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Autore: Mary P_Stark    02/03/2012    2 recensioni
Cosa potrebbe succedere, se l'Araba Fenice tornasse a vivere ai giorni nostri? Se camminasse come un comune essere umano, sconosciuto ai più e per nulla riconoscibile ai nostri occhi? La storia di Joy è la storia delle molte vite di Fenice che, con i suoi poteri, tenta a ogni rinascita di portare il Bene e l'Amore nel mondo. Ma può, l'amore vero e Unico, toccare una creatura come lei che, da sempre, non vi si può abbandonare poiché votata solo all'altrui benessere? Sarà Morgan a far scoprire a Joy quanto, anche una creatura immortale come lei, può cedere al calore dell'amore, facendole perdere di vista il suo essere Fenice.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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14.
 
 
 
 
 
 
La cicatrice che, il potere di Rah, aveva lasciato sulla mano sinistra di Alex, mi procurava un dolore pungente e difficilmente esauribile.

Neppure le rassicurazioni del mio premuroso cugino, bastarono a eliminare il senso di inadeguatezza che sentivo dentro di me in ogni istante.


Certo, sapevo che Rah aveva avuto le sue buone ragioni per intervenire – diversamente, avrei davvero rischiato di morire.

Il fatto che lui avesse usato il corpo di Alex per arrivare a me, e darmi una mano a costruire le mie barriere psichiche, mi faceva star male.

Alex, addirittura, si era mostrato orgoglioso all’idea di avere una cicatrice del genere sul palmo della mano, cosa che mi aveva fatta imbestialire non poco.

Non c’era stato verso di fargli capire che il potere di un dio, incanalato in un corpo umano, non era l’equivalente di una scarica di adrenalina.

Era qualcosa capace di friggere i centri nervosi, come l’olio bollente con le patatine.

A lui era parso non importare, e tutte le mie estenuanti reprimende non erano servite a togliergli quello stupido sorriso dal viso.

Alla fine, non avevo potuto far altro che ringraziarlo per ciò che aveva fatto per me, ottenendo per diretta conseguenza una spallucciata e un altro sorriso tronfio.

Avevo avuto la netta sensazione che, l’idea di aver salvato una creatura mitologica come me, lo avesse riempito di…

Beh, le uniche cose che mi erano venute in mente, in quel momento, erano orgoglio smisurato e soddisfazione unica.
 

 
***

 
Rientrare a Harvard, dopo ciò che era successo a New York, non fu facile.

Diversi miei compagni di corso, come molti altri studenti dell’ateneo, avevano perso un parente, o un amico, in quel tragico attacco terroristico.

Tutto il mondo piangeva e gridava vendetta, e lei sapeva bene che, ben presto, si sarebbero accese le micce di una guerra di non certo breve durata.

Questo, avrebbe portato altri morti, altri lutti, altro dolore.

Il presidente Bush aveva già dichiarato, a reti unificate, che la ferita lasciata su New York sarebbe stata ben presto vendicata.

Mentre lei si accingeva a riprendere le lezioni, cacciabombardieri e milizie armate si stavano dirigendo verso oriente per dare vita a un’aspra lotta contro il terrorismo.

O così, per lo meno, la pensavano i più.

Joy, però, sapeva già quanto inutile sarebbe stato, questa volta in particolare, un attacco su larga scala come quello che si accingevano a lanciare.

Il terrorismo era camaleontico, inestricabile, formato di celle sparse per il mondo, senza una connotazione geografica precisa.
Sarebbe stato come combattere contro un’Idra di Lerna dalle mille teste.

Dubitava fortemente che avrebbero risolto il problema, mandando dei contingenti militari in Afghanistan.

Nel frattempo, però, i danni collaterali si fecero sentire subito.

Joy, pur trovando la cosa riprovevole, non poté non comprendere le radici dell’odio razziale che si scatenò in tutti gli Stati Uniti.

Anche in ateneo, nonostante la mentalità aperta degli studenti, i musulmani iniziarono a essere malvisti.

Più di una volta, Joy si ritrovò a intervenire verbalmente in discussioni nate tra allievi di estrazione politica opposta.

Fin da quando era rientrata nello studentato, Joy aveva iniziato a gironzolare assieme alla sua vicina di stanza.

Era stata conscia del fatto che, il suo essere di origine marocchina, l’avrebbe presto o tardi condotta tra le fauci di coloro che si scagliavano ciecamente contro coloro che non erano americani.

L’aria fredda proveniente dal Labrador stava falciando la costa, quella mattina di dicembre.

Nell’uscire in cortile per raggiungere le stradine inghiaiate che collegavano i vari plessi universitari, Joy sorrise benevola a Haniya, e le domandò: “Notizie dai tuoi?”

Con una scrollatina di spalle, la ragazza si sistemò nervosamente la kefia bianca e nera che portava al collo e, accennato un sorrisino, sussurrò: “Tutto bene, a Marrakech. Volevano più che altro sapere come me la sto cavando io, piuttosto, così ho cercato di rassicurarli.”

La mano di Joy si mosse spontanea per darle una carezza sul braccio, che tratteneva la tracolla della sacca nera che Haniya portava su una spalla.

Dolcemente, le disse: “Sono sicura che loro non subiranno ripercussioni per quanto sta succedendo, e qui hai amici fidati che non ti lasceranno sola.”

Un sospiro sconsolato le uscì dalle labbra carnose e ripiegate verso il basso mentre, poco distanti da loro, un gruppetto di studenti le fissavano con facce distorte da un odio cieco e sciocco.

Haniya aveva vinto una borsa di studio per venire a studiare a Harvard e, trasferitasi in America presso degli zii, si era impegnata anima e corpo per fare fruttare appieno quell’opportunità rara.

Desiderava con tutta se stessa diventare un medico chirurgo, e tornare poi in Marocco per dare una mano alla sua gente.

Pur essendo un paese tra i più sviluppati, nella zona del Maghreb, non godeva comunque dei benefici dati dalla ricchezza di un paese come gli Stati Uniti d’America.

Avere dottori in quantità sufficiente per poter curare tutti, era il suo imperativo primario.

Joy l’aveva sempre sostenuta, fin da quando si erano conosciute e lei aveva scoperto questo suo desiderio.

Quando era avvenuto l’attentato terroristico, si era messa d’impegno ancor più di prima per darle una mano, comprendendo cosa volesse dire essere perseguitate a prescindere.

I ricordi della Santa Inquisizione erano ben chiari in lei, come se fossero avvenuti solo il giorno prima.

Le tante donne che era riuscita a salvare dalle atroci torture, come dal pubblico rogo, non le erano mai sembrate sufficienti.

Troppe erano perite, in nome dell’ignoranza e del cieco servilismo nei confronti di un Dio che mai aveva desiderato simili scempi.

Haniya stava subendo lo stesso tipo di vessazione gratuita, e solo i tempi moderni l’avevano salvata da ben più tragica sorte.

A ogni buon conto, Joy preferiva non farla girare per il campus senza alcuna protezione.

Era più che convinta che, se l’avessero vista da sola, se ne sarebbero approfittati.

Sotto una leggera nevicata, Joy e Haniya oltrepassarono gli alti colonnati corinzi che delimitavano l’ingresso dell’Harvard Medical School.

Dopo essere entrate, si diressero senza indugio verso le aule di studio, infischiandosene di chi, stupidamente, le stava additando.

A Joy poco interessavano quelle manifestazioni di pubblica stupidità, ma trovava ingiusto che Haniya fosse vittima di tali vessazioni.

Avrebbe tanto voluto che la smettessero di darle fastidio.

“L’uomo non è mai stato molto intelligente, lo sai…” intervenne a sorpresa, nella sua mente, la voce sibillina di Rah.

Cercando di non lasciar trapelare la sua sorpresa, Joy mormorò sommessamente: “Speravo che l’evoluzione della specie portasse a dei cambiamenti sostanziali, ma vedo bene che ero troppo ottimista.”

"Sei Fenice. E’ insito in te.”

“Ultimamente, ho forti dubbi sul fatto di essere una brava Fenice.”

“Sai perfettamente anche tu che la piena maturità dei tuoi poteri l’avrai solo intorno ai trent’anni anni. Non incolparti di nulla e, soprattutto, non avercela con Alexander perché ha deciso di darti una mano. Non è un ragazzo sciocco, e aveva capito perfettamente i rischi che correva, quando mi ha permesso di usarlo come tramite.”

“E tu non avresti dovuto proporglielo” tenne a precisare Joy, mentre si accomodava per entrare nell’aula di psicologia.

“E lasciarti morire? Mia cara, allora non mi conosci!” rise Rah, svanendo dalla sua mente con un frullo d’ali.

Con un ‘mpfh’ sbuffato a denti stretti, Joy lasciò perdere e si limitò ad aprire il suo libro e il block-notes per gli appunti.

Non le era passato per la mente che, prendere bei voti all’università e terminare in tempi record gli studi, le avrebbe portato, come diretta conseguenza, una certa dose di popolarità tra gli studenti.

Macinare esami su esami come se nulla fosse, ricevendo lodi sperticate da professori e aiutanti, aveva condotto alla sua porta un’autentica folla di postulanti.

E tutti richiedenti aiuto.

Non le dispiaceva dare una mano, un po’ meno quando le proponevano con candore sconcertante di farli copiare, al che lei rispondeva sempre di no.

Si sarebbe fatta in quattro per coloro che volevano imparare veramente, ma non si sarebbe mai e poi mai piegata alla legge del servilismo.

Non le importava chi fosse a chiedere il suo aiuto.

Non avrebbe mai accettato di dare il suo contributo, se non avesse visto in loro reale interesse o sincera partecipazione.

Non a caso, era invisa a molti, per questo suo comportamento maledettamente onesto, ma a lei poco importava.

Per lo stesso motivo, era anche la paladina dei più retti e probi tra gli studenti.

In parole povere, nel bene e nel male, si parlava di lei, a Harvard.

 
***

Addentando un sandwich al pomodoro e tonno, seduta su una delle panchine del parco adiacente l’università, Haniya masticò irritata per qualche secondo prima di bofonchiare: “Giuro che, se potessi, li friggerei in padella.”

Con una risatina, Joy si bevve un po’ di succo di frutta al lampone, lo sistemò in equilibrio tra le gambe e, dopo aver scartato il suo hamburger, chiosò: “I fritti fanno ingrassare.”

Il ghigno di Haniya fece risaltare i suoi denti bianchissimi sulla pelle color caffelatte.

Sistematasi una trecciolina dietro la spalla, la ragazza marocchina replicò alla sua battutina: “Credimi, varrebbe la pena di mettere su qualche chilo, pur di liberarsene.”

“Secondo me, hanno un pessimo sapore, anche da fritti. E dire che, frittengo le cose, risulta buono tutto” ribatté Joy, addentando il panino.

“Uhm, forse hai ragione tu. Allora, potrei confezionarci delle copertine per i libri” ipotizzò allora Haniya, sollevando un dito verso l’alto non appena le balenò in mente quell’idea.

“Oh, sì, come La danza della morte*… il libro che hanno alla Brown, giusto?” annuì divertita Joy, ammiccandole complice.

“Esatto. Sarebbe un’idea carina per Natale, non ti sembra? Elegante, raffinato e di gran stile” continuò a dire Haniya prima di scoppiare a ridere con Joy.

Quando le risate scemarono e le due ragazze tornarono con i piedi per terra, Joy le chiese: “Che hanno detto, stavolta?”

“Quando mi hanno vista che compravo un sandwich al bar, mi hanno detto che non potevo prenderlo, perché non dovrei mangiare carne” le spiegò la ragazza, sollevando gli occhi al cielo. “Che avrei dovuto dire?”

“Che erano degli idioti? Che il tonno non c’entra niente con il maiale? Nah. Neppure ti avrebbero sentita. Lascia stare. Prima o poi, la gente capirà che questa ostilità gratuita non serve a niente” sentenziò bonariamente Joy, dandole una pacca sulla coscia.

“E’ snervante, però” ammise Haniya, reclinando il capo a fissare quel che rimaneva del suo sandwich smozzicato.

“Lo so” annuì Joy, rammentando fin troppo bene ciò che le era successo nelle epoche passate e ciò che, in quei primi anni della sua nuova vita, il professor Thomson le aveva fatto passare.

Complice la distanza che li separava, non aveva più sentito parlare di lui, né si era più sentita minacciata dalle sue ricerche.

Dubitava comunque fortemente che avesse smesso di cercare: semplicemente, stava aspettando il suo ritorno per tornare a tenerla sott’occhio.

Non sperava neppure lontanamente che lui avesse accantonato l’idea di scoprire la sua reale identità, ma non aveva nessuna intenzione di farsi rovinare la vita, e i piani, da quell’uomo.

Se fosse stato del tutto necessario, lo avrebbe affrontato a quattr’occhi, e avrebbe cercato di fargli capire il suo punto di vista.

Solo in un caso, sarebbe ricorsa ai suoi poteri.

Ma, a quel particolare frangente, non voleva neppure pensare, e per più di un motivo.

In primis, non voleva danneggiare la mente di nessun mortale e, secondo, non avrebbe mai voluto dare un dolore a Morgan.

Per quanto fossero tesi i loro rapporti, dubitava fortemente che avrebbe preso bene un eventuale incidente occorso a suo padre.

No, meglio non pensare a quell’ipotesi.

“Torni a casa, per Natale?” le chiese di punto in bianco Haniya, finendo il suo sandwich.

“Sì. Con Alex. Ha detto che sarebbe passato a prendermi una settimana prima, e che avremmo fatto un viaggio in auto per raggiungere casa. Non ti sembra una bella idea?” le disse Joy, tutta contenta.

“Wow! Un coast-to-coast davvero degno di nota! Ma come viene qui? E’ in zona?”

“Sta lavorando a un caso a New York con una sua collega e, da quel che mi ha detto, terminerà tutto prima delle vacanze natalizie. Così, gli è venuta l’idea del viaggio on the road” le spiegò succintamente Joy, appallottolando la cartina dell’hamburger non appena l’ebbe terminato.

“Tuo cugino è un mito. Ha già la ragazza?” ridacchiò Haniya, afferrando la carta di Joy prima di gettarla nel cestino assieme alla propria.

“Ha già una donna che gli fa palpitare il cuore” ammise Joy, facendo spallucce.

“Oh. E lei non è caduta ai suoi piedi? Ma che le dice la testa?” esalò sorpresa Haniya prima di afferrare le spalle di Joy e, tirandola verso il basso, urlare: “Giù!”

Una palla di neve le sfiorò di pochissimo, andando a schiantarsi contro un albero vicino mentre, il fautore del tiro, se la rideva di gusto, già pronto per il bis.

Inviperita come poche altre volte, Joy fu lesta a piegarsi su un ginocchio, raccogliere un po’ di neve e lanciare una bordata poco prima dell’avversario.

Forte del suo braccio e della sua vista da falco, Joy sferrò un lancio degno della Major League.

Con precisione millimetrica, la palla andò a centrare in pieno la faccia del loro assalitore.

Impreparato alla potenza del tiro, il ragazzo scivolò sull’assito bagnato e finì gambe all’aria, sotto gli sguardi divertiti di parecchi studenti.

Non contenta, Joy afferrò la sua sacca e si avviò a grandi passi verso di lui – tallonata dappresso da Haniya – , macinando metri su metri sulla neve appena caduta.

Quando lo raggiunsero, il ragazzo si stava risollevando, inondando l’aria con un mare di imprecazioni.

Passata la sacca a Haniya senza neppure guardarla, Joy poggiò le mani sui fianchi, fissando aspramente il ragazzo che le aveva prese di mira.

Un piccolo capannello di gente, nel frattempo, si andò addensando attorno a loro per curiosare sulla ‘scena del crimine’.

Il ragazzo in questione, una matricola del primo anno che Joy aveva visto solo un paio di volte, rispose al suo sguardo con uno altrettanto accigliato.

Passandosi nervosamente le mani sui calzoni bagnati, bofonchiò: “Mi hai fatto male.”

“E tu hai provato a farlo a noi” precisò Joy, glaciale.

“Beh, lei se lo meritava!” ringhiò il giovane, indicando Haniya con fare spavaldo.

“E perché, sentiamo?” ritorse Joy, fissandolo arcigna.

“Beh,… perché è una sporca musulmana!” le rinfacciò con un gran ghigno stampato in faccia.

Sollevando un sopracciglio con evidente fastidio, Joy si limitò a dire: “Ma pensa un po’! Anche Malcom X era musulmano. Eppure, tu porti una felpa con la sua faccia stampigliata sopra. Ti vesti con le facce di persone che odi?”

Preso in contropiede, il ragazzo lanciò un rapido sguardo alla felpa che si intravedeva sotto il parka e, affrettatosi a chiudere la giacca, ringhiò: “Non c’entra niente.”

“A me sembra di sì. Se ti sei messo una felpa di Malcom X solo perché sei afroamericano, ma non sai un accidente di ciò che diceva e pensava lui, sei solo un fesso. E i fessi dovrebbero stare zitti, non criticare gli altri senza sapere quel che dicono” dissertò con calma olimpica Joy, fissandolo con sufficienza.

Dei cori di assenso si levarono tra i presenti mentre il ragazzo, sempre più agitato, fissava Joy con rabbia manifesta.

Imperturbabile, Joy riprese la sua dissertazione.

“Te la sei presa con lei perché è musulmana. Ma, forse, non hai tenuto conto di un fatto; al WTC sono morti cristiani, ebrei, musulmani, induisti, atei, agnostici. Nessuno escluso. Bianchi, neri, gialli, … nessuna distinzione, né di sesso, né di età, né di estrazione sociale. Sono morti e basta.”

Un altro assenso generalizzato, mentre un paio di mani davano delle pacche consolatorie sulle spalle di Haniya.

Ritenendosi soddisfatta, Joy terminò di dire: “Prima di fare di tutta un’erba un fascio, io ci ragionerei un po’, non ti pare?”

Il ragazzo non disse nulla, limitandosi a raccogliere da terra la sua sacca prima di andarsene via a grandi passi lungo lo stradello.

Il capannello di gente radunata attorno a loro, nel frattempo, scoppiò in una risatina collettiva. Il peggio sembrava passato.

“Avresti una carriera come avvocato, Patterson!” fischiò un ragazzo tra la folla, strizzandole l’occhio.

Joy ridacchiò di quel commento, replicando: “Ne abbiamo già uno in famiglia, e basta e avanza.”

“Se cambiassi idea, sarò il tuo primo cliente!” ribatté il ragazzo, affiancando Haniya e guardandola con fare ammiccante. “Quanto ti costa, per un’arringa simile?”

“Un caffè allo Starbucks, di solito” dichiarò con un risolino la ragazza.

“Uhm, è anche a buon mercato. Ottimo!” sogghignò il giovane, prima di allungare una mano verso Haniya e dire: “Chad Fletcher, tanto piacere. Faccio parte del comitato ‘Salviamo l’America dall’idiozia’. Ti vuoi iscrivere?”

Mentre il capannello di gente andava disperdendosi, Joy e Haniya risero di fronte a quel nome così strambo e, quasi contemporaneamente, esalarono: “Ma esiste davvero?”

“Ehi, pure stereofoniche! Siete grandi!” sogghignò Chad, tornando serio subito dopo. “In quanto al gruppo, esiste davvero, ma non si chiama così. Ci riuniamo ogni venerdì nella biblioteca dell’università, e teniamo dei comizi per parlare di come l’11 Settembre abbia cambiato le nostre vite.”

Si grattò una guancia fresca di barba, indeciso forse su cosa dire prima ma, alla fine, dichiarò: “Tramite questi scambi di opinioni, cerchiamo di dare una mano a chi ne ha bisogno. Ci chiamiamo ‘Comitato per i diritti di tutti’. E’ un po’ pretenzioso, ma è ciò che vogliamo ottenere. Se vi va di partecipare, dite che vi mando io. Iniziamo alle nove di sera.”

“Sembra interessante” annuì Joy, rivolta all’amica.

“Verremo volentieri” asserì allora Haniya, sorridendo a Chad che, ben lieto dell’assenso ricevuto, strinse loro le mani con fervore.

“Vi prometto che vi piacerà. A venerdì, allora!” esclamò Chad a gran voce, andando via di corsa dopo aver dato un buffetto sulla guancia a Haniya.

Joy fissò un momento l’amica, poi spostò lo sguardo verso l’alto e prestante Chad e, con ironia, celiò: “Sento puzza di bruciato.”

“Io sento puzza di neve, invece. Sta per ricominciare, e non ho intenzione di arrivare in camera bagnata come un pulcino” precisò Haniya, restituendole in fretta la sacca prima di voltarle le spalle e dirigersi a grandi passi verso il dormitorio.

Ridacchiando sommessamente, Joy si limitò a seguirla, preferendo lasciare a un secondo momento il suo terzo grado.

 
***

Quando anche l’ultimo bagaglio fu pronto, Joy si volse a fissare una sorridente Haniya che, le mani strette attorno a una sciarpa di lana color salmone, le disse con voce rotta: “Sarà un dramma stare lontane per quasi un mese. Telefona, mi raccomando.”

“Ovvio, amica mia” annuì Joy, avvicinandosi a lei per abbracciarla. “E grazie per il regalo.”

Con un risolino, Haniya scosse una mano come per non darle ascolto ma Joy, sollevando la bella collana che aveva al collo, replicò: “Davvero. Mi piace un sacco!”

“E’ solo un ninnolo della nostra tradizione. La mano di Fatima protegge contro il malocchio, tutto qui” le spiegò Haniya con un sorriso imbarazzato.

“Beh, a me piace un sacco” sentenziò Joy, rigirandosi tra le dita il fine gioiello in argento, decorato con filigrana sapientemente lavorata.

“E a me piace la tua sciarpa. Dovrai insegnarmi come si fa, perché io non sono capace” disse allora Haniya, drappeggiandosela infine intorno al collo.

“Volentieri” annuì Joy, prima di sentire il cellulare squillare una sola volta. Alex. “E’ arrivato il passaggio.”

“Ti aiuto a portare fuori le valige” le propose Haniya, afferrandone una.

“Grazie” sussurrò Joy, chiudendosi alle spalla la camera dello studentato per dirigersi, assieme all’amica, verso le scale che conducevano dabbasso. “Starai con gli zii, o torni a casa per un po’?”

“Questo e quell’altro. E poi…” con un risolino, aggiunse: “… Chad ha detto che vorrebbe vedermi. Siamo d’accordo di trovarci al Rockfeller Center per Capodanno. Andremo a vedere assieme la parata in Fifth Avenue.”

“Ohhh. Ottimo!” esclamò Joy, tornando ad abbracciarla poco prima di aprire le porte a vetri per uscire dal dormitorio.

Fuori, sulla strada imbiancata di fresco da una leggera nevicata, si trovava Alex.

Appoggiato svogliatamente al cofano di una Bmw grigio metallizzata che Joy non aveva mai visto, sorrise alle due ragazze, accennando un saluto con la mano.

Quando si furono avvicinate a sufficienza, Joy e Haniya dissero quasi in coro: “E questa?”

Alex ridacchiò del loro commento e, sollevandosi con grazia, si sistemò il cappotto color cammello prima di dare una pacca al cofano lucido dell’auto, dichiarando: “E’ il compenso per il buon lavoro svolto. Mica male come commessa, eh?”

“Per la miseria, direi proprio di no!” esclamò Joy, osservando la Bmw 328i che le stava dinanzi in tutta la sua smagliante bellezza.

“Beh, complimenti Alex. Davvero bellissima” esalò Haniya, tutta sorridente.

“Grazie, Haniya. Lascia, prendo io la valigia di Leen” la ringraziò il giovane avvocato, allungandosi per prendere la borsa che ancora la ragazza teneva tra le mani.

“Oh… grazie a te.”

In un lampo, Alex caricò tutti i bagagli sulla vettura dopodiché, scrutate le due ragazze con un gran sorriso, disse: “Bene. Io partirei. Come siete messe, a saluti?”

“Già fatto” ridacchiò Joy, volgendosi verso l’amica per aggiungere: “Buone vacanze, allora.”

“Anche a voi. Fate buon viaggio” mormorò la ragazza, abbracciando sia Joy che Alex.

Fatto ciò, i due giovani salirono sull’auto, mentre la loro amica li salutava con un cenno della mano.

Il motore rombò non appena la chiavetta venne girata e Alex, ingranata la prima, sorrise alla cugina, dicendo: “Si parte!”

“Evvai!” esclamò Joy, prima di chiedergli: “Allora, vuoi dirmi il perché di questo viaggio?”

Immettendosi nella via principale, dopo aver controllato che non vi fossero auto che sopraggiungevano da destra e da sinistra, Alex inserì la terza e dichiarò: “Voglio conoscere Fenice.”

“Come?” esalò Joy, sgranando gli occhi smeraldini, colmi di sorpresa.

Accennandole un sorriso mentre prendeva velocità, diretto verso la Huntington Avenue e da lì, fuori città, in direzione dell’interstatale 90, Alex le spiegò meglio.

“Conosco Leen da più di diciannove anni, ma non so quasi nulla di Fenice, se non ciò che c’è scritto su internet. Io vorrei sapere di più su di lei, dalla sua bocca.”

“Ti andrebbe davvero?” chiese allora Joy, illuminandosi in viso.

“Sì” assentì Alex, scoppiando a ridere un attimo dopo. “Papà e mamma mi hanno dato del pazzo, quando ho detto loro che saremmo tornati a questo modo.”

“Sarà un viaggio bellissimo” replicò Joy, reclinando verso di lui per sfiorargli la spalla col capo. “Ti racconterò tutto ciò che vorrai sapere.”

“E’ importante, per me” ci tenne a dire Alex, sorridendole.

“Anche per me lo è. Saresti la prima persona in assoluto, a sapere tutto di me. La prima in tutte le mie vite” ammise Joy, sorridendo imbarazzata.

“Speravo fosse così” ammiccò Alex, imboccando la corsia di accelerazione per raggiungere l’interstatale, mentre l’agglomerato urbano di Boston si allontanava sempre più alle loro spalle.

“Pensavo di fermarmi a Buffalo, stanotte, se ti va bene” aggiunse dopo un attimo.

“Non ci sono problemi. Hai già fatto una tabella di marcia, per caso?” gli chiese, prima di vederlo indicare il cassetto portaoggetti che aveva dinanzi a lei.

Apertolo, Joy si ritrovò per le mani opuscoli di alberghi di almeno dieci Stati.

Ridendo, li aprì uno dopo l’altro, adocchiando foto di camere, di ampie facciate, di ospitali salette da pranzo, tutti disposti su una linea immaginaria che collegava Boston a Lincoln City.

“Direi che questo risponde alla mia domanda” chiosò Joy, rimettendo tutto in ordine.

“Non stiamo più insieme, ultimamente, e mi mancava il nostro cameratismo” le spiegò Alex, accelerando non appena trovò l’interstatale sgombra.

“Anche a me mancano i nostri pomeriggi passati a chiacchierare” ammise Joy, dandogli una pacca affettuosa sulla mano, che teneva sul pomo del cambio. “Com’è andata questa trasferta con Susan?”

“Abbiamo litigato” sogghignò Alex.

“Sai che novità” esalò Joy, scuotendo il capo. “Non ti avevo detto di fare finta di nulla, con lei? Devi ignorarla.”

“Non è facile, quando ti pianta il suo ditino indice - corredato da unghia sapientemente laccata di rosso - sotto il naso, e te lo rigira minacciosamente a qualche millimetro di distanza, dicendoti le peggio cose” precisò Alex, accigliandosi leggermente.

Uomini. Siete capaci di spaccare il mondo in due, a parole ma, quando vi ritrovate davanti una donna tosta come voi, andare in poltiglia” sbuffò Joy, falsamente disgustata. “Da quel che ho capito di Susan, è più che interessata a te, ma devi renderle le cose difficili! Ora gioca al gatto col topo, perché tu glielo stai concedendo… falle capire che non è detto che tu sia poi così interessato, e  vedrai che cambierà atteggiamento.”

“Domanda: ma non potrebbe semplicemente dirmi che ci vuole stare, con me? Sempre che tu abbia ragione?” chiese seccato Alex, accigliandosi.

“Da quando, la mente di una donna è lineare?” sentenziò Joy, serafica.

“Già. Perché l’ho chiesto? Stupido io che ho fatto questa domanda” bofonchiò lui.

Con un risolino, Joy cercò di consolarlo.

“E’ probabile che sia solo timida. Molte persone timide tendono a diventare aggressive, quando sono imbarazzate. Coglila di sorpresa. Ignorala completamente, oppure dimostrale brutalmente cosa provi. Ma, in ogni caso, devi fare qualcosa che lei non si aspetta.”

“Cosa intendi per ‘brutalmente’, scusa?” le chiese, sollevando un sopracciglio a scrutarla con interesse.

“La prima volta che siete da soli in ufficio, bloccala contro il muro e baciala senza lasciarle spazio per la fuga, o per qualsiasi altra cosa. Di certo, questo la spiazzerà” ridacchiò Joy.

“Sì, oppure mi piazzerà un pugno nei denti. Susan è cintura nera di karate, se proprio vogliamo essere precisi. Rischio di finire steso a terra nel giro di mezzo secondo” brontolò Alex, serio in viso.

“Io dubito seriamente. Anzi, sarà più facile che ti si avvinghi addosso come un polipo” ipotizzò Joy, prendendosi per diretta conseguenza un piccolo schiaffetto sul ginocchio.

Con l’abbozzo di un sorriso, Alex esalò: “Dio, non ce la vedo a fare una cosa simile, ma… beh, sarebbe divertente. Ma da dove ti vengono, certe idee? Hai sperimentato di persona?”

Arrossendo suo malgrado, Joy scosse il capo, ma mormorò sommessamente: “Quando hai interrotto Morgan, sulla spiaggia, stava succedendo qualcosa del genere. Mi ha sorpresa a guardia abbassata, e io non sapevo più che fare.”

“Avresti voluto che ti baciasse?” le chiese, ora del tutto serio.

“L’ha… l’ha fatto qualche giorno più tardi, nel negozio di Craig. Non volevo, però… beh…”

Ora completamente paonazza, si coprì il viso con le mani e sussurrò: “Mi è piaciuto, dannazione a lui! Avevo il cervello completamente fuori uso!”

“E’ stato gentile? O ti ha prevaricata?” volle sapere lui.

“Gentile, delicato, sfacciatamente sexy. Devo aggiungere altro?” bofonchiò Joy.

“No, grazie. Non ci tengo a sapere altro, sulla faccenda” tossicchiò imbarazzato Alex, prima di ridacchiare. “Però, sono contento che l’abbia fatto. Credo che, nonostante tu dica il contrario, sia carino che qualcuno ti ami a quel modo.”

“Ma non posso ricambiarlo, e  questo mi uccide!” esalò Joy, spiacente. “Tu non sai come mi ribolle il sangue, quando sono vicina a lui. E’ come, se ogni cellula del mio corpo, urlasse: ‘vattene, vattene!’… e io, lì a chiedermi come scappare da lui.”

“Cosa credi che possa succedere? Con Rah non è esploso il mondo, mi pare, no? Eppure, ci sei anche andata a letto, da quel che ho capito” tenne a precisare Alex, mantenendo un tono di voce molto serio.

“Lui era un dio. Era una faccenda molto diversa. Inoltre, non mi è mai capitato prima, di provare simili sentimenti per qualcuno. Amore filiale sì, e già quello mi ha causato dei guai, in passato, ma qualcosa del genere… davvero mai” sospirò Joy, reclinando il capo.

“Non ti sei mai innamorata di un uomo, a parte Rah?” le chiese, sinceramente sorpreso.

"Con Rah, era qualcosa di molto particolare. Qualcosa che andava oltre l’amore. Era come se fossimo i due lati della stessa medaglia… era giusto che stessimo assieme, tutto qui. Con Morgan… non so. Lui è umano e, in quanto tale, precluso al mio sguardo. Non posso avere delle preferenze per qualcuno in maniera così totalitaria. Devo essere coerente e, con lui, non riesco a esserlo. Vorrei dargli il mondo intero un momento e, il momento dopo, romperglielo in testa. Decisamente improponibile, ti pare?” cercò di spiegarsi Joy, muovendo nervosamente le mani.

“Questa è la descrizione tipica di una sbandata coi fiocchi, tesoro” commentò Alex, con un mezzo sorriso. “Ma ti lascerò crogiolare nella tua autocommiserazione. Se dici che non sei mai stata innamorata di nessuno a questo modo, come puoi dire che non devi esserlo? Dove sta scritto?”

Basita, Joy ristette in silenzio per alcuni attimi prima di esalare: “Me lo dice il sangue! Il cuore! Il cervello! Ogni più piccola parte di me, che mi intima di allontanarmi da lui!”

“Questa si chiama fifa, sai?” le mise sotto il naso Alex, sconvolgendola.

“Non sai di cosa stai parlando” bofonchiò Joy, irritandosi.

Alex si limitò a ridere e, dopo aver dato un’occhiata all’espressione accigliata della cugina, sentenziò: “Lasciamo stare l’argomento, va bene? Voglio passare una bellissima settimana con te, non farti venire il broncio. Non nominerò più Morgan, okay?”

“Affare fatto” annuì una sola volta Joy.

“Andata. E ora dimmi: cosa vorresti per pranzo?”




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Note:   * Libro realmente esistente, presente nella Brown University e rilegato in pelle umana.
  
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