Mi tremavano le mani,
presi in mano il
cellulare e riuscì a malapena a comporre il numero.
Un’ansia pazzesca mi opprimeva lo
stomaco, e i brividi mi attraversavano.
“Pronto?”
“Ehm, ciao… Sono io.”
“Dimmi.”
“Ti amo.”
Urlai.
Fu un maledetto urlo soffocato
dalla paura. Mi sentivo veramente male, che povera illusa. Ma cosa
credevo di
fare? Di poter cambiare le cose? Altro che Cinderella Story, questo
è uno
schifo, il mio inferno personale.
I rimpianti
mi completavano, “tornerà”,
mi ripetevo.
Una convinzione che mi rendeva 'coraggiosa',
un sogno irraggiungibile quanto terribilmente scontato.
Pensieri viaggiavano liberi come le noti
dolenti del violino, percosso da quello spirito così bello
ma così demoniaco,
come le note prodotte.
Che cosa mi rimaneva ora?
Il mio cuscino sporco di lacrime amare e
di ricordi? La scatola dei cioccolatini vuota e impolverata sul
comodino
accanto al letto, a farmi dimenticare il mio mal d’amore? Che
cosa?
No… Non mi rimaneva niente. Niente.
Tutto intorno a me, era legato a lui, in
qualche modo, tramite fili invisibili e alquanto resistenti.
Dopo essermi rovinata il futuro, perché la
speranza di costruire un futuro con lui si era oramai frantumata in
mille pezzi
al suono delle mie parole, me ne stavo seduta a piangere sul letto.
Stesa, porta chiusa, nelle orecchie
quella canzone e in mente il noi di tutti giorni, oramai tremendamente
spezzato.
E grido, e distruggo, piango e
rimpiango.
Perché in fondo è solo maledettamente
colpa mia.