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Autore: LauriElphaba    11/03/2012    3 recensioni
“Mi chiamo Olympe Maxime.
Sono nata nel 1934, sono diventata Preside dell'Accademia di Magia di Beauxbatons nel 1984.
Mio padre era Fabrice Maxime. Di mia madre so ben poco. Quel che è certo è che si chiamava Alexane, ed era una Gigantessa."

Dedicata a chi ama i personaggi minori :)
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio, Fleur Delacour, Rubeus Hagrid, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Secondo capitolo sfornato!! Giuro, stavolta avevo paura che non vedesse la luce: ansia da prestazione. XD Per questo devo ringraziare ancora una volta chi mi ha incoraggiato recensendo il capitolo precedente: Fera, Charme, Enide, Iurin e Shnusschen! Un ringraziamente speciale con abbraccio spupazzoloso va a Fera che mi ha betato gli orrori di grammatica/ortografia che nel mezzo della mia trance da mancanza di sonno avevo sparso un pò ovunque. XD Donna, ti amo! <3
Non c'è molto altro da dire, quindi...buona lettura e come al solito, bacini a chi legge, bacioni a chi commenta!:-*







Crescere, crescere, crescere...









 

Dire che ho avuto un'infanzia difficile e tormentata probabilmente aumenterebbe il tasso d'attenzione dei lettori di questa storia. Riflessione che, tra l'altro, dovrebbe farvi sentire in colpa. A quanto pare in un buon libro il personaggio principale deve superare chissà quali difficoltà prima di vivere felice e contento... si direbbe quasi che leggere di chi è stato più sfortunato di noi ci consoli, il che la dice lunga su come siamo fatti.

 

Ecco, sto divagando di nuovo.

 

Comunque, la mia infanzia non è stata niente di particolare.

Anzi, guardandomi indietro, la definirei una bellissima infanzia. Un po' solitaria forse, ma niente di più.

Siccome mio padre insegnava a Beauxbatons, vivevamo poco lontano dalla scuola. Non ho mai capito questa cosa, di altri istituti come Hogwarts: perché privare i propri professori di una vita sociale? Probabilmente non li mette di buonumore, no?

Mio padre era spesso di buonumore, e ne aveva tutte le ragioni.

Il suo lavoro lo rendeva felice, la sua libertà lo rendeva felice e, inaspettatamente, io lo rendevo felice.

La casa in cui vivevamo era piccola ma luminosa, nascosta al resto del mondo Babbano quanto lo era Beauxbatons, in un microscopico villaggio perso nei capi di lavanda e girasole della Provenza.

Ricordo le lunghissime passeggiate in quei campi con mio padre, le corse a perdifiato con Clairie.

 

Clairie era la mia unica amica.

Lei e i suoi genitori vivevano poco distante da noi, sua madre insegnava Difesa contro le Arti Oscure. Eravamo cresciute insieme.

Clairie aveva un anno più di me ed era molto carina. Anche da bambina, invidiavo i suoi capelli lunghi e sottili, e i suoi occhi azzurro chiaro. I miei capelli erano sempre stati troppo spessi e crespi per lasciarli liberi di crescere, e quanto ai miei occhi... beh, suppongo che non fossero né belli né brutti, erano normalissimi occhi castani.

Bisogna dire che sin da piccola sapevo che sarei stata diversa da tutte le mie coetanee. Mio padre era stato molto chiaro, aveva cercato di spiegarmi e di farmi accettare la mia situazione da quando avevo cominciato a parlare. E d'altronde, avrei dovuto essere cieca o molto stupida per non capire che in me c'era qualcosa di diverso dagli altri: come dicevo, Clairie era più grande di me di un anno, ma io ero più alta di lei di 30 centimetri.

Fabrice mi aveva anche raccomandato di non raccontare a chiunque la verità sulla mia natura: i pregiudizi sui Giganti erano forti allora come adesso, e temeva che qualcuno potesse farmi del male semplicemente per quello che ero.

Io non capivo come fosse possibile una cosa del genere, ma mi fidavo del mio papà.

In ogni caso, a Clairie e ai suoi genitori non sembrava importare della mia statura, e non ci impedirono mai di passare del tempo insieme.

Ricordo che ci divertivamo moltissimo a correre fino ai cancelli del Palazzo di Beauxbatons e a rimanere lì fuori per ore, a cercare di osservare quello che succedeva dentro. Entrambe trovavamo la scuola bellissima, e oggettivamente... non perché sono la Preside, ma Beauxbatons è meravigliosa!

Il Palazzo non è enorme, non quanto i castelli che ospitano altre scuole, ma è elegante, con quelle colonne altissime di un bianco immacolato, che danno all'ingresso un'aria imponente e antica. La nostra parte preferita, però, erano i giardini: grandi siepi formavano una specie di basso labirinto pavimentato, di tanto in tanto, da sentieri di marmo bianco. Dove le stradine si incrociavano, panchine riccamente scolpite e cespugli potati a forma di Creature Magiche abbellivano il tutto.

Clairie amava fantasticare su quando saremmo state noi a passeggiare per quei sentieri incantati, e su chi ci avrebbe accompagnato in quelle passeggiate.

Non conoscendo la mia vera natura, la mia amica non sospettava quanto quei discorsi mi preoccupassero e intristissero allo stesso tempo.

Il suo avvenire era certo, sapeva di essere una strega dalla nascita, ma io?

Quello che sapevo per certo era che ero figlia di un Mago e di una Gigantessa, e che delle mie due nature, l'unica che finora si era chiaramente manifestata era quella da Gigante.

Cosa avrei fatto se avessi scoperto di non avere nessun tipo di potere, solo quella statura ridicola e un bel pregiudizio cucitomi addosso sin dalla nascita?

Non ci pensavo spesso, ero pur sempre una bambina, ma a volte la paura di non poter andare in quella scuola meravigliosa era talmente forte da farmi piangere.

Fabrice non approvava che andassi a curiosare, diceva che avrei avuto tutto il tempo di vedere la scuola quando fossi stata più grande.

Non sapevo se credergli, e non sapevo se e quanto ci credesse lui stesso, ma quel posto esercitava su di me un'attrazione irresistibile, come tutte le cose, suppongo, che ci piacciono e che non possiamo avere. Avevo il terrore che un giorno sarei tornata come sempre, e l'edificio sarebbe scomparso, lasciando al proprio posto un brutto cartello con scritto:

Ci siamo spostati, tanto non avresti potuto comunque venire mai da noi, Olympe”.

Una volta arrivai addirittura a sognarlo. Mio padre mi ritrovò in lacrime nel mio letto e volle sapere cosa mi avesse turbato tanto. Glielo spiegai terrorizzata, ma lui si limitò ad abbracciarmi più forte che mai e farsi una mezza risata, assicurandomi che se Beauxbatons avesse mai deciso di darsela a gambe, mi avrebbe avvisato per tempo.

 

Un giorno, avevo dieci anni, decisi di andare alle mura senza Clairie. Attraversai di corsa il campo di lavanda che separava casa mia dalla scuola, come se stessi correndo verso una sorpresa. Era così tutte le volte, come se non l'avessi mai vista prima: stagliata in tutto il suo candore contro il viola e il giallo dei campi intorno, mi toglieva il fiato.

Raggiunsi la parte Ovest delle mura, dove io e Clairie avevamo scoperto una grande quercia cresciuta a ridosso di una breccia nelle mura, e mi arrampicai sull'albero. Da lì, attraverso la spaccatura, si poteva vedere gran parte dei giardini e persino una piccola porzione dell'ingresso. Inoltre, cosa di non poco conto, l'albero era abbastanza robusto e antico da reggermi senza problemi fra i suoi rami. Mi sentivo al sicuro là sopra... a volte, quando il vento soffiava forte rischiando di farmi perdere l'equilibrio, addirittura leggera.

Mi accovacciai su uno dei rami più alti, pronta a perdermi nelle mie fantasticherie. Era Luglio, e solitamente la scuola era semivuota, se non per qualche Professore di passaggio per una capatina in biblioteca e per il Preside, che rimaneva a disposizione durante tutte le vacanze. Tuttavia, quel giorno c'era un discreto via vai, e anche mio padre era dovuto andare a lavoro – altrimenti non sarei stata su quella quercia.

Mi ci volle un secondo a realizzare che probabilmente erano tutti intenti a spedire le lettere d'ammissione per i nuovi alunni. Che in quel momento, forse, decine di ragazzini fortunati in tutta la Francia stavano festeggiando con le proprie famiglie quello a cui sapevano di essere destinati fin dalla nascita. Trattenni a stento l'eccitazione: quando sarebbe arrivata a me... se fosse arrivata a me... io e Fabrice sì che avremmo fatto festa!

Fantasticavo sul modo migliore di celebrare l'evento – mancava solo poco più di un anno, perché non ci avevo pensato prima? - quando un grido mi riportò alla realtà:

“Olympeeeeeeeee!”

Presa alla sprovvista, persi l'equilibrio e scivolai giù dall'albero con un tonfo non esattamente elegante. Quando feci per rimettermi in piedi, vidi Clairie che ridacchiando mi offriva una mano per aiutarmi.

“Mi hai fatto prendere un infarto! Dimmi che hai un buon motivo...”, l'apostrofai, scansando la sua mano mentre mi rialzavo con una prontezza che speravo apparisse molto dignitosa.

“Olympe... - esitò con un mezzo sorriso, e nei pochi secondi che lasciò scorrere mi accorsi che le brillavano gli occhi, e che sembrava più allegra che mai - ...Olympe, è arrivata! La lettera! Guarda!”

Prima che potessi realizzare di cosa stesse parlando, mi mise tra le mani una busta color avorio. Con quel simbolo azzurro e oro che tanto ci piaceva stampato sopra.

“Vado a Beauxbatons, Olympe!”

 

Non ricordo cosa le risposi. Probabilmente l'abbracciai, e risi di gioia con lei. Ricordo che passammo tutto il pomeriggio a parlare di come sarebbe stata la sua vita nella scuola, a immaginare le avventure che avrebbe vissuto.

E ricordo che, ad ogni parola, il mio sorriso si accorciava di un'insignificante frazione di millimetro. Qualcosa di amaro mi pungeva la gola. E quando alla fine, dopo essere tornata al villaggio con lei, averla riaccompagnata a casa sua a braccetto ed essere rientrata in casa mi ritrovai sola in camera mia, mi concessi il lusso egoistico di scoppiare a piangere.

Ero felice per lei. Davvero, eravamo buone amiche, e le volevo bene con tutta la forza di cui sono capaci i bambini quando trovano qualcuno con cui divertirsi.

Ma mi stava lasciando.

Stava andando da sola nel luogo che avevamo sognato insieme tanto a lungo.

Lei poteva andarci.

Lei aveva fatto esplodere il pendolo di casa sua a sei anni, in un capriccio colossale, dopo che la madre le aveva proibito di uscire perché pioveva.

Io ero una bambina di dieci anni alta già un metro e settanta, che non aveva mai neanche spostato una foglia secca con la magia.

Dove speravo di andare?

Cosa speravo di festeggiare, a Luglio dell'anno successivo?

Per la prima volta nella mia vita, mi sentii davvero stupida.

Per non aver capito, nonostante mio padre me lo avesse spiegato con tanta cura e con tutto l'affetto possibile, che io ero diversa.

E che era ridicolo illudersi di andare in una scuola per Maghi.

I Maghi facevano magie.

Io, in tutta la mia vita, ero stata capace solo di crescere. E crescere. E crescere.

E non sarebbe mai stato abbastanza.

  
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