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Autore: vivix    09/03/2012    4 recensioni
Arya e Sasuke si incontrano all'età di sei anni e diventano inseparabili.Un evento oscuro però, spezzerà la pace di quei giorni ed i due prenderanno strade diverse.Dopo sei anni il destino li farà rincontrare...cosa accadrà?Scopritelo!!Questa è la prima ff che scrivo, recensite numerosi, per me è importante! =)
Quando arrivò alla radura, Arya non c’era, ed iniziò a cercarla.Una volta trovata però, si pietrificò sul posto: la ragazza era nel ruscello, immersa fino alla vita, e si lavava tranquilla. Icapelli bagnati le gocciolavano sulla schiena, nuda, eccetto per il reggiseno, l’acqua cristallina lasciava intravedere le mutandine che, a loro volta, scoprivano parte del fondoschiena. Sentì le viscere contorcersi e l’irresistibile tentazione di andare lì e farla sua. Più silenzioso che potè si svestì, rimanendo in boxer, ed entrò nel ruscello.[...]Con le labbra che le sfioravano l’orecchio sussurrò:-Tranquilla. Sono io.- disse, per poi passare a sfiorarle la guancia e la mascella.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto prima serie
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E siamo purtroppo arrivati alla fine... eh già, questo è l'epilogo della storia; non mi sembra vero, mi sento svuotata =(
Spero che vi piaccia come e più degli altri cappy.
Ringrazio tutti coloro che con le loro recensioni mi hanno spinto a portare a termine "A&S". Grazie, questa storia senza di voi sarebbe rimasta incompiuta!! =)
Questa volta mi farebbe piacere ricevere una recensione anche dai numerosi lettori silenziosi, non solo riguardante l'epilogo ma tutta la storia =)


EPILOGO
 

Alzò il volto verso la cornetta  della doccia e lasciò che la pioggerella d’acqua tiepida gli scorresse sugli occhi chiusi, gli zigomi,le spalle larghe, il torace muscoloso, fino ad arrivare giù, ai piedi.
Sospirò.
Aveva passato tutto il giorno immerso negli ormai quotidiani, durissimi, allenamenti e quello era il primo momento di tranquillità che poteva godersi. Rimase sotto il getto, immobile, lasciando che l’acqua portasse via la schiuma che aveva sul corpo, concentrandosi sulla sensazione dei muscoli stanchi che finalmente avevano un po’ di riposo e lasciando che il tepore delle gocce portasse via la tensione che mai lo abbandonava durante il giorno. Quando capì che le gambe non lo avrebbero sorretto ancora per molto, uscì dallo stretto vano della doccia incassata nel muro e quasi rimase paralizzato a causa dell’improvviso contatto con l’aria fredda. Sentì la pelle d’oca sulle braccia e l’acqua gelarsi all’istante sul corpo. Si costrinse a fare qualche passo avanti, afferrò l’asciugamano  e se l’avvolse stretto intorno al corpo, ignorando la ruvidezza della stoffa. Lasciò che l’acqua sgocciolasse sul pavimento e, tremando leggermente, aspettò che gli tornasse un po’ di calore nelle membra. Si guardò intorno: l’ambiente era appena illuminato da una candela poggiata sul bordo di un lavandino; la fiamma traballante gettava ombre poco rassicuranti sulle pareti di roccia e non bastava a rischiarare la stanza, che pure era piccola, quasi angusta, arredata col minino indispensabile. Quando riuscì di nuovo a muoversi, si asciugò in fretta il corpo umido ed infilò i panni che avrebbe indossato il giorno dopo, spettinò i corti capelli corvini, per liberarli dalla maggior parte dell’acqua e li avvolse in un secondo asciugamano, più piccolo questa volta. Con un soffio spense la fiamma della candela e fu solo grazie all’abitudine che riuscì ad arrivare alla porta al primo tentativo, senza urtare nulla. Spinse il legno leggero, che girò sui cardini perfettamente oliati senza emettere nemmeno un lamento, e si ritrovò in una seconda stanzetta, simile alla prima.
Fu in quel momento che percepì un lieve spostamento d’aria. Automaticamente fece scattare il braccio in quella direzione e la mano si strinse intorono a quello che sembrò un tubo. Portò l’arto nel fascio di luce emanato dalla candela che rischiarava quella stanza, nonostante sapesse già cosa aspettarsi. Come previsto infatti, la sua preda era un serpente di medie dimensioni, con strisce orizzontali gialle, nere e marroni, il corpo flessibile che si dibatteva invano. L’Uchiha guardò l’animale con odio: non aveva mai provato particolari simpatie per le serpi e, come se ciò non bastasse, gli ricordavano in ogni momento dove e con chi si trovava, gli rammendavano che, anche se non sembrava, Orochimaru aveva occhi ed orecchie ovunque. Strinse maggiormente la presa sul corpo dell’animale e quello si dimenò ancor più ferocemente. Ben sapendo che se l’avesse ucciso, avrebbe incontrato l’ira del suo nuovo maestro, si limitò a scagliarlo con forza contro la porta. Sibilando, il serpente fuggì via veloce. Sicuro che per quella notte nessuno l’avrebbe più disturbato, si avvicinò al letto, sfregò nuvamente i capelli con l’asciugamano e lo gettò per terra: qualcuno l’indomani avrebbe provveduto a lavarlo. Si distese sul giaciglio, coprendosi metà del corpo con il lenzuolo, si voltò e diede un’ultima occhiata alla camera, come per assicurarsi che non ci fosse nessun intruso e che tutto fosse come doveva essere: le pareti di nuda roccia e l’arredamento austero. Soffiò sulla fiammella ed il buio totale calò sulla stanza. Sasuke chiuse gli occhi ed assaporò la sensazione delle vertebre che si distendevano. Dopo alcuni minuti, avvertendo ancora un lieve fastidio alla base della schiena, piegò le ginocchia e con le mani fece leva sulle gambe, inarcando al contempo i lombi. Si udì un leggero schiocco e finalmente non sentì più nessun disagio eccetto la spossatezza dei muscoli. Era stanco, stanchissimo e non desiderava altro che cadere nell’incoscienza ma come spesso succedeva, il sonno tardava ad arrivare. Imprecò e prese mentalmente nota che l’indomani avrebbe dovuto impegnarsi in allenamenti più duri se voleva che Morfeo lo prendesse tra le sue braccia appena steso nel letto. Era quello infatti, oltre al desiderio di diventare più forte, l’obiettivo che si era prefissato in quei mesi; questo perché la sera, nell’unico momento vuoto e tranquillo della giornata, i ricordi lo assalivano come le onde di un mare in tempesta e lui cercava in ogni modo di sfuggirli. Avvertì le memorie premere agli angoli della coscienza, come animali acquattati nell’ombra, e tentò di respingerle: pensò alle cose più disparate, dalle persone che con lui vivevano nel covo, fino alle crepe nel soffitto di roccia che lo sovrastava, ma fu inutile e più cercava di ignorarle, più si facevano rumorose e numerose. Quella sera però Sasuke era stanco e forse, in fondo, non voleva bloccare quei ricordi. Esausto, smise di combattere contro quei cavalloni e fu sommerso dalle onde delle memorie.
Il Villaggio della Foglia così come lo aveva lasciato, protetto a nord-ovest dalla montagna degli Hokage e chiuso sugli altri lati dalla fitta foresta;  le prime missioni con il team 7; la dolce, ingenua, a volte irritante, Sakura che tentava in ogni modo di attaccar bottone, che gli stava accanto nonostante la trattasse male; Naruto, quella Testa Quadra, che collezionava un errore dopo l’altro, che si impegnava al massimo negli allenamenti, che cercava in ogni modo di superarlo, che lo faceva ridere, che lo capiva. Naruto, il suo unico amico, che tentava di fermarlo, di fargli cambiare idea e non lasiare Konoha.
In quel momento Sasuke capì che si stava avvicinando al punto di non ritorno.
Tentò di bloccare, o almeno arginare, il flusso di ricordi ma quello, come se avesse capito le sue intenzioni, divenne ancor più impetuoso. Per alcuni minuti provò a combattere con tutte le sue forze per rimanere a galla, sapeva che i ricordi che stavano per seguire erano troppo dolorosi per poterli sopportare, ma alla fine, tra annaspi e scatti convulsi, fu sommerso.
Adesso la sua mente era affollata da memorie diverse, nitide fino all’inverosimile, talmente reali e concrete da poter giurare che la sua vita nel covo fosse solo un brutto sogno e tutte, nessuna esclusa, riguardavano lei. Il loro primo combattimento al quartier generale, i giorni in Accademia, trascorsi ad osservarsi da lontano; la missione nel Paese delle Onde, dove le aveva salvato la vita; gli esami dei Chunin, la convivenza, tra momenti imbarazzanti e litigi; la gelosia che aveva provato nei confronti dell’Inuzuka, la festa e poi, il cambiamento. Ricordava ogni bacio, ogni carezza, ogni centimetro di pelle che le aveva sfiorato, ogni secondo passato insieme. Sentì con chiarezza una mano sfiorargli la guancia e labbra che premevano contro le sue ma non si curò d’aprire gli occhi per vedere chi fosse, per esperienza, sapeva che non avrebbe trovato nessuno e che quelle sensazioni erano solo l’ennesima prova che lui stava affogando e che ormai era in balia dei flutti.
 
                                                                                    ***
 
Diciotto mesi e cinque giorni.
Un anno e mezzo.
Era quello il tempo passato da quando Sasuke era partito, lasciandola sola.
I primi tempi erano stati i più difficili: vagava per Konoha senza una meta precisa, le missioni si susseguivano una dopo l’altra, scivolandole addosso senza lasciare traccia, i pomeriggi si ritrovava stesa sul letto a fissare il soffitto, senza sapere cos’altro fare, improvvisamente tutto aveva perso di significato e si era ritrovata sola. Di nuovo. E senza uno scopo, questa volta.
Anche dopo aver scoperto che Itachi era l’assassino del suo clan ed aver litigato con il minore degli Uchiha si era ritrovata senza nessuno ma almeno quella volta, aveva avuto uno scopo. Adesso l’idea di allenarsi per riuscire ad uccidere Itachi non le faceva provare più niente ma questo l’aveva intuito già da tempo; quello che non aveva ancora capito era quale dovesse essere il suo nuovo scopo ed il tradimento da parte di Sasuke non aveva fatto altro che peggiorare la situzione.
Un sorriso amaro le si allargò sulle labbra.
C’era stato un tempo in cui aveva soprannominato il moro “il Traditore” perché l’aveva lasciata alla mercè del fratello maggiore; adesso Sasuke aveva tradito di nuovo ma non lei.
No.
Aveva tradito tutto il Villaggio.
Aveva tradito Sakura, Kakaschi, Naruto.
Ma non ha tradito te, le sussurrò una vocina nella sua testa.
Sì, che lo ha fatto, le rispose, se n’è andato.
Vero, concesse l’altra, ma non vi siete lasciati, o sbaglio?
Arya si morse un labbro: in effetti, formalmente, stavano ancora insieme ma come poteva pensare che nel frattempo Sasuke non si fosse rifatto una vita? Una vita lontano da lei e vicino a qualcun altro, qualcun’altra.
Probabilmente mi ha tradita un milione di volte, pensò e percepì l’ormai familiare dolere al petto: sembrava che le avessero infilato milioni di senbon nel cuore.
Attese che le fitte al torace sciamassero, poi scosse la testa, per scacciare quei brutti pensieri. Ora era diverso. Aveva trovato un nuovo scopo ed era felice.Quasi.
Si alzò dal letto su cui era sdraiata e si fece una doccia ghiacciata, per eliminare definitivamente quei pensieri dalla testa. Si vestì in fretta e, facendo il minimo rumore possibile, sgattaiolò nella stanza affianco. Anche nel buoio pesto che c’era, si poteva facilmente intuire che si trattava di una semplice camera d’albergo e che, come previsto, Naruto dormiva ancora, beato. Lei era sveglia da ore  -l’ansia per ciò che l’attendeva non le aveva fatto chiudere occhio- ed aveva passato un sacco di tempo straiata sul materasso, ben sapendo che l’Uzumaki non si sarebbe svgliato prima dell’orario prestabilito ma adesso avrebbe già dovuto essere in piedi! Gli si avvicinò e lo scosse in modo deciso ma quello continuò a ronfare tranquillamente. Arya sbuffò: eppure glielo aveva detto di alzarsi prima. Lo scosse ancora, ma senza risultato. Spazientita, gli tiro due pesanti ceffoni in piena faccia. Il biondo aprì gli occhi di scatto e le tirò un pugno fulminio che lei riuscì a schivare appena in tempo.
-Ma che diavolo fai?!?!-
L’amico sbattè un paio di volte le palpebre, come se fosse sorpreso di trovarsela davanti.
-Scusa, credevo fossi un nemico.- farfugliò, la voce ancora impastata dal sonno.
La ragazza alzò gli occhi al cielo, esasperata.
-Ehi, guarda che mi hai dato uno schiaffo!- si giustificò lui  -Cosa dovevo pensare?!-
-Che ti ero venuta a svegliare?- domandò ironica.
-Già, perché l’ha…a…i fatto?- chiese, senza nemmeno provare a nascondere l’enorme sbadiglio che gli aveva bloccato le parole in gola.
-Avevi promesso che mi avresti accompagnato!- iniziava ad innervosirsi.
-Accompagnato?...Ah, già!Me ne ero dimenticato.-
Arya gli lanciò uno sguardo più che eloquente.
-Okay, mi vesto. Prometto che farò in un baleno!- le disse con un sorriso a trentadue denti.
Il ninja sospirò e si preparò ad una lunga attesa. La speranza di fare quella commissione al mattino presto, quando le strade erano ancora semivuote, era ormai un lontano miraggio.
 
 
Dopo un’ora buona passata nella hall ad aspettarlo, finalmente Naruto si degnò di uscire dalla stanza.
-Era ora!-
-Ho fatto il più in fretta possibile!- protestò il biondo ed Arya decise di lasciar correre.
Un paio di mesi dopo la partenza di lui, lei e l’Uzumaki si erano allontanati da Konoha insieme all’Eremita dei Rospi, per un lungo periodo di allenamento intensivo e tutto quel tempo passato insieme al ragazzo, era servito per conoscersi ancor meglio di prima, -probabilmente ormai nessuno dei due aveva più segreti per l’altro- e l’Elphi aveva imparato che se Naruto era convinto di avere ragione,  mettersi a battibeccare non serviva assolutamente a niente se non a litigare; per di più, in quel momento aveva ben altro per la testa. La sua era una decisione importante ma ci aveva riflettuto a lungo ed era convinta di volerlo fare, tuttavia il timore non mancava, anzi, se solo pensava al dolore che sicuramente avrebbe provato, la determinazione veniva decisamente meno.
Uscirono dall’albergo e si immersero nel caos della tarda mattinata: come la ragazza aveva previsto, ormai le strade erano affollate dalla gente che si recava al mercato e per arrivare a destinazione furono costretti a zigzagare tra i pedoni ma nessuno li degnò di una seconda occhiata. Al suo fianco, il biondo sembrava aver perso la spensieratezza di poco prima ed era stranamente taciturno.
-Che c’è?- gli domandò.
-Sei sicura di volerlo fare?-
Da quando gli aveva comunicato la sua decione, le aveva posto quella domanda almeno un milione di volte ma non si spazientì.
-Sì.- rispose invece, decisa.
L’amico annuì, concentrato, probabilmente se l’era aspettato.  –Dopo non potrai tornare più indiero, lo sai, vero?-
Arya si stupì una volta di più nel sentire quel tono serio nella sua voce, di solito sempre gioviale: l’Uzumaki stava cambiando parecchio da quando avevano lasciato la Foglia.
-Sì, lo so.-
L’altro si rasserenò, consapevole che non sarebbe riuscito a farle cambiare idea ma in pace con se stesso per averci provato.
Dopo circa mezz’ora di cammino –sarebbe stato un quarto d’ora se le strade fossero state libere dalla folla- arrivarono a destinazione. Era una semplice costruzione a due piani, esattamente come le altre, appena un po’ più malconcia ma l’insegna fuori l’entrata fugava ogni dubbio. La ragazza prese un respiro profondo, per cercare, invano, di tranquillizzarsi.
-Siamo arrivati.-
-E’ qui che vorresti farlo?!- il biondo lanciò uno sguardo preoccupato prima alla palazzina e poi a lei.
-Mi hanno assicurato che è il posto migliore nel raggio di chilometri.-
Sul volto di Naruto si dipinse un’espressione contrariata ma annuì.  –Entriamo, allora.-  fece per dirigersi verso la porta ma lei lo afferrò  per un polso, bloccandolo.
-Ci vado da sola.- disse, rispondendo al punto di domanda che era comparso negli occhioni azzurri dell’amico.
-Cooosaaa?!?!- esclamò il Genin.  –Spero che tu stia scherzando!- la tensione trattenuta sino a quel momento, esplose  -Dico, mi hai svegliato all’alba, mi hai fatto vestire e mi hai costretto ad accompagnarti fin qui ed ora vorresti entrare da sola?!-
-Sì.-
-Mi spieghi allora cosa diavolo sono venuto a fare?!-
-Mi dispiace.- sorrise, a mo’ di scuse  -Avevo bisogno che mi accompagnassi perché non era sicura di avere abbastanza coraggio per arrivare fino a qui da sola e perché, indirettamente, sei stato tu ad aiutarmi a prendere questa decisione ma è una cosa che devo fare da sola.- gli spiegò.
Il biondo si fece scuro in volto e rimase in silezio alcuni minuti, quando l’Elphi iniziò a temere che non le avrebbe risposto, finalmente capitolò: –D’accordo,-  disse  -ma se sento anche solo un urlo o ci metti troppo, verrò a prenderti e la finiremo una volta per tutte con quest’idiozia!-
Arya piegò le labbra in su, riconoscente.  –Sta’ tranquillo, non ce ne sarà bisogno.-   
 
 
Mettere piede nel negozio e sentirsi completamente disorientata, fu una cosa sola.
L’interno era buio, in contrasto con le strade inondate dal sole, e la ragazza fu incapace di vedere per qualche secondo. La seconda cosa che la colpì, quasi più della mancanza di luce, fu l’odore: con ogni probabilità, incenso, forte e penetrante, tanto da farle arricciare il naso per il fastidio. Quando riuscì di nuovo a vedere con chiarezza, notò che la luce esterna era bloccata da pesanti tende nere e l’unica cosa che permetteva quella vaga penombra erano delle luci al neon che, più che illuminare, aiutavano a conferire al luogo un’atmosfera vagamente inquietante. La stanza era piccola, stracolma di strani articoli di vendita: barattoli contenenti quelli che sembravano occhi, bracciali e collane ornate da teschi e, sopra ogni altra cosa, tessuti scuri e borchie.
Se le persone cui aveva chiesto informazioni riguardo quel negozio, non l’avessero avvertita, probabilmente a quell’ora sarebbe stata spiazzata… e mezza morta di paura. Si diede un’altra occhiata in giro ma il luogo era deserto.
-C’è nessuno?-
Dopo un paio di secondi dal piano superiore provennero alcuni rumuri indecifrabili e, da una scaletta che prima in quel guazzabuglio non aveva notato, comparve un uomo. Era grosso come un bisonte ed aveva svariati piercing e tattoo sparsi per il corpo.
Non le ispirava fiducia per niente ma tutti le avevano assicurato che era bravo a fare il suo lavoro.
-Cosa vuoi comprare?- le domandò con tono spiccio.
L’Elphi trattenne una smorfia al solo pensiero di acquistare quella roba. –Sono qui per un tatuaggio.- chiarì.
Il proprietario del negozio la squadrò da capo a piedi con aria di sufficienza.  –Non mi sembri tipo da cose del genere.-
No, decisamnete non le stava simpatico.
 –Questo lascialo decidere a me, grazie.- rispose gelida.
Quello alzò un sopracciglio, per niente turbato.  –Vieni di sopra.- disse, precedendola sulla ripida scaletta.
Il piano superiore era molto diverso: alle finestre v’erano leggere tende bianche attraverso cui la luce filtrava abbondante, l’odore di incenso era molto meno penetrante e non c’era traccia degli articoli strani che erano in vendita al piano inferiore. Al centro della stanza, proprio sotto un lampadario, v’era un lettino simile a quelli usati dai medici e affianco, un mobiletto pieno di aghi e boccette d’inchiostro. Arya distolse lo sguardo prima che quegli arnesi le facessero cambiare idea.
-Cosa vuoi che ti disegni?-
Il ninja prese una fotografia che aveva in tasca e gliela posre.  –Due. Semiaperte.-
-Dove?-
-Sulla schiena.-
Negli occhi dell’uomo passò un lampo di malizia.  –Allora dovrai toglierti la maglia. E quello che hai sotto.-
L’Elphi strinse i pugni, consapevole che, se gli avesse fatto del male, non avrebbe più potuto avere il tatuaggio che tanto desiderava.
-Sì, e tu rimarrai girato di spalle finchè non ti dirò il contrario.-
-Guarda che non mi scompo…- stava dicendo il proprietario ma lei estrasse dallo stivale il pugnale che le aveva regalato lui, la lama che rifletteva la luce, e quello si interruppe.
-Non costringermi ad usarlo.- sibilò.  –Ora voltati.- ordinò ed il tatuatore obbedì.
Dopo un paio di secondi, la ragazza si levò la maglia e, veloce, si distese prona sul lettino e sciolse il reggiseno.
-Girati.-
Di nuovo, l’uomo obbedì, le si avvicinò e le passò un panno sulla schiena. Nonostante la stoffa fosse calda, il Genin sentì un brivido percorrerle la schiena. Aspettò che quello iniziasse ma non lo fece.
-Che c’è?- domandò, la voce che le tremava leggermente.
-Hai i muscoli troppo contratti. Senti ragazzina, ti stai facendo sotto per la paura, smettila di giocare a fare il grande Jonin e torna dal tuo sensei.-
 Il ninja si indispettì: era vero, aveva una fifa blu -odiava gli aghi-  ma quello per lei non era un gioco.
-Senti un po’ tu invece, ti pago per fare il tuo lavoro non per sputare sentenze a tutta farza, quindi adesso chiudi il becco, io mi rilasso e tu fai quello che devi fare, okay?-
Senza aspettare risposta, Arya fece tre grandi respiri e tentò di sciogliere i muscoli.  –Sono pronta.- disse chiudendo gli occhi, per evitare di vedere quegli arnesi poco rassicuranti.
Di nuovo l’uomo le passò il panno sulla schiena e questa volta la ragazza sentì solo un lieve formicolio. Cercò di pensare ad altro mentre il tatuatore le incideva ripetutamente la pelle con gli aghi ma fu inutile e si limitò a sperare che quella tortura finisse il più in fretta possibile. Dopo quella che le sembrò un’eternità, il tatuatore posò gli aghi e le tamponò la schiena con il panno.L’Elphi sentì una fitta lancinante che le mozzò il respiro ma non emise nemmeno un lamento.
-Ho finito.- le annunciò.  –Se vuoi vederlo, lo specchio è lì.- disse, indicandole una parete della stanza.
Con cautela, la ragazza si alzò, premendosi al contempo la maglietta contro il petto,  la schiena che protestava ad ogni movimento,  e si diresse verso la superficie riflettente. Quando vide il tatuaggio, rimase sbalordita: le sembrava stupendo. Sulla schiena, una per spalla, v’erano due grandi ali d’acquila semiaperte. Nonostante l’omaccione le stesse parecchio antipatico, dovette ammettere che la sua fama era davvero meritata perchè aveva fatto un ottimo lavoro: sebbene fossero rigate dal sangue che ancora le colava dalle ferite, le due ali sembravano così reali che Arya si aspettava di vederle spalancarsi da un momento all’altro.
-Almeno ce l’hanno un significato?- le domandò il tatuatore.
Certo che ce l’avevano, era proprio per quello ciò che simboleggiavano che le aveva tanto desiderate. Aveva dato all’uomo la foto di un’ala di Gaart perché gliene riproducesse due identiche sulla schiena: lui era il suo compagno e le sarebbe sempre stato accanto, qualsiasi cosa sarebbe successa. Erano aperte a metà perché aveva compreso due cose importanti. Aveva finalmente capito che ricercare la vendetta non avrebbe riportato in vita i morti ed aveva trovato un scopo, seppur  momentaneo: riparare allo sbaglio che aveva fatto un anno e mezzo prima e riportare Sasuke a Konoha. Quando in fine, avrebbe trovato la propria strada, le ali si sarebbero spalancate. In quel momento, sporche di sangue, incarnavano alla perfezione il lungo e doloroso cammino che l’aveva portata a quelle consapevolezze.
Si accorse che l’uomo la stava fissando, interrogativo.
-Sì.- rispose finalmente e nella voce si rifletterono tutta la gioia e la determinazione da cui era animata.
 

                                                                                    FINE

E questo è quanto, spero vi sia piaciuto e lasciate una recensione, anche piccola =)
Sto pensando ad un continuo ma per adesso è solo un'idea =)

 



 

  
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