Buona
lettura!
“Senza
la speranza è impossibile trovare
l’insperato”.
(Eraclito)
Quando
John riprende i sensi (quanto tempo dopo non lo sa) lo scenario
è totalmente
cambiato.
Percepisce la posizione del suo corpo disteso sul divano del salotto e
la
presenza avvolgente di un plaid scrupolosamente rimboccato a
riscaldarlo.
Sherlock
aveva sempre le mani fredde, i guanti per lui erano un optional. Mani
fredde,
occhi gelidi, cuore di ghiaccio.
Oddioddioddio,
Sherlock.
“Sono
qui, tranquillo”.
Batte
le palpebre una, due volte, mette a fuoco. Volta lentamente la testa a
sinistra, incrocia il suo sguardo e BAM.
Cazzo, fa proprio male.
Rimangono
così, nel silenzio più assoluto: Sherlock seduto
sulla poltrona come ai vecchi
tempi e proteso verso di lui, in attesa, e John rigido come uno
stoccafisso. Con
uno scatto nervoso del polso si libera della coperta. Intuendone le
intenzioni,
il detective in un attimo è lì, in piedi, le
braccia allungate verso di lui
pronte a sostenerlo.
“Non.
Mi. Toccare” ringhia però il dottore, mentre con
qualche difficoltà posa un
piede e poi l’altro sul parquet, appoggiandosi contro lo
schienale del divano.
La
bocca di Sherlock si piega in una smorfia amara -ferita- e aspetta che
l’altro
si sia messo comodo, per poi sederglisi accanto.
“E’ rimasto tutto come mi
ricordavo. Ho dato un’occhiata alla mia vecchia stanza; sei
stato gentile a non
disfarti delle mie cianfrusaglie” esordisce con voce morbida,
pacata. Lo guarda
di sottecchi, abbozzando un sorriso esitante.
“Non
so perché le abbia conservate. Forse speravo che saresti
tornato, pur non
credendolo possibile. E invece mi sbagliavo, a quanto pare. Non avevo
fatto i
conti con i tuoi machiavellici piani” dice fuori dai denti,
fissando un punto
davanti a sé. “Ma tre anni sono troppi, Sherlock.
Il gioco è bello quando dura
poco”.
Le
sue parole sono dure e spietate, colpi che vanno a segno uno dopo
l’altro. Se
ne accorge dal modo in cui Sherlock sussulta e ogni traccia di
felicità,
sicurezza o quel cazzo che è
si
cancella dal suo viso. E’ una piccola vittoria,
così meschina, ma John non se
la sente proprio di mostrarsi minimamente comprensivo e magnanimo e in
pace con
il mondo.
Ho
alle spalle tre anni di
brutte giornate, a causa di questo stronzo.
“John,
hai perfettamente ragione ad avercela con me. Ti ho ingannato e tenuto
all’oscuro di tutto, è stato terribilmente sleale
da parte mia. Se solo mi
lasciassi spiegare perché sono stato costretto a
farlo…” lo supplica l’altro.
“Non
ce n’è bisogno. Lestrade a suo tempo mi
parlò della registrazione sul cellulare.
So che l’hai fatto perché era l’unico
modo per salvare il culo ai tuoi amici.
Non è quello il problema, davvero. E non mi interessa
nemmeno conoscere gli
aspetti più oscuri della tua messinscena. Probabilmente hai
chiesto la collaborazione
di Molly e di Mycroft; serviva un medico legale che certificasse la tua
morte,
no?, e il fatto di avere un fratello a capo dei Servizi Segreti di
sicuro ti è
stato d’aiuto. Fin qui ci arrivo”
s’interruppe, riprendendo fiato. “Ciò
che
proprio non riesco a comprendere, Sherlock, è:
perché io? Perché
sottopormi al supplizio di assistere al tuo finto
suicidio? Perché usarmi come pedina?” domanda
implacabile, incalzante.
Le
ferite del cuore si sono riaperte e sanguinano e fanno male, e John rimane malignamente sorpreso
ascoltando la gelida fermezza
della sua voce, da cui traspare solo una rabbia troppo a lungo sopita
ma non un
tremito di incertezza o dolore.
“Fosse
stato per me non ti avrei mai coinvolto, John. E’ stato
Moriarty ad impormi di
scegliere un testimone ignaro e pertanto in buona fede, un amico che
credesse
ciecamente alle mie parole”.
“Avresti
potuto scegliere Lestrade. Perché proprio io?” lo
interrompe seccamente.
“Davvero
non lo capisci, John?” mormora
Sherlock
voltandosi verso di lui. “Era a te che
volevo dire addio” e sembra così fragile mentre lo
dice.
“Perché
ti sei rifatto vivo soltanto adesso?” sospira, stanco come
non mai.
“Dovevo
essere sicuro di poterti avvicinare senza correre il pericolo di venire
eliminato da uno dei sicari assoldati da Moriarty; i Servizi Segreti
hanno
impiegato alcuni mesi per rintracciarli e neutralizzarli”.
“Alcuni
mesi, Sherlock, non alcuni anni. Cos’hai fatto,
dopo?”
“Ho
viaggiato” risponde sottovoce.
“Viaggiato?”
“Avevo
bisogno di prendermi una pausa –dal mio lavoro, dalla mia
vita a Londra, da te”
spiega, torcendosi le mani.
“Da
me? Perché mai, Sherlock, ti ero forse venuto a
noia?” chiede, pericolosamente
incolore.
“No!”
nega il detective allarmato, scuotendo la testa con decisione.
“No, non
pensarlo nemmeno per scherzo. Dovevo”, deglutisce,
“riflettere sui miei
sentimenti, ecco”.
Non
che la cosa lo sorprenda più di tanto. Checché ne
dicano gli altri, anche il
grande Sherlock Holmes era, è un essere umano dotato di
emozioni e un cuore.
Irene Adler ne è la prova, ha lasciato il segno. Il suo
primo ed unico amore.
Se
solo sapesse che è
morta. Comunque sia, che c’entro io con le sue tribolazioni
sentimentali?
“E
sei giunto ad una conclusione” afferma, più che
domandare.
“Sì”
una breve pausa. “Io ti amo, John” confessa, con un
leggero tremito al labbro
inferiore.
“Scusa?”
si limita ad aggrottare la fronte, troppo sconvolto per esprimere
appieno il
suo sgomento.
“Ti
amo” ribadisce, un poco più sicuro.
Si
è buttato senza
paracadute. Ma -di nuovo- che cazzo c’entro io?
Di
colpo per John la situazione diventa troppo irreale e confusa. Scoppia
a
ridere, ma è una risata vuota, senza gioia, metallica.
Sherlock lo guarda, un
lampo di panico gli attraversa il volto, e allunga una mano ad
accarezzargli la
guancia sbarbata quella mattina.
Lui
ride senza riuscire a smettere, schiaffeggiando la mano invadente
dell’altro. Ride
come riderebbe un condannato a morte che ha ottenuto la grazia un
attimo dopo
l’iniezione letale. Ride
in preda
all’isteria, perché è tutto
così dannatamente grottesco. Ride come possono
ridere solo i pagliacci del dolore. E’ proprio
così che si sente: un clown dal
cuore spezzato.
E’
insostenibile. Non ce la
faccio.
E’
tutto chiaro, adesso. La lacrima solitaria, le piccole premure, quegli
sguardi,
i suoi sforzi pari a zero per mettere a tacere le voci che li
indicavano come
una coppia, il primo appuntamento disastroso con Sarah, la Vigilia con
Jeannette. Ha avuto le prove sotto il suo naso
per tutto il tempo, ma non le ha volute considerare per
ciò che
erano. E’ stato cieco.
E’
stato cieco.
Ride
fino a singhiozzare, permettendo all’uomo di fronte a lui di
abbracciarlo e di
seppellire il viso nei suoi capelli, aspirandone il profumo.
“Sei pazzo”
smozzica infine, contro la sua spalla, quando le lacrime gli danno
tregua.
“Si
nasce tutti pazzi. Alcuni lo restano” replica Sherlock, la
voce roca in modo
sospetto.
“Non
sai quanto vorrei prenderti a pugni in questo momento”.
“Fallo”
lo autorizza, senza però lasciare la presa.
“Nah,
mi sa che non è una buona idea. L’ultima volta
stavo per rimetterci la mano
destra, maledetti i tuoi zigomi di marmo” sbuffa contrariato.
“Non
è colpa mia se lei è fuori allenamento, Capitano
Watson” soffoca una risata.
A
quel punto John mette fine all’abbraccio, seppur a
malincuore. “Devi darmi un
po’ di tempo, Sherlock. Non sono pronto ad affrontare questo -il tuo ritorno, i tuoi sentimenti ed i
miei- tutto in una volta. Non credo che riuscirei a sopportarlo,
è troppo
improvviso” si scusa.
“Tutto
il tempo che vuoi, dottore” sorride sommessamente.
“Un
passo alla volta, d’accordo? E’ tutto quello che ti
chiedo” balbetta.
“Sta’
tranquillo, John. Non voglio affrettare nulla” sussurra
Sherlock comprensivo. Si
china a baciarlo, indugiando sulla sua bocca per alcuni deliziosi
istanti.
“Se
non ci metti troppo, ti aspetterò tutta la vita”.
Uhm,
non ho molto altro da aggiungere. Spero di aver scritto qualcosa di
vagamente
decente/apprezzabile, ecco. E che i Mitici Due non siano spudoratamente
OOC.
Questa,
se vi interessa, è la mia
pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).
Grazie
a chi ha letto, commentato
e seguito questa storia.
Un
bacio!