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Autore: kety100    01/03/2012    2 recensioni
Io sono più di un'Umana.
Io sono meno di un'Elfa.
Io sono un'Umana nel corpo di un'Elfa.
Io sono Umanamente Elfica.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stiamo uscendo da scuola, oggi sono tutti silenziosi, beh, ci credo, dopo quello che è successo …
All’ingresso c’e mio cugino che mi aspetta appoggiato alla macchina e mi guarda preoccupato.
“Stai bene?” mi chiede subito con evidente preoccupazione.
“Io sì, ho solo qualche graffio” una voce atona, non mia, completamente apatica ma con una rabbia sorda all’interno risponde a Miguel.
“Ah … bene … vuoi andare da qualche parte?” non mi sembra arrabbiato, solo preoccupato, in effetti mi guarda come se fossi una strana creatura aliena che ha preso il posto di sua cugina.
“In palestra, al mare, sul promontorio … ovunque tranne che qui” salgo in macchia con movimenti quasi rigidi, come se il mio corpo fosse talmente scioccato da non rispondere più al mio fido Gustavo, oppure come se quest’ultimo fosse rimasto addormentato nell’aula di Tecnica.
“Va bene, allora andiamo a farci una bella passeggiatina sul lungomare! Sai che lo stanno rifacendo? Potremmo essere fra gli ultimi a vederlo così!” perché no? In fondo, sta facendo del suo meglio per tirarmi su di morale.
“Ok, va bene! Ma solo se prometti di comprarmi il gelato!” cerco di sorridere e mostrarmi forte.
“Accordato! Oh, P.S.: fai schifo a mentire!” lo dice mentre sale in macchina per poi partire a razzo verso Riccione.
“Ah, ah, ah, ah! Molto spiritoso!” rispondo, riuscendo a ritrovare parte della mia ironia in modo quasi miracoloso. Se credessi in Dio penserei che c’e il suo zampino.
“Lo so! I’m the best!” esclama facendomi l’occhiolino e accelerando.
Se gli fanno una multa giuro che lo sfotterò in eterno! Mi dico, dopo aver sbattuto la testa (per la terza volta) contro il tettuccio.
In compenso arriviamo sul lungomare abbastanza in fretta.
Io esco dall’auto e corro verso la spiaggia, dove probabilmente farò una decina di Km in una direzione a caso e poi tornerò indietro.
Poco male, Miguel ha sempre molto da fare quando viene qui.
Corro.
Corro per sfogarmi.
Corro per dimenticare.
Corro perché non so fare altro.
Corro perché preferisco questo ad una siringa.
Davanti agli occhi continuo ad avere l’immagine di Vespucci.
Morto.
La pelle carbonizzata, i capelli bruciati …
Ma sono gli occhi a farmi venire da vomitare, li ricordo alla perfezione: spalancati, biancastri, quasi lattiginosi.
Come se si fossero sciolti per il calore improvviso e poi solidificati.
Me li ricordo, quegli occhi, quando il prof. era vivo.
Erano azzurro chiarissimo, quasi bianco, e sembravano in grado di leggerti dentro.
Il prof . Vespucci era l’unico che non abbassava lo sguardo quando lo fissavo negli occhi.
Ora quello sguardo severo, che ti spinge a dare il massimo, non avrebbe più osservato i suoi allievi, la sua amata 3° A, che aveva cresciuto fin dal primo anno.
Strizzo gli occhi, impedendo alle lacrime di solcarmi il volto.
Io sono forte, io non piango.
Una frase che mi ripeto da anni.
Una frase bugiarda.
Perché io non sono forte.
Perché se io fossi forte avrei il coraggio di piangere, di urlare, di mostrare al mondo che sono debole.
E invece sono qui, ad impedirmi di piangere per il mio prof. preferito.
Sento il mio telefono che squilla.
-Pronto?- chiedo fermandomi un istante, quel tanto che mi basta per prendere il cellulare.
-Dove sei?! Fra poco pioverà e tu sei via da più di un ora!- esclama la voce preoccupata di mio cugino.
-Sì, adesso torno, tranquillo- alzo gli occhi al cielo e riattacco mettendomi a correre con uno sbuffo nella direzione da cui sono venuta.
Circa un quarto d’ora dopo salgo in macchina, completamente sudata e bisognosa di una doccia.
Miguel arriccia il naso, ma non fa commenti.
Entriamo in casa completamente fradici, la tempesta è iniziata un paio di minuti dopo che siamo partiti e da allora è sempre peggiorata.
“Secondo te come stanno mamma e papà?” mi chiede Miguel, chiaramente in pensiero per la sorte dei genitori.
“Alla perfezione! Almeno ora avranno una scusa per passare una nottata in santa pace senza noi due!” esclamo, ritrovando in colpo solo l’allegria di sempre.
“Se lo dici tu … spero solo che ci sia luce …” borbotta lui, per niente convinto.
Io per tutta risposta gli mostro una torcia con un sorrisetto.
Miguel alza gli occhi al cielo e sorride.
Circa due ore dopo, con la pancia piena e una parvenza di buonumore andiamo a dormire(dopo che mi sono fatta una doccia), è stata una giornata davvero pesante!
Ma prima che io possa anche solo pensare di svestirmi sento uno schianto in corridoio e un urlo.
Mi paralizzo.
Apro lentamente la porta della camera e guardo fuori, la scena che si presenta ai miei occhi è la più stravagante che abbia mai visto: Miguel, intrappolato in una specie di sfera nera semitrasparente, è bloccato davanti ad un ragazzo con un mantello.
Ora, non sono mai stata un genio, ma in quel momento ci sarebbero molte cose da dire, da un “AIUTO!!!” pregando che i vicini sentissero, a un “Ehi, tu! Solo io posso picchiare mio cugino!” cercando di mascherare il terrore fino ad un incosciente “A noi due, bimbo!” sperando ardentemente che nessuno ci senta.
Anche l’idea di restare in un angolo a tremare non sembra malvagia.
In quel preciso istante, però, Gustavo decide di fare cilecca e andarsene a dormire.
Maledetto neurone del cavolo!
“Ma che accidenti state facendo? Vi rendete conto che ho appena pulito?!” chiedo, uscendo allo scoperto con le mani sui fianchi e l’espressione indignata.
“E così, tu saresti l’Elfa … molto interessante … e chi l’avrebbe mai detto che mi sarei trovato di fonte ad un ragazzina?” il ragazzo, dopo aver pronunciato quelle frasi senza senso con un tono di voce neutro, ridacchia con aria malvagia.
In quel preciso istante capisco che sono in guai seri e maledico Gustavo.
Lui fa un passo avanti.
Io uno indietro.
Continuiamo questo giochetto fin quando io non mi ritrovo con le spalle al muro, mi sembra di aver già visto questa scena, probabilmente in un film, visto che tanto in quelli dell’orrore la povera vittima (alias io) si ritrova sempre spalle al muro, prima di essere squartata dal maniaco/killer psicolabile e con problemi di alitosi (alias il tipo in nero).
“Ok, scommetto che ora mi ammazzerai con una grossa ascia spuntata fuori dal nulla, vero? Oppure userai una motosega … o un semplice coltello da cucina … tipo quelli che la zia usa per tagliare le torte! Hai mai assaggiato una torta della zia? Le fa buonissime!” sorrido, cercando di ritardare la mia morte imminente.
Beh, hai fatto una bella vita, Kety, forse un po’ breve … ma comunque bella! Commenta il lato ottimista di me.
Io non voglio morire! Ho ancora tante cose da fare in questo mondo! Non ho mai baciato un ragazzo, ne preso un diploma! Non sono mai diventata veterinaria! Non ho ancora scoperto di colore Miguel ha le mutande! Non sono stata al suo matrimonio! E non conosco la sua ragazza! Devo finire di vedere i Pokemon, andare a prendere una pizza con le mie amiche giovedì sera! Ho ottime ragioni per continuare a vivere! E poi devo anche … Frigna la mia parte un po’ meno ottimista ma più piagnucolosa.
“No, affatto, per quanto mi piacerebbe … devo portarti dal mio Re” mi smentisce il tipo, interrompendo il mio monologo interiore.
“Ah, davvero? E scommetto che una volta che sarò da lui prima verrò torturata, poi verrò torturata ancora, dopo mi tortureranno ancora e ancora, e infine mi uccideranno in modo doloroso!” ribatto acida, mentre la me frignona riprende il sopravvento.
“Beh … sì … a dire il vero sì …” commenta il tipo, o elfo o qualunque altra cosa sia.
“Grazie per l’incoraggiamento … addio Miguel …” sorrido a mio cugino, che mi guarda pietrificato, prima di seguire l’elfo verso la mia morte.
  

  
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