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Autore: erydia    04/03/2012    2 recensioni
“Mamma, Papà …” chiesi guardandomi intorno “ma state già per ripartire?” Insomma, io li andavo a trovare e loro partivano? Gran bei genitori che mi ritrovavo.
“Veramente stiamo per ripartire” evidenziò mio padre.
“Si, ho capito che tu e la mamma state per ripartire.” Sbottai confusa“ma vorrei sapere per dove!”
“Andiamo tutti a Charlotte” urlarono all’unisono i miei genitori, felici come una pasqua mentre il mio sguardo, lo sapevo bene, si faceva più terrorizzato che mai.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti,
innanzitutto mi scuso con chi legge questa storia, per essere sparita così all'improvviso. Alcune volte vedere 0 recensioni ad una storia che per te è importante, ad una storia nata a fatica, ad una storia che io credo non sia da buttare ... beh, l'ispirazione o meglio (visto che prima di postare avevo già scritto un paio di capitoli) la voglia di postare. Io ho preso l'impegno di scriverla e portarla a termine verso me stessa, con la speranza che ci sia qualcuno che l'apprezzi. Spero davvero che in un piccolo angolo remoto del web, ci sia qualcuno che apprezzi questa storia e in anticipico vi ringrazio.
NB: questo capitolo l'ho scritto durante i funerali del SIC, quindi vorrei proprio dedicarlo al grande campione.

 

 

 


ARIA POV
Lo specchio rifletteva la mia anima, un’anima nera e lacerata dal dolore. Lo stesso che di solito rifletteva i miei veri e finti sorrisi, ora era come vuoto. Guardavo il mio riflesso e ci vedevo il vuoto,  mi sentivo allo stesso tempo stupida perché restavo lì a contemplare la mia immagine, invece di andare da lui. Mi sentivo così maledettamente in colpa che avrei voluto smettere anche solo di pensare per un secondo.
“Aria, è ora di andare”
La voce di James, arrivò come una lama tagliente dentro il mio petto, pronta a conficcarsi nel mio cuore. Una lama che però, non mi avrebbe ridato Alex.
“Io non vengo …” mormorai continuando a spazzolare i miei capelli o, quello che ne rimaneva. Alla notizia della sua morte, volevo anch’io liberarmi di qualcosa a cui tenevo tanto. Alex aveva perso la vita, io potevo solamente perdere i miei capelli. Non sarebbe servito a niente, questo lo sapevo bene, non me lo avrebbero ridato … ma sarebbe comunque servito a farmi stare meglio con me stessa. Io che ancora, mi sentivo totalmente, incondizionatamente in colpa. “Perché se vengo, vorrà dire che lo avrò perso per sempre” nel mio tono di voce non c’era emozione. Ero morta dentro mentre fuori continuavo a vivere. “che lui non ritornerà”.
Potei giurare di sentire James sedersi sul letto, prendere un cuscino su cui ci aveva conficcato le unghie e tirare un lungo e sconsolato respiro. Era forte, doveva essere forte, per entrambi. Ma anche lui stava soffrendo, lo si leggeva nella sua anima.
“Dobbiamo andare, glielo dobbiamo” sospirò affranto.
“Perché?” lanciai la spazzola in un punto indefinito della stanza, prima di voltarmi verso di lui. Ero arrabbiata, anzi no infuriata e lui non poteva dirmi quelle cose. Perché Alex non doveva morire, lui me lo aveva promesso e invece si era lasciato vincere dalla morte, lui non aveva combattuto … non aveva tenuto fede alla sua promessa. “Io non ci metterò piede in quella chiesa. Io non ci credo più”
“E’ la rabbia che ti fa parlare” rispose in tono calmo. Porca Eva, odiavo quella sua calma.
“No, non è la rabbia” urlai mentre calde lacrime scendevano a bagnarmi le guance senza che facessi nulla per trattenerle. Che senso aveva farlo? “E’ la consapevolezza che uno dei miei più cari amici, sarà dentro una bara. Sotterrato sotto metri di terreno e a lui faceva anche schifo il terreno” Il dolore s’impossessò di nuovo del mio corpo. Non riuscivo a contrarre un muscolo e così mi lasciai andare. Caddi inginocchiandomi sul pavimento gelido prima di scoppiare a piangere in modo irrefrenabile. Tutti meritavano di vivere, ma lui lo meritava di più. “Lui non doveva morire perché lui era … era …” e senza che pronunciassi altro, sentii due braccia forti circondarmi e un petto caldo a cui aggrapparmi.
 
 
“La morte non è altro che una finestra sull’oblio” il prete continuava a parlare ma non credevo che qualcuno lo ascoltasse. Tutti eravamo un po’ troppo impegnati ad osservare quella bara grigia. Non capivo perché non fosse di un colore bianco ma poi mi ricordai all’istante che Alex odiava il bianco, lui amava i colori vivaci e vedere un colore morto al suo funerale era straziante. Al mio fianco immancabilmente c’era James. Mi strinse la mano perché in quel momento era lui a voler aggrapparsi a me. Poggiai la testa sulla sua spalla cercando di trattenere le lacrime, non volevo piangere … lui doveva lasciarci col sorriso. “Il nostro amato, amico Alex, ci proteggerà lassù vegliando sempre su di noi”.
Sentii la mano di Allyson poggiarsi sulla mia gamba. Quel giorno, avevamo messo da parte le nostre divergenze e ci eravamo seduti vicini. C’eravamo io, James, Allyson, Nathan, Roxy e tutti gli altri. Eravamo lì solo ed unicamente per Alex. Tirai un lungo sospiro mentre l’unico suono che si sentiva in quel luogo freddo, era la voce del prete. Una voce che non volevo più ascoltare, perché il mio unico pensiero si trovava in quella bara.
Alex!
Gli avevo lasciato prendere parte del mio cuore e mentre me lo strappavo dal petto, lui lo reclamava. Era buio nella mia testa ed io mi sentivo sfinita mentre mi aggrappavo al mio amico di sempre, sentendo le ginocchia decisamente troppo deboli. Tutte le cose che diceva non erano vere, e ora lui non c’era più. Chiusi gli occhi lasciandomi cullare dal respiro mozzato di James, lui che era l’unico a cercare di infondermi coraggio.
“Ricorderemo il nostro amato figlio, tramite le parole dei suoi amici”
“Aria, tocca a te”
Non seppi realmente chi parlò. Alzai la testa di scatto, non senza aver avuto vertigini, e guardai Ally. “Cosa?”
“Tocca a te parlare” disse in modo dolce.
“No” scossi la testa “Non me la sento”
Sentivo lo sguardo di tutti i miei “amici” posarsi sul mio volto spaventato, ma loro non potevano realmente capire cosa io stessi passando. Passarono i secondi, e nessuno osava parlare. Nemmeno il prete con quel suo assurdo monologo. Cosa ne sapeva lui di Alex? Lui non sapeva niente!. Poi ad un tratto, il sole illuminò il buio della mia testa. Nathan si alzò, mi tese la mano mentre i nostri occhi si fondevano insieme. Tutt’uno, un'unica realtà.
“Insieme okay?” mormorò sotto gli occhi sgranati di Roxy “Per Alex, perché noi due eravamo i suoi migliori amici …” deglutì “perché glielo dobbiamo”.
Presi la sua mano nella mia, trovando la forza di cominciare.
“Alex, era uno dei miei più cari e vecchi amici” chiusi gli occhi cercando di riprendere fiato, sentendo la presenza di Nathan al mio fianco. Avevo preso sia il  possesso del mio corpo che il coraggio di parlare davanti a tutte quelle persone, venute lì per salutare l’ultima volta il nostro amico. “Diobò, quanti siete” mi lasciai andare in un sorriso, che però assomigliava più ad uno sbuffo “avrebbe detto questo”
“Puoi farcela” bisbigliò Nathan.
“Gli angeli vengono solo se tu li preghi e quando arrivano ti guardano, ti sorridono e se ne vanno per lasciarti il ricordo di un sogno lungo una notte, ma che vale una vita”
***
“Alex aspetta, non correre”
“Raggiungimi fifona”
“Io non sono una fifona, è solo che …”
“che?”
“okay, ho paura. Ma non puoi farmene una colpa” mormorò una bimba abbassando lo sguardo.
“Tranquilla, ti proteggerò io”
***
In quel momento, tanti piccoli flashback affollavano la mia testa. Involontariamente, strinsi la mano di Nate che fu lì pronto ad accogliermi. Dovevamo essere forti insieme, per superare una tragedia del genere.
“Alex, era sempre stato il più allegro nel gruppo. Sempre pronto ad ascoltare, perdonare e sorridere. Con lui non c’è mai stato silenzio, quello stesso silenzio che ora ha il volto delle cose che abbiamo perduto” Non ce la facevo a continuare. La mia bocca doveva tirar fuori parole troppo dolorose. Guardai la sua bara e capii che lui se lo meritava. “Non riesco ad immaginare che sapore avranno d’ora in poi le nostre giornate. Siamo qui senza di lui, ma lui sarà sempre nei nostri pensieri. Che cosa brutta Alex, tu puoi vederci e noi no.” Non riuscivo più a fermarmi, era come se davanti a me non ci fosse che il suo viso. Quel volto che avrei voluto prendere a pugni, per il gusto di sfogarmi. Quel volto che non avrei visto invecchiare, quel volto che mi mancava maledettamente. In quel momento io, Aria Sofia Evans, non ero più in quella chiesa ma in un luogo dove solo la mente poteva arrivare.
“Aria …”
“Perché lo hai fatto eh? Cosa ci trovavi di così bello nella morte? Cosa aveva lei più di noi?” le lacrime scendevano, bruciando la mia pelle come fosse veleno. “Tu che avevi così tanta voglia di vivere, tu che avevi sopravvalutato questa vita che io spero un giorno possa migliorare.” … “Tutto quello che so e che posso giurarti, Alex, è che ovunque io andrò, chiunque incontrerò nella mia vita beh .. nonostante tutto io non ti dimenticherò mai. Nessuno porterà via la nostra amicizia, nemmeno la morte”
Abbassai lo sguardo, lasciai con riluttanza la mano di Nate e scappai via da quella chiesa. Parlare della morte, non sarebbe servito a niente. Era come parlare di denaro, non sapevamo né il prezzo né il valore.
***
“Io odio Nathan”
“No tu non lo odi”
“E tu che ne sai?”
“Ti conosco bene, Aria”
“Io invece credo che tu non mi conosca così bene, Alex” esclamò con una linguaccia.
“Scommetti?”
“Vuoi sfidarmi per caso?”
“Paura?”
“Ti piacerebbe”
E continuarono a punzecchiarsi così, per un tempo che parve infinito.
“Forse è vero …” mormorò ad un certo punto Aria
“Che sono più forte di te o che ami Nathan?”
“Un po’ e un po’”
“Aria …”
“Si?”
“Qualunque cosa tu deciderai di fare, io l’approverò”
“Grazie …”
“Quando vuoi” sorrise
“E … aehm, Alex?”
“Un giorno ti batterò” sorrise
“Continua a sognare”
***
Mi volevo allontanare il più possibile da quella chiesa, ma in realtà mi stavo allontanando da quel mondo che mi aveva ferita. Il mio cuore si era frantumato, il mio cervello non ragionava più e le mie gambe erano spinte da qualcosa di più forte. Dovevo scappare via, o sarei stata vinta dai miei sentimenti. Quelle stesse emozioni, che mi avevano fatto crollare già una volta. Io dovevo essere forte, non c’era un perché ma era così e basta. Non potevo più restare lì dentro, Alex lo avrebbe capito e accettato, come avevamo fatto NOI con lui.

NATHAN POV
Era scappata dall’altare, dalle sue paure. Ma più si allontanava e più allo stesso tempo si avvicinava, il mondo (io lo sapevo) era tondo. Conoscevo Aria più di quanto conoscessi me stesso. Avevo conosciuto le sue paure più grandi, i suoi desideri e più di tutti il suo cuore. Dovevo ritrovarla, non si sarebbe perdonata mai l’aver abbandonato la chiesa il giorno dei funerali di Alex. Non ero certo di tante cose, ma Alex era un grande amico e prima di tutto un grande amico. Io ed Aria lo stimavamo molto, gli volevamo bene ed avevamo imparato a conoscere il suo “io” interiore. La vita, sarebbe stata dura da quel giorno in poi. Scesi frettolosamente gli scalini dell’altare di quella piccola chiesa a Charlotte, fermandomi in mezzo al lungo corridoio. Sentivo gli occhi di Roxanne puntati su di me ma non avevo il tempo materiale di darle spiegazioni. E così, senza pensare alle conseguenze, corsi fuori dalla chiesa alla ricerca dell’unica persona con cui avrei voluto passare quel giorno. ARIA.
Non mi fu difficile trovarla, era lì seduta su una panchina abbandonata, nel parco che seguiva la chiesetta. Una folata di vento fece muovere le piccole altalene creando un rumore sinistro. Rabbrividii a quel suono ma non ci feci poi tanto caso, la mia prerogativa era rannicchiata su quell’ammasso di ferraglia e dondolava nella speranza di cullarsi.
Mi fece male vederla così triste.
Mi fece male saperla senza di me.
Mi fece male vederla in quello stato.
Mi fece male, non poterla stringere a me.
“Ehi tu, ragazza” mormorai avvicinandomi a lei.
In risposta, Aria si limitò ad alzare la testa, a fare un piccolo cenno col capo e a riabbassarla quasi contemporaneamente. Non aveva voglia di parlare e lo capivo bene, ma non potevo accettare il fatto che si chiudesse in se stessa. Quello era un dolore che dovevamo affrontare tutti insieme.
“Come hai fatto a trovarmi?” bofonchiò giocherellando (beh più che giocare, torturava) con un piccolo fiore.
Sorrisi della sua ingenuità. “Questo non ha importanza” mormorai abbassando il capo.
“Non ha importanza?” mi chiese con quella voce intrisa di tristezza. Come poteva una ragazza così solare, essere stata ridotta in quello stato? Deglutii, passandomi una mano tra i capelli. Avrei così tanto voluto aiutarla!
“No, io non credo”
“Nate …” mi guardò negli occhi e quello sguardo mi fece morire dentro. I suoi occhi, le sue mani, le sue labbra erano droga per me. Ne ero uscito, ma ogni volta che il mio sguardo si posava sul suo, ritornavo ad essere dipendente. E gli schiavi dell’amore, erano destinata a morire e resuscitare ogni volta che si trovavano accanto all’oggetto del loro amore. “Tu mi avresti trovata comunque?”
“Sempre” e Aria per me era Terra,Sole e Cielo. La mia droga preferita, la droga da cui non riuscivo a perdere la dipendenza. Avrei voluto scomparire, scappare e andare da Roxy perché il mio posto era con lei ma le mie gambe rifiutavano di muoversi, per loro era quello il mio posto.
“Mi salveresti?” quella sua domanda, mi apparve più come una richiesta di aiuto. Lei mi stava implorando e vederla lì, in quello stato, lacerava il mio petto.
Mi avvicinai a lei, in modo lento e calcolando ogni mio singolo passo. Mi abbassai e in quel momento i nostri sguardi erano alla stessa altezza. Guardai i miei occhi riflessi nei suoi e ci vidi soltanto tristezza. La morte di Alex aveva portato scompiglio nelle nostre anime, lui aveva portato con sé la nostra felicità. Chiusi gli occhi cercando di riprendermi un secondo e quando li riaprii trovai i suoi a fissarmi in cerca d’aiuto.
“Cosa vuoi che faccia?” le chiesi.
“Portami sul luogo dell’incidente” e a quella richiesta, apparsa poco più di un sussurro, cedetti stringendola a me piano. Era così fragile che avevo paura si frantumasse da un momento all’altro ed io, non potevo perdere anche lei … sarei morto.

ARIA POV
La morte non poteva essere cancellata, ti rimaneva dentro fino a corrodere le tue stesse ossa. Ti frantumava, impedendoti di vivere come prima, ma non si poteva diventare chi non si era a causa sua, non si poteva lasciare che questa avesse il sopravvento sul tuo corpo.
Era a questo che pensavo mentre sfrecciavamo verso le cascate. Era lì che si disputavano le corse, lì che i ragazzi davano le loro feste, per via delle cascate che caratterizzavano il luogo. Avevo ancora dubbi se quelle cascate fossero di acqua o di sangue. Troppo persa nei miei pensieri, non mi accorsi di essere arrivati e nemmeno di Nathan che spegneva l’auto. Tutto mi appariva un po’ troppo lontano.
“Eccoci, siamo arrivati”
“Già …” mi guardai intorno mentre un brivido mi percorse la schiena. Rabbrividii cercando comunque di mantenere la calma.
“Ti basta questo, o vuoi vedere altro?” per altro, intendeva il punto esatto in cui Alex era morto. Stavo per chiedergli come facesse a sapere tutte quelle cose ma poi, mi ricordai che era stato lui ad accorrere sul luogo dell’incidente, lui che aveva riconosciuto il corpo, lui che riluttante lo  aveva detto a noi. Sospirai annuendo col capo. Non ce la facevo a far uscire un qualsiasi suono dalla mia bocca e, per quello che valeva, andava bene così. Nathan mi avrebbe capito ugualmente.
“Vieni”.
Mi trovavo in piedi ad osservare il punto esatto in cui era avvenuto l’incidente. C’era ancorano pezzi di vetro e della sua moto, questo me lo fecero sembrare più vero. Deglutii avvicinandomi lentamente … Nathan, ovviamente, mi seguiva in modo apprensivo con lo sguardo. Lo ringraziai mentalmente senza però provare a parare, a cosa sarebbe servito? A niente appunto.
Più guardavo l’asfalto e più qualcosa non mi quadrava. Non ero mai stata in un’officina, non ero un meccanico però quando mia madre ebbe un incidente, ero stata la prima ad accorrere sul luogo e la strada portava i segni dei freni. Quella invece, non aveva nessuna striscia delle gomme. Sgranai gli occhi cercando conferma ma Nate non sembrava capire. Presi un lungo respiro e lo feci avvicinare.
“Non noti niente di strano?” mormorai indicando ciò che si trovava sotto i nostri piedi.
“Aehm, dovrei?” mi chiese confuso.
Alzai gli occhi al cielo trattenendomi dallo sbuffare. Maschi, tutti uguale … tutti stupidi.
“Non ci sono i segni delle gomme, dei freni. Alex non ha frenato” esclamai indicando con la testa, come se fosse la cosa più semplice del mondo. Eppure lui non l’aveva capita.
“Aria, non ti seguo” mormorò “che vuoi dire?”
“Voglio dire che: o Alex si è suicidato oppure la sua moto è stata manomessa” lo guardai dritta negli occhi “e visto che Alex non aveva motivi per suicidarsi ….” Lasciai cadere la frase perché volevo che capisse, anche se con una frase a metà.
“Lo hanno ucciso?” sgranò gli occhi ed io annuii.
“Si, ma chi?”
Mi guardai intorno circospetta mentre a mia insaputa, il volto di Nate impallidì notevolmente. Cosa era successo di così terribile, in mia assenza, da volere Alex morto?
  
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