IL SEGRETO
SVELATO.
Erano
passati tre giorni da quando la febbre lo aveva costretto al letto e in
quel
tempo non c’era stata neanche l’ombra di un
miglioramento. La temperatura non
accennava a scendere, anzi saliva ogni giorno di più. La
testa gli scoppiava,
non riusciva a stare in piedi. Poi si era aggiunta la fatica nel
respirare e
quel giorno aveva perso, molto spesso, conoscenza. Si alternavano
sprazzi di
breve lucidità dove l’immagine della fanciulla
ricorreva nella sua mente, a
momenti dove non si ricordava più dove fosse. Era riuscito a
sopravvivere fino
ad adesso solo perché, in un momento in cui la febbre aveva
smesso di salire,
era riuscito a portare a letto una brocca piena d’acqua e un
po’ di cibo. Ora,
però, non aveva la minima idea di quanti giorni sarebbe
riuscito a resistere.
Era
completamente buio intorno a lui. La notte era appena scesa. Sentiva il
suo
corpo come in fiamme, era la prima volta che gli succedeva. Era
preoccupato.
Stava seriamente pensando di trascinarsi sotto l’albero di
amamelide per
salutare, forse per un’ultima volta, la sua fanciulla. I suoi
momenti di
lucidità, però, non duravano più di
una manciata di minuti e lui non faceva in
tempo a recuperare un po’ le forze che sprofondava di nuovo
nel sonno.
Doveva
essere notte fonda ormai. Sentiva una voce vicino al suo letto, diceva
“Dove
sei?”. Non capiva da dove provenisse, continuava a sentire
quelle due parole e…
riconobbe la voce: era la sua. Non l’aveva riconosciuta, era
come se lui e il
suo corpo fossero stati due entità separate.
Stava
di nuovo per sprofondare nell’incoscienza. Il suo ultimo
pensiero fu: “Per
favore, non lasciarmi solo”.
Sentì
un tocco fresco sulla sua fronte, poi qualcosa appoggiarsi
delicatamente sul
suo petto. Sentì il suo nome in lontananza, qualcuno lo
stava chiamando con un
tono preoccupato. Il buio prese il sopravvento.
Un
rumore di passi, non era più nel suo letto: qualcuno
l’aveva preso in braccio.
Adesso si sentiva al sicuro.
“Scusami”.
Qualcosa
di freddo si muoveva vicino il suo addome. Era nudo, sentiva il freddo
attanagliargli la pelle, qualcuno lo aveva spogliato e immerso in
qualcosa,
forse acqua. Percepì come una forza avvolgere il suo corpo
che si intorpidì
come per magia. Non capiva, stava sognando?!? Poi una mano strinse la
sua, ed
era così vera. Qualcosa gli pizzicò la spalla,
era fastidioso. Poi il nero
divenne rosso: un dolore atroce si impadronì del suo corpo
senza lasciargli il
tempo di capire cosa stesse succedendo. Urlò e poi svenne.
Si
sentiva meglio. La febbre sembrava sparita. Era ancora nudo, poteva
sentire il
terreno sotto la sua pelle. Una morbido tocco sulla sua guancia e poi
il sapore
delle stelle sulle sue labbra. Voleva vedere, ma era troppo stanco per
aprire
gli occhi.
“Ti…”
Si
addormentò, si sentiva così debole.
L’odore
del mare, poi quello dell’aria fresca dopo la pioggia, erba
appena tagliata,
terra smossa. Il calore del sole, il cinguettio degli uccelli e
l’ululare dei
lupi e un canto di armonia.
Si
svegliò, non riusciva a dormire a causa di un dolore che
pulsava dalla spalla
fino al fianco opposto. A parte quello si sentiva meglio, le forze
stavano
tornando, ma voleva dormire giusto un altro po’. Prima,
però, voleva fare una
cosa che non gli sembrava non facesse da almeno un secolo:
aprì gli occhi.
Sbatte le palpebre un paio di volte per abituarsi e poi
osservò. Quella che
doveva essere una lucciola volò sopra di lui. Era notte: il
cielo scuro era
sopra di lui, rischiarato dalle stelle. Con la coda
dell’occhio destro scorse
una luce, si voltò e vide un albero risplendente di luce
dorata: era l’albero
di amamelide. Stava sicuramente sognando, non poteva trovarsi
lì: era meglio
tornare a dormire, anche se a quanto pareva, lo stava già
facendo.
Alessandro
si riaddormentò tranquillo e, per fortuna, non
notò un ramo che silenziosamente
tornava al sicuro nell’albero.
Un
fresco vento gli provocò un brivido lungo la schiena.
Riaprì gli occhi
svogliatamente: voleva ancora dormire. Lentamente mise a fuoco il
cielo, le
fronde degli alberi e delle strane gocce argentee, che fluttuavano
insieme a
dei fiori gialli: stava sognando, di nuovo.
Stava
per richiudere gli occhi quando fiori e gocce iniziarono a muoversi. Ne
seguì
il percorso ruotando la testa e… colei che apparve davanti
ai suoi occhi era
sicuramente una dea. Era di spalle e il vento, mente giocava con i suoi
lunghi
capelli castani, l’aveva circondata di quei fiori gialli e
gocce argentee. La
sua nuda pelle risplendeva candida alla luce di un’aurea
argentea che
l’avvolgeva. Iniziò a danzare, sicuramente non si
era accorta di lui. Voleva
vedere il suo volto. La splendida dea fece un passo, poi un altro e una
giravolta. Alessandro sgranò gli occhi: il suo subconscio
gli aveva fatto
davvero uno splendido regalo. Che bel sogno! La sua fanciulla era
lì, davanti
ai suoi occhi. Cavolo, quanto gli era mancata! Lo sapeva che lei non
era
veramente lì, ma voleva raggiungerla lo stesso.
Si
alzò.
Un
urlo.
Ricadde
per terra, un dolore atroce pulsava da una parte all’altra
del petto. Quello
non era per niente un sogno, il dolore era troppo reale.
Quindi…no, non poteva
essere vero…la fanciulla era…no, non ci
credeva…reale! Guardò di fronte a sé e
incontrò lo sguardo di lei, uno sguardo di puro terrore.
Alzò gli occhi al
cielo: la luna piena trionfava nell’immensa distesa blu. Gli
si ghiacciò il
sangue nelle vene: lui non avrebbe dovuto trovarsi in quel luogo.
La
natura iniziava a crollarli intorno.
Una
sola e infinita scossa attraverso il terreno e il suo rombo si perse
all’orizzonte, mentre un eco di distruzione aleggiava
prepotentemente nel buio
della notte. La fanciulla si abbandonò al suolo, sotto gli
occhi confusi di
Alessandro.
Come
cazzo aveva fatto a ritrovarsi in quel luogo? Era tutto sbagliato! Non doveva essere lì, lui
doveva essere
a casa divorato dalla febbre. Invece si trovava proprio nella radura
senza la
minima traccia di malessere e, si guardò il
petto… con un enorme e doloroso
taglio. La testa gli scoppiava.
Un
freddo gelo serpeggiò tra l’erba che velocemente
marciva sotto le sue mani. Il
cielo inghiottito da un enorme buco nero perdeva tra copiose lacrime
ogni sua
stella. I versi di grande paura degli animali non lasciavano spazio al
silenzio. I colori gocciolavano al suolo in un triste canto di morte.
L’amamelide lentamente iniziò a spaccarsi in due e
ogni secondo era un pianto
di dolore. La fanciulla urlò, un urlo di disperazione, di
vuoto, di fine e di
solitudine. Strinse la testa tra le mani e un pianto ininterrotto si
riversò
dai suoi occhi mentre la luna nel cielo tremava. Dolore, morte,
disperazione.
Il buio scendeva velocemente su tutto, circondava ogni singola
scintilla di
vita, la inghiottiva, la distruggeva e non accennava a fermarsi. La
fanciulla
lo guardò con occhi vuoti, spenti, sbarrati. Il buio stava
raggiungendo anche
lei, le serpeggiava intorno, cercava di rubare la sua luce. Le labbra
della
fanciulla si mossero, ne uscì un unico sussurro:
“Aiutami.”
Alessandro
non se lo fece ripetere, anche se non aveva la minima idea di cosa
fare. Non
riusciva ad alzarsi, così si trascinò fino alla
fanciulla, nonostante il
dolore, nonostante il sangue che iniziava a farsi strada tra le labbra
della
ferita.
La
fanciulla tra i singhiozzi e le lacrime continuava a ripetere:
“E’
tutta colpa mia. Questo disastro è colpa mia!”
Alessandro
non riusciva a capire, si sentiva così impotente: la
guardava piangere
raggomitolata su se stessa ed era come se un enorme masso si fosse
sistemato
sul suo cuore senza volersi più spostare. Le
accarezzò i lunghi capelli e la
fanciulla si strinse a lui, come se fosse la sua unica ancora di
salvezza.
Alessandro l’accolse tra le sue braccia perché
mentre il mondo li crollava
intorno lei era l’unica sua certezza.
“E’
colpa mia! Era una mia responsabilità e ho fallito, ma io
dovevo salvarti
perché sei la cosa più bella che potesse
capitarmi. Non potevo lasciarti morire
sapendo di avere la possibilità di salvarti. Mi scaldi il
cuore, mi fai sentire
felice e viva e il solo pensiero di non vederti più
sorridere mi fa morire
dentro perché… ”
La
fanciulla si bloccò, smise di piangere e, travolta dalla
verità delle sue
stesse parole, guardò Alessandro, nei suoi occhi limpidi
come il cielo e
profondi come il mare, con una nuova luce negli occhi: la luce della
consapevolezza d’amare.
“…perché…perché
io ti amo Alessandro!”
Le
lacrime riaffiorarono nei suoi occhi.
“Perché
io ti amo come non ho mai amato nessun altro e non mi
pentirò mai di quello che
ho fatto.”
Un
ultimo bacio a fior di labbra, un ultimo delicato bacio che si
tramutò in
passione, le loro labbra si muovevano come se fossero una cosa sola
mentre le
lacrime si mescolavano al loro sapore.
“Ti
amo Alessandro.”
“Ti
amo anch’io, Amamelide.”
La
fanciulla spalancò i suoi occhi castani, come se non
credesse veramente a
quello che Alessandro aveva appena
detto. Poi rise di una risata che sapeva di speranza perché
adesso finalmente
era tutto vero.
Lo
baciò e questa volta non era un bacio d’addio,
questo era un nuovo inizio
perché quel magnifico ragazzo davanti a lei era andato oltre
quello che i suoi
occhi vedevano, aveva guardato con l’anima ed era riuscito a
fare una cosa che
nessun’altro era riuscito a fare: aveva trovato
l’anima della luna.
Appena
le loro labbra si sfiorarono la luce della fanciulla risplendette come
non era
mai successo, era rinata e con la sua nuova forza travolse il buio che
attanagliava
il mondo, raggiunse ogni
singolo posto.
Poi quando i corpi dei due amanti aderirono l’un
l’altro un tripudio di colori
nacque dai loro cuori e andò a instillare una scintilla di
vita in tutto ciò
che ormai sembrava perso. L’arrivo di una primavera
improvvisa: questo era
quello che stava succedendo. Verde come l’erba, marrone come
gli alberi,
celeste come l’acqua, arancione, giallo, rosa e rosso come i
fiori e blu come
la notte che riconquistava le sue stelle.
Un canto di vita e di gioia
riecheggiava
mentre la paura abbandonava il cuore di ogni creatura vivente.
I
due amanti erano il centro di quella magia e quando entrambi si
guardarono,
arrivando ad osservare l’anima dell’altro
accettando senza paura l’amore
eterno, una nuova energia, mai esistita prima, si sprigionò
dai loro cuori,
un’energia che risanò le ferite
dell’albero di amamelide donandogli un’energia
di vita eterna.
Il
dolce silenziò della notte ritornò.
“Che
cosa è successo?” chiese Alessandro.
“Mi
hai salvato e insieme abbiamo salvato la natura.” gli rispose
dolcemente la
fanciulla con la luce della felicità negli occhi.
“Come?”
“Ti
amo Alessandro.” disse come se in quelle parole ci fosse la
risposta.
“E
tu?”
Alessandro
non riusciva a capire dove la fanciulla volesse arrivare, ma in
quell’istante,
mentre si guardavano negli occhi, seduti sull’erba uno di
fronte all’altro, con
solo un soffio di vento a separargli, decise semplicemente di
rispondere.
“Certo.
Ti amo anch’io A…Amamelide.”
Il
suo nome, aveva trovato dentro di lui il nome della fanciulla, quello
che
nessuno conosceva, quello che era il grande segreto che da sempre
portava nel
cuore.
“Amamelide.”
“Alessandro.”
Lacrime
di gioia scendevano dagli occhi di lei. Gli tese una mano e lui la
prese.
Adesso nessuno avrebbe più potuto separarli, neanche quello
stupido segreto.
Non
servirono parole, né gesti troppo ampollosi. Semplicemente
le loro mani unite,
perché quella era la notte del loro nuovo inizio, la notte
di Alessandro e
Amamelide.
NOTE DELL’AUTRICE:
Sono in ritardo mostruoso, ma finalmente ieri si è chiuso il
trimestre
a scuola e ce l’ho fatta!!!=)
Il prossimo capitolo sarà l’ultimo, non ci posso
credere!!! E’ ancora
in fase di scrittura e non ho la minima idea di quando sarà
pronto. Sperò
presto!
Arrivederci!=)