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Autore: SuperTeleGattone    11/03/2012    3 recensioni
Naruto sente i suoi trenta e più denti stare inesorabilmente per sbriciolarsi, tutti e all’unisono, in grandiosa sincronia, come una banda di ginnaste. E malgrado quest’orribile consapevolezza, la mandibola non concede tregua alla mascella.
Perché non si sono ancora mossi.
Non si sono ancora mossi, porco diavolo!
Né lui né lei, e saranno passati… Cinque? Dieci? Tre miliardi di anni? Quanto può essere passato da quel catastrofico momento? Dio, non lo sa, ma vorrebbe solo finisse… Perché accidenti se ne sta ancora lì, rinsecchito e con quell’aria idiota? Che poi lui sa d’esserlo, certo. Lo sa lui, lo sa lei, lo sanno loro, lo sanno tutti! A quest’ora, probabilmente, anche quel quintetto di fossili abbarbicato sul massiccio alle sue spalle.
Idiota… perché ancora non le ha risposto.
Come pensava: venerdì. Giornata di merda. Alla grande, eh.

Niente di nuovo e niente di che; solo quanto credo manchi tra i capitoli 437 e 559, casomai. Controindicazioni: può causare vomito, narcolessia e fenomeni di decesso.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki | Coppie: Hinata/Naruto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
Capitoli:
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• Angolo dell’autrice •

__Ohi, tu, benvenuto! Sia capitato per caso, cliccando sul pop-up hai vinto un iPod! Credici! Giuro!, al termine di strani budelli spazio-temporali della Rinascente; comunque sia andata, oh, grazie. Si va col secondo e si va a stringere qua sopra (credici! Giuro!). Ci si può chiedere: tutta questa roba per cosa, esattamente? Eh boh, va’ a sapere, esattamente… Forse, giusto capire/giustificare/condonare/yare-yare quanto sta mandando ai matti il partito arancio post 450, ossia: perché lo scimunito non ha ancora risposto? Perché siamo in uno shōnen manga, il protagonista o presunto tale è Sas’kesessuale, e Kishy, un adorabile misogino. Grandi ambizioni, insomma. Olà, mille grazie per attenzione, visita, astensione da omicidio e lettura; genuflessioni e biscotti a voi tutti. Per la consueta e legale menata su riconoscimenti, citazioni e figure da maître chocolatier, ci si sente a fine capitolo. Pizzosissimo capitolo, dolente e immoralmente grata.

Grazie ancora e buona fortuna lettura.

• • •










È molto meno indecente
andare a letto insieme
che guardarsi negli occhi.




[Friday]
Im in Love

[From Me to You]






__I don’t care if Monday’s blue
__Tuesday’s grey and Wednesday too
__Thursday, I don’t care about you

__Saturday, wait
__And Sunday always comes too late
__But Friday never hesitate

__“Friday I’m in Love”, The Cure





__Venerdì.
__Giornata di merda.
__Alla grande, proprio.

__Fiacco, infila le mani nelle sacche dei pantaloni: le sente umide di frustrazione, non nota il serrare e stendersi delle falangi. Non fiuta l’essere a un passo, uno soltanto, da un’altra crisi isterica.
__Peccato l’isteria sia un male storicamente femminile, e così borghese da mal adattarsi a un pezzente bietolone come lui. Più in genere, le nevrosi, le paranoie e i sovraccarichi cerebrali gli cadono oltremodo male. Non sono domicilianti del suo universo di beata demenza, solo visitatori occasionali; vacanzieri molesti e sgraditi, che prima levano le tende, prima lo fanno tornare in quadro. Ma sì, sappiamo chi! L’allegro sbruffone dalla rissa facile, non lo shinobi in lacerazione: a quello loro sono abituati.
__Lo danno per scontato, ovvio addirittura, come l’azzurro nel cielo o il verde per terra. Noioso nella sua petulante certezza, ma così, così dev’essere. Non altrimenti, no davvero… E qualora quest’altro si manifestasse al di là della sola potenza, sarebbe certamente additato con orrore e offesa: come ha potuto?! Vestire simili fattezze, adultere a quanto sempre stato?! Nemmeno li ha avvisati, l’ingrato, sulle insidie di sembianze tanto ridicole ma, comunque, consolatorie! Non sa che al più non va proprio giù il meno? Li falcia, i fili d’erba che vanno oltre l’orizzonte della mietitura.
__È un rischio mostrarsi diverso: diverso dal peggior genin dell’accademia, dal ninja più stupido del villaggio, dall’allievo del prode Kakashi, dall’erede del Sennin dei Rospi… dal sangue salvifico del Quarto Hokage. Un gradino più in là ogni volta, con loro che non tengono il passo.
__Gli hanno accordato fiducia, quella della Foglia intera: la Volontà del Fuoco stessa gli è stata riconosciuta! E ora, non può dar sfoggio d’impudenza, mostrandosi tanto debole e incostante, tanto umano. Troppo, per una Forza Portante.
__Certo, l’hanno accettato come uno di loro; tacita, però, la clausola d’inadempienza qualora non continui a rivelarsi tanto parimenti, inumanamente forte e resistente. Può conservarsi umano nella bontà e nella compassione, sì; ciò che non può, invece, è mantenersi altrettanto umano nella bassezza e deformità che fanno dell’altro l’umano. Eppure lui vuole appartenervi, sinceramente, senza attestati o clausole a margine. Un’umanità che, desidera, lo riconosca come un padre riconosce il figlio, o un branco, il proprio simile. Per natura, perché è così, oltre il pietismo di una prova.
__Un luogo cui lui spetta, e che lo aspetta: questo vuole.

__Per cui male.

__Molto male, Naruto. Che fai? Dai retta ai criminali – Madara Uchiha? Ai morti – il Quarto Hokage? Ai mostri – il Novecode?
__Che fai, Naruto? Pensi ancora a Sasuke? Alla sua vendetta? O cosa?
Vendetta, giustizia, te lo chiedi: se c’è, dov’è la differenza?
__Che fai, Naruto? Pensi Konoha non abbia avuto nemmeno la spina di sporcarsi le mani, usando, vigliacca, il sangue stesso del Ventaglio come taglione al suo capostipite?
__Che fai, Naruto? Pensi il cratere in cui stai annegando – tu, in valanga a tutto il villaggio – altro non sia che il giusto compenso?
__Davvero è così? In fondo lo pensi del Fuoco, no?

__Ha quanto merita.


__Scuote la testa. Sguaina una mano dal suo nido di tela, e la affonda nel cespuglio di fieno, posto a ghirlanda della vicina emicrania.
__No che non è così. Lui non pensa quelle cose; né le ha mai pensate. Neanche da bambino, augurando a tutti di marcire per la terra bruciata che gli seminavano intorno. A che scopo, comunque? Fargli scontare una colpa che, in ogni caso, sua non era? Gli avevano addossato una croce terribile, che troppo pesava e solo toglieva: qui non ci puoi stare, qui non ti vogliamo, qui non è il tuo posto. Via la luce e le ore in accademia, una cosa soltanto gli lasciava: non ce l’avrai mai tu, un posto.
__Quello restava e quello era.
__Non l’Enneacoda, no.
__Quella era la fine, la sua.
__Probabile le belve non abbiano scelta: sanno, possono unicamente essere malvagie, nell’infinità della loro perversione. Diversamente, gli uomini hanno la scelta, l’arbitrio: la tanto celebrata conoscenza del bene e del male. Loro sì possono scegliere; e decidano, con la testa o con la pancia, non d’essere ma di fare del male… è un qualcosa che fa tremare. C’è rabbia e c’è nausea – e un gran bel dire anche, perché non può dirsene davvero estraneo. Forse mai sino all’ultimo sorso d’euforico abuso; lo ha provato, però, lo ha bramato talvolta: di fronte un ragazzino poco più piccolo di lui e, ai piedi, il fagotto tarlato del compagno di squadra; sul ponte Tenchi, davanti al contorsionismo flautato del ministro di Oto; nello scroscio verticale del mezzogiorno, dinanzi lo scheletro d’aracnide di Nagato, figlio e sintomo – monito – di un meccanismo impazzito.
__Talvolta. Una volta. Un’altra. E un’altra ancora.
__Episodi, momenti, attimi infernali di un tempo in cui ha, con ogni minuscola, maledetta striscia del suo essere, desiderato e invocato il massacro, lo smembramento gustosamente anatomico di qualcuno. Quella voglia cieca, brutale e così simile al fermento sessuale di affondare le articolazioni, fino al gomito o al ginocchio, in budella e fluidi vivi. Il desiderio di restituire il male a chi ti ha fatto male.
__Libero arbitrio, giusto? Lo hai in mano e ti parla chiaro: fallo. Fallo perché lo vuoi e, giacché lo vuoi, lo puoi. Il gusto di potere quanto vuoi, qualunque cosa, al di là del bene e del male. Perché è il mio arbitrio e perché mi piace – diavolo, se mi piace.
__È il bimbo della Volpe, non ci si può fidare!
__Forse non avevano poi tutti i torti, già.
__Per quanto i suoi maestri e compagni ne dicano e lo blandiscano, sviandolo dal dolo e dal tanfo sotto le unghie, la Volpe in quei casi c’entrava. Sicuro. Entro precisi confini.
__Sarebbe facile sbarazzarsi di tutto: delle colpe e della furia che gli marcia per le vene. Sarebbe molto facile, troppo, e comodo: perché plausibile. Accessibile presto e bene finanche da quei bigotti ignoranti della Foglia. Plausibile, sì, ma vero? Vero? No.
__Ha un demone dentro, ma questo solamente non fa di lui un santo. Né un martire. Solo un disgraziato.
__Può darsi, qui, il Novecode non abbia scelta: non può esser altro dallo spirito feroce che è. Viceversa, lui… lui può. Lui deve. E lo scegliere si sta facendo sempre più affannoso e meno ovvio: la linea tra giusto e sbagliato, tra questo si fa e questo proprio no, tra diritto e opportunismo – tra portante e portato – è un laccio fragile fragile, attorcigliato per troppo tempo, troppe volte, in troppi giri, affinché regga e stia. E lui ha paura: ha la tremenda paura di non reggere e andar giù; crollare in un’emorragia di fibre rosicchiate poiché guaste.

__E non è bene, sai, Naruto?

__Non è bene mostrarsi tanto timoroso, tanto confuso, dopo l’esercizio di quanto in tuo pugno – pardon,
vostro. Dimmi: non trovi curiosa la tempistica? Tutta questa riconoscenza, quest’affezione, la fulgida gloria, e proprio al riemergere del demonio a nove code; le coincidenze, pensa! Ah, devi aver fatto loro una gran bella impressione, ragazzino: devi averli spaventati a morte… Se la sono proprio voluta, comunque: anni su anni a cantilenare vai via, mostro, vai via, e poi, a furia di sentirselo ripetere, uno ci crede davvero. Un mostro, uno lo diventa per davvero. Ma forse, sarebbe più calzante asserire ti ci abbiano fatto diventare: ti ci ha fatto diventare, il caro paparino morto.

__Avvita la mano nell’antro delle tasche.

__Non sei felice di un omaggio tanto grande?

__Si grinza in avanti, giù, sotto il germogliare spietato del crepuscolo.

__Quale lieta maledizione da dispensare al suo unico figlio.

__Silenzio!, ordina. Silenzio, prega.

__Davvero un bel padre di merda.

__«Basta!»

__Vorrebbe essere un urlo possente, quello di Atlante contro Zeus, capace di rovesciarlo da uno trono di comete e fuoco; tuttavia resta solo il lamento di una bestia ferita, tra la polvere della terra e il bruciare dell’aria.
__Ha serrato gli occhi da un poco, e quando intravede la granulosità ai suoi piedi, realizza d’esser ancora fermo. Davanti a quel palo.
__Ci ha impattato contro, un tempo, una distanza che paiono fatti di ricordi lontani. Eppure lui non si è mosso, neanche di un millimetro: ha giusto rimestato coi sandali la limatura del terreno, nell’ombra lunga, spatolata dai fendenti del tramonto.
__Su di lui, quella ha il peso delle nuvole in cielo; strana cosa, perché riesce a lavarlo dal fuoco giallo di un sole che cade.
__È dopo aver liberato la fronte dall’occupazione della mano, che lui ringrazia, grazie, in silenzio, grazie davvero. Ringrazia quel palo che, senza nulla chiedere, lo ha difeso – e dire, neanche poco prima lo avrebbe volentieri divelto! È una testaccia quadra, non a caso.
__Socchiude gli occhi arrossati, forse contagiati dal mattone sul naso, e abbozza un sorriso.
__L’ombra scivola timida e invisibile, sfiorandogli la riva della mascella e i capelli d’agrume: inconsciamente Naruto l’avverte, poiché lo reidrata; razionalmente, però, non se ne accorge. Vede giusto il palo, non l’ombra; per questo ringrazia e guarda solo quello, facile nella sua frontalità, non l’ombra, che una materia sua non ce l’ha.
__Lei nemmeno la sa, eppure c’è: è lì, su di lui, addosso negli effetti, e lui neanche la vede. Non la vede; solo la sente. La carezza gentile alla guancia viene da quella stanga scura lì, si racconta, e confonde il palo con l’ombra. Non capisce, diamine, non capisce ancora…
__Poi, qualcosa lo infastidisce.
__C’è qualcosa, qualcosa che ha, sente di aver dimenticato; che gli orbita attorno attento a non farsi notare. O quello è molto capace, conclude, o è lui molto tardo! La seconda che hai detto, ragazzo, risponde una voce e suona come quella di Ero-sennin.
__Gli scappa da ridere, forse per non piangere.
__Sarebbe lui che non riesce, allora? Che non riesce e non vuole vedere. Vederla. Dopo tanto tempo, vedere, per davvero, sarebbe, farebbe… Ah, non sa neanche poi lui cosa! Ma ha comunque fifa, una maledetta fifa del diavolo, perché non ne conosce il muso. Quando mai l’ha vista, lui? Figurarsi provarla sulla pelle, poi!
__Ci sono stati i maestri, sì, vecchi e nuovi compagni; i genin della Foglia e tre della Sabbia; i mentori e i detrattori; i pasti offerti e quelli scroccati; le radure in cui sudare in solitaria e quelle in cui correre in branco; c’è stato tanto, eccome. Però. Sì, c’è stato anche un però, e là resta.
__Manca qualcosa, ed è l’odore dell’infanzia a ricordarglielo: un bimbo come un passerotto, su un ramo sgangherato di giostra; lo stesso, sopra sgabelli troppo alti a ingozzarsi di ramen, confondendo la fame con la solitudine; e ancora, lui e una porta puntualmente chiusa, aspettando qualcuno che purtroppo mai arriva.
__Quella cosa manca, e se prova appena a pensarla, pure nella privatissima intimità delle sue trasvolate, rosola bene sino al cocuzzolo delle orecchie. Gli pare null’altro che una fantasia infantile, un po’ stupida, e fuori tempo massimo per un ragazzone di sedici anni suonati. Non avrà problemi nel girar agghindato come un pagliaccio arancione forse, ma non si azzardino a far del suo cuore un circo! Così lo serba dentro e non lo pronuncia nemmeno: perché non è uno scherzo.
__La voglia d’esserlo anche lui, amato.
__Incaponirsi sul diventar forte, sull’essere finalmente valutato tanto solido da vestire la carica di Kage, sono virili scuse a difesa della dignità maschile; su cose che, santo Dio, non vanno proprio dette.
__Il desiderio è però uno e capitale, tanto soverchiante da porre radici in ciascun quartiere del suo organismo. Ha nome ossessione, in genere, ed è fatta di rituali, nenie ripetute e sempre uguali, cause camuffate da fini: di quanto vuoi e, sistematicamente, mai hai. Racimolare l’interesse della bella Haruno, non tradire la fiducia di Umino e accaparrarsi quella di Hatake, accostarsi all’effluvio d’alloro del genio Uchiha e, da ultimo, diventare il Sesto Hokage di Konoha: non erano e non sono che strade secondarie, sentieri più o meno tortuosi con unico fuoco prospettico.
__Qui, però, subentrano le redini di orgoglio e imbarazzo nel metter in piazza i panni sporchi: berciare Hokage, ’ttebayo, Hokage, lo rende irritante, una bertuccia urlatrice; ululare voglio essere amato, un giorno voi mi amerete e allora vedrete, fa di lui un mendicante, l’orfanello da compatire. E con pietà e insofferenza sulla pesa, cos’è in tutta onestà preferibile? Beh, per lui la seconda, sempre: meglio le pietre della condiscendenza gratuita, a costo di tirarsi la zappa sui piedi.
__Per cui è forse meno sconveniente, nonché infinitamente più ambizioso, strombazzare a destra e a manca di diventare il prossimo Kage, sicché tutti lo avrebbero rispettato; malgrado, per lui, il sottotesto si conservi trasparente.
__Perché l’Hokage è amato da tutto il villaggio, giusto?
__Il maestro Iruka, questo, quando lui era al primo anno d’accademia: sette anni, broncio d’ordinanza e naso levato al corteo. Doveva ricorrere l’anniversario per la fondazione del villaggio; c’erano le magnificenze militari della Foglia a marciare, e si offrivano come sogni di conquiste e vittorie discesi in uomini.
__Nella bufera di coriandoli e riverenze, lui si era accodato al nuovo sensei – un bonaccione deboluccio e un po’ gonzo, a suo dire. Con sufficienza mal celata, lo aveva interrogato circa il vecchio gobbo con quel ridicolo cappello: ovviamente l’Hokage, non lo sapeva? Ce-certo che lui lo sapeva! No-non era mica stupido, eh! Voleva solo assicurarsi anche lui ne fosse informato, così da dimostrarsi effettivamente degno di essergli maestro!
__Fumando di vergogna, aveva poi insistito e rischiato, puntando sul nero quell’aria da menefreghista cui non fregava proprio un bel niente di nessuno: aveva chiesto perché. Perché mai tutti s’inchinavano presso un simile cadavere?
__L’azzardo gli era costato quanto basta: una randellata sulla zucca gialla per la troppa impudenza. Tuttavia non poté dirsi totalmente improduttivo, anzi: avrebbe dato direzione a forze altrimenti perdigiorno.

__«Perché l’Hokage è amato e stimato da tutto il villaggio; perché è il più forte.»

__Il Naruto di sette anni e centonove centimetri gli aveva scagliato in risposta un’occhiata biliosa e parecchio scettica: il più forte, eh? Ah, proprio un gonzo, Iruka-sensei… Quando poi, eccolo: fra l’acciaio della bandana e il taglio sul naso, qualcosa. Qualcosa, beh, forse di un poco ebete, sì, ma anche, come dire, luminoso. C’era qualcosa là sopra, sulla faccia da pollo del maestro e su quella di tutti i grandi attorno; qualcosa che avrebbe pagato oro e forse anche tutto il ramen del Fuoco, pur di vedere rivolto a sé. Per sé. Solo per sé.
__È facile sia nata allora tutta la filastrocca sull’Hokage: voleva vederlo ancora, quel qualcosa un poco ebete ma luminoso, e conservarlo per sé, questa volta. Riuscire ad afferrarla, quella cosa che volava, volava, volava alto; sebbene carica di cose e bagagli. Cose come fiducia, stima, affetto e amore. Anche amore, in qualche modo.
__Chimere da bambini, in fin dei conti: da grande sarò a capo di tutti i jōnin! Io diventerò un Sannin! Uno dei Sette Spadaccini della Nebbia, io! Conservarle strette anche dopo, superati i sette anni e i centonove centimetri, quello è realisticamente difficile.
__Probabile avesse imboccato la strada più ripida, in vista del traguardo prefissato; tuttavia lui non era tipo da rimangiarsi la parola: perché dice le cose così come stanno e non cambia idea! Ciò nonostante, ora, a quanto ormai? Dieci anni e una sessantina di centimetri in più, da quel giorno? Ora, all’ombra di quel palo, si domanda se non abbia dimenticato qualcosa lungo il tragitto; se la via secondaria, il come, non abbia finito per valicare e insabbiare il cosa, quel rogo che lo divora e vivifica da che ha memoria. Si chiede se non abbia finito per digerire il sogno ufficioso in quello ufficiale, soppiantando il primo con il secondo e tradendolo.
__C’è qualcosa che non ha visto e che, forse, insiste a non vedere.
__Aggronda le sopracciglia e rumina in silenzio.
__Ha dimenticato qualcosa? È una domanda. Poi si corregge: ha dimenticato qualcosa, è una risposta. Tutto questo tempo, ha smesso di guardarsi alle spalle per badare solo alla strada; ma la strada procede davanti come dietro, è in divenire ed è andata: quella strada è lì per un motivo. Il fine è la strada? Sono solo dettagli. O è la causa, la meta? Sono solo fatali. Cause camuffate da fini, ragazzo!
__Inizia a studiarsi la mano con illogico interesse, senza addentarne il movente; coglie solo che, se lo fa e vuole farlo, una ragione ci dovrà pur essere. Ruota quindi la zampa dal palmo al dorso, sopra e sotto. Sente che è lì la cosa, quel qualcosa fatto d’acqua e vetro, trasparente come aria ma essenziale quanto ossigeno; sente che è lì e che potrebbe agguantarlo, se solo non fosse tanto ottuso, tanto cronicamente in ritardo, tanto lui, cazzo!
__Ciò nondimeno gli hanno sempre ripetuto come il suo istinto, sì spericolato, possa dirsi anche valido alleato in assenza di altre doti: meglio assecondarlo perciò, senza dar troppo credito a funi di pensieri buone solo a imbrigliarlo.
__Sicché continua a giocherellare con la mano.

__Giocherellare con la mano?

__Muove le dita e da qualche parte, nel vuoto della testa, un campanello rintocca. Suona piano, e lui piano vede. Stesa lungo la verticale immaginaria dell’indice e la venatura del dorso, la vede coprirgli come un lenzuolo parte della mano: l’ombra.
__Mentre quello si dava all’autoanalisi spicciola, lei non ha cessato di schermarlo dalla barbara scorreria del sole. Gli ha dato riparato, senza che lui neppure sapesse o comprendesse, ma solo fraintendesse. C’è sempre stata, e lui… dov’era? A dar caccia ad altro, sempre altro; ma chi insegue comete, spesso finisce nei pozzi.
__Contempla la cute, tinta ancora da quella compagna silenziosa, e s’inceppa. È sempre stato fermo, beninteso, ma ora, forse, ha davvero smesso di pensare – pietà, una cosa alla volta per Naruto Uzumaki!
__Vede, e questa economia gli basta; vede, e questa sciocchezza lo sovrasta. Allenta le labbra e richiude la mano. La inabissa completamente nella battigia di una luce deviata, come in risacca, che da bianca, gialla, rossa – scotta –, frulla le ali e sbatte – si rovina –, e malandata cade, con un piumaggio prossimo al prugna. Prugna, quasi blu, da sopra la ruggine del terriccio.

__Prugna, viola, blu.

__La mano è livida, pesa. Le gambe vogliono muoversi, eppure stanno; minacciano di cedere, ma lui non le ascolta.

__Blu, scuro, dopo il tramonto.

__Sfrega le labbra, e non capisce perché si senta quasi risucchiar via – su, su, in alto – dal vento che, ostile, gli abbaia nelle orecchie.

__Blu, scuro, prima della notte.

__Proprio non capisce perché la terra paia viceversa trascinarlo giù – giù, giù e giù, sotto –, in tutta la contrarietà che lo possiede.

__La notte, la luce, la terra, il rosso, nel vento.

__Trema, e fiuta lì accanto la concreta possibilità di decollare in verticale o franare come una torre di rottami, se non si dà una mossa. Il vento, suo fidato elemento, trasporta all’orecchio qualcosa che non gli piacerà né gli farà bene; una voce che ha in sé il di lui nome, più un altro mai udito prima. Come un canto dopo un boato: non distingue dove è confusione e dove, percezione. Non se lo aspettava lui, non lì e non al momento di certo; non era preparato. Lo ha sempre, sempre voluto sentire, eppure… Chi l’avrebbe mai detto: fa male.

__Rumore, tanto rumore, quindi parole.

__Ha preferito non ricordare. Ma sono solo parole: che cosa potranno mai fare?

__Parole, poi vuoto.

__Che cosa?

__E la voglia di bruciare il mondo.

__Troppo.

__Serra con forza la mano, adesso innaffiata da un poco di brina: è sudore, sudore dopo la colpa e, signori della giuria, abbiamo un colpevole. Oh, se lo abbiamo: uno laido e codardo colpevole, il più eccelso degli stronzi!
__Deglutisce a vuoto, cala il pugno e, in un turbine di fifa, trasloca via: via da quel palo, da quella cavolo di luce e dall’ombra. Ma sì, sedici anni appena che la ignora; potrebbe fare peggio?

__Merda.

__Cammina a ritmo spedito, tambur battente si direbbe, stentato come un fantoccio caricato a molla. Cammina e prega, prega la carica non si esaurisca proprio nel pieno della fuga, o il suo scheletro di patetici ingranaggi lo molli lì, in mezzo alla strada, a uno suolo bruciato che solleva troppi scheletri, e a quel merdosissimo venerdì.
__Allunga il passo. Vorrebbe correre, schizzar via possibilmente; ma si dice che sarebbe troppo, davvero troppo imbarazzante scappare, in coda a tutte le piroette già distribuite. Senza contare non sia nemmeno tanto sicuro di riuscirci a correre, ora, con le articolazioni di carta crespa e le giunture in cera fusa.
__Può darsi, tuttavia, provarci non sia un’idea poi tanto malvagia. Del resto, più sputtanato di così: col muso prossimo all’itterizia, il naso melanzana e il contegno di chi se l’è appena fatta nelle braghe!
__Senza avvedersene, e con l’andatura a metà tra un ergastolano in fuga e uno spiritato, raggiunge l’enorme spianata ospitante la tenda dell’Hokage e le rovine del Fuoco. Espira con trasporto il ragazzo, perché: sì, hallelujah, sì! È arrivato!
__Subito si rilassa, e che la plastilina delle sue gambe lo faccia pure capitolare rovinosamente a terra! Tanto, è certo, fra poco sarà tutto finito: avrà parlato con Tsunade-baa-chan, riscosso le ultime istruzioni da Kakashi-sensei e Yamato-taichō, e finalmente altro cui badare; non più ombre, pali, polvere e vento. Qualcosa con cui distrarre mani, testa e piedi, senza errare come un’anima in pena per le arterie eviscerate di Konoha, o i labirinti ancor più intricati della sua mente irrequieta. Un po’ di sana e virile rissa, per Dio, e tanti saluti sudore, tremori e svenimenti da signorina!

__Svenimenti?

__Risucchia le guance: s-sì, svenimenti. Presunti, po-potenziali, insomma, i sintomi ci son tutti. Rallenta, cominciando a sentirsi pericolosamente strano: o-ohi, no-non è niente, sì? E poi, c-che accidenti ha da balbettare?!

__Balbetta?

__Serra i pugni, e l’odiosa sensazione di quella brina sotto il palmo lo storna dal credersi in salvo. In ogni caso non sta balbettando, si sappia bene. Suvvia, non sta neppure parlando davvero! Avverte il labbro inferiore tremare, e la cosa lo indigna, disgusta e terrorizza insieme: ci vogliamo dare un regolata o no? Su, su, che non è niente. Ora torna l’idiota di sempre, e ci dà un bel taglio ai rossori!

__Dai, pure i rossori?

__Cosa? Ah, ma che ne sa! Non è mica sicuro di quello che sta dicendo. Non è nemmeno sicuro di quello che sta facendo. O di dove lo stia facendo. Neanche sa che ore sono – ah, no! Ecco, ecco: l’incontro alla tenda dell’Hokage! A posto! Capito! Due chiacchiere veloci veloci, le ultime nefaste novelle del giorno e poi, dritti al suo settore per una bella doccia fredda!

__Nientemeno? Però, che stallone!

__No, un secondo, gli è uscita male.

__No no, gli è uscita piuttosto bene. Di cuore, mi pare.

__Ohi, pausa.

__Forse siamo un pelino più a sud del cuore, d’accordo, e allora?

__Più a sud del cuore un accidente!

__Suvvia, siamo gente alla buona noialtri, in salute, se mi è concesso.

__Una legnata a nord del mento è concessa, e con gran piacere!

__Poche balle: chi è la fortunata?

__La scodella di ramen! Altro che balle: poche prese per il culo, cortesemente.

__Scherza? Il trionfo, la virtù eroica e, comunque, nessuna spasimante?

__Vuole una confessione scritta, per caso? Già, nessuna! Nessunissima nessuna! Ah no, aspetta… In effetti, una c’è anche stata; la sola cui lui abbia mai rivolto sguardi trasognati in quattro anni di patetica nullità sessuale, tra l’altro. La cosa più esilarante? L’essersi dichiarata nella disperata manovra di frenare l’allocco dalla matta corsa appresso l’altro ragazzo; quello che davvero lei ama.

__Uh, poveraccio… Nessun’altra, allora?

__Garantito! Nessuna! Zero tondo e spaccato!

__Che gran bugiardo sei…

__Prego?

__Vuoi contar frottole, Uzumaki? Sarà il caso d’imparare a bluffare meglio.

__Cos-? Oh! Oh alla grande! Deve tornare in carreggiata, e alla svelta, altrimenti diverrà psicotico più in fretta e con esiti peggiori di Sas’ke.

__Come illustreresti, dunque, l’esser una granata di nervi quando vaghi per Konoha?

__Ehi, grazie al cazzo! Col pericolo di rinvenire il cadavere di quello là appena fuori la cinta del villaggio?

__Parliamo allora di come ogni tanto, qui alla Foglia, con il sole alla perpendicolare, tu casualmente sgusci via, battendotela con una scusa risibile: non se la beve nessuno, vedi? Eppure tutti annuiscono, tanto fa male quella smorfia rotta sul viso. Non devi incontrare il maestro Iruka, Kakashi-sensei o chissà quale altro manichino di circostanza: è una fuga in piena regola. Le mani contro l’addome, e cazzo se scappi! Voli via da Konoha stramazzata nel mezzogiorno. Ti racconti che è solo il mal di stomaco, la tensione del periodo, il lunedì, il martedì, il mercoledì o il giovedì di merda. Solo quel giorno e poi passa; prima o poi deve, deve passare, perché così non si può: non tiri avanti così! L’incubo di tutto quel sole; una gola raspata dentro il ventre, e una, incubata tra vapori di terre lontane. E torna, torna sempre il fantasma di quel giorno: quando hai avuto e fottuto tutto nel medesimo, improvviso attimo.

__Dacci un taglio.

__Fifa a pronunciare il suo nome?

__Smettila, davvero.

__Cosa c’è? Credi che dopo… Uno? Due? Magari anche dieci anni, sì! Ecco: credi che quel tuo scansarla ancora e ancora possa ferirla di più?

__Non è divertente.

__Sepolto vivo nell’indifferenza o notato in punto di morte: tu cosa preferiresti? Meglio tardi che mai, tutto sommato.

__Dico sul serio.

__Lo stesso faccio io: sei stato tu, per tanto e in tanto. Te ne sei nobilmente infischiato, provami forse il contrario. Tanto fiato a sbandierare di adorare la diletta Sakura e considerare in parità giusto il caro Uchiha: sempre Sakura-chan e Sas’ke, Sakura-chan e Sas’ke, Sakura-chan e Sas’ke! Sporadicamente e con moderata intenzione, degnavi anche Kakashi-sensei, il maestro Iruka, Ero-sennin, nonna Tsunade o Shikamaru del tuo pregiato credito. Solo questi, comunque, andata e ritorno; e non ti sei mai accorto di non masticare altro in tutta la tua inutile vita – similmente a quel discutibile chiodo per il ramen. Sorgevi da un cardine e ti estinguevi nell’altro; il resto, solo sassolini e pulviscolo intorno al sole.

__Mi hai sentito: sta’ zitto.

__E lei, l’hai mai calcolata? Ti sei mai fermato un attimo, sia pure per errore, a guardare quel cosino lontano? Come dici? Non c’è voce nello spazio? Ti prego, raccontala a un altro. Non c’è voce, sì, ma c’è buio, e anche nella distanza scura delle leghe astrali, lui continuava a seguirti; forzava il suo giro per avvicinarsi anche di un nulla. Voleva scaldarsi, forse, e persino la grama commedia del fuoco tuo andava bene; persino la sola luce senza fiamma andava bene… Sai cosa, però? La luce, troppa e sguaiata, seduce e abbaglia. Acceca.

__Zitto! Hai capito? Zitto!

__Ho capito eccome io: la grana non è Uchiha che ti ha abbandonato, o Haruno che non ti ha mai amato. Non Hatake, ai cui occhi sei solo un ripiego, o Ero-sennin, del cui confronto non sai reggere il peso. No, loro non c’entrano, e non scomodare il padre e la famiglia che mai hai incontrato.

__Falla finita, cazzo!

__Il problema, Uzumaki, non sono gli altri.

__«Taci, taci, taci!»

__Il problema, Naruto, sei tu.

__Per favore, per favore.

__Una cosa volevi, una su tutte, e ci stavi seduto sopra.

__’Fanculo.

__Oh oh! Andiamo, ridici su! Se non è ironia questa…

__All’inferno, stronzo.

__Già stato, grazie. Piuttosto: vedi di non tirarla troppo per le lunghe.

__Tirarla per le che?

__Ah, vedi di, di… Vedi e basta!

__Cosa? Che sono un idiota?

__Vederla, pezzo di cretino! Ti è davanti e ti è dietro! La causa che è poi la strada! La dannata ragione del tuo essere qui in questo momento! Quella, chiaro?!

__Mica tan-

__Non t’azzardare.

__Yosh.

__Lento, muove le palpebre, e solo al nono battito realizza d’essersi arenato. Ancora. Miseria, devono averle tappezzate di colla le strade, all’ultima ristrutturazione, ironizza. Ma la platea è un po’ fiacca: qualche coriandolo di polvere e niente più, nel brulicare strascicato delle cinque.
__Il ragazzo ha capo chino e schiena conciata: è reduce dalla potente Arte del Cazziatone, dopotutto. La spina dorsale si curva dolorante, un ramo secco costretto in rotta a lui contraria, diversa. Non necessariamente peggiore, anzi, forse tanto migliore perché nuova.
__Ha sempre guardato in alto lui, fin da piccolo, imponendo quell’ambizione anche a tutto il suo scheletro di gomma. Sempre in alto, al cielo, al sole e alle stelle; nella sfacchinata verso il sogno e nell’ecchimosi di un laccio ormai perso.
__È la sua giurisdizione, quella. È il suo nindō. Non cambiare idea o direzione, limitandosi massimo a una veloce scorsa laterale, per sincerarsi Kakashi-sensei e Sakura-chan stiano bene e al suo fianco. Più di questo? Mai indietro; sempre dritto per la sua strada, invece, senza cambiare idea.

__Ma solo gli stupidi non cambiano, Naruto.

__Può darsi fosse quella, la ragione del testa quadra di Uchiha. Perché è normale, è legittimo, è umano: è una fortuna senza fine, cambiare.
__Per questo è stato stupido.
__E per questo lo rimane tuttora, stupido.
__Perché se si fosse voltato, anche appena di poco, di uno spicchio di meridiano, forse… avrebbe visto. Di lato, qualcosa pericolare tra panorama e resto del mondo; una lama detta attenzione, che non è katana ma gladio. Allora, sì, forse l’avrebbe anche vista. In penombra, dove luce e buio battono di fortuna; graziata dalla distrazione, mai da vera intenzione. Per caso, di striscio, di taglio. Ma il filo è doppio, ricorda? Così, zac, il sole le è attraverso. Caso curioso davvero, tanto da essere ridicolo: sa perché? Perché Hinata, tra le altre cose, è lì dove batte il sole.

__Ci sarebbe di che sbellicarsi, eh, Naruto?

__Fottiti.

__Ah, tranquillo! Certo tu non potevi saperlo: tu non sai mai niente, povero Naruto! Potenzialmente, sarebbe tanto meglio continuare a non sapere, dico bene? Quantomeno, rimarrebbe la speranza di non essere proprio, irrimediabilmente una merda. Oh sì, una vera merda.

__Come diceva: venerdì di merda.

__Alita pesantemente, senza curarsi di nasconderlo o sentirsene in dovere. Vorrebbe solo scappare in quel tugurio che, per quanto brutto e vecchio, è pur sempre arrivato a chiamare casa. Una vera disdetta il suo alloggio sia andato macinato col novantanove virgola nove per cento dell’intera Konoha, eccezion fatta per quei grossi testoni di roccia, tra cui – dovrebbe ricordarsi – c’è pure suo padre – benché la devozione filiale non lo invada poi molto, al momento.
__Le spalle si tirano, una fitta gli sega in due il lobo frontale, e lui prende atto non esserci luogo in cui fuggire o nascondersi: non c’è asilo, quaggiù, né ci sarebbe con quel buco di merda del suo appartamento ancora in piedi. È tempo di finirla, su, basta scappare: dalle cervella in ebollizione dietro la cotenna, e dalla voglia di prendersi a calci per il resto della vita. Dovrebbe solo far funzionare quei due globi tanto azzurri per troppo cielo, o troppo vuoto, nella testa, e usarli come si deve.
__Inghiotte una saliva latitante, lungo un esofago di rame e ruggine.
__Il sole di quel lunghissimo pomeriggio si sta dissanguando alle sue spalle, oltre i pinnacoli di roccia, incendiandoli entro una gigantesca aureola di fiamma, e in un’ultima, sgradevole risata torna a raschiargli la gobba con una mitragliata di luce. Manca l’ombra, ora, a ripararlo da ingiurie più che meritate.
__Scruta il terreno, la punta dei sandali e i granelli di cenere che, allegri e irrispettosi, danzano in cerchio alla sua triste disfatta. Le voci tutt’intorno lo sfiorano sbadate, anche se forse non vorrebbero o dovrebbero, essendo lui il campione di Konoha – e poi, chissà perché se ne sta così mesto là in mezzo? Come? Non sanno che un suo ex-compagno di squadra, quell’Uchiha, è stato dichiarato criminale e, pertanto, suscettibile della pena capitale? Oh cielo! E lui? Lui come l’ha presa? E come vogliono che l’abbia presa? Guardatelo, guardatelo lì: non vedete che dev’essere a pezzi! Ditemi voi: prima Jiraiya-sama, poi Akatsuki e infine questa! Dev’esser proprio un periodo tremendo per Uzumaki-kun…
__Periodo tremendo, eh? Di merda, alla meno peggio. Che poi, non è sicuro quanto sedici anni proiettati nel cesso possano effettivamente dirsi solo periodo. Comunque sia altroché, signori miei: veramente giornata di merda. Se non altro, però, sembra prossima alla fine: vede una luce in coda al tunnel! Non è detto si tratti dell’uscita, per carità, ma peggio di così… tanto vale tentare!
__Lo crede con forza il nostro Naruto, buon ottimista fin dalla nascita. Altrettanto iellato fin dalla nascita.
__Sospira ancora, cercando di scacciare un fagotto d’asfissia dentro il petto. Chiude gli occhi e, quando li riapre, ha già issato il capo, dritto. Beh, dritto… magari un pochino storto, e sia, ma comunque avanti; non perché dimentico della lezione appena impartitagli, piuttosto, sente di doverlo tener dritto, adesso.
__Ha sempre appoggiato il suo istinto nella vita, sbagliando o meno che fosse; chissà, probabilmente sbaglierà ancora: si spaccherà contro un palo, rimbalzerà indietro e poi, giù, daccapo nella polvere. Eppure lo fa anche a questo preventivo. Guarda avanti perché, similmente a prima, avverte il prurito, il fastidio evanescente di qualcosa. Qualcosa che tira e strattona come una fune la sua attenzione, che grida: guardami, guardami, miseria ladra, e senza sia io a cercarti per prima, ma trovami, vedimi tu!
__Strizza gli occhi come un miope, perché volano frustate di luce da ogni dove: cerca qualcosa, non sa nemmeno poi lui cosa; qualcosa, qualcuno, tra i pochi capannelli di anime a formicolare per la piana.
__Il sole agonizza comodamente e non pare favorevole a un armistizio: conta centomila ferri ardenti quello, tuttora in suo pugno e dal raggio di un titano, in grado di scavare crateri dalla pupilla sino al cervello.
__Leva una mano a gronda degli occhi per veder meglio; determinato, si rizza persino sulle punte – antica disciplina ninja –, così da ingrossare il suo raggio d’azione, ma poco da fare: non c’è granché da vedere. Arriccia labbra e naso, stanco, discretamente umiliato e con l’umore ai minimi storici dai funesti tempi della fuga di Uchiha.
__Tornato sulle piante, incrocia le braccia al petto, lucente indizio di un ultimatum: chiariamoci, vi va? Ora o mai più. Giura che al tre alza i tacchi, e ’affanculo tutto!

__Uno.

__Le persone lo notano e, certo, non lo avvicinano.

__Due.

__Ammaina le palpebre, inserisce la marcia e leva il freno a mano.

__E-

__«Ah! Mi pe-perdoni!»

__La sente.

__Spalanca occhi, orecchie e appendici, così, fulminato sul posto.
__Il nodo di braccia e nervi deflagra: l’ha sentita sul serio! È stato proprio un rumorino, un cigolio d’anta quasi, ma lui l’ha sentita – e l’ha fatto ancor prima di vederla, in una bizzarra riscossa del suono e di tutti i perdenti sulla luce. Vorrebbe avvicinarsi, addentrarsi nel carosello stonato della calca, solo non ricorda più il senso di provenienza del mi pe-perdoni! L’unica cosa certa è non gli fosse alle spalle, atterrandogli in opposto sul naso; di fronte, per una volta.
__Saltella da un piede all’altro, allunga il collo e caccia fuori la lingua in pegno di viva preoccupazione – sui carboni ardenti alla lettera. Cerca poi di minimizzare lo strano tremolio alle gambe, neanche fossero trasmutate in gelatina. Si puntella come un bambino troppo cresciuto, su quei centosettanta e rotti centimetri di longitudine spalmati d’inesperienza: perché forse basterebbe chiamarla, no? Pronunciare, gridare, cantare il suo nome per renderla reale. Tuttavia gli suona più virile cavarsela in autonomia e con le sue sole forze; tanti anni di attesa vanno ricambiati per bene, del resto, o con un poco d’impegno. La cavalleria, ragazzo, gli urlerebbe il vecchiaccio, non solo il nindō!
__Forse, ora, sta a lui cercarla.
__E trovarla.
__Accovacciata e all’ombra di uno jōnin ben stazzato.
__Poco più avanti a dove lui penava.
__E Naruto si frema.
__Smette di ondeggiare come un pazzo, e di bollire come l’anima inquieta che è.
__Smette di muoversi. E di pensare. Ammesso, non concesso, mai l’abbia fatto.
__Semplicemente, si arresta.
__E guarda.
__Quello soltanto.
__Guarda, e chissà da oggi non riesca a capirla un po’ di più, Hinata, e quel suo automatico nascondersi per non farsi mai vedere ma solo guardare. Solo per guardare… Lei lo fa parecchio, e Naruto sente che, forse, sta intuendone la sorgente: perché la guarda e non fa altro.
__Non c’è paralisi spazio-temporale, lui solo è fermo e lo sente: per una volta, Naruto Uzumaki sente d’esser fermo. Fermo, con tutto il mondo che si muove.
__E fermo rimane, a guardarla.
__Lei è ancora inginocchiata: raccoglie rotoli dal suolo per restituirli all’uomo che le sta vicino e che sarà alto quanto Ero-sennin. Hinata, invece, sembra minuscola, piccolissima da quella distanza. Ecco quindi che lei si rialza, spazzolandosi sommariamente ginocchia e stoffa morbida, per affrettarsi in un inchino: si scusa sempre troppo spesso, considera lui, ma tutte le volte con sincero trasporto. Di seguito, fa cadere il suo, di rotolo, e le mani spariscono nelle maniche della felpa, mortificate da tanta, costante goffaggine motoria. Si piega a recuperarlo ancora, ritorna in piedi e, in quell’istante, s’inchina. Con troppa foga, ohi ohi! Rischiando di assestare una bella zuccata all’energumeno di prima! Facendolo, però, ridere.
__Anche Naruto si trova a sorridere, mentre la guarda. Così continua, con il mondo che, francamente, se ne infischia.
__Eppure, non sta lì per un qualche debito. Non è nemmeno spudorata curiosità verso un mondo tanto buffo e fradicio di nevrosi. C’è della volontà, dietro.
__Frattanto, Hinata si accomiata dal suo simpatico avventore con altri trecento inchini; e Naruto si domanda se la radice risieda nell’imbarazzo o, piuttosto, nella seria convinzione di averla appena fatta franca, canaglia di una Hyūga! Ancora non la capisce, perciò insiste a guardarla: perché è profondamente ingiusto lei lo abbia sempre osservato, che lo conosca così tanto, mentre lui, all'opposto, non sa un accidente di Hinata. Sa che è strana, ecco, e gentile; che incespica in parole e piedi, a volte; più di tutto, che vanta la straordinaria facoltà di raggiungere creste di rosso degne del migliore Katon sulla piazza – quella lì è un’abilità innata, altro che Byakugan! E che la prima volta che l’ha vista, o meglio, la prima dopo il triennio peregrino con Ero-sennin, l’ha anche allora sentita prima di adocchiarla; scoprendola poi dietro lo spigolo di un angolo, nell’ordine: paonazza, terrorizzata a morte e catatonica.
__Ha pure congetturato di starle un poco antipatico, di, come dire, metterla a disagio – come no, lui! Celebre per aver quasi sorbito tè e frollini con quanti avevano appena dimezzato la popolazione effettiva della Foglia!
__Ha imputato quel ginepraio di stranezze a una certa singolarità di Hinata, a una sua spiccata ipersensibilità al più. Tuttavia… Beh, alla luce delle più recenti confessioni, tanta bizzarria, tanti episodi stravaganti ma emblematici, tutto un mondo invisibile e sommerso, ora, inizia a prendere forma.
__La sensazione è quella d’incasellare tutti gli atomi di un puzzle; il colpo, quello delle tessere di un domino.

__Che cadono.

__In un cerchio di terra disastrato e apertamente poco romantico, Naruto riesce dove per molto ha mancato. Non gli capita spesso di avere tempo e luogo dalla sua, in sincrono, ma oggi, chissà perché, funziona. Ha davanti una lanterna magica, e ci sono ritagli di quotidianità come coriandoli; melodie tenere, masticate dal girare della giostra; movimenti tartagliati e insicuri, imbarazzati e, forse per questo, tanto più autentici.
__Un poco capisce, Naruto, cose per cui gridare al miracolo queste.
__Può darsi riuscirci in completezza sia fuori discussione: chi sa o può sbrogliare un tale nido di spine, fili e nastri? Sono mondi interi stipati in aggeggi piccoli piccoli, e per vedervi dentro, non li si può mica disfare! Occorre polso da artificiere anche solo per tenerli fra le mani, come le lucciole, attenti a non far loro male.
__Questa è l’impressione che gli scorre fra le dita, mentre guarda Hinata, ferma ancora dove l’ha trovata.
__Lei si stropiccia una stringa di capelli, esamina i sandali, spolvera i pantaloni, e torna ancora alla stringa di poco prima. Si distrae, tuttavia, e rischia di far cascare nuovamente a terra il cilindro di pergamena. Lo riacciuffa in tempo, per fortuna, incassa la testolina dentro il cappuccio della felpa, e lesta si guarda attorno: voglia il cielo, il pubblico sia stato quantomeno contenuto! Rotea e rotea la testa: se la sviterà, è il pensiero di lui, le cadrà a terra, sicuro, e lei andrà ancora in panico perché: prima il rotolo, ora la testa! A un giro soltanto dal crack definitivo, però, si quieta, tornando a ispezionarsi i sandali.
__E Naruto ride. Ride, perché non si può, proprio non si può, buon Dio, essere tanto imbranati e spaventati assieme!
__Ridacchia svaporato lui, e non sente di stare iniziando a capirla, da quei dieci metri d’intervallo, e a desiderarla, forse. Tuttavia la completa assenza di una vita sessuale, in sodalizio ai suoi ormoni da sedicenne esagitato, hanno realmente gramo merito; c’è ben poco spazio per fantasie a La pomiciata – e qualcuno ai piani alti gli scaglierebbe volentieri uno zoccolo.
__È piacere, forse. A colpo d’occhio, di pancia, attrazione, simpatia: tutti, nessuno, vallo a sapere! Vallo a capire davvero, con Hinata che sta iniziando a piacergli.
__Per carità, non è certo passione o delirio dei sensi; però è piacevole, delicato e lieve. Cose simili, delicate e lievi, Naruto può contarle davvero sulle dita di un’unica mano.
__Perciò è bello e inaspettato stare lì, come un allocco, a fissare imbambolato Hinata. Naruto considera, poi, che se lei l’ha sempre fatto forse un incentivo ci sarà: perché Hinata non è stupida – contrariamente a lui. Sì, forse un po’ tonta e slegata dal suolo, in quel suo meridiano di spiriti e fate; ma non gli pare proprio scema, anzi. Può darsi sia la più sveglia in quel villaggio di omicida governativi e matti con scarso senso estetico. Probabilmente ha capito più cose Hinata di chiunque altro, prendendosi serenamente della stramba senza colpo ferire, perché sai, sto bene così.
__Già, Hinata non ha mai chiesto di più, né a lui né ad altri, che sappia. Appunto: cosa ne sa lui, di lei?
__La guarda ancora, rilassandosi, quasi non avesse fatto altro in tutta la vita. Alloggia le mani nelle tasche e non fa neanche più caso al sole, che non dà tregua, o alla gente, impensierita dal suo stato mentale dopo l’ennesimo trauma emotivo. Non bada più a molto, ormai, e solo medita sulla bizzarria della cosa: insomma, andiamo, è abbastanza ridicolo che questa volta, con lui a guardarla e a volerla guardare, sia invece lei a dargli le spalle nella più innocente delle scortesie! Tuttavia, questo è forse l’unico modo di farlo avvicinare a lei contenendo le perdite: come un animale selvatico, deve acclimatarsi piano piano all’ecosistema Hinata.
__Lei ha avuto tutta la vita per predisporsi, rapportarsi a lui, in modo o nell’altro. Lui, d’altro canto, non ne ha avuto proprio il tempo… E ora, beh, è mostruosamente impreparato, quasi debole e vigliacco a confronto suo; che con quei fuochi d’artificio nello stomaco e sulle guance ci ha convissuto tutta la vita, andandoci in giro e mostrandoli, volente o nolente, a stendardo dei propri sentimenti e di se stessa. Bandiere di rosso fuoco, e lui mai che abbia subodorato un fantastico niente. O quello è molto capace o è lui molto tardo, diceva prima, la seconda davvero, accidenti a lui.
__Niente, almeno, fino a esserlo lui stesso fuoco vivo.
__Per un secondo, tra i succhi gastrici e le code, il suo stomaco gorgoglia minaccioso. La scarica è muscolare, fuori dal suo controllo; eppure sente gelo, perché vuole alimentarla.
__Quel giorno, se lei non avesse parlato… lui non avrebbe mai capito.
__Nemmeno se lo sarebbe domandato, a voler esser crudeli. La follia suicida era più che eloquente; ciò nonostante, lui avrebbe avuto la decenza d’interrogarsi un minimo? Quale morbo avrebbe potuto istigare una persona, generalmente mansueta come Hinata, a gettarsi in un oceano di sabbia e morte? A gettarsi via, letteralmente? Quale diavolo d’insania ti muove? Cos’è, cos’è che è, perché? Perché, maledizione!
__Serra le mani in un crampo di dita e tela; la voglia di ruggire incuneata nelle viscere.

__Perché?

__Quello è il punto. Chiunque avrebbe saputo capirlo, chiunque.
__Il risvolto più strano, però, gli pare un altro ancora: quello che ha detto, più di quello che ha fatto, quello lo ha rovesciato. La parola, dietro il gesto; la parola causa del gesto; la parola dava nome alla causa. La parola. Era. Immane.
__Ne ha prese parecchie di cantonate in vita sua, ma questa, questa qui gli vale un posto sui libri di Storia.
__Si ammazzerebbe, cazzo, con le sue stesse mani! La ragione? Oh, ha l’imbarazzo della scelta! Una, però, al momento lo distrugge con metodo: lui non ci ha mai pensato a Hinata. Non in quei termini, almeno. Beh, in nessun termine onestamente.
__Sarebbe disonesto e derisorio dire come no, anche lui si è interessato a lei e con pari spontaneità! Pure prima di quel cruciale punto di non ritorno, sì sì, è così! Sicuro che potrebbe, potrebbe vomitarlo senza problemi; ma la puzza di bugia, no, non saprebbe mascherarla. Una bugia grande e grossa, poi, indegna di quello che è e prova Hinata, e questo, no. Il cuore, il suo, quello degli altri, è un luogo inviolabile: guai a scherzarci.
__Più globalmente, non ha mai considerato nessuna come possibile, papabile, ecco, così. Forse, solo Sakura-chan, benché…

__«Sei innamorato di Sakura?»

__Lui è innamorato di Sakura?

__«Ho letto che si sorride sempre alle persone di cui si è innamorati.»

__Bah, a lei è sempre piaciuto quello là.

__«Sas’ke-kun! Sas’ke-kun!»

__Lei lo adora.

__«Naruto, ti prego, ti scongiuro…»

__Lo adora veramente, non è così?

__«Riporta indietro Sas’ke-kun!»

__E lui, cosa prova lui?

__«Ti sei già dichiarato?»

__Cos-! E come potrebbe?

__«Vedrai che Sas’ke te lo riporterò io!»

__Non è nemmeno riuscito a mantenere la sua promessa.

__«Te lo prometto!»

__Questo a parte…

__«Grazie, Naruto.»

__Lui è innamorato di Sakura-chan?

__«Naruto, smettila, adesso basta! Lo salvo io Sas’ke-kun!»

__Lui ha mai amato Sakura?

__«Ho detto che sono innamorata di te!»

__Lui la ama?

__«Perché io…»

__Lo è mai stato?

__«Ti amo.»

__Innamorato?

__Corruga la fronte e disintegra l’iride in una pozza di pagliuzze smarrite, dentro l’azzurro crepato dal sole.
__Riflettendoci a dovere, forse neanche con lei. Forse neanche di lei.
__Per quanto ripeta, più a se stesso che ad altri, di adorarla e tutto il resto… ehi, non è che abbia mai provato a concretizzare niente; o azzardare altro dalla limpida e asessuata amicizia tra due ragazzini di dodici anni.
__È verosimile il suo avvicinarla, e con simili aspettative, sia frutto dell’esser stata la prima figura femminile di tutta una vita; la prima, in carne e voce, con cui avere a che fare. Da valente maschio alfa, aveva quindi ammesso dovesse piacergli, e piacergli per forza, a mani basse: perché lui era un ragazzo e lei, una ragazza. Per assioma quasi: io Tarzan, tu Jane, grosso modo. Senza nemmeno domandarsi quanto influisca e possa, riesca a influire la regola nel tamponamento amoroso. Non se lo è chiesto, se a lui Sakura-chan piacesse. Se gli piace. Ma piace davvero.
__È così che funziona, poi? Dirsi: mi piace, non mi piace? Se c’è, non lo si sente e basta? Più ci pensa, meno ne sa; a dodici anni, poi, che puoi saperne? Già, a dodici anni chi te lo fa fare di parlare d’amore?
__Sembra le femmine maturino prima dei maschi in questo come in tanti, altri campi. Ahi. Sakura-chan, come noto, è sempre stata tragicamente precoce. Ahi ahi. Da dodici a sedici, fan quattro: quattro anni. Non sono molti, eh? Ne contano sedici, però, loro. Quattro di sedici, un quarto pieno da che sono a spasso: sembra ancora poco? E dopo quattro anni, malgrado le crepe, la pioggia e i kunai alla gola, le cose paiono le stesse. Quattro anni, e quello, Sas’ke-kun, è e rimane ancora. Dodici anni, e Uchiha se ne va; sedici anni, e Sas’ke-kun rimane.
__Ma lui! Lui, in questo melodramma, che posto avrebbe? Che domande: il terzo incomodo, ovvio! Ma no, ma no, si scherza qua, suvvia; che tirava un’ariaccia, poco prima… In verità, non si è mai sentito geloso. Non li ha mai odiati. Al massimo invidiati, per quella cosa che loro sembravano avere – nel bene e nel male, e con buona pace di Misantropo-kun –, e che lui poteva solo guardare: guardare, ma non toccare, non provare! E chissà se già allora…
__Sradica le mani dalle braghe e si arruffa i capelli, di nuovo preda dell’isteria.
__Ah, no eh! No! Se insiste a raspar nella memoria, uscirà come minimo pazzo! Soltanto a pensarci, gli salgono i sacramenti: tutto il tempo sprecato, tutte le occasioni perdute, tutto quello che non ha capito e che, invece, avrebbe potuto avere, magari pure da sempre o anche da meno, ma comunque avere. Esserlo davvero, amato. E sentirlo, l’amore, viverlo, averlo, averla…
__Presto s’irrigidisce: cosa è stato? Più di tutto: chi è stato? Lui? O il vecchio pervertito?

__Che ne dice dell’autore della Tecnica dell’Harem?

__Sia lode alla coerenza, allora! Non ha forse appena confessato d’aver accelerato le cose, con Haruno?

__Coraggio, che va bene anche così, va come un treno: via una, sotto l’altra!

__In campana, Uzumaki! Lo ha giurato: dopo il Ferro, poche cretinate! Certo, non si discute. Gli piacerebbe solo capire come ci sia finito lì in mezzo il clima da sbornia all’Ichiraku; con tutto che sta guardando Hinata, poi.

__Allora vedi che ce l’hai anche tu, una fortunata, eroe?

__Cos’è, ieri a stento la calcolava, e adesso vaneggia di saltarle addosso? Che lo castrino seduta stante, nella gretta ipotesi possa approfittarne! Approfittarne, poi, quando nemmeno ha il fegato di avvicinarla. Non sarebbe troppo difficile finanche dal re degli imbranati, se si tien conto degli antefatti: santo Dio, che altro gli serve? I neon al grido di welcome, Naruto-kun?
__Sta rotolando in grande stile, coglione alla carta e alla mano, e sarebbe bene finirla alla svelta, altrimenti morrà su due piede e in un bel geyser di piastrine.
__Schiaffa le mani sulle gote, pareggiandole alla spugnatura vinaccia del centro muso; quindi si maledice, perché ha trascurato gli zigomi, che offesi dal metallo di prima ancora gli dolgono – e lui è solo un miserrimo represso, se non riesce nemmeno a contenersi guardando una ragazza.
__Frigna, e calcola come il balzo a un ludibrio potenzialmente imperituro possa subentrare giusto a foce di un calcio nei testicoli. Tant’è che, per un attimo, dimentica la sovranità imperante su tutta la sua infelice vita da Forza Portante e figlio mongoloide del Quarto Hokage, prontamente reattiva quando sta andando tutto in merda e ha il posteriore in caduta libera. Ma un attimo basta. Basta sempre, quando non urge.
__Distrattamente, prima ha evacuato il pensiero armonico e così poco Uzumaki, circa come vedere Hinata nuovamente parata di schiena, e per la prima volta dopo quell’indelebile occasione, fosse straordinariamente ironico. Ai limiti dello sberleffo, tutto sommato. Quelli, infatti, sembrerebbero essere i soli due casi in cui lei dà le spalle a lui, volontà a prescindere. E senza reale bile, se non per se stesso, trova abbastanza scortese l’esser costretto ad accogliere la sua personalissima, prima e probabilmente ultima dichiarazione d’amore, avendo a guardare giusto una schiena.
__Il pensiero lo esaspera, e quasi bestemmia contro la sorte, stronza e infame, a discriminarlo dal toccare per davvero l’amore. E scioccamente, in sedici anni di vita al limite della convergenza diabolica, Naruto Uzumaki pare non aver ancora compreso che non è saggio irritare la fortuna. Non la sua, di sicuro.
__Quindi si maledice l’eroe, più e più volte, per un numero imprecisato di vite e future reincarnazioni, quando, su richiamo al suo piagnisteo, Hinata si gira.
__Che il Rikudō Sennin lo protegga, ora.
__E lo vede.

__Merda.

__In maniera del tutto incidentale, sia chiaro. Certo non si aspettava di trovarlo lì e co-co-, così! Gambe a parentesi, mani alla bocca, guance sul mattone andante e occhi vitrei: la summa dell’umana disperazione dinanzi la cazzata definitiva.
__Starà bene? Si chiede lei. Perché io non credo di stare bene, si risponde dopo. A saperlo, solo a saperlo, chi si muoveva dalla propria divisione! Muoversi, poi? Ma iniziare a scavare la fossa, via via, senza troppi rammarichi!

__Merda, merda, merda.

__Ruotando appena, Hinata fa poi cadere a terra quello sfortunato rotolo, testimone di siffatte basse pantomime; mentre Naruto, dall’altro capo del diametro e a un passo dall’apoplessia, si solidifica come calce al sole.

__Merdosissima merda di tutte le merde!

__Hinata sguscia gli occhi, serrando le labbra nella muta supplica a sparire, sublimare, morire all’istante, miseriaccia ladra e schifa. Perché non è affatto pronta; perché è così vaccinata a non vederlo, a non averlo mai a più di un chilometro di adiacenza, non senza qualcuno attorno: dov’è Sakura-san, in effetti? O il maestro Kakashi e Sai-kun? Kiba-kun e Shino-kun, Akamaru, Tonton, i Sei Sentieri di Pain; qualunque, qualunque altra anima! Che poi, no, non può essere, ma… la sta fissando? No, non può, però, perché? Perché, maledetta lei e la sua idiozia, si è voltata? Sopra ogni altra cosa, però, perché accidenti non è ancora svenuta?

__Ma merda.

__Naruto si riassesta un secondo e tenta di darsi un contegno: scolla le mani dalla bocca e si raddrizza, rigido e lungo come un giavellotto – rastrello evocato sul posto! S’esibisce in una ridicola imitazione di disinvoltura; ma quanto esce è solo l’espressione tirata di qualcuno che non è certo e, forse, nemmeno spera di arrivarci, al giorno dopo. Hinata si esaurisce nel conservarsi immobile, speculare alla sua curiosa controparte arancione: se magari sta ferma, lui non la vede, prega, e ignora come Naruto abbia cominciato a badarle proprio lì e proprio ora.
__La vita, si sa, è tutta questione di tempismo. Può darsi non sia poi troppo tardi, dunque; neppure dopo dieci anni di fisime e sedici di balordaggine criminale.
__Così è: ai margini di un cerchio di terra, vessati da pulviscolo e sole, Naruto e Hinata non sanno davvero cosa fare. Ammesso ci sia, poi, qualcosa a loro conveniente fare.
__Restano ingloriosamente a guardarsi, i nostri, con simmetrica e paritaria incidenza per una volta. Non lei dietro di lui, né lui davanti a lei, no. Uno di fronte all’altra. Di fronte. E ora non si scappa, non si scappa più; mentre il bavero della felpa di Naruto mareggia indolente contro la mascella, e i capelli di Hinata si sollevano a tratti sul volto, servizievoli, nello sforzo di camuffarne il regolamentare rossore.
__Si guardano e, forse, è ora.
__Forse, ora, si vedono.
__Si spera.

Venerdì.__
Giornata di merda.__
Alla grande, eh.
__





Dressed up to the eyes__
It’s a wonderful surprise__
To see your shoes and your spirits rise__

It’s such a gorgeous sight__
To see you in the middle of the night__
You can never get enough__
Enough of this stuff__
It’s Friday I’m in love__

“Friday I’m in Love”, The Cure__




[From Me to You]











• • •

• Angolo dell’autrice •

__Ehi, gente. Come state? (Crepa, str@#za.) Ah, volesse il cielo, credetemi… Passiamo alle note, eh? Titolo! Dall’omonima, celeberrima “From Me to You” dei Beatles; i ritagli a inizio e fine pagina, invece, provengono ancora dal medesimo brano di un capitolo fa. Sta bene. Poi, il pezzo su Naruto e Iruka, ecco… l’ho inventato di sana pianta, ve lo dico. E forse ho pure fatto una grandissima gaffe, perché Kishy avrà sicuramente già illustrato come e quando nasce la fissa di Naruscemo. Vedetela come una maldestra licenza poetica, se potete (nonché abuso di potere e invenzioni altrui). Inoltre, per chi se lo chieda, tutta la parte simil-dialogica, come dire… Prendetela un po’ con le pinze: è Naruto con la Volpe? È Naruto con la sua coscienza? È l’episodio #26 di Evangelion? (Omedetō!) Sì. E no. Sno. Strano forte, eh (me sta a salì ’na botta, zio). Che altro c’è? Boh, finito.
__Mi scuso una volta di più per la mole e il tedio involontario. Sono sempre di una noooia, io (e ripetitiva). E ridondante (e ripetitiva). E voi ragionevolmente incacchiati, essendovi sparati legioni di bischerate giusto per vederli incontrare, ’sti due impediti. Sono una… oh sì. Lo sono. Galleggiante, per di più (e ripetitiva). Altresì, resto fermamente convinta siate gente di buon cuore voialtri, con nervi saldi e intestini Mondial Casa, se approdati integri a queste perniciose righe.
__Bene. Allora, mille grazie a tutti coloro che sono passati, hanno letto e sono arrivati fin qui. Grazie davvero; anche se non vi piace, non vi è piaciuto e continua a non piacervi.

Grazie grazie (e ripetitiva).

__Disclaimer: personaggi, fatti e luoghi citati appartengono a Masashi Kishimoto, cui vanno tutti i diritti circa il loro uso. Non c’è scopo di lucro.

• Le sviolinate dell’autrice •

__Secondo buona educazione, stimolo morale, debito umano e riconoscenza delle riconoscenze personali, passo a fare i ringraziamenti. Primo primissimo, a quella sant’anima che ha avuto la forza di leggere e recensire, adottando ’sto trovatello nelle liste. Le liste, buon Dio! (Le liste sono vita!)

__A thecinu: ehilà, ciao! Grazie mille per aver letto e non solo: per aver anche speso qualche meravigliosa parola dietro a ’sta cretinata! E a ’sta cretina, tra l’altro! Grazie sul serio! Che carina sei stata, davvero, ed io sono stra-felice la storia ti piaccia (ma poi, tu sei sicura? Ti senti bene? Dimmi, quante dita vedi?); la storia e pure come scrivo (ripeto: ti senti bene? Vuoi che chiami un’ambulanza, un oculista, uno sciamano?). Cacchio, va’ che è un complimentone mica da ridere il tuo, anzi: è una soddisfazione personale e autocelebrativa coi controco-, eh, di tutto rispetto. Grazie grazissime a te, perciò! Ma grazie davvero, serissimamente, e tralasciamo liste o non liste: per la fiducia accordatele (accordatami? Ci? Vi? VIVIN-C?) e l’incoraggiamento, soprattutto. Sei stata gentilerrima, sai? Spero solo di, uhm, di non farti cambiare opinione o tradire la tua bontà; spero di non far vaccate, in sostanza (ma le farò. Sì. Piangiamo insieme). Per questo bel regalo che ti svolta la giornata: mille, mille grazie! Di tutto e per tutto!

__E ci vuole, ci vuole davvero, un inchino e un ringraziamento epocale a quelle sante creature che l’hanno, tipo, scelta? Pertanto, grazie infinite e di cuore a: littlehinata, zombiecch, Gisella (sbaglio, o io ti conosco? Ciao, bella, è un piacerone! ^ ᴗ ^). Nella speranza di non fare stron-, ehm, di non farvene pentire (ma lo farò. Sì. Vi passo i contatti di mia madre, se vi va di discuterne).

  
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