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Autore: crissi    11/03/2012    10 recensioni
Se Nanny si fosse rifiutata di accondiscendere il generale, andandosene a servizio altrove? Se avesse lasciato Oscar tutta sola a vedersela con l’educazione maschile imposta dal generale, senza che né lei né di conseguenza André, il suo punto fermo, potessero prendersene cura? Se André da piccolo fosse stato adottato da un nobile ed avesse mantenuto il suo carattere posato, ma spiritoso come da ragazzo? Se Victor non avesse dovuto sfidare Oscar diventando il suo innamorato, fedele, solitario vice? Se la bionda avesse scelto di non arruolarsi nella Guardia Reale, ma di ritirarsi ad Arras, arrivando a conoscere prima del tempo le condizioni di vita dei suoi contadini? Se questi due giovani uomini avessero saldato una amicizia ed Oscar ci fosse finita in mezzo? Ovviamente, più monelli, se non un poco libertini, in quanto ancora non conoscono la donna della loro vita, OOC per via delle diverse esperienze in gioventù e dello stato sociale.
“Re del mondo”, come Jack sulla prua del Titanic, quando la gioventù rende invincibili, quasi arroganti nella certezza di potere tutto, esponendosi di conseguenza. Tanti “se”, una sola grande svolta.” Con FAN ART
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: * Victor Clemente Girodelle, Alain de Soisson, Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I re del mondo - cap. 11 prima parte
cap. 11: “Camelie e rose” - prima parte

Parigi, privavera 1784


Il colonnello Victor Clément de Girodelle, impeccabile nella sua uniforme di un bianco abbagliante, scivolò lungo il divanetto azzurro polvere della carrozza e sbirciò fuori del finestrino le vie della Parigi notturna, quella che con le tenebre non dormiva per riposarsi di un duro lavoro, quella che se la godeva, che viveva al meglio.
Riconobbe la loro destinazione affacciata sulla grande piazza: un palazzo moderno, circondato da una cancellata degna di Versailles, era illuminato a festa.  Altre carrozze sostavano per far scendere ospiti, poi ripartivano, girando attorno alla mastodontica fontana, per andare infine a posteggiarsi in un angolo loro riservato.
Sapeva che i suoi uomini avevano già provveduto ad annunciare l’arrivo della carrozza reale e del suo seguito oltre che a mettere in sicurezza la zona, ma non si sentiva mai realmente tranquillo.

Sua Maestà, la Regina, aveva insistito a presenziare a casa di Fréville per quel ricevimento dato dagli sposi al ritorno dal viaggio di nozze, la loro prima apparizione pubblica a Parigi. Il re si era negato con eleganza, una piccola frecciata a quel ministro che alzava troppo la cresta, ma anche lui teneva alla partecipazione della consorte. In fondo Fréville era un suo ministro importante ed aveva appena impalmato la seconda donna più bella di Francia, nonché unica erede di una delle famiglie più benestanti, per di più sua cugina di terzo grado, che se solo fosse stata maschio si sarebbe trovata in lizza per il trono quasi alla pari di D’Orleans, ma di lui era senz’altro più piacevole, aveva confidato la Regina al suo accompagnatore.
Maria Antonietta l’aveva conosciuta in occasione del fidanzamento e del relativo benestare reale.
“Davvero graziosa, quella ragazza.”
Forse sì, pensava Victor, ma doveva essere una pessima persona per aver sposato quell’uomo orrendo, totalmente privo di scrupoli. Questi era un ministro del Re, era un suo superiore, ma per tutto questo non doveva necessariamente piacergli.
-    Andiamo colonnello, levatevi quell’ombra dal viso. State accompagnando la vostra regina ad un ricevimento come invitato. Fate le veci del vostro sovrano quale  mio cavaliere, mostratevi un poco più felice, ve ne prego!
-    Perdonate, Maestà, davvero. Sono solo preoccupato per alcuni avvenimenti poco felici accaduti di recente a Parigi e non posso scordare di essere responsabile della vostra incolumità.
-    Caro conte, cercate di essere responsabile anche per il mio buonumore già che ci siete, un piccolo sforzo. In fondo, voci di palazzo mormorano che non siate poi così riservato e burbero come vi atteggiate … Non in privato, almeno.
Insinuò sorridendo ed agitando pigramente il ventaglio davanti al viso dimodoché la luce birichina del suo sguardo ne risultasse accentuata.
Victor aprì appena le labbra e le serrò subito, ma concesse alla sua regina un sorriso tirato.
Va bene, Sua Maestà gli ordinava di divertirsi. Avrebbe almeno cercato di rilassarsi un poco e di non sembrare la solita storica rigida armatura alle spalle di Sua Altezza.
Certo, il ruolo di accompagnatore lo innervosiva. D’altronde, il comandante in carica della Guardia Reale era troppo anziano per presenziare a qualunque cosa e lui cercava di sostituirlo il più possibile. Per questo negli ambienti si mormorava riguardo la sua probabile, imminente nuova nomina a comandante. Inoltre, Maria Antonietta aveva candidamente ammesso che Victor aveva un aspetto decisamente più gradevole del suo anziano e malandato superiore ed era risaputo quanto ella gradisse circondarsi di persone giovani e piacenti.


L’entrata, come sempre quand’era in compagnia di Sua Maestà, calamitò sguardi ed esclamazioni. Maria Antonietta riempiva la scena, sempre e dovunque, non perché fosse la Regina, semplicemente perché era sé stessa: la stella.
Victor si guardò attorno, con l’occhio vigile della guardia del corpo, allenato da una vita a scrutare e notare ciò che gli altri non vedono.  Attirò l’attenzione del suo vice, l’efficientissimo e giovane capitano Brunet, quindi mosse qualche passo indietro per parlare con lui e portare la sua attenzione ad una finestra troppo vicina alla strada che sarebbe stato il caso di proteggere con una guardia.
Fréville si pavoneggiava all’imbocco della sala da ballo, davanti a dipinti di battute di caccia nelle sue terre al nord, dove lui veniva ritratto come il più grande dei cacciatori, con quindici chili e dieci anni di meno, per generosità del pittore.
Alcune dame, dopo essersi doverosamente prostrate al passaggio di Sua Maestà, tornarono ai loro discorsi. Victor attardatosi per richiamare il suo subordinato a prestare attenzione ad alcuni punti nervi scoperti del palazzo in tema di sicurezza, non poté non cogliere i loro discorsi.
-    Così dite che è in attesa? – insinuava una.
-    Sicuramente da prima delle nozze! – garantiva l’altra con tono di disprezzo.
-    Questo spiegherebbe con quanta precipitosità siano state celebrate. – risolse la terza.
-    Ammetto che la cerimonia è stata all’altezza sebbene sia stata preparata in fretta e furia.
-    Sì, superba, reale oserei dire!
-    D’altronde è questo che si crede il nostro ospite. Perché pensate che Sua Maestà, il re, non sia presente? Il nostro sovrano, non è certo un festaiolo, ma il messaggio che ha voluto mandargli è chiaro. Si fosse trattato di qualcun altro, non sarebbe mancato. In fondo la marchesa è sua cugina, anche se di terzo grado! Ha voluto mettere sull’avviso il ministro! D’altronde, chi dimentica quanto accaduto a Fouquet?
Victor inarcò un sopracciglio: sì, la marchesa doveva essere una “cara” ragazza davvero, come l’aveva definita la Regina. Morto un marito, non aveva certo perso tempo prima di trovarne un altro. E niente di meno che un ministro di Sua Maestà.
D’altronde ormai sapeva quanto la regina Maria Antonietta non fosse abile nel valutare le persone. Buona e generosa, sì, ma negata per finanza e rapporti coi suoi sudditi.
La sovrana era già stata omaggiata dai padroni di casa e velocemente era stata accalappiata dalla cara amica Polignac, che l’aveva coinvolta in un gruppo di dame invitate a conversare in modo informale col minimo dell’etichetta dovuta. Lui era rimasto solo, un po’ perso a seguire la sovrana nei suoi movimenti, quando si sentì chiamare dal loro ospite in persona.
-    Conte Girodelle! Venite, venite, caro Conte! Non siete a Versailles, potete sciogliervi un poco, non restatevene lì! Tengo a presentarvi finalmente la mia diletta consorte.
-    Mi dispiace di non aver potuto partecipare al vostro matrimonio, ministro. – si scusò Victor omaggiandolo con un inchino - Mi trovavo all’estero proprio per una identica occasione.
-    Sì, in Italia mi fu detto.
-    Esatto, una cugina a Torino.
In realtà aveva tanto sperato che le nozze della cugina lo avrebbero tenuto lontano dal giro mondano di Fréville, che in versione sposino innamorato era veramente irritante. Non era servito.
-    Non crucciatevi, caro Girodelle. Un colpo di testa è stato il mio, ma capirete il perché di questa mia follia anche solo vedendo la mia Camelia. Non potevo permettere che qualche giovanotto brillante e di bell’aspetto come voi, me la portasse via. Mia cara, voglio presentarvi un giovane dal futuro promettente.
La giovane si volse, scusandosi con le dame che l’attorniavano.
Fu un reciproco mancamento di respiro che li accumunò.
Camelia ebbe la sensazione di trovarsi davanti qualcuno che si era già conosciuto, del quale fidarsi.
Victor pensò subito che lei fosse fuori posto accanto a quell’uomo, oltre che indicibilmente bella.
Decisamente non aveva l’aria della sgualdrina che immaginava potesse reggersi al braccio di Fréville. E questa sensazione di sorpresa era destinata ad aumentare nel corso della serata ed ancor di più nei giorni seguenti.
-    Conte Girodelle … Mio marito parla assai bene di voi. – disse la marchesa porgendo la mano.
-    Mi stupisce che il Marchese non parli solo d’amore, con voi al fianco. – ribatté con galanteria, baciandogliela.
-    Ecco cosa intendevo alludendo al timore che qualcuno potesse portarmela via: Girodelle, ricordate che state trattenendo la mano della mia sposa … - osservò con sguardo torvo, ma divertito il marchese.
“Stupido pavone”, pensò Victor.
-    Così siete appena tornato dall’Italia, mi si è detto. – s’informò Camelia.
-    Sì, madame. I miei genitori non se la sentivano di affrontare le fatiche di un tale viaggio ed è toccato a me portare i doni e gli auguri della famiglia agli sposi.
-    Una cugina?
-    Sì, figlia del fratello di mia madre. Sono per metà italiano. – bisbigliò come in una confessione.
-    Non è un delitto, Conte. Invece, essere francese ed al tempo stesso ….  così poco francese come me,  pare lo sia. Aver sposato un inglese ed aver vissuto oltremanica durante la guerra, non è particolarmente apprezzato e mi rende una straniera in terra madre. – disse indicando di sfuggita con un movimento del ventaglio le malelingue che poco prima Victor aveva udito parlar di lei.
-    Ora questo non dovrà più disturbarvi, mia cara – s’intromise Fréville cingendole la vita con forza, a voler sottolineare il possesso – Ora siete la Marchesa di Fréville.
E Victor si accorse di qualcosa per quel gesto. Un impercettibile segno di stizza sul volto di lei, un disgusto a malapena trattenuto. Fuori luogo in una sposa novella.

Altri invitati si intromisero nella conversazione, il rumore della festa travolse tutto. Victor perso in quella piccola espressione di sofferenza che lo avrebbe turbato per tutta la sera, continuò a seguire con lo sguardo la padrona di casa, così bella e triste, mentre intratteneva gli invitati con grazia e simpatia.
Brindò, piluccò e fece danzare sua maestà che stranamente si stancò abbastanza presto ed espresse desiderio di ritirarsi nel suo appartamento alle Tuileries, poiché stroppo stanca per rientrare a Versailles.
Usciti che furono mentre aiutava la regina a salire in carrozza, dovette voltarsi per quella sensazione, come un tocco sulle spalle, forse solo il vento profumato di fine aprile. Ma la vide là, da sola sulla terrazza, illuminata dalle lampade ed avrebbe giurato che stava guardando proprio lui. Uno sguardo che non sarebbe riuscito a dimenticare nei giorni seguenti, non con la luce, non col buio, non nel frastuono di Versailles, o nel silenzio delle sue notti solitarie, nei suoi sogni più peccaminosi, percependo distintamente il suo profumo anche nel mezzo del puzzo della reggia, terrificante con le temperature in aumento .
Camelia Desirée gli era già entrata sotto pelle, incuriosendolo, attirandolo. E così cominciò tutto tra loro in quella dannata primavera.

***

L’aveva vista apparire in lontananza, l’aveva seguita con lo sguardo finché era diventata qualcosa più di un immagine sfuocata. Aveva potuto distinguere prima i colori, legno scuro e porpora: classico, non eccessivo, distinto ma non esibito; poi i dettagli: il passo dei cavalli, quattro; la polvere sollevata dai loro zoccoli; il sole del tramonto che si rifrangeva sul vetro del veicolo: toni caldi, ricchi come l’oro dei decori; poi aveva riconosciuto la sagoma del cocchiere, un uomo noto, ed infine anche lo stemma sui portelli: il suo stemma, quello dei Girodelle.
Era stato immobile, lì, solo alla grande finestra della sua stanza, respirando appena, trattenuto, come se avesse avuto paura di un movimento di troppo, di un fiato, di un rumore che potesse infrangere quello stato di attesa.
Era nervoso. Strano. Non gli accadeva spesso.
Sì, strano, non era il tipo, almeno non lo aveva mai creduto prima. Eppure era così: fremeva.
Non pensava che lei avrebbe accettato.
Lei, novella sposa, lei, roccia, lei donna complicata.
Aveva osato oltre l’incoscienza: la moglie di Fréville. Perché tanta arroganza? Perché esporsi così? Perché rischiare l’affronto? Le conseguenze di uno scandalo, la vergogna, il carcere, l’esilio, o anche solo un duello con Fréville!
E perché lei aveva ceduto? Avventata, leggera, eppure consapevole di tutto. Sfrontata, crudele. Irresistibile.
La carrozza dei Girodelle si fermò con un leggero sobbalzo davanti all’entrata della villa di campagna.
Una coppia di domestici si avvicinò alla vettura, pronti ad accogliere l’ospite.
Victor, che nel frattempo era sceso al pianterreno, si avvicinò alla vettura mentre il lacchè aiutava la dama a scendere; era vestita con un abito ricamato a fiori in vari toni di rosa: camelie.
-    Siete venuta, quindi – mormorò estasiato alla donna celata da un  velo che ne confondeva i lineamenti.
Il sorriso appena sfrontato non venne occultato dal semplice tessuto.
-    Riponete poca fiducia nel vostro fascino, signore. Non desideravo altro che incontrarvi. – sospirò ed il suo fiato mosse appena l’impalpabile drappo, come una ragnatela cullata dalla brezza.
Victor prese i lembi del velo con entrambe le mani e lo sollevò scoprendo il viso che fino ad allora aveva potuto ammirare solo di nascosto, in silenzio, con colpa.

Dopo il loro primo incontro l’aveva rivista spesso a Versailles e mai era stato un caso. Avevano parlato tanto, di viaggi e terre lontane che la giovane Marchesa aveva visitato col primo compianto marito. Ed aveva notato quanto si illuminasse coi ricordi e con la sua compagnia e quanto si adombrasse invece accanto al marito.
Così aveva osato la folle proposta.
Non si aspettava un suo sì, ma lo desiderava come mai in vita sua.
Fréville partiva a fine settimana per la sua battuta di caccia al nord. Lei non doveva far altro che recarsi all’angolo della via che le avrebbe indicato e la carrozza dei Girodelle l’avrebbe portata da lui, fuori città, lontano da sguardi indiscreti.
Avventato, rischioso. Eppure lei era lì.

Le prese la mano.

-    Venite, vi mostro la casa. – Appena entrati nell’ingresso le indicò una giovane cameriera - Nicolette si occuperà di voi per il tempo della vostra permanenza, non avete che da chiedere.
La fanciulla si inchinò e prese la borsa da viaggio di madame per portarla nella stanza degli ospiti, insieme agli altri bagagli pesanti portati da altri domestici.
Victor le porse il braccio e cominciò a guidarla per un breve giro d’orientamento attraverso la casa ed i giardini fioriti di maggio.
Camminavano e parlavano e la mano di lei carezzava il suo braccio teneramente, finché Victor gliela prese e la portò alle labbra, prima di chinarsi e baciarla con trasporto sulle labbra.
Non era il primo bacio. Ma era il primo alla luce del sole e fu emozionante.
Camelia si strinse a lui. Non c’era bisogno di parole, soltanto di arrendersi all’inevitabile.
Restarono lì in piedi, abbracciati, come persi nel tempo. Non esisteva più nessuno al mondo: non i doveri di Versailles, non quel dannato  matrimonio con Fréville.

La governante, riservata, composta, ma non severa, li raggiunse per informarli che la cena era pronta per esser servita. Victor aveva preteso una tavola intima, informale, dove avrebbe potuto trovarsi vicino alla sua ospite quanto bastava per permettersi qualche gesto affettuoso,  ma anche abbastanza lontano da riuscire a mantenere un decoroso contegno.
Camelia rideva serena agli aneddoti sulla sua infanzia e lui faceva altrettanto per le imitazioni irriverenti che la giovane faceva delle zie del sovrano.
Al termine della cena, il maggiordomo portò un cofanetto di velluto rosa e su ordine del conte lo aprì per mostrare il contenuto a madame.

-    Victor non posso. E’ troppo! – esclamò ella, portando una mano al petto.
-    Niente è troppo per rendere la misura del mio trasporto per voi.
-    Victor … non sono il tipo di donna che ha bisogno di doni per ascoltare il cuore!
-    Insisto . – disse lui.
Camelia accettò con un piccolo gesto del capo.
Victor si alzò, prendendo il gioiello con entrambe le mani. Si portò alle spalle della dama, mentre il domestico e la cameriera lasciavano la stanza, lasciandoli soli.
Ella seguì il collier scendere davanti al suo volto, lentamente, scintillante alla luce delle candele che attraversava ogni singola pietra, ogni singola goccia trasparente, moltiplicandosi sulle sue iridi con tutti i colori dell’arcobaleno.
Toccò la pelle del petto e la donna sussultò per la sensazione di calore seguita al contatto con la pietra fredda e non poté trattenere un sospiro. Reclinò il capo all’indietro quanto le bastò per incrociare il suo sguardo lucido, risplendente per l’eccitazione più delle gemme della Loira.
Victor proseguì e posato il dono sulla pelle, lo allacciò dietro la nuca, dove le sue mani solleticarono quella parte sensibile da principio solo incidentalmente, poi per volere. Ella chiuse le palpebre assaporando le sensazioni provocate da quel tocco in regioni opposte del suo corpo.
Le mani di Victor si spostarono un istante sulle spalle, ferme, quel tanto che bastò a far rallentare il battere del cuore; quindi le dita ripresero a scendere sul collier, raddrizzando le pietre lungo il collo e poi giù a sistemare l’ultima goccia deposta nell’incavo dei seni.
-    Semplicemente perfetto per voi … - mormorò.
Ella risollevò le palpebre e lo guardò fisso, in attesa.
Si chinò a baciarla, un bacio al contrario, scomodo, nervoso, ma che portava le sensazioni nella giusta direzione. Con le mani carezzava la seta ricamata sulle braccia di lei e la fronte sfiorava il suo seno che ritmicamente si sollevava ad ogni colpo di lingua, sempre più prepotente.
Camelia alzò una mano sulla sua nuca e lo obbligò a sé come a voler aumentare il contatto che si trasferì dalle labbra alla guancia, all’orecchio, al collo e non fu più sufficiente. Le lasciò le spalle per afferrare lo schienale della sedia che trasse all’indietro mentre ella si alzava ruotando in fronte a lui e prendeva il suo viso tra le mani, baciandolo, baciandola, in un divorarsi reciproco ed egualmente impaziente.
Improvvisamente, lei si staccò e posò due dita sulla sua bocca per impedirgli di ricominciare.
-    Qualche istante … Solo qualche istante – ansimò, le gambe che le cedevano.
Victor annuì. La lasciò andare ed ella arretrò, con una mano a riparar qualche ricciolo e l’altra sullo stomaco, sul bustino troppo stretto che la soffocava, illudendosi di riuscire a trattenere così gli spasmi del suo ventre.
-    Qualche istante … - ripeté ancora, uscendo dalla porta del salone appena oltre la quale, l’attendeva composta e invisibile la cameriera. Victor lasciò che salisse al piano superiore guidata dalla domestica.
-    Qualche istante … - bisbigliò a sé stesso prendendo a passeggiare su e giù per la stanza.

In poco tempo, perse e riperse il conto dei secondi, dei minuti … Quanto sono “alcuni istanti”? Un minuto, di meno, di  più … Un’eternità?
Decise di salire. La cameriera attendeva fuori dalla stanza. S’inchinò al suo passaggio e si ritirò senza un fiato.
Egli allungò la mano sulla maniglia. Esitò. Aprì.
Il buio lo accolse, ma non era veramente buio. Semplicemente le cortine del letto dal suo lato erano calate ed impedivano la vista di quanto stava celato dietro ad esse, ma tutto attorno poteva percepire l’ alone di candele diffondersi debolmente. Girò attorno al letto e la vide così, prona, una gamba pigramente sollevata, la mano sinistra a regger il capo, l’altro braccio sul copriletto, nascondeva il petto nudo, ma non quel prezioso collier luminoso quasi quanto il suo sorriso.
-    Vi sta molto bene addosso, madame
-    Dite? Non lo trovate … eccessivo? – scherzò Camelia riguardo il contrasto con la propria nudità.
-    E’ l’abito adatto all’occasione.
-    Diamo quindi inizio alle danze? – sussurrò maliziosamente.



Sorridendo, Victor fece scivolare dalle spalle la giacca chiara fino a che gli giunse ai polsi. La levò, la gettò su di una poltrona. Reggendo il suo sguardo, slacciò con decisione uno dopo l’altro i bottoni del farsetto il quale seguì lo stesso destino della giacca. Slegò i lacci dei polsi, levò il fermacravatta, la sciolse, la lasciò cadere.
Restò lì un istante, fermo, mentre la camicia leggerissima, non trattenuta da lacci o bottoni, come fosse stata dotata di vita propria, scivolava lungo i muscoli del suo petto, denudandolo in parte, lasciando intravedere la scultura della muscolatura, non in difetto con quella di un dio greco.
Poi andò a sedersi ai piedi del letto, accanto a lei, sprofondando nel materasso di piume. Si guardò la punta delle scarpe, sorridendo incredulo che lei fosse così vicino a lui, le scalciò. Sentì la mano di Camelia sulla sua.
-    Pronto a danzare, monsieur?
Volgendosi verso di lei, le ciocche ondulate scivolarono ad incorniciargli il viso, ed ancor più quando fornì la sua risposta, chinandosi a baciarla. Ella si stese sulla schiena, rotolando su di sé con la sensuale e misurata movenza di un felino; lui la seguì nel movimento osando accompagnarla col tocco delle mani; tocco che divenne carezze, all’inizio solo accennate, poi sempre più audaci ed intime. Ed ella lo ringraziò con una sorta di fusa, attirandolo su di sé, sfilando la camicia dalla prigione dei pantaloni, per poter insinuare i suoi artigli e percorrere le carni tese del suo dorso.
Cinse i suoi fianchi, imprigionandolo tra le cosce, mentre egli non smetteva di percorrere con le labbra la pelle del suo collo.
-    Sì, - la sentì sussurrare nell’eco di un sorriso compiaciuto - … sì …
-    Sì? – chiese guardandola in volto, perplesso.
Ella si morse un labbro, divertita, eccitata, sfrontata.
-    Sì … Oh, sì che siete pronto a danzare! - rise, strofinando il proprio ventre contro il suo sesso.
Egli si puntellò sui gomiti, spingendosi di più a confermare che non l’avrebbe lasciata insoddisfatta, strappandole un gemito.
-    Desirée (*) … Mai nome avrebbe potuto rappresentarvi di più, ora, qui, per me. (*Desiderata)
Scese a baciarle i seni, non privando neppure un solo lembo di pelle delle sue attenzioni, del suo provocare, titillare, solleticare. Ella confermava il gradimento arcuando la schiena, spingendo il suo capo con le mani, direzionandolo ove provava più piacere e trattenendolo lì. Ma Victor non era tipo da eseguire passivamente e proseguì oltre, cogliendola di sorpresa, impreparata all’ondata di piacere che egli trasse dalla profondità del suo esser femmina, piacere al quale cedette senza poter opporre resistenza, senza proroghe, travolta dalla sua decisa aggressione.
Prima le signore, si era sempre imposto Victor nelle questioni di letto, questo fin da quando aveva capito quanto una donna mettesse di sé nei rapporti amorosi e quanto rischiasse in termini di onore, emozione, e non ultimo, salute di mente e corpo, quando cedeva alla passione. Rischi che la quasi totalità degli uomini o ignoravano o deliberatamente trascuravano col solo scopo di soddisfare i propri sensi.
Cosa realmente deplorevole per un vero gentiluomo, pensava di ciò Victor. Perché esseri che così tanto davano, con così tanto coraggio, avevano almeno diritto al maggior piacere ottenibile dai sensi, a sentirsi il centro dell’universo prima di donare tutto quanto di sé.
La lasciò solo quando la sentì perdere il controllo, smarrita in piaceri che Fréville le aveva fatto dimenticare e per questo ancor più intensi ora.
Boccheggiante, ansimante, si coprì la fronte col dorso della mano, mentre Victor si sollevava in ginocchio tra le sue cosce prive di forza.
Sorrise divertito dalla scomparsa della sua vena canzonatoria mentre sfilava la camicia dal proprio torso accaldato e poneva mano all’ultima barriera tra i loro corpi, denudandosi.
L’afferrò per le braccia, la tirò su con uno strattone deciso, portandola cavalcioni dei suoi fianchi.

La tenne lì, più vicina che non si poteva, carezzandole il centro della schiena mentre l’umidità del suo godimento ancora pulsante lo accoglieva.
Amava far l’amore. Non aveva mai avuto dubbi. Amava amare le donne ed esserne riamato. Non aveva prezzo il momento in cui si perdeva nello sguardo della compagna come ora. L’eternità prima dell’abbandono.
La baciò, piano, la depose delicatamente sul letto sotto di sé, dentro di lei, perso sui lineamenti del suo volto accaldato, carezzandole i capelli umidi. Sapeva esattamente cosa avrebbe provato ora, sapeva sarebbe stato bello, travolgente, anche di più perché lei era fantastica, incredibile, divina. Sarebbe andato in crescendo fino al momento di doversi disgiungere, prima di perdere la cognizione di tutto, il senso di ogni cosa, trovarsi solo e fuori del mondo.
E così fu: bellissimo, fantastico, esaltante finchè capì di doverla lasciare. Si mosse appena, ma lei lo precedette impedendogli di scivolare via.
-    Restate … - mormorò.
-    Camelia … non posso …
-    Non preoccupatevi, non ci saranno conseguenze. – disse stringendolo, inarcandosi verso di lui, trascinandolo al punto di non ritorno.
Decise di doversi fidare di quella motivazione, anche perché non ebbe il tempo di ottenerne altre.
E fu diverso.
Un gentiluomo è sempre gentiluomo. Si era promesso una infinità di volte che mai sarebbe diventato un uomo alla Rousseau, che non si cura delle donne, delle conseguenze dell’amore fisico, che gode ed abbandona. Era sempre concentrato quando arrivava il momento, per prevenire conseguenze spiacevoli. Non come accade con la persona con la quale si è scelto di vivere la vita, non come con la moglie con la quale metterai su famiglia, e tutto diventa la desiderata conseguenza.
Ma quella notte, con Camelia, si lasciò andare completamente, senza pensare a dopo, libero.
E un po’ si spaventò accorgendosi, in un certo senso, di aver fatto sempre solo sesso, appassionato, sì, ma limitato, misurato, vincolato.                   
Si sentì diverso e cominciò a pensare che alla radice di questa diversità ci fosse l’amore. Un amore triste perché senza futuro.

Alla luce dell’ultima candela ancora accesa, la guardava sul suo stesso cuscino mentre, ad occhi chiusi, riposava accanto a lui, più misteriosa di quando avesse mai potuto pensare.
-    Lui lo sa? – chiese.
-    Cosa?
-    Che non gli darete eredi?
Spalancò gli occhi turchini.
-    No.
-    Non apprezzerà. Sono note le sue ambizioni dinastiche.- constatò accigliato.
-    Affronterò il problema quando si presenterà. – disse ella scrollando le spalle.
-    E’ pericoloso, Camelia.
-    Vi preoccupate per me, Victor?
-    Certo … - rispose teneramente con un filo d’ansia, come se si trattasse di cosa ovvia.
Gli carezzò il volto.
-    Camì … Voi mi amate? – chiese ricambiandola.
Rispose annuendo, perché udire la propria voce ammetterlo le avrebbe fatto paura.
Innamorarsi? Non poteva innamorarsi.
-    Ma? Non sono il vostro unico amore, vero?
Forse lui pensava a Fréville, come sarebbe stato corretto.
Lei non negò, ma il pensiero correva invece a chi non era più.
Quel sentimento sarebbe sempre restato lì, dolce e doloroso. Incancellabile, inguaribile.
-    L’amore ha molte forme e sfumature. Nessuna è minore. Vi pare impossibile?
-    No, capisco, ma vorrei tanto non fosse così. Vorrei avervi conosciuta prima.
Anche lei. Ma non prima di quelle dannate nozze. Prima di tutto. Prima di quel giuramento, prima di quel proposito, prima di quel passo con Fréville.
Se avesse conosciuto prima Victor, una decisione così non l’avrebbe mai presa. Non avrebbe gettato un futuro felice in pasto alla vendetta. Si strinse a lui, rannicchiata sul suo petto, carezzandoglielo.
-    Alcune volte, occorre fare delle scelte. Altre volte, bisogna far coesistere ciò che è irrinunciabile, altrimenti è la pazzia.
Egli guardò le tende gonfiarsi con la brezza notturna, ormai vicina alle temperature estive.
-    Non so se sarò in grado di dividervi … - mormorò Victor.
Alzò gli occhi su di lui, lucidi di tristezza e desiderio.
-    Non dovete dividermi con nessuno ora. Sono qui, con voi, per voi. – disse mentre le carezze si spostavano dal torace a parti più intime, provocandolo.
Un colpo di vento fece piombare la stanza nell’oscurità.
Victor le carezzò il fianco, strinse la mano dietro al suo ginocchio e sollevò la gamba piegata sui suoi lombi, portandole il bacino a contatto con quella parte di lui che non aveva bisogno di altre sollecitazioni per mostrarsi interessato.
Era lì, con lei, per lei. Solo per lei.


-    Continua




Breve cronologia per orientarsi coi flashback (ormai vi ho confusi più che a sufficienza!) di questa storia che, a farla breve, si svolge solo durante l'estate del 1784 e si concluderà coi primi freddi : )
Avrei anche potuto titolarla "La lunga estate calda" (così tanto per rubare un titolo ad un bellissimo film!)



1753 nasce Victor (non conosco la vera data) Ho immaginato per lui 3 sorelle minori, con 1, 3 e 6 anni di meno.
26/8/1754 nasce André
25/12/1755 nasce Oscar
1759 nasce Camelia
agosto 1760: André bambino va a vivere dal barone di Plessis Bélliere
giugno 1770: Oscar va a vivere ad Arras
primavera 1775: André viene adottato dal barone e diventa l'ultimo dei Plessis Bélliere
estate 1775: muore il barone
autunno 1775: André conosce Alain e si arruola
inverno 1776: André conosce Victor
1777: Camelia si sposa a 18 con l'inglese lord Ross William Chatwell (che per farmi del male ho immaginato uguale a Matthew McConaughey)
febbraio 1783: lord Chatwell viene assassinato, lasciando Camelia vedova e disperata (come la capisco!)
maggio 1783: il marchese De Fréville diventa ministro della guerra
Natale 1783: Camelia viene arruolata dai servizi segreti di Re Giorgio
marzo 1784: Camelia sposa Fréville
aprile 1784: Camelia conosce Victor ed il mese seguente ne diventa l'amante (come la capisco!)
7/6/1784: Fersen torna a Parigi al seguito di Re Gustavo di Svezia (e 9 mesi dopo nascerà il principino Charles ... mah...)
18/6/1784: André conosce Oscar al laghetto
21/6/1784: Victor conosce Oscar Françoise a Versailles, durante la festa al Trianon in omaggio a re Gustavo di Svezia
primi di agosto 1784: Victor decide di sposare Oscar
fine agosto 1784: fidanzamento ufficiale e amara sorpresa per André







 
















   
 
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