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Autore: La sposa di Ade    08/03/2012    2 recensioni
Volute di fumo si innalzavano dalla macerie di quella che una volta era stata la capitale più fiorente del mondo degli Umani, l’ immensa e sfarzosa Ethis era ora ridotta a un campo di battaglia per un’ ultima guerra.
Una figura, pallida e barcollante, affacciata alla finestra della sua stanza osservava con occhi di pece quello scenario troppo familiare, così poco era passato; quel breve periodo di dopoguerra in cui chiunque si trascinava in cerca di una luce, seppur effimera, era finito. Sostituito da ciò che di peggio si poteva immaginare.
Il suono della battaglia, cozzare di armi, schizzi di sangue e morte si era diffuso ovunque, un requiem caotico risvegliava una sete di sangue che da tempo sperava di aver abbandonato, sperava di averla lasciata in quella cella due anni prima insieme a tutto quel sangue che aveva versato solo per il desiderio di uccidere. Con una daga legata al polso e ciò che restava dell’ Ala d’ Argento avrebbe combattuto, gustandosi tutto il sangue che sarebbe riuscita a versare.
6° Classificata
al contest ‘Aboliamo gli Happy Endings!’ indetto da
WodkaEiffel
Genere: Angst, Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dirty souls'
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Ci sono riuscita!!! Commossa ç_ç proprio questa sera ho finito di scrivere e ho davvero voglia di pubblicare invece non ho nessunissima voglia di rileggere il capitolo.

Un augurio speciale a tutte le donne di EFP, sono ancora in tempo! >.<

Ahahahah, Muhahahah SI! SANGUE!!! Eh-Ehm ok ora basta, questo era un modo per avvisarvi che in questo capitolo Neah sarà alquanto crudele (Crudele è la parola giusta? Bah…), almeno nella prima parte.

Non restateci troppo male... se lo meritava >.< non dico altro perché non voglio fare spoiler ;)

Non so che altro dirvi ^^”

Buona lettura.

 

Capitolo 13. Un’ anima sporca.

Parte 3.

“Ho rinunciato alla mia anima. Sono colpevole di tradimento.”
[30 Seconds to Mars – Stranger  in a Strange Land]

Si ridestò nello stesso posto in cui era svenuta, sulle scale a pochi passi dalla porta della sua stanza, rimase per qualche istante in quella scomoda posizione mentre la vista –solo quella dell’ occhio destro- tornava lentamente.
Sospirando e con qualche difficoltà riuscì a mettersi a sedere, la mano non la reggeva, non la riusciva a più muovere e il colorito scuro era quasi arrivato fino al polso.
 

Un pugnale. Fuoco. Bende. Non serviva altro per amputare una mano.
Quando calò il colpo con forza sul polso inizialmente non sentì nulla, il dolore venne dopo, quando il sangue cominciò a sgorgare copioso e fu costretta a passare il moncherino sul fuoco per cauterizzare la ferita.
Perdere una mano le andava anche bene se le avesse risparmiato il braccio, la spalla e tutto quello che l’ infezione avrebbe deciso di mangiarsi.
“Maledetti Generatori, vi divertite a giocare con la vita altrui in questo modo spregevole.”
 

Aprì il pesante portone che dava sull’ esterno. Il vento le lambì la pelle pallida, scostando dal viso la ciocca di capelli scuri che aveva volutamente lasciato cadere sopra l’ occhio cieco, inspirò a pieni polmoni l’ aria della sua città natale accorgendosi della vitalità che la impregnava, come una pulsazione, un richiamo.
Voltandosi, alzò lo sguardo puntando gli occhi sulla torre in cui si trovava la sua stanza e le si strinse il cuore quando vide l’ imponente figura nera del drago aggrappata al suo tetto appuntito. Pietrificato, il suo corpo teso nello spasmo prima del volo, gli artigli affilati che avevano lasciato segni indelebili sulla scura costruzione, la coda lunga si avvolgeva sulla torre, le ali completamente spiegate, ampie, sottili e poderose, i suoi due paia di occhi sembravano ancora rilucere di quella rossa rabbia che lo animava durante le battaglie, sulla testa spigolosa svettavano due lunghe corna e la bocca spalancata era bloccata nel suo ultimo ruggito contro la luna.
Si costrinse a distogliere lo sguardo da quella splendida creatura che sembrava ancora pulsare di vita, i suoi occhi caddero sull’ esile figura che ora era in piedi davanti a lei, un moto d’ irritazione la pervase quando si accorse che si trattava della piccola Lishe che la guardava da sotto le sue lunghe ciglia scure, fra le braccia stringeva convulsamente un’ oggetto circolare.
Rimasero per lunghi istanti a fissarsi con astio, il vento sembrava essersi fermato, in attesa che il tempo riprendesse a scorrere, e questo sembrò accadere quando la bambina alzò del tutto lo sguardo su Neah, nei suoi occhi scuri c’ era spazio solo per la rabbia, causata chissà da cosa.
“È meglio non avere anima piuttosto che averla sporca come la tua.” Disse la bambina rabbrividendo. Allungò poi le esili braccia mostrando ciò che teneva al petto; uno specchio con una cornice nera finemente decorata. La superficie argentea non rifletté subito la sua immagine bensì si coprì in parte con nere macchie, in mezzo a quella cupa cornice apparve un volto, Neah vi si riconobbe anche se in quell’ immagine non c’erano cicatrici ed entrambi gli occhi erano sani. Gli occhi di un ipnotico color ametista, intenso e affascinante non celava lo sguardo sveglio, malizioso. No, non era lei, era Lysander -Lys-, sua madre.
Una fitta le colpì il cuore e non riuscendo a sopportare la vista di quello splendido viso che sorrideva appena, macchiato dagli scuri aloni dello specchio, alzò lo sguardo sulla bambina che a sua volta la fissava impassibile.
Alzò lo specchio coprendosi il volto così che Neah fu costretta a guardare il riflesso sullo specchio, che questa volta era il suo, un’ espressione sofferente e la pelle deturpata da quelle orribili cicatrici veniva man mano ricoperta di chiazze scure fino a sparire dietro una cortina d’ oscurità.
Neah sentiva qualcosa grattarle contro lo sterno, qualcosa che chiedeva di essere liberato, era rabbia? Non le importava, quindi lo lasciò libero. Un’ altra folata di vento gelido scosse i loro abiti di luce e tenebra.
La ragazza si inginocchiò con estrema calma per guardare meglio in faccia Lishe che aveva scostato appena lo specchio.
“Non ha senso andare avanti se si è così sporchi.” Disse la piccola che arretrò di un passo quando la ragazza allungò le braccia verso di lei. Una quiete glaciale le era scesa in corpo, vedeva quello che avrebbe fatto in uno specchio di purissimo ghiaccio.
“Vieni qui, piccola Lishe.” Disse Neah soave, ma la bambina non dava segni di volersi avvicinare “Sorella.” Disse infine la ragazza facendo crollare le insicurezze della piccola, pronunciare quell’ ultima parola le era costato uno sforzo sovrumano, naturalmente non la considerava sua sorella.
Sulle labbra della piccola si formò un lievissimo sorriso e si lasciò toccare le braccia dalle mani –solo una perché dell’ altra era rimasto solo un moncherino- fredde della ragazza.
“Vieni qui.” Continuò lei con tono dolce ed inaspettatamente al prese in braccio, Lishe strinse convulsamente lo specchio tra le braccia nel terrore di perderlo. Gli occhi neri della piccola si specchiarono in quelli corvini di Neah con uno sguardo interrogativo.
Neah teneva la bambina in modo da avere il braccio buono libero, quando iniziò a parlare.
“Non importa avere l’ anima pulita o sporca, e sinceramente a me non importa.” Una pausa, nella quale la piccola la guardò con intensità. “Continuerò ad andare avanti, a camminare, e non sarà di certo la figlia dell’ uomo che odio a fermarmi con i suoi giochetti da quattro soldi allo specchio. Chiaro?” Chiese Neah alla bambina che ora la guardava con rinnovato odio.
Fece per parlare ma la ragazza la bloccò  premendole un dito sulle labbra. “Non puoi permetterti di parlare,” Ricominciò la vampira facendo lentamente scendere il dito sul morbido profilo della piccola, sul collo fino alla clavicola prima da staccarlo. “Non hai ancora capito come funziona questo mondo.” Concluse infilandole la mano libera nel petto, il sangue iniziò a sgorgare viscido sulle sua mani e Neah si inebriò di quella sensazione che ogni volta le dava alla testa, la bambina la fissava con gli occhi strabuzzati e la bocca aperta in un muto grido, lo specchio le cadde dalle mani rompendosi al contatto con il terreno in mille schegge scure.
Sentiva il pulsare rapido del suo piccolo cuore e non provò nulla quando glielo strappò dal petto.
Rimase a guardare quel colore ipnotico che si impossessava del nero dell’ ossidiana, la gola prese a bruciare così come il marchio che aveva sulla schiena, si accorse del cambiamento del colore dei propri occhi. Ma non si sarebbe abbassata a berlo da terra. Sospirando passò oltre.
Scese la lunga scalinata, non facendo caso alla figura seduta sugli ultimi gradini. I suoi abiti sporchi di sangue venivano mossi dalla lieve brezza che si era alzata, il cielo ancora coperto da uno coperta di grigi nuvoloni e l’ aria appesantita dall’ umidità.
Neah si passo la mano destra sul moncherino che era rimasto della sinistra, sospirando. Non era una grave perdita, una mano sola le bastava e comunque avrebbe trovato un Generatore disposto a ‘riattaccarla’, sapeva che potevano farlo, come quello lì, Azue, semplicemente toccandola era riuscito a farle marcire la mano –ah, di certo l’ avrebbe ammazzato il prima possibile-. Li detestava, con tutto il suo cuore, anche se nel corso della sua vita aveva avuto occasione di incontrarne ben pochi le avevano sempre dato un senso di ribrezzo, resuscitare le persone era una cosa orribile, una volta che si è morti si è morti, o no? L’ anima se ne va via.
Si fermò con un piede sullo scalino sottostante.

L’ anima, storse la bocca infastidita dal suo stesso pensiero, non aveva mai creduto a tutte quelle stronzate sulle anime, eppure sapeva che una volta morti qualcosa cambiava radicalmente –a parte il fatto della pelle che va in decomposizione o del fatto che ti ritrovi sotto terra, eccetera eccetera-.
Ma comunque non le importava più di tanto, l’ unica cosa che aveva bisogno di sapere era se c’ era un posto per lei.
Arrivò in fondo alle scale quando sentì dei colpi di tosse, voltò la testa e vide Zephit che si stava coprendo la bocca mentre tossiva con in mano una bottiglia di liquido trasparente, quando finalmente riuscì di nuovo a respirare la guardò con le lacrime agli occhi –causate ovviamente dal mancato soffocamento-.
“L’ hai uccisa.” Commentò piatto l’ elfo, non la stava accusando. “I Generatori avranno da lavorare.” Terminò lui sospirando l’ aria umida.
“Già, e probabilmente morirà una seconda volta.” Disse Neah con la voce lievemente irritata.
“Faresti bene ad andare via prima che tuo padre si accorga dell’ odore del sangue.” Neah si voltò alzando la vista fino al corpo riverso della bambina, il sangue si era allargato ancora e ora colava lento, verso di loro, dagli scalini.
“Non vorrai farti torturare ancora.” Continuò l’ elfo notando il silenzio della ragazza, che a quel commento si voltò verso di lui fulminandolo con lo sguardo.
“Infatti, stavo andando.” Disse dirigendo lo sguardo verso le strade deserte.
“Dove?” Chiese con curiosità lui, bevendo un sorso dalla bottiglia trasparente, aveva già gli occhi lucidi ma non era affatto ubriaco, gli ci sarebbe voluto molto di più che una semplice bottiglia di vodka. “Questo mondo è diventato un mortorio, sembrano morti tutti.” Disse le ultime parole sussurrando appena, ma di certo lei l’ aveva sentito.
“Gli Umani.” Sussurrò lei pensierosa guardando il cielo, quando sentì un colpo alla bocca dello stomaco, abbassò lo sguardo e vide il familiare fodero chiaro della sua spada appoggiata contro il suo cappotto, guardò l’elfo interrogativa.
“Va via da qui, il prima possibile, ovunque, ma lontano da questo posto.” Disse lui con rinnovata urgenza, fissando le vie della città che si stendevano davanti a loro. Tutto quel silenzio, la mancanza di persone ad affollare le via altrimenti chiassose, la morte stessa sembrava aver abbandonato quel luogo. Neah afferrò la spada guardando l’ elfo che ora si era messo a sorseggiare dalla bottiglia trasparente.
“E tu?”
Zephit accennò un sorriso. “Finché Azue è vivo non rischio la vita.” Concluse soddisfatto, portandosi alle labbra la bottiglia. “O almeno credo.” Disse con le labbra che sfioravano il vetro della bottiglia, mentre le sopracciglia si aggrottavano al pensiero di uno dei tanti possibili futuri che si era immaginato.
“Perché fai questo?” Chiese lei con pura curiosità, sfoderando appena la spada,
alla bellè meglio a causa della mano mancante, per controllarne il filo.
L’ elfo alzò le spalle mentre un tuono ruggiva in lontananza. “Morto, sono già morto. Mi sembra giusto aiutare le persone che possono ancora vivere.” Fece una pausa avvicinando il collo della bottiglia alle labbra. “E poi ad essere sincero non mi importa niente di quella che sta architettando quello stronzo.” So di essere morto, lo so da tempo.
Detto questo bevve un lungo sorso dalla bottiglia temendo di aver fatto arrabbiare la vampira a causa dell’ insulto a suo padre.
I suoi occhi rimasero quieti.
“Grazie.”

  
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