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Autore: Beatrix Bonnie    06/03/2012    2 recensioni
Filosofo mi chiamavano, teologo, profondo conoscitore dei misteri del creato. Io, in realtà, non sapevo bene chi ero. Non capivo dove mi stesse conducendo la mia insaziabile sete di conoscenza e vagabondavo senza meta, stanco di ogni cosa, ma instancabile nella ricerca di qualcosa di meglio. Ero uno spirito inquieto, che non riusciva a trovare la sua collocazione nel mondo.
Dublino, 1185
Al giovane intellettuale sir Gregory è stata affidata dal suo signore una delicata missione da compiere alla corte di re Gilbert del Leinster. Certo, sir Gregory non si immagina che qualcosa verrà a turbare la sua affaticata esistenza: una ragazza, la pace di un vecchio podere di campagna e il profumo di una lontana leggenda.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ciclo di Faerie'
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Liber VIII




«Ho fatto questo per voi, sir Gregory signore» pigolò il piccolo Eoin, offrendomi una focaccina salata. Aveva uno sguardo tanto commuovente, con quei suoi liquidi occhioni spalancati e il visino smunto, che non potei evitare di sorridergli.
Quando vide che il suo dono aveva provocato l'effetto desiderato, si aprì in un sorriso sdentato che gli illuminò il volto.
Io allora gli scompigliai i capelli e lo presi in braccio, facendolo sedere sulle mie ginocchia. Addentai la focaccina e poi ne offrii un morso anche a Eoin.
Erano passati quattro o cinque giorni da quando io ero stato cacciato dalla corte del Leinster e Feamair rinchiusa nella sua stanza. Sapevo da Cormac, che aveva richiesto di vederla, che la zia non le aveva più permesso di uscire e potevo immaginare come si sentisse frustrata e in trappola. Io, al contrario, senza di lei, mi sentivo sperduto nell'immenso mondo esterno.
Ufficialmente mi era solo stato levato l'incarico di segretario curiale, mentre il beneficio rappresentato dall'appezzamento di terreno era ancora mio. Per questo motivo, mi ero ritirato presso il cottage con il tetto di paglia dove viveva la famiglia di Loihal. Tuttavia, la piacevole vita di campagna, non mi sembrava più tanto piacevole ora che non potevo condividerla con la donna che amavo.
Era precipitato tutto in modo così drastico, nel giro di una frazione di secondo: Isabel che entrava nella stanza, la sua sfida aperta a Feamair, la lotta tra le due, l'arrivo di lady Aoife... ogni cosa si era sgretolata sotto i miei piedi. Quei mesi erano stati i migliori della mia vita, da quando era morto sir Thomas: finalmente avevo trovato un posto che aveva portato un po' di pace nella mia esistenza.
Avevo vissuto in modo tormentato la mia adolescenza, nutrendomi di oscuri libri di teologia che infamavano il corpo come veicolo di peccati, convinto che il mio unico posto fosse tra i polverosi volumi delle biblioteche dei monasteri. Dalla morte di sir Thomas, ero rimasto nuovamente orfano: era stato Richard di Scozia, priore del convento di San Vittore vicino a Parigi, ad accogliermi alla sua abbazia, non seppi mai se per pietà nei miei confronti o per riconoscenza verso verso l'oramai defunto amico Thomas Becket. Durante gli anni in cui soggiornai a San Vittore, sir Richard cercò più volte di convincermi a prendere gli ordini minori, ma io rifiutavo sempre: c'era qualcosa di oscuro che mi spingeva ad ingigantire il mio peccato e a sentirmi indegno di servire il Signore.
E poi, alla morte di sir Richard, tre anni dopo, il mio ingegno e astuzia, svelati dalla mia febbrile ricerca della verità e della conoscenza ultima, non erano passati inosservati ai più grandi abati dell'Europa. All'età di dodici anni cominciai a viaggiare per il mondo, attirato e richiamato da importanti monasteri o signori e sovrani dei regni più sperduti.
Filosofo mi chiamavano, teologo, profondo conoscitore dei misteri del creato. Io, in realtà, non sapevo bene chi ero. Non capivo dove mi stesse conducendo la mia insaziabile sete di conoscenza e vagabondavo senza meta, stanco di ogni cosa, ma instancabile nella ricerca di qualcosa di meglio. Ero uno spirito inquieto, che non riusciva a trovare la sua collocazione nel mondo.
L'ultimo signore per il quale avevo lavorato, per me, non era che uno dei tanti. Mi aveva assegnato quell'incarico e, con la prospettiva di mettermi nuovamente in viaggio, avevo accettato di buon grado. Certo, non mi sarei mai aspettato che proprio in quell'angolo di mondo, dimenticato perfino dal sole che non riusciva quasi mai a bucare la spessa coltre di nubi, avrei trovato la pace tanto anelata.
E l'avevo trovata in una rustica casa di contadini, in un bimbetto sdentato che mi regalava focaccine, in un giovane chierico dall'aria ingenua e soprattutto in una ragazza dai luminosi occhi verdi, spontanea come il vento che soffiava sulla brughiera, fresca come una goccia di rugiada, eppure illetterata.
La pace non l'avevo trovata nell'affannosa lettura di testi filosofici, ma nella tranquillità di una vita semplice.
Ce ne stavamo lì, io e Eoin, in silenzio, seduti su un ceppo di un albero, ad osservare il panorama, quando fratello Cormac comparve alle nostre spalle. «Sir Gregory, ho un messaggio per voi» mi annunciò, in un tono tale da farmi capire subito chi fosse il mittente.
Presi Eoin sotto le ascelle e lo feci scendere dalle mie ginocchia, per potermi alzare dal tronco. «Ditemi, fratello Cormac» lo supplicai con voce accorata, stringendo le sue mani tra le mie.
«Feamair vi prega di recarvi oggi, al calar del sole, al vecchio albero dove avete imparato a tirare con l'arco» mi sussurrò Cormac, con un tono complice.
«Oggi?» ripetei scioccamente, troppo entusiasta all'idea di poterla rivedere, di stringerla a me, di baciarla.
«Oggi» confermò Cormac, annuendo con il capo.
In quel preciso istante ogni alta cosa perse importanza. Alzai lo sguardo ad osservare il cielo, per vedere a che altezza si trovasse il sole e cominciai a contare le ore che mi separavano dal riabbracciare Feamair.
Non appena il sole fu calato lontano, oltre le colline, mi recai a quello stesso albero dove non solo avevo imparato a tirare con l'arco, ma anche ci eravamo scambiati il primo bacio. Dovetti aspettare parecchio tempo, un'ora o forse più, non lo sapevo. Ogni volta che sentivo un fruscio mi voltavo verso la provenienza del suono, nella speranza di veder comparire Feamair, ma venivo sempre deluso. L'attesa divenne snervante e cominciai a temere che Feamair non sarebbe venuta: poteva non essere riuscita a sfuggire alla sicurezza che sua zia aveva posto intorno alla sua stanza.
«Sir Gregory!» esclamò tutto ad un tratto una voce trillante alle mie spalle.
«Feamair» sussurrai voltandomi per stringerla in un abbraccio. Per un attimo non esistette nient'altro oltre a noi due e quell'albero sotto il quale avevamo nascosto i nostri amori.
«Oh, sir Gregory, mi siete mancato così tanto!» prorompette lady Feamair, appoggiando la sua testa sulla mia spalla.
Io accarezzai i suoi capelli arruffati, vi immersi il volto e mi lasciai inebriare dal loro profumo campestre. «Anche voi mi siete mancata, milady».
Nell'accarezzarle la testa, le trovai nei capelli una sospetta spiga di grano. «Come siete uscita dal castello?» le domandai, sventolandole davanti al naso la spiga. Avevo qualche idea su come doveva essere successo, ma preferii lasciare che fosse lei a raccontarlo.
Feamair ridacchiò deliziata. «Ho finto di aver bisogno di be'... insomma, avete capito no? E poi mi sono nascosta nel carro del fieno» rispose con una scrollata di spalle, come se fosse normale per una dama di corte fuggire dal castello in mezzo a mucchi di fieno.
«Vi ha maltrattata lady Aoife, in questi giorni?» le chiesi, accarezzandole dolcemente il volto.
Improvvisamente Feamair si fece seria. «Oh, sir Gregory, è per questo che sono qui» mi sussurrò apprensiva. «È successa una cosa terribile».
Il tono di voce che utilizzò, mi fece capire che doveva essere qualcosa di molto importante. Smisi di accarezzarla e la guardai dritta negli occhi. «Lady Feamair, che è accaduto?»
Lei si tormentò un ricciolo di capelli che le ricadeva al lato del viso e distolse lo sguardo per puntarlo su un punto non meglio precisato dell'orizzonte. «Lady Aoife ha promesso la mia mano a re Gilbert» annunciò alla fine, in tono lugubre.
Per un attimo non riuscii a recepire l'informazione, poi qualcosa dentro di me si ruppe e fui come inondato da un fiume in piena di emozioni. Non era possibile! Quella era l'ultima e peggiore vendetta che lady Aoife potesse tramare contro sua nipote: costringerla a sposare quell'inetto del figlio per portarla via da me e relegarla a corte, costretta alla vita formalmente asfissiante della legittima consorte del re. Era come se lady Aoife stesse riversando su Feamair tutto ciò che lei stessa era stata costretta a subire da giovane, alla morte del fratello maggiore Conchobhar, con il matrimonio con Richard de Clare e il conseguente peso del regno che le era piombato sulle spalle quando era rimasta vedova. E ora Feamair sarebbe stata condannata a vivere a fianco di suo cugino a vivere senza gli onori della corona, ma costretta a portarne il peso al posto del marito inetto.
Ma soprattutto, a vivere lontana da me.
«Milady...» fu l'unica cosa che riuscii a sussurrare.
Non avevo parole da dirle, non con quel peso mortale che mi attanagliava il cuore. Non c'erano frasi da mormorare all'orecchio come conforto, gesti che potessero alleggerire l'onere di quella decisione che altri avevano preso sul nostro futuro.
«Sir Gregiry, un modo ci sarebbe per impedire che tutto questo accada» sentenziò Feamair, con un tono di voce nuovamente deciso.
Per un attimo, un briciolo di speranza squarciò il velo del mio cupo orizzonte.
La ragazza si guardò un attimo in giro, come se temesse che qualcuno, oltre ai gufi e alle cicale, potesse udire i nostri discorsi. «Quanto pensate che possa resistere ancora il regno nelle mani di re Gilbert? Gli inglesi hanno già puntato i loro occhi sul Leinster e non ci mancherà molto prima che tentino di impossessarsene. E gli altri regni irlandesi non vedono di buon occhio la corte perché il sangue di Gilbert è per metà inglese» fece una brevissima pausa, poi mi guardò con intensità e riprese con una voce ancora più bassa: «È ora di riportare la corona del Leinster nelle mani di chi legittimamente dovrebbe tenerla».
Capii immediatamente dove voleva andare a parare quel discorso e fui costretto ad interromperla: «Milady, non direte sul serio?» Il tono della mia voce era preoccupato, ma non quanto il mio cuore.
«Sir Gregory, voi ed io sul trono potremmo governare questo paese meglio di quanto non faccia mio cugino Gilbert e potremmo salvarlo dall'invasione inglese, rassicurando nel contempo gli altri re irlandesi».
«Ma io con che pretese potrei mai...?» mormorai, sempre più allarmato. Ero spaventato da quella prospettiva, non solo per ciò che avrebbe potuto comportare una congiura ai danni di re Gilbert, ma per l'ipotesi stessa di ritrovarmi sul trono, io che avevo sempre agito nell'ombra.
Feamair, invece, aveva un tono di voce eccitato. «Sarete mio marito, sir Gregory, e io ho tutte le pretese di ambire al trono. Sono lady Feamair MacMurchadha, principessa del Leinster» rispose, e finalmente vidi brillare nei suoi occhi verdi quello scintillio regale che avrebbe dovuto caratterizzarli da sempre, viste le sue origini.
«Ma con quale esercito?» domandai, scuotendo la testa a quel sogno impossibile.
Il sorriso che illuminò il volto di Feamair non mi piacque per niente. «Con quello di Faerie».
«Quello di Faerie?» le feci eco come uno sciocco.
Feamair mi afferrò per le maniche della tunica. «Sì, quello di cui parlano le leggende: un intero esercito di sidhe sempre pronti a combattere per il proprio re contro le forze del male».
Per un attimo mi lasciai incantare da quella prospettiva, ma tornai bruscamente alla realtà: un'idea del genere non avrebbe mai funzionato. «Io non credo che...» provai a dire.
Come avrei potuto spiegarlo? Era assurdo!
Stavamo progettando una congiura contro il re del Leinster nel cuore della notte, basando i nostri piani su un esercito leggendario che avrebbe dovuto allearsi con noi. Quella storia non stava in piedi.
Non avrei dovuto lasciarmi coinvolgere nelle questioni della successione del regno; non avrei mai dovuto lasciarmi coinvolgere da Feamair, innamorarmi di lei. Era stato il più grande sbaglio. Chi avevo voluto prendere in giro? Non sarebbe mai potuta funzionare tra di noi.
Dovevo dirglielo, non potevo continuare a fingere.
Forse ora era tardi, ma questa storia doveva finire. Solo che... quanto era difficile da spiegare!
Presi un profondo respiro e guardai lady Feamair dritta negli occhi. «Io non sono chi credete che sia» sussurrai alla fine, con un peso mortale suo cuore.
Feamair, ancora tutta presa dal suo progetto per prendere il potere del regno, ci impiegò qualche secondo a realizzare la cosa. «Come sarebbe?» mi domandò, scuotendo la testa senza capire.
«Io non vengo dalla Scozia: sono nato a Londra, ma non so chi siano i miei genitori. Fui abbandonato davanti alla porta della canonica e fu sir Thomas Becket a prendersi cura di me, fino a quando non fu ucciso dai sicari di re Henry, una fredda sera di dicembre, mentre stava celebrando la messa» rivelai con un tono di voce sommesso.
Feamair mi fissava incredula, come se non riuscisse ad afferrare neanche una parola di quel discorso. «Ma allora perché avete detto di essere scozzese?» domandò in un sussurro, temendo di sapere già la risposta.
Io chinai il capo. «Perché se avessi rivelato di essere inglese, non mi avreste mai accolto a corte».
Sarebbe potuta finire lì, con quella confessione di una colpa reale, ma non poi così grave. Invece non era finita. Dovevo dirle tutta la verità, per una buona volta. Poi mi avrebbe sicuramente odiato, forse non mi avrebbe più rivolto la parola, ma io dovevo dirgliela. Ero stanco di mentire a lei e di mentire a me stesso, fingendo che avremmo potuto amarci e vivere insieme in quel podere di campagna.
«Lady Feamair, io sono un vassallo del re d'Inghilterra, Henry II Plantageneto, e sono stato inviato in Irlanda dal mio signore per spiare le mosse della corte del Leinster».
Fu un'ammissione dolorosa, soprattutto per la smorfia di incredulità prima e di rabbia poi che aveva deformato il bel volto di Feamair. Lei scosse la testa, incapace di accettare la cosa e si allontanò da me di qualche passo, come se avessi la peste. «Non è possibile» mormorò.
Io chiusi gli occhi, non riuscendo a sopportare la vista del suo cuore spezzato. «Dopo che è fallita l'impresa militare di suo figlio John*, re Henry ha pensato di infiltrare qualcuno a corte, per scoprirne i punti deboli e sfruttarli a suo vantaggio» spiegai, nel tentativo di giustificare il mio orribile tradimento. «Avete ragione, il regno del Leinster ha i giorni contati. Gli inglesi se ne impossesseranno prima o poi, non possiamo farci niente».
«State zitto!» strillò allora Feamair, realizzando improvvisamente che l'avevo ingannata, tradita e avevo approfittato di lei.
Mi sentii un verme quando vidi l'effetto che il mio comportamento aveva avuto sull'unica persona che avessi mai amato davvero.
Lady Feamair si asciugò violentemente le lacrime con un gesto della mano, come se per uno come me non valesse nemmeno la pena di piangere. «Io vi odio!» gridò.
E poi corse via.
Improvvisamente mi resi conto che l'avevo persa per sempre: non c'era modo di rimediare al mio errore, di cancellare quello che era stato. Non avrei mai dovuto permetterle di innamorarsi di me perché solo così non l'avrei fatta soffrire.
Io, io ero fatto per stare solo, per vivere relegato in una buia biblioteca, lontano da tutti, lontano dal mondo.



*Si tratta di John Lackland, ovvero Giovanni Senza Terra, fratello di Riccardo Cuor di Leone, portato alla ribalta dalla leggenda di Robin Hood. Alla morte di Richard de Clare (che Henry II aveva riconosciuto come legittimo re del Leinster), nel 1177, John fu nominato signore d'Irlanda dal padre, con gli obblighi di un vassallo, ma di fatto non detenne mai il potere. Nella primavera del 1185 aveva tentato di conquistarla militarmente, senza successo.


Ebbene sì, Greg è una viscida spia di re Henry II... tra l'altro, lo stesso uomo che avea fatto uccidere il suo mentore sir Thomas! Per Gregory, comunque, "lavorare" per re Henry non significa tradire il suo mentore, perché è sempre stato disposto a essere vassallo di chiunque, purché gli venisse concessa libertà di movimento e possibilità di ricerca. Ok, non ha una gran tempra morale ma, ehi, che vi aspettavate da uno come lui?
Povera Feamair! Costretta a sposare il cugino dopo che ha scoperto che l'uomo che l'amava è un traditore doppiogiochista che si è approfittato di lei...
Ma... allegria, brava gente! Io sono per gli happy ends! Solo, dovremo far penare ancora un po' i protagonisti! ;-)
Alla prossima,
Beatrix

   
 
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