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Autore: Phantom Lady    01/03/2012    1 recensioni
Cosa potrebbe succedere se Alfred *spunta Alfred*
Alfred: Ehi, non parlare di me senza il mio permesso!
Io: Ma... è per...
Alfred: Lascia fare a me *mi spinge da parte*... Allora.
"Cosa potrebbe succedere se un meraviglioso ed eroico americano decidesse di mostrare le proprie geniali invenzioni al Meeting Mondiale?" Sì, è perfetto... risalto abbastanza?
Io: Veramente... ah, lasciamo perdere.
Alfred: *prende microfono* Ha altre dichiarazioni?
Io: Ve', è probabile che vi sia un lontano acceno di shonen'ai.
Alfred: O_______ò *cerca di sopprimermi*
Io: Ah, scusate, ma siccome sono poco presente al computer potrei aggiornare con un po' di lentezzaaaaa...
Grazie per la pazienza e buona lettura!
Genere: Comico, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Allied Forces/Forze Alleate, Axis Powers/Potenze dell'Asse, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Atlantis ~


-Parte seconda: errori tecnici e conseguenze-


-Ah, almeno sono caduto su qualcosa di comodo- fece Arthur, sentendo un leggero gridolino.
-Aiutoooo- urlò qualcuno e l’inglese si guardò intorno per capire da dove venisse il grido, ma non ebbe neanche il tempo di alzarsi che si ritrovò Alfred tra le braccia. Lo spostò con uno spasmo di ribrezzo, mentre sotto di lui qualcuno continuava a protestare sommessamente.
-A-ahia- sussurrò una voce calma.
Arthur si alzò di scatto e guardò a terra. A pancia in giù c’era Matthew, che accusava dolori su tutta la schiena a causa della caduta dei compagni. I due lo aiutarono a rialzarsi, mentre lui cercava di trattenere il dolore mordendosi le labbra.
-Ehi, sento qualcosa in meno, come un sollievo...- osservò Arthur, come se questa assenza fosse palpabile sulla pelle -...Ma certo! Manca Francis!- i suoi occhi si illuminarono.
-Dove sono gli altri?- chiese serafico Canada, ma nessuno lo sentì.
-Dove diamine sono finiti quegli altri barbari?!- domandò l’inglese, ma sembrava più un’affermazione.
-Lo avevo chiesto io...- notò Matthew, ma nessuno se ne rese conto e Alfred rispose all’altro:
-Non saprei- disse, massaggiandosi la testa.
-Che cosa significa!?- Arthur lo prese per il colletto della giacca e lo scosse.
-Devo aver fatto un errore nella progettazione...- cercò di scusarsi.
-Che...?!- gridò esterrefatto l’inglese, sul punto di picchiare il dichiaratore di indipendenze.
Matthew cercò di fermarli con la sua solita calma, ma Inghilterra lo liquidò con lo sguardo.
-Penso... di aver inserito male i codici... e quindi... e quindi... ci siamo divisi tutti- Alfred si staccò e si pulì la giacca.
-Occa... e adesso come torniamo indietro?- fece Arthur, questa volta non aggressivo, ma disperato.
Alfred fece una faccia sciocca, che ignorava altamente la risposta.
-Non ci resta che fare ciò per cui siamo venuti qui!- esordì orgoglioso.
-Ma che ti salta in mente? Siamo intrappolati nel...- si guardò intorno -... Medioevo e tu pensi a una scemenza del genere?-
-Ora è una gara a chi trova prima Atlantide!- cercò di motivarlo Alfred.
-Dobbiamo trovare gli altri... potrebbero essere in pericolo- fece osservare Canada.
-Intanto cerchiamo un paesino o qualcosa del genere. Sarà difficile andare avanti qui- insistette Arthur.
In effetti erano in un bosco, dispersi tra le fitte fronde, non si vedevano sentieri nel raggio di chilometri e i tre cominciarono ad allarmarsi. Il sole si nascondeva tra le foglie, per poi fare capolino e accecare i loro occhi. Di tanto in tanto si sentiva qualche squittio e si vedeva un animaletto saltellare agile tra i rami.
Sentirono dei rumori di zoccoli e davanti a loro, a qualche chilometro cominciava ad ergersi un carro, accompagnato da cumuli di polvere.
Alfred si mise in mezzo alla strada e cominciò a saltare, allargando le braccia e cercando di attirare la loro attenzione.
Arthur e Matthew lo trascinarono in un cespuglio e gli fecero segno di stare zitto. Il carro gli passò accanto, smuovendo l’arbusto e gettandogli la polvere  negli occhi. Il carro sussultava a ogni dosso ed era di legno chiaro, come il colore dei cavalli. Non pareva particolarmente costoso e il cocchiere era vestito di stracci. Forse doveva solo portare merci o cose di poco valore.
-Perchè?- chiese lamentoso Alfred.
-Non si sa mai. Magari qui odiano i forestieri- rispose Arthur e da dietro Canada annuì, ma nessuno se ne accorse.
Riuscirono allo scoperto e continuarono la loro strada. Dedussero che probabilmente se avessero seguito le scie lascate dal carro avrebbero raggiunto un paesino o addirittura una città.

Antonio aprì gli occhi quando sentì le dolci onde carezzargli le piante dei piedi. Si destò subito lasciando scivolare su di sè quel tenero sogno e si guardò intorno terrorizzato
-Lovino!- chiamò a gran voce, ma non ebbe risposta.
-Che vuoi, bastardo?- fece una voce dietro a lui. Antonio tirò un sospiro di sollievo.
-Dove sono gli altri?- chiese lo spagnolo.
-E io come faccio a saperlo? E poi non me ne frega niente- risposse acido.
-Dobbiamo cercarli- cercò di farlo ragionare Spagna.
-A me basta tornarmene indietro. Mi chiedo chi me lo ha fatto fare!- sbuffò, incrociando le braccia.
“In realtà è stata una tua idea unirti al Meeting Mondiale di quest’anno...” pensò l’altro.
La vista del luogo era incantevole; il mare solcava leggero e senza insistenza la sabbia, donandole un colorito più scuro. La leggera brezza che spirava da ovest gli accarezzava le membra e lentamente anche l’anima. Lovino interruppe i suoi pensieri sbuffando: -Bè, che vuoi rimanere a marcire qua?-
-No... ma a me basta sapere che ci sei tu... dove siamo è relativo- lo guardò dolcemente.
-Zitto, bastardo!-  fu il suo commento
Lo prese per il polso e arrossirono entrambi. Lovino lo guidò verso un sentiero sterrato e lo percorsero a passo rapido.
Rallentarono il passo quando si trovarono in un bosco, dispersi. Antonio si guardò smarrito intorno e si sentì come in gabbia quando notò che le fitte fronde oscuravano il sole.
-E’ colpa tua!- gridò Lovino contro l’amico.
-Ma che ho fatto?- era una domanda a vuoto, giusto per dire qualcosa.
L’italiano si rifiutò di rispondere e cominciò a camminare seguendo delle regole chiare solo a lui. Intanto Antonio lo seguiva.
Presero a girovagare tra i fitti rami del bosco come anime raminghe alla ricerca di una strada da seguire. Ne trovarono una e un barlume di speranza illuminò i loro occhi. Corsero seguendo il sentiero e a fatica ne raggiunsero la fine, soprattutto perchè, col buio che stava facendo era difficile non perdersi nuovamente. Sfortunatamente arrivarono ad un villaggio abbandonato.
Le case erano diroccate, le macerie erano crollate all’interno delle costruzioni e parecchi suppelletili erano sepolti. Alcune abitazioni erano sprovviste di qualsivoglio oggetto utile al sostentamente. Le ricerche dei due si ultimarono presto per via del buio che calava su di loro.
Entrarono in una casetta e presero una copertina polverosa. La smossero al vento per pulirla e si alzò un grande alone di polvere, che irritò gli occhi dei due e li fece tossire.
Si sdraiarono a terra e si coprirono con il telo che avevano trovato. Si strinsero forte per condividere più calore e riuscire a stare entrambi sotto la coperta senza che uno dei due ne avesse di meno. Chiusero gli occhi, mentre sentivano il respiro dell’altro sulla pelle, le stelle a vegliare il loro sonno.

Roderich era sdraiato a terra e Elizabeta aveva preso il suo corpo tra le mani. Avvicinò lentamente le sue labbra a quelle dell’altro quando lui si destò e addirittura tutto il suo corpo si sentì in imbarazzo.
La ragazza si scusò in fretta: -Pensavo che fossi svenuto-
Lo aiutò ad alzarsi e a togliergli la terra e l’erbetta di dosso quando, da dietro un albero, spuntò Francis.
Roderich sussultò: -Cielo, mi hai spaventato-
“Addio giornata romantica” pensò l’ungherese.
-Lo so, la mia bellezza ti ha stupito- fece lui, muovendo i capelli.
-Ho detto spaventato- si affrettò a replicare serio serio l’austriaco.
Il francese si avvicinò a lui con il viso a poco meno di una spanna, mentre dietro Elizabeta ardeva di gelosia: -Ti ha spaventato il fatto che ci sia qualcuno di meraviglioso come me- ridacchiò Francis.
Roderich gli diede una debole spinta che si adattava al suo nobile sangue e girò la testa da un lato con una smorifa di ribrezzo.
-Cara- fece poi il francese con un inchino all’ungherese, offrendole un fiore che aveva strappato poco prima da terra. Lei lo accettò con un sorriso che celava una minaccia.
-Mon Dieu- disse Francis, con un gesto teatrale –dove siamo?-
-Bosco- rispose Ungheria, guardandolo in cagnesco.
-Proporrei di raggiungere una città o quantomeno un paesino- suggerì Austria.
Il francese lo guardò un po’ e squadrò la situazione.
-E come?- chiese il francese, ironico –Capisco di essere meravigliosamente bello, ma non penso che possa arrivare una città qui-
-Perchè, pensi?- domandò Roderich, convinto della propria domanda e serio, il che fece arrabbiare il francese, che ribattè: -Certo, e anche cose più intelliggenti di te- sbuffò, girandosi.
-“Intelligente” si scrive con una sola “g”- osservò l’austriaco.
-Come... eh...- balbettò Francis, sconcertato.
-Ma d’altra parte non posso parlare di usi corretti della grammatica con te- fece l’altro.
-E con te non si può parlare di niente!- Francis gli puntò un dito contro.
-E’ da ineducati... non ti  hanno insegnato che non si indicano le persone?- commentò Roderich.
Francis perse la calma e cominciò a litigare con  l’austriaco, mentre Ungheria se ne stava in un angolo a fissarli, divertita.
Dopo un po’ anche Roderich perse la calma a causa del suo interlocutore e prese a gridare, fissandolo con sguardo omicida. Francis gli tirò i capelli e Roderich gli diede un calcio. Elizabeta li guardò ancora un po’, ma quando si accorse che la situazione stava degenerando e si alzò, interrompendo il litigio dicendo di aver trovato un sentiero, indicando una stradina che si immergeva tra gli alberi. I due si lasciarono i capelli e smisero di picchiarsi.
-Eccola la tua risposta- fece Roderich, indignato, mentre si sistemava l’abito e si metteva apposto i capelli. Sussurrò a fior di labbra qualcosa come “barbaro”. Francis non ci fece caso e, come se non fosse successo nulla ringraziò la giovane, che dall’inizio gli aveva sempre puntato addosso quello sguardo omicida.

-Dove siamo?- chiese Toris, mettendosi a sedere.
Feliks era sdraiato vicino a lui con le mani dietro alla nuca e disse: -E io che ne so?-
Sentirono dei versi sinistri provenire dall’interno della foresta e si alzarono in piedi, allarmati.
Si guardarono intorno e azzardarono qualche passo, le orecchie tese e un’improvvisa sensibilità ai rumori. Sentirono i versi infittirsi sempre di più e il loro corpo tremava di paura.
Toris fermò il compagno e si guardò intorno. Vide qualcosa di bianco a terra e terrorizzato trattenne un urlo di paura. Feliks si avvicinò ma non riuscì a capire di che si trattasse.
-E’ meglio se, tipo, torniamo indietro- poi di fretta aggiunse –Non che io abbia paura, è solo che, tipo, potresti farti del male. Lo dico per te.- fece tremante.
Sentirono un gemito e si girarono, Feliks era la paura in persona.
Si avvicinarono lentamente mentre Polonia lo tirava indietro. Toris sussurrò lentamente, guardando l’amico: -E’... Ivan-
Russia era a terra, le gambe strette al petto con le braccia e il mento posato sulle ginocchia, con la sciarpa in bocca. Tremava leggermente e continuava a sussurrare parole inquietanti.
Polonia strattonò Lituania e lo costrinse a tornare indietro, ma nel farlo Toris inciampò e cadde su dei rametti secchi, spezzandoli.
Ivan voltò repentinamente la testa e fece per alzarsi.
Gli altri due rimasero pietrificati a terra, mentre lo guardavano tremanti.
-Avete freddo?- chiese con il suo sorriso ingenuo, e per questo più inqiuetante.
-S-stavamo, tipo, andando- balbettò Feliks, cercando di alzarsi, ma Ivan gli prese la mano e lo tirò su con forza. Toris ebbe il tempo di alzarsi da solo.
-Dove volevate andare?- domandò con gelido calore.
I due presero a guardarsi frementi, mentre si sfregavano le mani. Incontrarono per sbaglio lo sguardo di Ivan, che intervenne.
-Ho visto del fumo provenire da lì- fece indicando un punto.
Gli altri due trassero un sospiro di sollievo, forse erano vicini a una città.
-Potrebbe essere un paesino... o forse stanno solo bruciando dei corpi- intervenne Ivan, sorridente. Intorno a lui andava formandosi un’aura oscura, quasi palpabile e solo a stargli vicino sembrava di esserne schiacciati.
-Non perdiamo tempo- disse Toris, facendosi coraggio.
Ivan sembrò sorridere (o forse era solo un ghigno malefico?) e si mise a capo del trio, facendolo serpeggiare tra gli alberi, seguendo un sentiero che si immergeva nella foresta. Quando le chiome si fecero fitte il bosco comnciò ad ombreggiare, fino a che non calò la sera, disegnando dei contorni rossastri all’orizzonte.
Da lontano si vedevano dei guizzi rossi e i tre velocizzarono il passo, sperando di trovare un posto calmo dove poter riposare indisturbati.
Sentirono nell’aria un odore di bruciato e avvicinandosi cominciarono a scorgere delle lunghe lingue infuocate, che danzavano scosse dal vento.

Grecia era seduto a gambe incrociate a fissare Kiku, quando improvvisamente il giapponese aprì gli occhi.
-Ben svegliato- disse Heracles, senza muoversi e fissando la spiaggia. Le onde si posavano lentamente sulla sabbia per poi ritirarsi, come spaventate.
Kiku si affrettò a rimettersi apposto e si alzò in piedi di scatto, portandosi una mano sulla fronte con fare rigido: -Scusi capitano! Non stavo dormendo, stavo facendo una pausa di riflessione!- quando si accorse che non era stato Ludwing a svegliarlo e  ad attenderlo  si sedette imbarazzato e guardò Grecia, calmo, ma che accennava un sorriso.
-E’ così suggestiva questa vista- disse Heracles, dopo qualche secondo di silenzio, mentre le parole uscivano oziose.
Kiku borbottò qualcosa, imbarazzato. Mise le braccia tra le gambe piegate e fissò l’altro ragazzo: -Non possiamo rimanere molto qui, comunque-
Passarono pochi secondi e Grecia rispose: -Perchè?-
-Dovremmo cercare gli altri- osservò Kiku.
-Sì, andiamo- concordò Heracles, ma non si alzò.
Kiku si mise in piedi e guardò l’amico a terra, chiedendogli perchè non si alzasse.
L’altro mise lentamente un piede davanti e con una mossa alla moviola si tirò su. Prese a camminare con calma verso la parte opposta del mare, senza meta. Portava lentamente un piede davanti all’altro, mentre Kiku cercava di andare più piano per mantenere il suo passo. Come i suoi filosofi, Grecia, aveva una mente lenta e complessa, che si soffermava su ogni particolare e aveva quel particolare modo di camminare, calmo e ritmico, quasi servisse a contemplare ogni piccola creatura nel mondo. I suoi occhi si soffermavano sulla forma delle foglie, come a volte il suo corpo, si destava un momento e Kiku doveva fare marcia indietro per non superarlo o perderlo di vista.
Lentamente il giapponese si abituò a quel modo lento e tranquillo e si sentì meglio, scaricò un po’ quella pressione che aveva sempre avuto, si liberò dai suoi pensieri più pesanti e contemplava con spensieratezza e serietà ogni cosa che incontrava, come Heracles.
Pian piano, poi, si resero conto che stava ombreggiando, ma non ci fecero troppo caso. La loro mente si era unita al ritmo della natura e si sentivano in armonia con il resto del mondo, come se condividessero un solo cuore e una sola anima.
  
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