironico…
[Sempre questa maledettissima ironia.]
Perché se tu sei sole, allora…
[Allora…]
Io sono [solo] acqua.
Trasparente.
Invisibile.
Incolore.
Inodore.
Inconsistente.
Fredda.
Debole.
Amorfa.
Malleabile.
Vigliaccamente arrendevole.
E sola.
[Sempre sola.]
Perché il sole scalda con la sua luce, mentre l’acqua riceve, assorbe; assimila [tutto].
Perché il sole crea la vita con i suoi raggi, mentre l’acqua li raccoglie appena per incanalarli in altra vita. Una vita che, però, non le appartiene [mai] veramente, perché fluisce via: le scorre addosso e fugge lontano [inafferrabile], senza poterla trattenere; portando con sé una parte di lei. Di lei che può solo osservare e vegliare.
[Senza potersi muovere.]
Perché il sole dà tutto [tutto quanto], consumando solo se stesso.
Mentre l’acqua non può che [silenziosamente] instradare quella luce in “altro”: disperdendosi, frantumandosi; obliandosi nell’infinità che ha contribuito a diffondere.
[Assottigliandosi nel manto che la occulta e lega.]
Perché l’acqua non può che restituire [se non in minima parte] quanto di tanto generoso il sole le ha sempre [gratuitamente] regalato.
Oscurandosi dietro tanta vita senza, però, poter mai dare [materialmente] qualcosa al sole.
Perché l’acqua dipende completamente dal sole.
[E, senza, sarebbe solo uno specchio algido e sterile.]
Gelata e inutile [morta].
Mentre il sole nemmeno sa [di lei].
E non per arroganza o cecità, ma [ingenuamente] perché [concretamente] non la vede.
Non la vede e non può [non riesce a] vederla.
Perché l’acqua si nasconde: sotto la vegetazione, sotto la costruzione, sotto la moltitudine della vita.
Si disperde in quell’infinità: riflettendola, replicandola, per proteggersi da quello stesso respiro che ha provveduto a spandere, ma di cui non può; non sente [non vuole] partecipare.
Perché ha [ho] paura.
Perché ha troppa paura che anche tentando; anche provando, nessuno la [mi] noterebbe [vedrebbe]: poiché trasparente [come vetro].
Perché quasi pura astrazione, se non la si avvicina; se non la si tocca, se non la si assimila [distruggendola].
Per questo l’acqua si nasconde, restituendo sempre l’immagine di qualcun altro, di qualcos’altro.
[Sepolta sotto quel diaframma di specchio.]
Per questo il sole [tu] nemmeno la [mi] vede [vedi].
Perché l’acqua è sempre sotto [dietro] di lui.
Eclissata all’ombra del suo stesso riflesso, oltre quel tremolante e impacciato rimando; senza che lui possa sapere [o anche solo vedere].
Perché l’acqua è immobile, ferma e muta nella sua afasia.
Per cui non può [proprio non può] farsi vedere: perché trasparente e riflettente insieme; perché quanto ne risulterebbe sarebbe [solo] il rimbombo rovesciato della luce stessa del sole.
Di quel sole che [lei] può solo guardare; seguire [vegliare] da lontano [n silenzio].
Perché se si mostrasse; se si esponesse, il sole non vedrebbe altro che il riverbero lucente di qualcos’altro di diverso [da lei].
Sempre qualcos’altro…
[Sempre dell’altro…]
Sempre altro…
[Altroaltroaltro…]
E mai…
[Maimaimai…]
Lei.
[Me.]
Per questo l’acqua non si fa vedere: perché non può e non vuole; per paura e pudore.
[Debole e timida.]
Senza nemmeno dare l’occasione; tentare [rischiare] e accordare al sole la fiducia di provare, nella speranza di poter riuscire.
[Seppur anche nell’ipotesi di fallire e sparire, ancora.]
Perciò l’acqua resta ferma: immobile e innocente [senza mai vivere realmente].
Invisibile al sole.
A quel sole che può solo guardare e sognare.
E [chissà] forse nel sogno, pur non riuscendo a mostrarsi, spera comunque di poterlo [anche solo] sfiorare.
Consapevole di condannarsi inevitabilmente a evaporare: a trasmutare in ossigeno e svanire…
[Sparire…]
Nella combustione, nel fuoco [nella luce] del sole…
[In…]
Attraverso il sole.
[Te.]
Perché il sole è sempre difronte all’acqua, pur non vedendola [pur nemmeno sapendola].
Perché l’acqua guarda il sole, non potendo [non sapendo] fare altro.
Perché l’acqua sogna il sole, non potendolo toccare.
E perché l’acqua ama… il sole.
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