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Autore: SuperTeleGattone    01/03/2012    2 recensioni
Dicono sia meglio aver amato e poi perduto, che non aver mai amato.
Già,
dicono. Lo dicono e non avvertono. Scaltri, non avvertono: non c’è faro rosso o sirena, ché sì, sarà meglio, meglio in entrambi i corsi. Sì, presto e bene in cima e, sì, presto e bene sul fondo. Sì, presto e bene, il meglio, solo il meglio a chi ha amato. Ogni meglio a chi ama… e basta.
Una medaglia avvitata in petto agli invalidi di guerra: partiti e poi caduti; partiti consci di cadere; partiti solo per cadere.
Il meglio, sì, solo il meglio all’amore non corrisposto.
Meglio entro il quale:
io ti amo, e tu… tu?
Sì. No. Forse. Forse, soltanto, non lo sai.
Tu non lo sai… e va bene. Va bene così.
In breve: un’enorme, melensa, infantile dichiarazione d’amore a quel babbeo di Naruto Uzumaki. Niente di più e tanto di meno. Avvertenze: lauto, lauto fanghérlismo, notice me, senpai! Ultime dai campi: lavori in corso e pulizia dell’ambaradan, ci scusiamo per il disagio.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hinata Hyuuga
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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– Angolo dell’autrice –

__Salve a tutti. Allora… ehm… intanto, grazie mille della visita e poi, ecco… Non saprei davvero cos’altro aggiungere; a parte che, se giunti fin qui, non potete che avere la mia stima e riconoscenza più sconfinate, per quanto interessate.
__Ah, una cosa, però: allegria, ciurma! Gioite, perché la mestizia è finita, giurin giurello. Insomma, accidenti, almeno sul finale di partita ci voleva un po’ d’ottimismo; quindi preparate l’insulina, poiché siamo a rischio diabete, mi sa. Diabete enneacca, poi, altro che mellito: abbandonate la nave, gente! (Se salti tu, salto anch’io, Jack! – Okay, prima le signore, allora.) Bene, a questo punto credo non sia più il caso d’indulgere in ulteriori moine o cerimonie, quindi, niente.
__Come di consueto, vi rinvio alla fine del capitolo per riconoscimenti, ringraziamenti, deliri d’onnipotenza, diarrea verbale e demenza interattiva. (Siamo proprio simpatici oggi, eh?) Grazie per esser passati, ancora o per la prima volta, e ecco la conclusione. Spero quest’affare sia valso il vostro disturbo e tempo.

Grazie mille e buona lettura.

Capitolo in revisione: ci scusiamo per il disagio.



 
 
 
 
 
 
 
 
 

Quell o   o c h e
n o n o c è
Can’t Help Falling in Love

 
 

__Wise men say only fools rush in
__But I can’t help falling in love with you
 
__[Gli uomini saggi dicono che solo gli stupidi si gettano nelle cose
__Ma non posso fare a meno d’innamorarmi di te]
 
__“Cant’t Help Falling in Love”, Elvis Presley
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
__Tu guarda che testa… E che scema. Già, proprio una scema…
__Così mi sento: una scema e una stupida, debole, e impotente, e amareggiata, e arrabbiata… e rassegnata. Come di fronte a mio padre. Come di fronte a Neji-niisan. Come da bambina.
__Mentre tu, invece, no. Non ti rassegni. Puoi essere amareggiato e arrabbiato, sentirti da schifo, ma no: non lo accetti. E mai lo accetterai. Un fuoco che è pira e fiaccola intensa e calda. Un fuoco che è volontà carnivora. Un fuoco chiamato necessità.
__Sarai fiero e orgoglioso di ardere per altri, la gloria delle fiamme, l’eletto con il peso dell’umanità intera sulle spalle! Pirotecnico, molto e davvero, tuttavia… no, io non lo credo. Buono, sì, senza dubbio, ma la tua mano, il tuo pugno, ce lo dovremo sudare. Andare sull’ara? Volentieri! A randellar il sacerdote e tutto il tempio; a dir la tua in muso al Moloch! Di certo, non per cuocer come agnello! O forse sì, anche cuocere, sì, bruciare, eccome, ma di un fuoco che arda di sé e sé solo; di un fuoco, né pira né fiaccola, che sia tuo, tuo e solo tuo. Di una volontà, ardente o splendente, poco importa, ma tua. Prima di ogni cosa, tua.
__La tempra di morire cadendo in avanti. Così recitano le pergamene ninja. E così si onora una scelta, non giusta o sbagliata, bagnata di coraggio o di codardia, ma perché tua. È necessità. La tua.
__Alcuni la invocano a testa bassa, poiché, contro quanto è, ed è da sempre eterno e immobile, nulla può nessuno: fato lo consacrano. Altri, invece, non si chinano, ma tengono ben levato il capo, davanti. Del resto chi ha molta strada da fare, e fare davvero, dall’argilla e dalla terra come un artigiano, non può trattenersi ai soli propri piedi: destino lo battezzano. Ed è adesso, adesso che si fa, adesso!
__Sostare, e da sempre, credo ti vesta stretto, stretto e male, con fastidio. Meglio andare, dove, dove, chissà dove, poco importa dove, ma per prima cosa andare, andare, andare! Andare, con la franchezza un poco grezza di uno starnuto.
__La strada, la via che si segue, la si sceglie, non la si trova. Si crea, un passo davanti all’altro… E anche dopo tanti lividi e luci rotte a terra, dentro, qualcosa stringe i denti per tenersi assieme. Testardo, insiste ancora a brillare. Così si va, vai avanti.

[Si cade in avanti.]__

__Vai e non cambi via.

[Non si fugge indietro.]__

__Non ti arrendi.

Non ti sei [mai] arreso.

__Mai. Dal battesimo a genin fino a… fino a…fino alla fine?
__Non so se sperarlo o temerlo.
__Ancora adesso, mi sembra assurdo: da dove ti viene tanta forza e resistenza, da dove, tanta energia? Non è solo il tuo chakra, il tuo straordinario chakra, capace di tollerare persino la vigoria ferina della Volpe; è altro nella brace sotto; è la facoltà di affrontare e reagire, superare, pur con le ferite e la fatica, la delusione e il fallimento, le bassezze e le barbarie; pur con tanto e tutto assieme, ti spinge e permette di andare, andare oltre, sempre oltre. Come ci riesci? E come, senza esaurirti? Trenta copie di se stessi sono tanti arti, tante estremità tue, tanta pelle esposta, consegnata alle lame; centuplicato, sì, ma è la frazione a permettere il numero, e così diviso, quanto peso puoi portare?
__Più cadi all’indietro, più t’intestardisci a rialzarti. Un poco, certo, ti lamenti pure, e grazie al cielo, ma non rinfacci, qui sta il salto: fa male e lo senti, eppure non lasci, stringi i denti e continui. È la tua strada, e non la lasci. Avanti, sempre, come fosse la cosa più ovvia e candidamente giusta del mondo. Come se fosse naturale. Come se fosse comune a tutti.
__Ed è sbalorditivo. E incomprensibile.
__Non so immaginare a quale fonte miracolosa tu ti possa abbeverare, per nutrire tanta vita, per sorridere all’offesa, giunga con un pugno o in punta di lingua, senza chinare la testa. Ancora, io non lo so. So solo che, se mi fossi trovata io laggiù, oltre la linea, l’andare avanti, sicuramente… non sarebbe stato naturale. Anche appena andare, per cadere, non sarebbe stato né naturale né ovvio. Non sarebbe stato, ecco tutto. Caduta da ferma, questo.
__Ma io, be’, io non sono certo te.
__È una differenza, l’ennesima, una gola lunga e larga, enorme, che mi disorienta: non posso saltarla e non posso aggirarla. Mi ferma e, oltre, io non so andare. Quindi resto io, io di fronte a te. Di fronte, come il dito contro il sole.
__Io di fronte a te… no. Non c’è misura. Io, coi miei piccoli fallimenti; la primogenita; la legittima erede; la figlia inetta e incapace, non ha la tempra del capoclan, Hiashi-sama; nata al tempo e nel ramo sbagliato; quella che, se solo fosse stata forte, capace, diversa, con tutta la nobiltà connaturata al suo sangue, sarebbe potuta divenire il giglio più alto del giardino; io di fronte a te… no. Non posso stare. Non voglio stare.
__Io di fronte a te. È ostico. E semplice.

Sparisco.

__Non c’è proporzione, capisci? Non è mera questione d’inferiorità o superiorità, è un salto. Un salto lungo e largo. Enorme. Uno spazio, da me a te, che io non so colmare.
__C’è una differenza, un altro tra quanto mio e quanto tuo, che li separa in peso e profondità. E come li rapporti, come, se sono tanto distinti? Se, invero, sono distanti?
__Da lontano, paiono quasi attigui, ma c’è tutto un cielo in mezzo: non si incontreranno mai. Opposti e, forse sì, forse complementari. Come il pieno e il cavo. Ma, per quanto affini, saranno sempre lontani, eternamente lontani.
__Strano, vero? Strano sì, davvero. Assurdo, e pure un po’ patetico. Buffo, quasi.
__Di fronte, dicevo; tu davanti e io dietro, più facilmente. Ma anche così va bene: guardarti le spalle, vedere dove e come metti in terra i piedi, seguirne la rotta, pur restando indietro, va bene. Mi rende felice. Anche solo questo.
__E se comunque non capisco, né mai riuscirò capire, farmi travolgere senza trascinare, allora posso solo restare. Restare e ammirare. Annichilire, dietro chi, anche con i sessantaquattro punti di fuga chiusi, seguita a rialzarsi. Non sottovalutarmi! Sostare qui, a bocca aperta. Io non fuggirò! Come al torneo di selezione dei chūnin. Anche se dovessi restare genin per sempre! Come a dodici anni. Ti ho sempre attaccato pronto a finire in pezzi! Come da bambina. Non ho paura!
__Sei bianco, sei nero, sei questo, sei quello, te lo senti ripetere da tanto, da sempre; però tu non ti senti né bianco, né nero, né questo, né quello. Tu ti senti tu. È così: tu sei solo tu, e va bene, questo va bene… Ripeterselo, crederlo non è poco. Per niente.
__Ci sei tu e, poi, ci sono loro. Tu e loro. Non è facile farli coesistere, separati ma nel mucchio; resistere tu, solo tu, tra loro. Far diventare il tu nel mucchio un noi. Non è facile. Per niente.
__A esaminarlo dall’esterno, fuori dal mucchio, è quasi ridicolo: capita che per esser considerati uguali, come gli altri, si debba inevitabilmente superarli, staccarli. Capita; ti è capitato; tanto hai fatto e hai dovuto fare per agguantare, là in alto, il bollo con su il tuo nome. La cifra in grado di farti restare. Accettare.
__Dentro il cerchio.
__Se sei nel gruppo è perché sei uguale a chi sta nel gruppo: stai dentro il cerchio. Se diverso, tu lo sia per davvero o solo frainteso, non importa: stai fuori e non puoi entrare. L’esser uguale, l’esser diverso dal diverso, l’esser come noi, lo devi dimostrare. Come se diverso fosse male.
__Capita di partire più indietro, di trovarsi piazzati in basso; così, occorre più strada per recuperare terreno e raggiungere il gruppo: dovrai dare e fare di più, per esser dove sono loro. Non hai molta scelta, purtroppo, se è là che vuoi stare: dovrai camminare, correre e sfacchinare, più di quanto camminino, corrano o sfacchinino loro; dovrai rimboccarti le macchine ed educare gambe forti per risultare diverso e per essere uguale. Per arrivare.
__Dimostrarti diverso, per essere valutato uguale. Bizzarro, no? Si potrebbe trovarvi di che ridere, con forza sufficiente alle burle… Grazie al cielo, però, là in mezzo, sarà possibile riposare, si potrà respirare: hai fatto tanta strada, vero? Lo immagino bene! Ma dai, su, su, siedi, ora sei qui. Riposa e respira, Naruto-kun. Ora sei qui.
__Si potrebbe trovarvi di che ridere… se l’eco fallito non ronzasse per la testa; se la parola mostro non legasse tra loro le caviglie; se ieri non continuasse a sottrarre sempre la metà di oggi; se fosse davvero fattibile perdonare per dimenticare, anche solo accantonare…
__Come nelle fiabe: c’era una volta un ragazzo, il garzone di un villaggio, un sognatore. Lo chiamarono scemo, gonzo, mostro, vattene via, non sei come noi, qui non puoi stare, e lo scacciarono come appestato. Lui, per contro, se ne andò, se ne andò davvero, solo per tornare e farsi ancora vedere.
__Da vicino, non si vede mai troppo bene: scorgi giusto quanto hai sotto il naso, non quanto sta ai lati. Serve spazio, distanza per inquadrare tutto; per notare come un ragazzo sia, prima di tutto, solo quello: un ragazzo. Un ragazzo che è tornato fattosi uomo. Un uomo fattosi, poi… eroe? Chissà…
__Non ne sono tanto sicura.
Cioè, ti prego, n-non f-fraintendermi. Ecco, v-vedi…
Vedi [Naruto-kun], per quanto gli altri [tutti], il villaggio intero ti chiami [ora] “eroe”, tu, ai miei occhi, non sei diverso.
Nel senso: se sei un eroe [se veramente sei un eroe], allora lo sei sempre stato [per me].
E questo, già a dodici anni, quando [chiassoso e terribilmente caotico] turbinavi declamando, a gran voce e con genuina determinazione, che saresti divenuto il prossimo Hokage.
Per questo [per me] tu non sei diventato un eroe…

[Perché forse, in qualche modo, lo sei sempre già stato.]

E ogni volta in maniera differente e commisurata alla situazione, alla difficoltà…

[Perché è nella relazione che sta la distanza, la levatura, e non già nell’assolutezza, nell’astrazione.]

Perché, per me, eri già un eroe fin dai primi anni d’Accademia.
Quando, benché bocciato per ben tre volte all’esame di diploma, tu non ti sei [comunque] mai arreso, pur di stringere fra le mani quel coprifronte blu.
 
Perché, per me, eri già un eroe ad appena dodici anni.
Quando, durante l’esame per la selezione dei chūnin, pur di fronte ad avversari invasati e [quasi certamente] letali, non hai comunque [mai] smesso di lottare, in vista di ottenere quanto agognato.
 
Perché, per me, eri già un eroe anche a soli dodici anni.
Quando, durante il mio scontro con Neji, pur nella quasi completa evidenza della mia inferiorità, tu hai avuto il coraggio e la schiettezza…

[La dolcezza, forse…]

D’incitare e credere in quella gracile e maldestra ragazzina…

[In me…]

E in quell’unica possibilità su un milione che lei…

[Che io…]

Potesse…

[Potessi…]

Farcela.

Perché, per me, eri già un eroe anche [soltanto] a poco più di dodici anni.
Quando, dopo la fuga di Sasuke-san, tu non hai mai smesso di sperare e credere [in te stesso, come in lui].
E non ti sei arreso, né lo hai abbandonato: lo hai, invece, inseguito.
Testardo, determinato, fedele, lo hai rincorso e continui a rincorrerlo [anche a distanza di ormai ben tre anni].
In barba alle delusioni [costanti, purtroppo].
Ai fallimenti [inevitabili], amari [brucianti come fuoco sulla carne viva].
Al dolore [martoriante], implacabile [acuto come sale su una ferita aperta].
All'odio che ti viene [ogni volta] sputato in faccia con velenoso e gratuito disprezzo; acido, aspro, nero [come la bile gonfia e infetta].
In barba a tutto, tu…

[Tu…]

Non hai [mai] ceduto.

Non lo hai lasciato [non puoi e non vuoi lasciarlo], in un intreccio flottante: scarlatto [come le fragole] e affilato [quanto un rasoio].
Lungo una corda, tesa a doppio filo, che vi stritola e separa; che strozza e allontana [che dissangua proprio perché lega].
Sperando…

[Pregando…]

Possa un giorno riunirvi…

[E non già impiccarvi.]

Perché, per me, eri un eroe già a sedici anni.
Quando, dinanzi alla distruzione del tuo villaggio [dinanzi all’apocalisse ammantata di nero e ghignante di rosso] tu, fino a ieri appena cucciolo, ti sei battuto come un leone.
Tu, poco più che adolescente, hai combattuto come un uomo; difendendo con il sangue la [tua] Foglia.

[La tua casa.]

Arrivando a voler pagare con la vita… quella di noi tutti.
Di chi ti aveva amato e di chi ti aveva disprezzato [indifferentemente], tanto era il bisogno, l’urgenza [la voglia] di dare.
E dare tutto, tutto te stesso, se necessario: la carne [il sangue], le lacrime [la vita], tutto, pur di proteggere [pur di non perdere] anche quello.
Tutto quello che ti restava della tua infanzia, del tuo passato, del tuo affetto.
Pur di non veder scivolar via dalle tue mani anche quell’ultima [a n c h e q u e l l a] parte di te, senza riuscire ad afferrarla [e salvarla].
Ma tu non eri [sei] certo destinato alla morte salvifica di un villaggio che [purtroppo] non ti ha mai ben capito o accettato [e ciecamente].
Per cui tu non potevi; non dovevi…

[N o n d o v e v i.]

Per nessuna ragione…

[P e r n e s s u n a r a g i o n e.]

Per niente al mondo…

[P e r n i e n t e a l m o n d o.]

Mai e poi mai…

[M a i e p o i m a i.]

Mo-…

M o r i r e.

No.

[Mai.]

M a i.

Perché tu dovevi…

[Tu devi…]

V i v e r e.

E sarò anche poco obiettiva…
Egoista, forse, e pur certamente irrazionale…
Vergognosamente e deliberatamente menefreghista, ma…
Piuttosto che vederti mo-morire…

[Saperti morto…]

Piuttosto che doverti perdere…

[Perderti…]

Piu-piuttosto…

[Piuttosto…]

Avrei dato tutto il villaggio.

L’intera Konoha.
Dal più piccolo pezzo di legno, fino alla sommità del palazzo dell’Hokage.
Dalla più insignificante zolla di terra, sino all’ultimo briciolo dei sacri volti in pietra, scavati a numi del villaggio.
Tutto.

[Tutto quanto.]

Avrei [d a r e i] dato tutto [t u t t o].

E, se non le vite, almeno l’inutile carcassa di un corpo ormai morente.
Perché avrei dato ogni cosa: la Foglia, il Paese del Fuoco, le Cinque Grandi Terre, la pace del mondo intero, se necessario [le fiamme dell’inferno e l’immensità del cielo]…
Qualunque cosa…

[Qualunque…]

Per n o n perderti.

[Purché t u viva.]

Qualunque…

[Davvero.]

Tuttavia…
Posso parlare e fantasticare all’infinito sull’immensità di quanto avrei desiderato [con tutta me stessa] poterti dare; ma [tanto] restano sempre e comunque inutili astrazioni.
Perché nulla di tutto ciò è in mio potere [purtroppo].
Perciò, ho tentato di dare a te qualcosa di mio: di dare io [per una volta] qualcosa a te.

[A te, che invece mi hai dato tutto.]

E così…
Ho sperato [ho pregato] di riuscire a dare [a fare] qualcosa a [per] te, almeno per una volta [la prima, probabilmente], e qualcosa di concreto, di reale, di vero.
Per questo mi sono gettata tra le fauci di Cerbero: perché era la sola cosa che potessi [volessi] fare.
Stupida [certo].
Sconsiderata [obiettivamente].
Folle [assolutamente].
Completamente e lucidamente suicida [già] ma…

Mia.

Per una volta, totalmente mia.
Per questo sono franata in quell’abisso di polvere: perché era l’unica cosa che potessi e volessi fare [per me stessa e per te].
Perché: se non potevo dare le Cinque Grandi Nazioni, né l’antico Paese del Fuoco, né il forte Villaggio della Foglia; almeno la vita…

[Almeno la mia vita…]

Potevo…

[Volevo…]

Darla…

A te.

Malgrado sapessi non sarebbe stata nemmeno lontanamente sufficiente a eguagliare [a “pagare”] la tua.
Ma… non m’importava.
Egoisticamente, non mi importava.
Perché finalmente avrei potuto fare qualcosa [per te].
Perché finalmente avrei potuto contraccambiarti; restituirti qualcosa [seppur in minima parte], sebbene per la prima [e ultima] volta [forse].
Ma non mi importava.

Perché eri tu…

[Perché…]

Perché sei tu…

[Sei…]

L’importante.

[Importante.]

Perciò, a ben guardare, sono stata proprio una patetica egoista anche quella volta.

[Egoista e codarda sino all’ultimo, già.]

E sai, Naruto-ku-…

[N-no.]

Sai… sai, Naruto?
Tu sei straordinario.
E questo, ben prima di salvare la Foglia dalla devastazione dell’Akatsuki [o di fronteggiare la serpe e le sue spire].
Prima ancora di dimostrare tutto il tuo valore dinanzi alla meraviglia del villaggio intero.
Prima di diventare l’eroe di Konoha [e di rivelarti tale agli occhi di tutti].
Prima di tutto.
Perché, per me [straordinario], lo sei sempre stato.
E questo, fondamentalmente perché [ai miei occhi] non hai poteri; doti trascendentali o particolarmente sovrumane [beh, Volpe a Nove Code esclusa, s’intende].
O almeno: se effettivamente molte [tante] delle tue qualità sono comunque fuori dal comune, lo stesso non può certo dirsi dei tuoi limiti, delle tue debolezze [e dei tuoi sentimenti].
Tutti [sempre, completamente e pienamente] umani.
Perché, probabilmente, queste tue stesse doti; questa tua sorprendente forza [nel senso più ampio e alto del termine] è comunque commisurata al peso, al carico [e al dolore] che ti porti dentro.
E allora, in quest’ottica, in questa proporzione, tu non sei poi così diverso…

[Se non nella gravità del tuo fato; se non nella straordinarietà della tua reazione.]

Perché, comunque, tu sei già come tutti noi [tu sei uno di noi].
Nella sostanza, nella materia primigenia, sebbene parimenti diverso [distante] e [meravigliosamente] incredibile nella scelta.
Ma nei tuoi sforzi [e nei tuoi limiti], nei tuoi pregi [ e nei tuoi difetti], tu sei proprio come tutti noi.
Solo differente nelle proporzioni [e talmente differente da apparire quasi altro]; ed è proprio per questo che sei tanto più straordinario, ai miei occhi.
Perché non è nella casualità accidentale che risiede [a mio avviso] la meraviglia…

[Ad esempio: io ho due gambe. Ci sono nata.
Le ho sempre avute, fortunatamente, certo, ma comunque non ho fatto nulla per ottenerle.
Non me le sono sudate; molto semplicemente le ho sempre avute. E basta.
E in questo, io non ho mai visto nulla di meraviglioso.]

Non nella naturale predisposizione…

[Ad esempio: io ho due occhi; due occhi bianchi. Io ho il Byakugan.
L’ho sempre avuto perché, banalmente, ci sono nata e non fatto davvero nulla per meritarlo.
Perché ereditario, genetico, naturale. E basta.
E in questo, io non ho mai visto davvero nulla di meraviglioso.]

E [forse] sarò anche irriconoscente ma, a parer mio, la meraviglia [la vera meraviglia], il valore, la cifra…
Risiede nell’ottenere, nel sudarsi; nell’afferrare qualcosa.
A dispetto dei propri limiti [a dispetto di tutti i limiti], a dispetto delle proprie capacità [e a dispetto delle proprie tare].
Perché la vera differenza sta nell’intenzione [piuttosto che nell'inclinazione].
Nella volontà [rispetto alla casualità].
Nella fede [rispetto alla constatazione].
Nella fatica, nella lotta d’inseguire [di perseguire] un obiettivo…

Un sogno.

[Nella fiducia in se stessi, senza arrendersi mai.]

Per questo ti ammiro e ti ho sempre ammirato; e da quando avevo solo dodici anni, probabilmente.

[Se non addirittura prima.]

Perché, nonostante tutto, tu non hai mai smesso di credere.
E credere in te stesso come negli altri.
Ed è qui che si vede l’amore e la forza [insieme], la natura e la scelta [insieme].

Perché ti hanno marchiato e tu non hai chinato il capo.
Perché ti hanno deriso e tu non ti sei fatto giullare.
Perché ti hanno ridotto in catene e tu non ti sei fatto schiavo.
Perché ti hanno ingiuriato e tu non ti sei prostrato.
Perché ti hanno ferito e tu non ti sei spezzato.
Perché ti hanno tradito e tu non ti sei vendicato.
Perché ti hanno odiato e tu non hai smesso di amare.

Perché tu sei la vita.

[Perché tu sei vita.]

Perché sei un vortice.
Perché sei la forza centripeta e centrifuga.
Perché ami [pur se non ricambiato].
Perché ami senza neanche pensarci [o chiedere] di essere contraccambiato.
Perché ami [a prescindere].
Perché ami [in relazione].
Perché ami: ami e basta.
E perché tu, schiacciato nel fango…

Sei più luminoso di chiunque altro.

Perché sei incandescente [abbagliante].
Meraviglioso [bellissimo].
Lontano [lontanolontano].
E [fatalmente] irraggiungibile.

Come il sole.

[Anche più del sole.]

Ma forse era destino, già: forse era inevitabile.

[Mpf, mi sembra quasi di parlare come Neji nii-san.]

Ma [del resto] ero già condannata fin dall'inizio [dalla partenza], perché io…

Non sono altro che un posto soleggiato.1

Per cui non posso neanche lamentarmi troppo.
In fondo è quasi armonico, lirico, e ironico.
Già, sempre [spietatamente] ironico…

[Sempre questa maledettissima ironia.]

Perché se tu sei sole, allora…

[Allora…]

Io sono [solo] acqua.

Trasparente.
Invisibile.
Incolore.
Inodore.
Inconsistente.
Fredda.
Debole.
Amorfa.
Malleabile.
Vigliaccamente arrendevole.
E sola.

[Sempre sola.]

Perché il sole scalda con la sua luce, mentre l’acqua riceve, assorbe; assimila [tutto].
Perché il sole crea la vita con i suoi raggi, mentre l’acqua li raccoglie appena per incanalarli in altra vita. Una vita che, però, non le appartiene [mai] veramente, perché fluisce via: le scorre addosso e fugge lontano [inafferrabile], senza poterla trattenere; portando con sé una parte di lei. Di lei che può solo osservare e vegliare.

[Senza potersi muovere.]

Perché il sole dà tutto [tutto quanto], consumando solo se stesso.
Mentre l’acqua non può che [silenziosamente] instradare quella luce in “altro”: disperdendosi, frantumandosi; obliandosi nell’infinità che ha contribuito a diffondere.

[Assottigliandosi nel manto che la occulta e lega.]

Perché l’acqua non può che restituire [se non in minima parte] quanto di tanto generoso il sole le ha sempre [gratuitamente] regalato.
Oscurandosi dietro tanta vita senza, però, poter mai dare [materialmente] qualcosa al sole.
Perché l’acqua dipende completamente dal sole.

[E, senza, sarebbe solo uno specchio algido e sterile.]

Gelata e inutile [morta].
Mentre il sole nemmeno sa [di lei].
E non per arroganza o cecità, ma [ingenuamente] perché [concretamente] non la vede.
Non la vede e non può [non riesce a] vederla.
Perché l’acqua si nasconde: sotto la vegetazione, sotto la costruzione, sotto la moltitudine della vita.
Si disperde in quell’infinità: riflettendola, replicandola, per proteggersi da quello stesso respiro che ha provveduto a spandere, ma di cui non può; non sente [non vuole] partecipare.
Perché ha [ho] paura.
Perché ha troppa paura che anche tentando; anche provando, nessuno la [mi] noterebbe [vedrebbe]: poiché trasparente [come vetro].
Perché quasi pura astrazione, se non la si avvicina; se non la si tocca, se non la si assimila [distruggendola].
Per questo l’acqua si nasconde, restituendo sempre l’immagine di qualcun altro, di qualcos’altro.

[Sepolta sotto quel diaframma di specchio.]

Per questo il sole [tu] nemmeno la [mi] vede [vedi].
Perché l’acqua è sempre sotto [dietro] di lui.
Eclissata all’ombra del suo stesso riflesso, oltre quel tremolante e impacciato rimando; senza che lui possa sapere [o anche solo vedere].
Perché l’acqua è immobile, ferma e muta nella sua afasia.
Per cui non può [proprio non può] farsi vedere: perché trasparente e riflettente insieme; perché quanto ne risulterebbe sarebbe [solo] il rimbombo rovesciato della luce stessa del sole.
Di quel sole che [lei] può solo guardare; seguire [vegliare] da lontano [n silenzio].
Perché se si mostrasse; se si esponesse, il sole non vedrebbe altro che il riverbero lucente di qualcos’altro di diverso [da lei].
Sempre qualcos’altro…

[Sempre dell’altro…]

Sempre altro…

[Altroaltroaltro…]

E mai…

[Maimaimai…]

Lei.

[Me.]

Per questo l’acqua non si fa vedere: perché non può e non vuole; per paura e pudore.

[Debole e timida.]

Senza nemmeno dare l’occasione; tentare [rischiare] e accordare al sole la fiducia di provare, nella speranza di poter riuscire.

[Seppur anche nell’ipotesi di fallire e sparire, ancora.]

Perciò l’acqua resta ferma: immobile e innocente [senza mai vivere realmente].
Invisibile al sole.
A quel sole che può solo guardare e sognare.
E [chissà] forse nel sogno, pur non riuscendo a mostrarsi, spera comunque di poterlo [anche solo] sfiorare.
Consapevole di condannarsi inevitabilmente a evaporare: a trasmutare in ossigeno e svanire…

[Sparire…]

Nella combustione, nel fuoco [nella luce] del sole…

[In…]

Attraverso il sole.

[Te.]

Perché il sole è sempre difronte all’acqua, pur non vedendola [pur nemmeno sapendola].
Perché l’acqua guarda il sole, non potendo [non sapendo] fare altro.
Perché l’acqua sogna il sole, non potendolo toccare.
E perché l’acqua ama… il sole.

[Il sole e quanto esso scalda.]

Ed io vorrei [poter] essere come quell’acqua.
Fresca [schietta].
Sgombra [onesta].
Semplice [naturale].
E grata [infinitamente grata].

[Anche qualora significasse condannarsi alla solitudine.]

Eppure…
Mi va bene così.
Per davvero: va bene così.
Perché mi basta guardarti.
Anche solo guardarti [seguirti].
Sfiorarti, anche se solo con questi miei sbiaditi [vuoti] occhi bianchi.
Rubarti, in un certo senso: perché tu [forse] nemmeno lo sai [e probabilmente neanche lo hai mai ben capito].
Respirarti [sognarti].
E amar-…

[Amarti.]

Anche in quest’assurdo modo.
Anche solo da lontano.
Perché è tutto quello che voglio.
Perché è quello che ho sempre voluto.
Perché non voglio altro.
Mi basta questo [solamente questo].
Questa patetica imitazione d’amore mi basta; mi è vitale [come ossigeno].
Questo pietoso voyeurismo mascherato da amore mi è caro, profondamente caro, terribilmente caro, dannatamente caro [più del mio stesso sangue].
Questa dolcissima ossessione travestita da amore mi è necessaria, visceralmente necessaria [come la luce del sole].
Mi è…

È [semplicemente].

È sentita, reale, vera [viva].
È quanto mi serve.
E non già perché non abbia altro, ma [banalmente] perché non voglio altro [da te].
Perché non posso voler altro; perché non merito altro…

[Già è troppo quanto vergognosamente riesco a sottrarti; figuriamoci.]

E non perché tu non possa o voglia concedermelo, anche se
Oddio, beh [in effetti], forse…
Cioè, è possibile, anzi, probabile [molto probabile], ma senza cattiveria comunque; senza l’intenzione di ferire o illudere [e men che mai umiliare].
Assolutamente [ne sono certa].
Il fatto è che, semplicemente, io [da te] non voglio altro [davvero].
Non pretendo altro.
Né che tu mi veda o mi scorga [anche solo per caso].
Né che tu mi parli [anche solo per gentilezza, così, senza pensarci].
Né che tu mi sfiori [anche solo per distrazione].
O che tu… risponda.

[No.]

Davvero, Naruto-kun…
Non è necessario.
Niente di tutto ciò; nulla del genere.
Perché non era certo quella [questa] la mia intenzione.
Insomma, non volevo certo costringerti o obbligarti con, c-con… quella.

[Proprio con quella, poi…]

Male-… dizione.
Ma tu guarda se io, se proprio [proprio] io, che non parlo mai…
Che me ne sto sempre [sempre] zitta…
Che balbetto costantemente e stupidamente e sempre [sempresempresempre] di fronte a, a-a…

[Cavoli.]

Certo che ho un fiuto eccezionale, un occhio clinico, un talento naturale per scegliere [per beccare] le situazioni giuste. Proprio un tempismo perfetto.

[Mannaggia a-a… me.]

Eppure [davvero], non era nelle mie intenzioni imbarazzarti o metterti a disagio [in difficoltà] o addirittura infastidirti [forse] con, con…

[Ah, miseria ladra…]

C-con q-qu-, quella di-di-…
Con quella dichiarazione, insomma.
Cioè, n-non pensavo…

[Non pensavo a niente, probabilmente…]

Comunque non volevo; non era mia intenzione costringerti ad alcunché.
Non l’ho detto aspettando poi una risposta, dato che, in fondo, ecco, non c’era…
Sì, insomma, quella non era certo una domanda; ne consegue non poteva [non doveva] esserci nemmeno una risposta.
Quello che voglio dire…
Ecco, io vorrei solo dirti [farti sapere] una cosa e una cosa soltanto.
Perché vorrei chiarire che quanto ho fatto [stupidamente, certo], non l’ho comunque fatto per legarti, m-ma…
L’ho fatto solo per me stessa [unicamente per me stessa].
Perché l’ho voluto [io] e non per costringerti a contraccambiare, assolutamente.
Non per strapparti una, una ri-risp-…
Insomma, non pretendevo; non mi aspettavo nulla, davvero: né una risposta, né una reazione.
E non perché ti consideri insensibile o menefreghista ma soltanto, ecco…
In quel momento non volevo che tu…
Non volevo che tu…

[Ecco… maledizione.]

Io non volevo [n o n v o l e v o] perderti.

Ecco… la ragione.
Ma quello che ho detto, l’ho detto…
Sì, ecco, insomma: l’ho fatto senza pensare.
Cioè, non che non lo pensassi davvero, chiariamoci: assolutamente no, a-anzi…

Ma solo l’ho detto senza rifletterci, senza premeditazione; senza presupporre…
Se-senza aspettarmi niente.
Non m’illudevo certo tu potessi; sì, insomma: c-che t-tu [mi] ri-… ricambiassi, ecco.

In sostanza…
Quello che ho detto [quello che ho fatto] non era per vincolarti.
Non era certo un debito che volevo importi; non volevo [non potevo] davvero pensare di trasformare; di poter ottenere qualcosa [e così, poi] in un modo tanto costruito, tanto macchinoso [tanto interessato].
E [sopratutto] non potevo certo sperare di ottenere “quel” preciso qualcosa [beh] così.
Perché quello non è comunque qualcosa da potersi estrarre o forzare [indurre].
Semplicemente non volevo che…

Quello che sto cercando di dirti [in maniera ridicola e orrendamente confusa, mi rendo conto], è che non è tanto del risultato che mi premesse…
Certo, l’urgenza di salvarti; di proteggerti [e non perderti] era devastante però…
Insomma, è la “cosa”, la “ragione” ad essere importante.
Perché io non ho fatto quanto ho fatto per una conseguenza o un ritorno, per un “dopo”.
Ma per una causa, un motivo: una ragione.
Una ragione che mi permette di vivere [prosciugandomi il fiato].
E la ragione…

[La sola ragione…]

Quella ragione…

[La mia ragione…]

Sei…

[Sei…]

Sei tu la ragione.

Ecco, soltanto questo.
Volevo dirti solamente questo.
Vorrei riuscire a dirti; vorrei [voglio] dirti semplicemente questo [nient’altro].
Per cui non c’è debito fra noi.
Non c’è debito [per me] e non voglio debito [con te] e nemmeno gratitudine o riconoscenza [o pietà].
Perché, comunque, ho fatto quanto ho fatto, solo perché lo volevo [egoisticamente].
Perché era quello che volevo.
Soltanto questo.
Niente di più.
Ecco tutto.
Per cui non devi sentirti in dovere di darmi una risposta.
Né devi sentirti frustrato o altro, perché non sei ancora in grado di darmela [quella risposta].
E non devi assolutamente sentirti in imbarazzo o dispiaciuto, perché “quella” precisa risposta proprio non me la puoi dare.

[O, almeno, non senza ferirmi.]

Davvero, Naruto-kun…
Non devi sentirti in obbligo di alcunché [verso di me], perché non voglio niente [di più] da te.
Dal momento che mi hai già dato tutto.
Perché, forse inconsapevolmente o accidentalmente [forse solo ingenuamente], tu mi hai già dato tutto quello di cui avevo bisogno.
Più di quanto potessi desiderare o immaginare; più di quanto potessi anche solo sognare.

Perché tu mi hai dato una ragione.

Una ragione per rialzarmi [sollevarmi].
Andare avanti [non cedere].
Combattere [credere].
E vivere.

E questo, al di là delle mie debolezze [delle mie paure].
Dei miei errori [delle mie colpe].
Delle me sconfitte [del mio dolore].
Al di là di tutto.
 
Perché tu mi hai dato una ragione per non arrendermi [fin dai primi anni d’Accademia].
Per combattere [all’inizio dell’esame per la selezione dei chūnin].
Per rialzarmi [durante lo scontro con Neji].
Per andare avanti [in ogni occasione].
Per credere in me stessa [per la prima volta].
Per crescere [per davvero].
Per migliorare [veramente].
Per cambiare [finalmente].
Per vivere [semplicemente].
 
Perché tu [Naruto Uzumaki] mi hai fatto venir voglia di vivere.

[Perché tu, Naruto-kun, mi hai “obbligato” a vivere.]

Perché tu, Naruto, mi hai dato una ragione per vivere.

Solo questo.

[Semplicemente questo.]

E per questo io ti devo tutto.

[Tutto.]

Tutto quanto.

Per questo mi basta.
Quello che ho mi basta [perché io ho già tutto].
Per questo va bene…

[Va bene.]

Anche se non mi guardi [anche se non mi vedi].
Perché comunque io ti vedo; perché comunque io posso [continuare a] vederti.

Per questo va bene…

[Va bene.]

Anche se non mi rispondi; anche se non mi ricambi [anche se non puoi ricambiarmi].

[Va bene comunque.]

Perché [comunque] i miei sentimenti non cambiano.
Perché [comunque] non potrebbero cambiare.
Perché [comunque] non potrebbero mai cambiare.

Per questo va bene…

[Vabenevabenevabene.]

Anche se mi consideri [mi senti] solo… un’amica.
Perché, comunque, è più di quanto potessi [mai] desiderare.
Perché, comunque, è molto più di quanto avrei [mai] sperato di ottenere.
 
Per questo va bene…

[Va bene.]

Anche se…

[Anche se.]

Non mi ami.

Va bene [perché comunque io ti amo].

[Non vuoi.]

Perché io ti amo [comunque].

[Non puoi.]

Perché io ti amerei [comunque].

[Amarmi.]

Perché io ti amerò… comunque.

Per questo va bene…

[Va bene.]

Anche se io [per te] sono solo “qualcuno”.

[E non già quel preciso “qualcosa”.]

Perché, comunque, grazie a te io sono.

[Perché, finalmente, io sono.]

Sono.

Esisto.

V i v o.

Perché, dopo tanto “non essere”, io sono.

Io sono [s o n o] finalmente.

Per questo va bene [davvero: mi va bene] anche non sapere “cosa” sono per te.
Perché, a prescindere dalla risposta, tu…

[Tu…]

Per me…

[Per me…]

Sei.

Perché a prescindere da quello, quanto o cosa, io sia [per te]; tu…

[Naruto…]

Tu…

[Per me…]

Sei [t u t t o] tutto.

Tutto quanto.

[E anche di più.]

Per questo, sapere, non sapere, dare, avere, ricevere, non hanno poi molta importanza.

[Non hanno davvero importanza.]

Perché sei tu l’importanza.

Perché io ti amo, al di là della risposta [positiva, negativa, confusa, espressa, taciuta].

[Al di là della reciprocità: rifiutata, implorata, bramata, rimessa.]

Al di là di me stessa.

Perché è quello che sento.

[Perché è tutto quello che sento.]

Perché è tutto.

[Tutto quello che sono.]

Perché [tutto] quello che sento è [tutto] quello che sono.
 
Ed è meraviglioso.
 

 



Perché:
 
 
«Io dico le cose così come stanno e non cambio idea. È questo il mio credo ninja!»
 
 




E perché:
 
 
«Perché io ti amo.»
  
 
E finalmente riesco a dirlo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

Take my hand__
Take my whole life too__
For I can't help falling in love with you__
 
[Prendi la mia mano__
Prendi anche tutta la mia vita__
Perché non posso fare a meno di innamorarmi di te
]__
 
“Can’t Help Falling in Love”, Elvis Presley__
 
 
 
 

Can’t help falling in love with you
 


Quello
che
non
c’è



 
 
 
 
 
 
 
 
 

– Angolo dell’autrice –

__Olé! (Rumore di trombette.) È finita, finita finita, sia lode al Signore! (Celebration!) Innanzitutto, congratulazioni a chiunque sia giunto fin qui, casualmente, spontaneamente o altro. No, son seria: complimenti davvero, chiunque tu/voi sia/siate; non è impresa da poco spararsi settanta pagine di sole chiacchiere, senza uno straccio di azione, nulla e dico nulla, Atreyu!
__Accantono le baggianate e imbraccio i giusti riconoscimenti. Dunque, questa volta ho scomodato nientepopodimeno che Elvis. La chiusa dell’aggeggio, infatti, piglia il titolo del brano che ne chiudeva i concerti (quella là è l’originale, mentre questa qua è una cover, sì, ma è proprio bellina. E poi, loro son matti).
__Ora vi lascio andare, promesso, solo una cosa, prima: ci terrei davvero molto a ringraziarvi per bene. So di risultare tediosa, ripetitiva e palesemente lecchina con tutte queste cerimonie, ma credo sia importante. Un grazie doveroso e dovuto al sito, per l’occasione; all’amministrazione, per la possibilità e la cortesia; e agli utenti, per l’attenzione (occasionale o protratta che sia), la temperanza (tanta), la gentilezza (troppa) e lo sforzo leggendario (over millantamila). Sul serio, caro lettore o lettrice, che stai dall’altra parte dello schermo e mi stai maledendo in pechinese (il cane, non la lingua): io non ti conosco, però ti ringrazio tanto ma tanto, anche per la sola attenzione, perché è tutto fuorché scontata. Veramente, grazie. E grazie, grazie, grazie.
__Bene, penso d’essermi screditata lungamente e in perfetta autonomia, pertanto via! Mi silenzio. Solo, ancora grazie (prego, scusi, tornerò: al matinèe del giovedì, eh).

Grazie.

__Disclaimer: personaggi, fatti e luoghi citati appartengono a Masashi Kishimoto, cui vanno tutti i diritti circa il loro uso. Non c’è scopo di lucro.

– Note –

__1 Non sono altro che un posto soleggiato: credo che per tutto il popolo NaruHina questo dettaglio sia ormai arcinoto; comunque, per correttezza generale e pignoleria un po’ gigiona, lo preciso senza problemi. Il nome Hinata, in giapponese, mi pare giochi parecchio sul modo d’intendere i kanji del suo cognome: Hyūga, infatti, può leggersi tanto come “portatore dell’eleganza”, quanto come “attraverso il sole”. Da qui, la declinazione nel “posto soleggiato” di cui sopra. Ah, Kishy, Kishy… ne sai una più di Itachi!


– Il salotto dell’autrice –

__Eh, sto seriamente iniziando a gongolare, leggasi sbavare, quaggiù. (No, no, tu stai seriamente iniziando a delirare: hai logorato per qualcosa come l’equivalente della distanza tra Alfa Centauri e la Terra e, comunque, hai ancora il coraggio di scrivere? Di’ un po’: sei scema?) Eh, sì, temo di sì. Tu però sei tsundere, sai? (Baka!) Grazie. In ordine cronologico, signori:
 
__A reds92: ciao, uomo! Oh santissimi numi, porca… miseria! E non solo: caspiterina, pofferbacco e accipigna! Ma, m-ma… grazie!
 __No, davvero, grazie mille e mille ancora. Insomma, insomma – urgh, ecco la labirintite verbale! Abbi pazienza, è che mi trovo parecchio in imbarazzo – cosa grandemente positiva, eh: positivissima, te l’assicuro –, per cui temo di non disporre della lucidità cognitiva, adeguata a rispondere a quella tua, super-stra-fichissima recensione… Ehm, dicevo… Ah sì! Ecco, sappi solo che, alla lettura del tuo commento, la testa mi si è aperta in due, con volo di colombe e pioggia di confetti associati (e credo sia apparso pure Eduard Khill, verso la fine). Insomma: ciumbia, un completo shock mentale!
__Okay, okay, vedo un attimo di ricompormi, ehm… Ecco, seriamente: l’hai colta in pieno, al cento per cento e con una sensibilità mirabolante, poi. Miseria, bravissimo e braverrimo davvero. È fantasticoso (e mozzafiatante), no, davvero: è proprio bello veder qualcuno – un estraneo, fondamentalmente – spendere un po’ di tempo tanto, più una manciata di neuroni, per leggere qualcosa di tuo (cioè, mio, be’, un po’ di tutti, adesso). Tra parentesi: tu davvero l’hai letta in una botta sola? Ambo i capitoli, dico? Oh porca paletta, hai rischiato l’aneurisma cerebrale, sai? Cioè, io non posso che esserne lusingata, chiaro; ma tu sei un fenomeno. Pensa: la rilettura di appena metà a me, personalmente, ha preso un bel giorno pieno; ed io, io l’ho scritta, ’sta roba qui. Per cui, cavoli, tanto di cappello. Sul serio, eh. Quindi… ehm… quindi? Ah, ci sono, ci sono! Ecco, veder letto, sorbito e, perché no, se si è particolarmente dotati (non è questo il mio caso) o fortunati (questo sì che è il mio caso), apprezzato qualcosa di tuo; e veder il tutto fatto in maniera poi tanto spontanea, è veramente… bello. Ma bello-bello. Davvero-davvero bello (notare la mia stupefacente proprietà di linguaggio, sì). Cavoli, il solo fatto ti sia sbattuto per commentare così bene (“appunti?” Oé, non farlo mai più. A malapena li prendo a lezione, io – disse la scema che scriveva le recensioni in Word) è parecchio gratificante; in più, a te fa tanto, tanto onore. E sarebbe stato parimenti anche qualora mi avessi ricoperto d’insulti, figurarsi con quello tsunami di complimenti, quindi.
__Inoltre, se mi dici pure che Hinata, da tutto questo trip mentale, n’è uscita più o meno indenne e, in qualche modo, quasi reale… be’, questo credo sia il commento, il complimento, la soddisfazione, la recensione e la roba più bella di tutte, ecco (danger, danger: ego in esplosione, abbandonare il sito!). E tranquillo, perché le recensioni lunghe sono la cosa più lusinghiera e bella che ci sia, a mio avviso: ehi, hai presente con chi stai parlando? Io mi sono allargata per qualcosa come settanta pagine solo per uno one-shot, quindi benvenuto nel club, eh! (Allunga il cinque allo schermo; lo schermo le fa il dito.)
__Ora, ti ringrazio per aver così apprezzato la resa del personaggio, davvero: mi genufletto ai tuoi piedi, sgranellandomi la colonna vertebrale; però ti assicuro che non ho meriti nell’aver reso Hinata Hinata – ammesso e non concesso questo sia poi avvenuto. Io, boh, credo di essermi giusto limitata a darle voce (che, povera, non se la fila nessuno, eh, dobe?), ad approfondirla, a tirarla fuori, ma tutto quello che n’è uscito c’era già; sparso un po’ ovunque e occultato da papà Kishy, chiaro, ma è tutta roba già presente. Ciò non toglie, comunque, tu sia stato gentilissimissimo con me e il mio arnese, sul serio. Sei stato, sei stato… carinissimo: grazie, eh! Per cui sono io a dover ringraziare te, di certo non il contrario (e vorrei anche vedere).
__Grazie infinite per aver (aver o averlo? Averla? Ma è maschio o femmina, dottore?) letto, capito e… apprezzato? Grazie davvero, davvero e davvero: parimenti anche la mia gratitudine tende a più, meno infinito; per quanto io me ne intenda di limiti (e credimi, non me ne intendo. Chiedi al mio prof. di matematica: scoppierà in lacrime). Ancora muchas, muchas ma muchas gracias.
__Grazie tantissimevolmente, red, e grazie davvero per davvero.


__A _sweetygirl_: bentornata, ragazza mia! Donna, quale stronzaggine e stronzaggine? Io ti adoro, dico sul serio. L’incipit è stato fenomenale: “Hinata ha la positività di un suicida che si è appena tagliato le vene!”. Mi sono partite le coronarie dal ridere, perché la cosa è assolutamente, completamente e senz’ombra di dubbio vera; e vera poiché folle. Quindi non credo affatto sia una critica, anzi, proprio tutto il contrario: per me è uno dei complimenti migliori possibili (se la suona e se la canta). Era un parto originale e malato della mia immaginazione, quello lì, e il fatto allucinante sia riuscito ad essere comunque credibile, nonostante la palese deficienza, è ’na robba stellare: supercalifragilistichespiralidosa, per intenderci!
__Senza contare che… Perdona l’ardire, forse ho frainteso tutta la situazione, ma mi par d’intuire che lo sfigatissimo personaggio della Hyūga non ti sia esattamente, come dire… affine? Simpatico? Magari non è precisamente tra i tuoi preferiti, giusto? Per cui, pensare che qualcuno cui, già in partenza, non gradisca la voce narrante dello sproloquio mentale, se lo sia comunque letto, riuscendo pure ad apprezzarlo; be’, mi pare la conquista più soddisfacente e il complimento più gongoloso (sì, gongoloso, ti prego, non chiedere).
__Ora, non dico di essere riuscita a fartela piacere, ci mancherebbe, anche perché è più che giusto non amare tutto e tutti; tuttavia, proprio il fatto tu l’abbia letta nonostante la tua idiosincrasia è una cosa superbella. Superbella, per me, e supergrande, per te. Davvero complimenti per la mastodontica apertura mentale verso personaggi non proprio piacenti o piaciuti: non è cosa da tutti, sai? Per cui bravissima ancora.
__E non preoccuparti: il tuo commento non mi è proprio parso da quadro clinico o altro; per quanto io, coi miei squilibri mentali, non sia poi molto attendibile (disse, a cavallo di un comodino). E sono completamente d’accordo con te: Hinata, qui, si è rivelata più incasinata, complessata, fobica e ingarbugliata che mai. E il bello è che mi ha divertito un sacco (mi diverto proprio con poco, io).
__Come sempre, poi, ti ringrazio tantissimo per i complimenti alla forma, l’apprezzamento verso il contenuto, e la tua straordinaria costanza nella lettura. Non è affatto scontata, per me, perciò grazie di cuore. Sei stata gentilissima, sul serio. Per tutto questo, grazie tanto, tanto, tanto.
 
__A SunliteGirl: ma ciao, amica/fan di “Cattivissimo me” (Agnes, Agnes è una capa!).
__Benone, sappi che immaginarti mentre leggevi di straforo quest’abominio blasfemo e senza dio, proprio durane l’ora di religione, mi ha fatto sguarare dalle risate (e adesso sono sicura di finire dritta dritta all’inferno, sì). Che meraviglia, è quasi catartico esser fonte di disturbo (per la didattica, intendo; ma anche per il genere umano, suvvia), e tu sei carinissima, davvero, grazie mille.
__Inoltre c‘hai ragionissima a dire che, qua, Hinata è molto ma molto negativa (pure troppo, penso): non era assolutamente in programma, perciò non saprei proprio dirti fino a che punto possa essere IC. Credo e temo, pochino.
__Comunque sia, mi fa piacerissimo ti siano parsi, non dico giusti o obiettivi, ma perlomeno credibili o comprensibili i vari commenti verso il villaggio e la situazione in generale: il sistema, fondamentalmente (ullallà, mamma saura, neanche fosse la lotta sindacale). E brava pure per aver notato come, in fin dei conti, Hinata non abbia mai effettivamente visto Naruto in modalità esorcista – capitolo 437 permettendo. In più mi hai fatto un regalone bellissimo, assicurandomi come l’invidia verso la Volpe sia parsa tutto sommato credibile: temevo fosse un’uscita davvero troppo zuccherosa e saccarinica, io (disse, sciacquandosi la bocca col Nesquik).
__E a proposito d’invidie e gelosie… io voto NaruHina alle elezioni! Sono perdutamente, patologicamente, fluffosamente, demenzialmente e orangiosamente NaruHina. Tutta la vita e dall’inizio, contro ogni premessa e avversità o exploit fetente di quella peripatetica banderuola di Kishy. Sono allo stadio terminale: del tipo che, se mi tagli, non esce sangue ma aranciata (o Gin-Lemon, dipende dall’ora). Ma son pure strana, eh: nel senso che comprendo perfettamente la fascinazione per NaruSaku e SasuNaru; le accoppiate benedette da sua santità il dio Canon, in sostanza (galeotti furon deviantART e la Rankai). Ho difficoltà a leggerli, pur riconoscendoli in concreto. Ciò nonostante, potendo scegliere e auspicare, scelgo e auspico NaruHina; ritenendola, comunque, l’eventualità meno plausibile e comprovabile del manga (quando c’è la coerenza. La mia, bah). Non so se mai si verificherà (pensa a Kishy, al capitolo 437, poi al 558; calcola un intervallo di circa 120 capitoli; fissa il vuoto; piange), eppure mi piace anche così: nella fantasia e alla mercé del fanghérleggio. Insomma, ce lo voglio vedere, immagino.
__Va’, meglio lasciar stare il mio malcostume cartaceo e tornare a noi (dà una pacca al portatile; il portatile si spegne).
__Pensavo il mio partito fosse, ehm, imbarazzantemente chiaro data, be’, tutta la sviolinata su Naruto… A ogni modo qua il pugnetto, cumpà!
__Ora: se dai vari commenti su Sakura-chan è parso fossi d'altra bandiera, è perché, obiettivamente, credo sia appunto quanto possa/potrebbe pensare il personaggio Hinata. Senza invidie o gelosie, comunque; perché Sakura, poverina, non ci può far niente se Rondello le andava dietro – andava o va, chi lo capisce è bravo. Aveva già i suoi casini amorosi con un altro psicolabile, lei. E Rondello, be’, non è neanche colpa sua… Non è colpa di nessuno. In ’ste cose, variabili come colpe, non colpe, meriti, metà, mele, frutta, amaro, caffè e poi il conto, grazie, c’entran poco quanto niente, ahinoi. Si tratta banalmente di casualità, d’imprevisti, di sfiga: capita (e tanto finisce sempre che hai tutti gli stabili da riparare o devi sgambettare fino a Parco della Vittoria, tzè).
__Ohi, pairing-wars a parte, ti ringrazio ancora per tutti i commenti positivi sullo stile – tra l’altro: ne sei proprio sicura? Sinceramente, a me pare un po’ troppo pasticciato, ampolloso. Tutti quei puntini di sospensione, allineamenti a destra e a manca, parentesi quadre varie, corsivi, grassetti, abuso di accatiemmelle, droghe pesanti, paradisi artificiali, litri e litri di saccarina, paraffina, margarina (e a proposito: dove sono finiti i miei cookies, eh? Me volere cookie! COOOKIE!). Pure e sopratutto per questo, grazie mille; dato lo sbattimento nel leggere ’sta deliranza. Davvero grazie e grazie davvero.

__Ehm, due ultime righe, ragazzi. (Già, perché non hai parlato abbastanza, vero?) Dai, ho fatto trentamila, tanto vale fare trentamila e uno. Poi, giuro, mi faccio curare.
__Semplicemente, non posso che ringraziarvi tutti, in modo uguale e distinto: grazie a chi ha letto, a chi gli ha dato una veloce scorsa, a chi ha commentato e a chi non se l’è sentita (non c’aveva tempo, voglia, parole o quant’altro, poco importa – Oreki-san insegna, oh sì). E grazie, un grazie speciale e sincerissimo, a chi ha inserito questo cumulo di vaccate tra i preferiti, seguiti, da ricordare (o nella kill list). Sul serio, son cose bellissime queste, gente. Pertanto, téncs tu:

_sweetygirl_
SunliteGirl
Gisella
reds92

Grazie mille a tutti per l’ascolto.
(Io e il mio portatile c’inchiniamo.)


  
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