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Autore: Il_Genio_del_Male    11/03/2012    3 recensioni
"Non siate tristi per me quando non sentite la mia voce in casa; la vita non è mai nella nostre stanze. Moriamo. E poi torniamo. Come tutto".
John deve fare i conti con l'assenza di Sherlock [Post 2x03].
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie ''We're not a couple'. 'Yes you are'.'
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Buona lettura!

 

 

 

 

 

“Senza la speranza è impossibile trovare l’insperato”.

(Eraclito)

 

 

 

Quando John riprende i sensi (quanto tempo dopo non lo sa) lo scenario è totalmente cambiato.
Percepisce la posizione del suo corpo disteso sul divano del salotto e la presenza avvolgente di un plaid scrupolosamente rimboccato a riscaldarlo.

 

Sherlock aveva sempre le mani fredde, i guanti per lui erano un optional. Mani fredde, occhi gelidi, cuore di ghiaccio.

Oddioddioddio, Sherlock.

 

“Sono qui, tranquillo”.

Batte le palpebre una, due volte, mette a fuoco. Volta lentamente la testa a sinistra, incrocia il suo sguardo e BAM. Cazzo, fa proprio male.

Rimangono così, nel silenzio più assoluto: Sherlock seduto sulla poltrona come ai vecchi tempi e proteso verso di lui, in attesa, e John rigido come uno stoccafisso. Con uno scatto nervoso del polso si libera della coperta. Intuendone le intenzioni, il detective in un attimo è lì, in piedi, le braccia allungate verso di lui pronte a sostenerlo.

“Non. Mi. Toccare” ringhia però il dottore, mentre con qualche difficoltà posa un piede e poi l’altro sul parquet, appoggiandosi contro lo schienale del divano.

La bocca di Sherlock si piega in una smorfia amara -ferita- e aspetta che l’altro si sia messo comodo, per poi sederglisi accanto. “E’ rimasto tutto come mi ricordavo. Ho dato un’occhiata alla mia vecchia stanza; sei stato gentile a non disfarti delle mie cianfrusaglie” esordisce con voce morbida, pacata. Lo guarda di sottecchi, abbozzando un sorriso esitante.

“Non so perché le abbia conservate. Forse speravo che saresti tornato, pur non credendolo possibile. E invece mi sbagliavo, a quanto pare. Non avevo fatto i conti con i tuoi machiavellici piani” dice fuori dai denti, fissando un punto davanti a sé. “Ma tre anni sono troppi, Sherlock. Il gioco è bello quando dura poco”.

Le sue parole sono dure e spietate, colpi che vanno a segno uno dopo l’altro. Se ne accorge dal modo in cui Sherlock sussulta e ogni traccia di felicità, sicurezza o quel cazzo che è si cancella dal suo viso. E’ una piccola vittoria, così meschina, ma John non se la sente proprio di mostrarsi minimamente comprensivo e magnanimo e in pace con il mondo.

Ho alle spalle tre anni di brutte giornate, a causa di questo stronzo.

“John, hai perfettamente ragione ad avercela con me. Ti ho ingannato e tenuto all’oscuro di tutto, è stato terribilmente sleale da parte mia. Se solo mi lasciassi spiegare perché sono stato costretto a farlo…” lo supplica l’altro.

“Non ce n’è bisogno. Lestrade a suo tempo mi parlò della registrazione sul cellulare. So che l’hai fatto perché era l’unico modo per salvare il culo ai tuoi amici. Non è quello il problema, davvero. E non mi interessa nemmeno conoscere gli aspetti più oscuri della tua messinscena. Probabilmente hai chiesto la collaborazione di Molly e di Mycroft; serviva un medico legale che certificasse la tua morte, no?, e il fatto di avere un fratello a capo dei Servizi Segreti di sicuro ti è stato d’aiuto. Fin qui ci arrivo” s’interruppe, riprendendo fiato. “Ciò che proprio non riesco a comprendere, Sherlock, è: perché io? Perché sottopormi al supplizio di assistere al tuo finto suicidio? Perché usarmi come pedina?” domanda implacabile, incalzante.

Le ferite del cuore si sono riaperte e sanguinano e fanno male, e John rimane malignamente sorpreso ascoltando la gelida fermezza della sua voce, da cui traspare solo una rabbia troppo a lungo sopita ma non un tremito di incertezza o dolore.

“Fosse stato per me non ti avrei mai coinvolto, John. E’ stato Moriarty ad impormi di scegliere un testimone ignaro e pertanto in buona fede, un amico che credesse ciecamente alle mie parole”.

“Avresti potuto scegliere Lestrade. Perché proprio io?” lo interrompe seccamente.

“Davvero non lo capisci, John?” mormora  Sherlock voltandosi verso di lui. “Era a te che volevo dire addio” e sembra così fragile mentre lo dice.

“Perché ti sei rifatto vivo soltanto adesso?” sospira, stanco come non mai.

“Dovevo essere sicuro di poterti avvicinare senza correre il pericolo di venire eliminato da uno dei sicari assoldati da Moriarty; i Servizi Segreti hanno impiegato alcuni mesi per rintracciarli e neutralizzarli”.

“Alcuni mesi, Sherlock, non alcuni anni. Cos’hai fatto, dopo?”

“Ho viaggiato” risponde sottovoce.

“Viaggiato?”

“Avevo bisogno di prendermi una pausa –dal mio lavoro, dalla mia vita a Londra, da te” spiega, torcendosi le mani.

“Da me? Perché mai, Sherlock, ti ero forse venuto a noia?” chiede, pericolosamente incolore.

“No!” nega il detective allarmato, scuotendo la testa con decisione. “No, non pensarlo nemmeno per scherzo. Dovevo”, deglutisce, “riflettere sui miei sentimenti, ecco”.

Non che la cosa lo sorprenda più di tanto. Checché ne dicano gli altri, anche il grande Sherlock Holmes era, è un essere umano dotato di emozioni e un cuore. Irene Adler ne è la prova, ha lasciato il segno. Il suo primo ed unico amore.

Se solo sapesse che è morta. Comunque sia, che c’entro io con le sue tribolazioni sentimentali?

“E sei giunto ad una conclusione” afferma, più che domandare.

“Sì” una breve pausa. “Io ti amo, John” confessa, con un leggero tremito al labbro inferiore.

“Scusa?” si limita ad aggrottare la fronte, troppo sconvolto per esprimere appieno il suo sgomento.

“Ti amo” ribadisce, un poco più sicuro.

Si è buttato senza paracadute. Ma -di nuovo- che cazzo c’entro io?

Di colpo per John la situazione diventa troppo irreale e confusa. Scoppia a ridere, ma è una risata vuota, senza gioia, metallica. Sherlock lo guarda, un lampo di panico gli attraversa il volto, e allunga una mano ad accarezzargli la guancia sbarbata quella mattina.

Lui ride senza riuscire a smettere, schiaffeggiando la mano invadente dell’altro. Ride come riderebbe un condannato a morte che ha ottenuto la grazia un attimo dopo l’iniezione letale.  Ride in preda all’isteria, perché è tutto così dannatamente grottesco. Ride come possono ridere solo i pagliacci del dolore. E’ proprio così che si sente: un clown dal cuore spezzato.

E’ insostenibile. Non ce la faccio.

E’ tutto chiaro, adesso. La lacrima solitaria, le piccole premure, quegli sguardi, i suoi sforzi pari a zero per mettere a tacere le voci che li indicavano come una coppia, il primo appuntamento disastroso con Sarah, la Vigilia con Jeannette. Ha avuto le prove sotto il suo naso per tutto il tempo, ma non le ha volute considerare per ciò che erano. E’ stato cieco.

E’ stato cieco.

Ride fino a singhiozzare, permettendo all’uomo di fronte a lui di abbracciarlo e di seppellire il viso nei suoi capelli, aspirandone il profumo. “Sei pazzo” smozzica infine, contro la sua spalla, quando le lacrime gli danno tregua.

“Si nasce tutti pazzi. Alcuni lo restano” replica Sherlock, la voce roca in modo sospetto.

“Non sai quanto vorrei prenderti a pugni in questo momento”.

“Fallo” lo autorizza, senza però lasciare la presa.

“Nah, mi sa che non è una buona idea. L’ultima volta stavo per rimetterci la mano destra, maledetti i tuoi zigomi di marmo” sbuffa contrariato.

“Non è colpa mia se lei è fuori allenamento, Capitano Watson” soffoca una risata.

A quel punto John mette fine all’abbraccio, seppur a malincuore. “Devi darmi un po’ di tempo, Sherlock. Non sono pronto ad affrontare questo -il tuo ritorno, i tuoi sentimenti ed i miei- tutto in una volta. Non credo che riuscirei a sopportarlo, è troppo improvviso” si scusa.

“Tutto il tempo che vuoi, dottore” sorride sommessamente.

“Un passo alla volta, d’accordo? E’ tutto quello che ti chiedo” balbetta.

“Sta’ tranquillo, John. Non voglio affrettare nulla” sussurra Sherlock comprensivo. Si china a baciarlo, indugiando sulla sua bocca per alcuni deliziosi istanti.

“Se non ci metti troppo, ti aspetterò tutta la vita”.

 

 

 

 

Uhm, non ho molto altro da aggiungere. Spero di aver scritto qualcosa di vagamente decente/apprezzabile, ecco. E che i Mitici Due non siano spudoratamente OOC.

Questa, se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).

Grazie a chi ha letto, commentato e seguito questa storia.

Un bacio!

   
 
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