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Autore: SparkingJester    05/03/2012    2 recensioni
Cavalieri, draghi, stregoni, intrighi, sangue, magia, fuoco, ferro e ossa. Tanta azione in una storia fantasy dai risvolti rapidi e inattesi con protagonisti sicuramente fuori dai canoni comuni.
6° posto al contest "Ready, set... GO! -Ovvero il Diabolico Contest Fantasy".
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccola finalmente in vista: la piazza d’armi della caserma, sotto lo sguardo vigile della Torre-Nido.
Liosso atterrò goffamente nella piazza mandando in frantumi qualche mattonella. La zona, al centro di una gigantesca voragine circolare, sembrava deserta.
«Ebbene? Che Lopar si sia sbagliato?»
Detto questo, uno strano movimento catturò l’attenzione del cavaliere. Una carcassa carbonizzata, uno scheletro incoronato: l’imperatore.
«Oh, mio dio.»
Alle spalle di Magara un strana figura si sollevava da terra. Il cavaliere si voltò di scatto e un monaco incappucciato e mascherato gli si parò davanti.
«Dunque, sai tutto.»
Magara non rispose, guardò Liosso: stava bene, si era appisolato. Il monaco superò il cavaliere, raggiunse il cadavere carbonizzato e si chinò:
«I tuoi amici hanno sconfitto tutte le mie copie.»
Il sacerdote raccolse la corona e la indossò.
Magara lo riconobbe ancora una volta:
«Sei ancora tu, il Guardiano del giorno dell’investitura. Perché fai tutto questo?»
Il guardiano si voltò, fissò Magara con occhi spiritati, posseduti. La corona iniziò a fremere, qualcosa al suo interno si muoveva.
«Perché sono stufo di dover fare il guardiano. Perché sono stanco di dover essere trattato come uno straccio da voi cavalieri, da voi soldati, dall’imperatore, dalla principessa. Perché non sopporto che la gente comune sottovaluti la religione. Noi crediamo in un Dio ma loro non lo vedono come lo vediamo noi, non ci credono affatto. Ebbene sto per dargli ciò che vogliono: una prova. La prova dell’esistenza di una vera divinità in questa terra.»
Il guardiano allargò le braccia. La piazza d’armi sussultò come colpita da un terremoto. Smise di muoversi. Tremò ancora. Smise ancora. Ad ogni colpo il cuore di Magara batteva sempre più forte.
«Nel fondo di questo baratro è seppellito un potente dragone appartenente ad uno dei cavalieri più famosi che abbiano mai prestato servizio presso Bihares ed io ho le capacità adatte a rianimarlo. Mi fonderò con esso e dominerò su queste terre, su queste masse di infedeli, su di te, sui tuoi amici e su quella stupida ragazzina.»
Detto questo, un ruggito strozzato risuonò nell’aria. Una zampa, enorme ed ossuta sbucò dalle profondità della voragine, poi un’altra ancora. Seguì un’ala, putrefatta e rotta, poi un’altra. Un enorme teschio di drago fece capolino dal profondo burrone e con uno scatto inghiottì il monaco. Il guardiano, bloccato tra le fauci del drago non-morto, iniziò a cantilenare una litania. Il drago iniziò a far oscillare la testa a destra e a sinistra; le ossa scricchiolarono: iniziarono a brillare e con un lampo di luce scomparvero insieme al monaco. Allo stesso modo, un bagliore oscuro implose come a riavvolgere il tempo e di fronte al cavaliere una sagoma inginocchiata fece la sua comparsa. La figura, con le gambe coperte da una tunica lacera e il corpo corazzato da ossa nere, alzò la testa e sorrise al cavaliere.
«Non mi hai fermato. Perché?»
Magara continuò a non rispondere.
«Sono un Dio adesso. Forte come un drago, sapiente come un uomo. Sono invincibile.»
Magara tacque. Liosso continuò a dormire.
La testa, contenuta in un teschio nero, parlò ancora:
«Cosa c’è che non va? Non hai paura, non sei felice, non sei arrabbiato?»
Magara estrasse il suo flauto, ne cacciò la lama, la guardò e la lasciò cadere a terra.
Il mostro continuò ad avanzare:
«Ti sei arreso, dunque.»
Magara iniziò a togliersi la corazza.
«Oh, vuoi provare ancora con quel giochetto dell’uomo serpente?»
A petto nudo, Magara gonfiò i polmoni con profondi e lenti respiri, mostrando i tatuaggi tribali.
«Non funzionerà mai, lo sai bene. Ho già visto questa trasformazione. Hai sconfitto una delle mie copie ma non ci casco un’altra volta e poi ora sono anche indistruttibile.»
Magara respirò ancora, profondamente. L’immortale guardiano avanzò ancora:
«Addio, Magara. Mi sarebbe piaciuto avere qualcuno come te al mio fianco, ma ormai non posso più tornare indietro.»
L’umanoide ricoperto di ossa nere era ad un palmo dal volto del cavaliere quando quest’ultimo infine parlò:
«Sai come ho ricevuto questa cicatrice?»
Gli occhi del guardiano si chiusero leggermente all’interno del teschio draconico. Non capì il senso di quella domanda.
«Sono uno Yuan-Ti. Ma il perché vivo tra gli umani, te lo sei mai chiesto?»
L’immortale non rispose.
«Anche noi adoriamo un Dio. Un crudele Dio serpente che viene da un’altra dimensione. Come hai detto tu, non avendolo mai visto, non credevo a queste storielle.»
Qualcosa turbò il dragone nero.
«Fui etichettato come eretico, catturato e offerto in sacrificio alla divinità. Quando lo vidi, evocato ad un portale in cima ad una cascata, non potei credere ai miei occhi. Ma qualcosa non andava. La divinità mi guardò, mi annusò, mi toccò e con un dito mi procurò questa enorme cicatrice. Non mi mangiò. Mi prese e mi gettò giù per la cascata. Quando fui ritrovato, ancora vivo, fui condannato all’esilio. Se un Dio non apprezzava un giovane yuan-ti come offerta votiva, allora voleva dire che il giovane yuan-ti era maledetto, non degno di vivere con i suoi simili. Ma gli umani mi accettarono, o meglio, accettarono la mia forma umana.»
«Mi stai raccontando la storia della tua vita con lo scopo di commuovermi?»
L’immortale rise. Magara anche:
«Sei un dio, eppure sei così ingenuo.»
La profonda cicatrice di Magara si aprì in una voragine luminosa. L’immortale sgranò gli occhi.
«Il Dio era pervaso da fiamme divine. Ferendomi, le passò a me. Divinità contro divinità. E credo di aver vinto io.»
L’immortale non fece in tempo ad urlare che una lama di luce investì il volto del dragone, riversando sul suo corpo un flusso di energia. Le fiamme, arancioni e vivide, crearono crepe e solchi sul corpo dell’inerme guardiano. Si inginocchiò e Magara parlò:
«Sono diventato un cavaliere per proteggere e servire l’impero. Lo stesso impero che mi ha accolto nonostante la taglia sulla mia testa, lo stesso impero che mi ha dato la possibilità di divenire ciò che sono, lo stesso impero che ha accettato la mia maledizione. Porto le fiamme di una divinità per servire l’uomo, poiché le divinità a volte non sono così giuste e leali come le si dipinge.»
Tra lamenti, spruzzi di sangue, schizzi di luce e ossa nere in polvere, il guardiano fissò Magara negli occhi: una lacrima scese lungo la guancia. Il corpo privo di vita cadde in avanti, sbatté il volto e questo fracassò l’elmo d’osso. Magara si chinò, riprese la corona dalle ceneri del monaco e la strinse tra le mani. La voragine lavica sul petto del cavaliere si richiuse e Liosso si svegliò.
 
Gifo, Magara, Gorun, Mulik e Lopar non seppero trattenere le lacrime: un nuovo imperatore era stato eletto. L’urlo di un funzionario risuonò nella sala del trono:
«Lunga vita all’imperatrice Keluna! Onore e Gloria all’Impero!»
La folla ripeté quelle parole con gioia e con forza. La piccola principessa, ora imperatrice, sorrideva dal cuscino del suo trono, coperta da un grande mantello e armata di un pesante scettro d’oro
Magara sussurrò:
«E’ un amore, vero ragazzi? Speriamo che almeno lei abbia conservato qualcosa dello spirito di suo padre, che riposi in pace.»
I quattro sorrisero e la principessa si alzò e con voce infantile parlò:
«Come mio primo ordine» una pausa fece commuovere gran parte dei sudditi, compreso Gorun «ban-bandisco i monaci dal paese!»
Lo scettro alto in pugno e il viso orgoglioso, un sorriso fece capolino dalle labbra della bambina. Le guance divennero rosse e il popolo rispose con un perfetto silenzio. Attimi interminabili. Ma i sudditi sapevano, sapevano cos’era successo e con grande gioia esultarono e festeggiarono al suono di quelle parole, non tanto per  la notizia sconvolgente quanto per il dolce e inaspettato tono, femminile e autoritario, utilizzato dalla piccola Keluna.
«Tutta suo padre.»
  
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