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Autore: ObliviateYourMind    06/03/2012    2 recensioni
Victoria è una ragazza che ha realizzato il suo sogno: è la cantante di un famoso gruppo rock. Un giorno, però, un evento inaspettato sconvolge la vita di Vic e i suoi rapporti con le altre persone, portandola a riflettere su se stessa e su tutto ciò che è accaduto.
Che cosa le è successo e che cosa l'ha condotta fino a lì? Sta a voi scoprirlo.
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I'm not going 
cause I've been waiting for a miracle 
And I'm not leaving 
I won't let you 
Let you give up on a miracle 
Cause it might save you 



«Buongiorno signor Wood! Signora...»

Uno dei due dottori si avvicinò a noi a grandi passi, il camice bianco svolazzante. Tese una mano verso entrambi i miei genitori, li salutò e chiese loro come stessero.

«Dottor Folkner! Salve, abbastanza bene, grazie, e lei?» lo salutò mio padre.

«Non c'è male, grazie».

 

A dire la verità, non so come facessi a rendermi conto di quello che stava succedendo attorno a me, perché i miei occhi erano fissi da tempo su quel candido fagotto rannicchiato nel letto, protetto da sbarre.

«Victoria!». La voce del dottore mi fece sobbalzare, mi sentivo leggermente intorpidita.

«È da tanto che non ci vediamo....è la prima volta che vieni a trovare tua nonna, vero?» mi chiese in tono malinconico.

«Sì» risposi, e la voce mi uscì più debole di quanto avessi voluto. Ignorando a fatica gli sguardi di quattro persone che sembravano volermi perforare la pelle – non ho mai amato troppo essere al centro dell'attenzione, nonostante la mia professione – mi avvicinai al letto con le sbarre.

Il fatto era che più vedevo, e meno avrei desiderato vedere.

A quella distanza infatti, le coperte non apparivano più come un indistinto ammasso di cotone, magari lo fossero state; una persona cominciava a prendere forma al loro interno.

Pensai che se i miei genitori non mi avessero avvisata riguardo l'incidente di mia nonna e io mi fossi trovata in quella stanza d'ospedale per caso, molto probabilmente non l'avrei riconosciuta.

Nonna Faith sembrava una bambina. Non in senso estetico ovviamente, le rughe che le solcavano il viso erano ancora lì, al loro posto: era indifesa come una bambina.

I capelli erano spettinati, indossava una larga camicia da notte rosa che la faceva sembrare ancora più magra di quanto già non fosse. Le mani, scheletriche e nodose, erano strette al petto come se avesse avuto paura di venire derubata del suo gioiello preferito, quella catenina dorata che teneva ancora legata al collo.

Gli occhi erano chiusi, e fui sorpresa di notare che le labbra sottili erano tese in una sorta di malinconico sorriso.

 

Mi guardai velocemente intorno, e notai che il dottore che ci aveva salutati si era seduto in un angolo della stanza assieme ai miei genitori, mentre la dottoressa, che era rimasta zitta fino a quel momento, mi posò delicatamente una mano sulla spalla e mi disse, a bassa voce: «Ti lascio sola», e s'incamminò verso l'uscita. La porta della stanza si aprì e si richiuse con un rumore sinistro mentre i miei occhi indugiavano sui minuscoli ricami a fiori delle lenzuola, che mi sembrarono improvvisamente molto interessanti.

Gli unici suoni presenti nella stanza in quel momento erano il basso chiacchiericcio dei miei genitori e del dottore, e i vari bip dei macchinari vicini al letto.

Mi sembrava così strano trovarmi di fronte a lei, mia nonna, in silenzio.

Lei era sempre stata una persona allegra ed estroversa, e non potei fare a meno di immaginare che cosa avrebbe detto in quel momento se solo fosse stata bene.

¨Ehi, cos'è tutto questo silenzio? C'è qualcosa che non va, Vic? Dai, metti un po' di musica o accendi la tv che sicuramente a quest'ora è già iniziato il telegiornale!¨.

Ma quello era soltanto il frutto della mia immaginazione; non sapevo nemmeno se l'avrei sentita ancora la sua voce.

Due lacrime calde corsero veloci lungo il mio viso, e caddero sulle lenzuola immacolate lasciando due piccole macchie umide. Camminai verso il fondo della stanza, presi una sedia e la avvicinai al letto; mi sedetti e presi delicatamente una mano di mia nonna tra le mie. Non era particolarmente fredda, il che mi rincuorò un po'. L'ultima cosa che avrei voluto era che morisse davanti ai miei occhi; se proprio avesse dovuto andarsene, avrei preferito lo facesse lontano da me, o il dolore sarebbe stato troppo.

«Nonna, mi manchi tanto...ti prego, torna da me...» le sussurrai; le lacrime che avevano cominciato a sgorgare intensamente bagnavano le nostre mani.

«Non posso farcela senza di te. Abbiamo bisogno di te, io e Josh...lui ora non è qui ma ti vuole tanto bene, sai. Se solo potessi aprire gli occhi...». Tra le lacrime che mi offuscavano la vista mi sembrò di intravedere un movimento delle sue palpebre, ma quando alzai in fretta lo sguardo per controllare, il cuore che batteva forte, mi accorsi che era stata solo una mia impressione. La delusione mi avvolse lo stomaco in una morsa.

 

Nella stanza quasi del tutto silenziosa, un suono inopportuno rimbombò tra le pareti bianche. Mi voltai in fretta verso i miei genitori perché avevo capito che erano loro la fonte di quella musica, e infatti mia madre stava cercando disperatamente qualcosa all'interno della sua borsa, ma sembrava non trovarla. Finalmente estrasse il cellulare e rispose, la musichetta cessò nell'istante in cui lei cominciò a parlare.

«Pronto? Ah, ciao Josh. Sì...sì, siamo qui, al Saint Joseph. Ah, benissimo, vai piano però.. Terzo piano, seconda porta sulla destra. Ciao». Mia madre ripose il telefono nella tasca del cappotto poi disse, con un debole sorriso sulle labbra: «Josh sta venendo qui, dice che oggi vuole guidare lui. Sa, di solito si fa sempre portare in giro dai sui amici» aggiunse subito, rivolgendosi al dottore, che a quanto pare aveva assunto un'espressione perplessa.

 

Dopo una quindicina di minuti, la porta della stanza si aprì con il solito rumore sinistro, e una figura alta e robusta fece il suo ingresso.

«Josh! Oh, Josh...sei qui, finalmente» dissi mentre gli correvo incontro. Gli gettai le braccia al collo ed esplosi in un pianto pressoché disperato.

«Ehi, Vicky...ciao – disse sorridendo e stringendomi a sua volta – stai tranquilla, dai...ci sono io qui, adesso.»

Mio fratello era fantastico. Oltre ad essere molto carino fisicamente – era molto alto, muscoloso, aveva grossi capelli neri sempre spettinati e occhi verdi – era sempre stato molto dolce con tutti, ma soprattutto con me.

Ora aveva preso ad accarezzarmi la testa, per consolarmi. In effetti, cominciavo già a sentirmi più tranquilla.

«Eh nonna, ci hai giocato un brutto scherzo, eh? Non farlo mai più, per favore» disse sorridendo mentre si avvicinava al letto a lunghi passi.

«Ciao, Josh. Tutto bene?». Il dottore si trovava dietro di noi, e guardava mia nonna con apprensione.

«Salve dottore. Sì, tutto bene, grazie» rispose mio fratello.

«Ho saputo da tua madre che hai guidato tu fino a qui. Vedo che ce l'hai fatta, eh? Sarebbe stato brutto avere anche te ora, qui disteso.» disse il dottore, e scoppiò a ridere. Mio fratello rise di gusto a sua volta.

«Già, in effetti...».

Era bello vedere come si stessero sforzando di sdrammatizzare, in fondo non aveva senso restare lì a piangere tutto il tempo aspettando che nonna Faith si svegliasse.

«Ehi, Vic...tutto bene con Brian?». Mio fratello mi stava fissando, uno strano sorriso stampato in faccia. Probabilmente dovevo avere assunto un'espressione triste o sconsolata, perchè subito aggiunse: «Oh..è successo qualcosa per caso? Ci sono problemi?»

«No no, Josh, tranquillo, va tutto bene con Brian, e anche coi ragazzi. Sono molto soddisfatta di tutti loro, stanno facendo proprio un bel lavoro.» risposi, annuendo decisa.

«A proposito, vi ho visti la settimana scorsa in tv! - intervenne il dottor Folkner - Mia moglie ha insistito perché registrassi la trasmissione – e rise sonoramente -, ma ne è valsa la pena. Mi piacete proprio tanto, sai? E quella canzone, com'è che si chiama....Take you with me...è proprio forte!»

«È Take me with you a dire la verità» lo corressi divertita.

Era un tipo divertente il dottor Folkner.

«Ma sai che mi sembra di non averti mai chiesto una cosa?»

«Mi dica pure. Se abbiamo un po' di tempo cercherò di risponderle» e cercai automaticamente lo sguardo di mia madre, che mi fece cenno di sì con la testa.

«Com'è che è iniziato tutto con la band? Voglio dire...durante le interviste avete raccontato tante storie, ma io voglio saperne una... quella autentica, quella vera», e ammiccò.

«Oh, beh...è una lunga storia a dire la verità...»

 

 

 

Credits: la canzone citata all'inizio è Miracle dei Paramore.

Tutti i personaggi presenti in questo capitolo sono di mia invenzione.

Angolo dell'autricevolevo ringraziare tutte le persone che leggono la mia storia e che mi fanno sempre tanti complimenti, siete troppo gentili, davvero :') vi ringrazio tanto!

Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento! Ovviamente come sempre sono ben accette le critiche (purché costruttive) perché si può sempre migliorare.

Bene, non mi resta che dirvi di leggere, commentare, recensire ;D a presto!

Giulia

   
 
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