~ KlaineSongs ~
27°_ Somewhere only we know ~
Kurt
~ Quando… non ti dirò mai addio ~
Il viaggio di ritorno verso la
Dalton è più silenzioso di quanto mi aspettassi: ovvio, non mi aspetto di certo
un’eloquenza pari a quella di Rachel Berry – parliamo comunque di mio padre –
ma la totale assenza di un qualsiasi suono da quasi un’ora non rende il clima
neanche lontanamente sopportabile.
Mi muovo con impazienza nel sedile
accanto a mio padre, che guida senza staccare gli occhi dalla strada e gli
lancio un rapido sguardo. La sua espressione è ermetica a tal punto da
innervosirmi e con stizza allargo la cintura che mi tiene stretto quasi mi
stesse soffocando.
Lui non dà segno di aver notato la
mia irrequietezza, o forse mi sta semplicemente ignorando – ipotesi molto più
plausibile.
Qual è il problema, accidenti? Il
mio ritorno al McKinley, ovvio. Ma non mi pare ci sia bisogno di farne un tale
dramma dato che Karofsky ci ha assicurato che non mi avrebbe fatto più del male
e che anzi si sarebbe impegnato affinché nessun bullo fosse più attivo a
scuola. Insomma, sono tranquillo io che devo tornare lì dentro, le paranoie se
le crea lui?
«Papà, ne parliamo?» chiedo al
limite della sopportazione.
Sono abituato a litigare con lui –
come un qualsiasi figlio col proprio padre –, ma questa situazione è ridicola:
non c’è nulla di sbagliato, non ho fatto nulla di male e lui non ha alcun
motivo di tenermi il broncio o ignorarmi.
«Parlare di…?» mi chiede senza
guardarmi e sento il nervosismo salirmi alla testa.
«Lo chiedi anche? È da quando siamo
saliti in macchina che non mi rivolgi la parola!»
«E non potrei semplicemente non aver
nulla da dire?»
«No!» insisto «So perfettamente
perché stai facendo tutto questo! È il trasferimento, giusto?»
Solo in questo momento mi lancia uno
sguardo veloce ed io ne resto folgorato: c’era troppo in quegli occhi, la mia
rabbia ne resta scottata come un cucciolo che si è avvicinato troppo alla
fiamma del camino.
«Allora se lo sai, perché lo
chiedi?» domanda stizzito ed io sono zittito dall’improvviso tono serio.
Boccheggio per qualche istante,
senza sapere da dove cominciare. Capisco che sia preoccupato per me e che creda
che io abbia preso tutto alla leggera solo per tornare con i miei amici, ma non
è così!
«Starò bene, papà… non devi
preoccuparti. Nessuno mi darà più fastidio» provo con tono addolcito.
«E ne sei certo solo perché quel
Karofsky ti ha promesso che non lo avrebbe più fatto? Kurt, come puoi fidarti
di lui?»
«Ma che motivo avrebbe di mettere in
mezzo una simile scenata?»
Lui mi rivolge un altro beve
sguardo, anche stavolta indecifrabile.
«Alle volte mi pare che dimentichi
quanto il mondo possa essere crudele, figliolo» e per quanto la sua ennesima
paternale dovrebbe seccarmi almeno un po’, resto in silenzio, ancora una volta
spiazzato.
Ci sono troppe cose nel tono che ha
usato, così come ce n’erano troppe nei suoi occhi ed io mi sento
improvvisamente turbato, come se stessi facendo qualcosa di completamente
sbagliato. Quasi mi manca il fiato e per un attimo il dubbio si insinua nei
miei pensieri: e se David non mi avesse detto tutto? Il subdolo piano che mi ha
spiegato è nello stile di Santana al cento per cento… ma se lui ci guadagnasse
qualcosa da tutto ciò, qualcosa di cui non mi ha parlato? Insomma, è possibile
che abbia accettato tutto convinto solo dalle minacce di Santana? Quella donna sa
essere maligna quando vuole, ma...
Prendo un respiro profondo, senza
preoccuparmi di essere ancora in macchina con mio padre e mi costringo a
ragionare con lucidità.
In un attimo, lo sguardo di Dave mi
ritorna in mente come il fermo immagine di un filmato. No, non stava mentendo
mentre mi spiegava il perché di quell’improvviso cambiamento e il piano di
Santana. Non mentiva ed anzi mi era sembrato quasi… pentito? Possibile?
Lo odio. Lo odio per quello che mi
ha fatto, lo odio per avermi costretto a lasciare la scuola ed i miei amici,
per aver messo in subbuglio la mia famiglia… eppure… sapere il perché di quello
sguardo – che mi sembra strano e allo stesso tempo appropriato definire spaurito – per un attimo mi porta a
trasformare il puro odio in cambio di qualcosa di simile alla compassione e
alla comprensione.
La verità è che so come si sente e
questo mi porta inevitabilmente a vederlo con occhi diversi.
«Dave è cambiato» dico ad alta voce,
senza neanche ricordare come avessimo lasciato il discorso «so che è cambiato. Mi fido di quello che
ha detto, papà. Starò bene»
Intanto siamo arrivati davanti al
grosso cancello della Dalton e sono felice che si fermi: questa è una
discussione che non può essere fatta in macchina, ma necessita di calma e
concentrazione… e di guardarsi negli occhi.
Sento mio padre sospirare mentre
spegne la vettura e slacciandosi la cintura, si sposta per essere in grado di
guardarmi per bene. Io sostengo il suo sguardo per quanto le sue emozioni mi
travolgano con la loro profondità. Restiamo così per alcuni istanti che sanno
di surreale, poi un nuovo sospiro sembra permettere al tempo di continuare a
scorrere e la sua mano si poggia sulla mia spalla.
«Non so perché ti fidi
improvvisamente di lui, quando pochi mesi fa l’idea di essere nella sua stessa
scuola ti terrorizzava, ma ho capito che deve essere necessariamente cambiato
qualcosa. Mi fido di te, Kurt… mi sembri sicuro di quello che dici e se non mi
spieghi nient’altro è perché non vuoi e non ti forzerò a farlo»
Resto in silenzio, il calore di
quella mano che si irradia in tutto il corpo e una strana sensazione alla bocca
dello stomaco, di quelle che puntualmente mi prendono quando mio padre mi parla
così a cuore aperto. Ma non parlo – non ancora.
«Voglio solo che mi prometti una
cosa» riprende subito «Se… se mai dovessi avere un qualsiasi problema, Kurt…
non devi esitare a parlarmene da subito. Anche solo un insulto, anche solo una
spinta nei corridoio… non passarci su, parlamene. Io…»
«Lo farò, papà. Promesso»
Con un leggero slancio lo abbraccio
veloce, felice che abbia capito e non mi abbia fatto domande: nonostante tutto
ho promesso a me stesso che non avrei detto a nessuno dell’omosessualità di
Dave e non ho intenzione di infrangere questa promessa neanche con lui.
«Umh… e Blaine sa già della novità?»
Sgrano gli occhi. Non ci avevo ancora
pensato. O meglio, ovvio che ci avevo pensato, ma ora che sono a pochi passi da
lui tutto mi sembra dannatamente difficile da spiegare.
«Io… no, devo dirglielo ora» faccio
con aria assente, già proiettato alle parole che dovrò usare, al modo in cui dovrò
dirgli che mi trasferisco.
Il pensiero improvvisamente mi
toglie il fiato. Non lo vedrò più. Non come ora, non con la stessa frequenza.
Praticamente adesso siamo poco lontani dal vivere insieme ed improvvisamente mi
ritroverò a vederlo solo nel week-end e magari di pomeriggio se non siamo
impegnati con i rispettivi Glee o con i compiti.
Più i pensieri si concentrano su
questi aspetti, più la respirazione si velocizza e si affanna. Voglio tornare
al McKinley… ma stare lontano da Blaine…
«Se ti vuole davvero bene, capirà
senza fare scenate. È quello che vuoi davvero e lui non ti chiederebbe mai di
rinunciarci»
Osservo mio padre e annuisco
lentamente.
«Io gli ho
detto che a me starebbe bene…»
«Sto solo
dicendo che mi dispiace saperti lontano dai tuoi amici»
Le parole pronunciate da Blaine alla
caffetteria mi riportano immediatamente con i piedi per terra, placando l’ansia
che mi stava chiudendo lo stomaco. Andrà tutto bene, questo non cambierà nulla.
Scendo dalla macchina ancora
leggermente sovrappensiero e dopo aver salutato, varco i cancelli della Dalton
con passo veloce: la prima cosa da fare è parlare con Blaine… e poi con gli
altri. Domani sistemerò le cose burocratiche con la segreteria e… il resto si
vedrà.
Mentre ormai cammino per i corridoi,
diretto alle scale, non mi accorgo di Wes che, fermo a parlare con alcuni
ragazzi del secondo anno, mi scorge e mi sfiora la spalla quando gli passo
distrattamente accanto.
«Ehi, Kurt!»
Io mi scuoto dai miei pensieri e per
un attimo resto a guardarlo senza dire nulla.
«Va tutto bene, amico? Blaine ci ha
detto che stamattina sei andato alla tua vecchia scuola: è successo qualcosa?»
Gli sorrido per quella lieve
preoccupazione che sento nel tono della sua voce: mi mancheranno, mi
mancheranno terribilmente tutti questi pazzi scatenati che mi hanno fatto da
famiglia anche se solo per pochi mesi.
«Mh, tutto a posto, tranquillo. Sai
dov’è Blaine?»
Lui mi fissa per qualche istante,
quasi dubitasse della mia risposta.
«È in camera vostra che si gasa per
le prossime esibizioni» dice poi con tono falsamente esasperato, come una madre
che con bonaria superiorità critica la sciocca esaltazione del suo bambino.
Lo ringrazio e mi avvio per le
scale, il suo sguardo che mi segue finché possibile. Prima che entri, la musica
a tutto volume che proviene dalla camera mi fa capire immediatamente che Blaine
è ancora lì e infatti, entrando, lo trovo mentre, di spalle verso la porta da
cui sono entrato, si muove a ritmo della musica, senza accorgersi della mia
presenza.
Trattengo a stento una risata per la
scena e avvicinandomi attiro la sua attenzione sfiorandogli un braccio. Lui
sussulta, davvero ignaro della mia presenza; poi, voltandosi e riconoscendomi,
mi sorride con una dolcezza a cui credo non mi abituerò mai e mi spiazza con un
dolce bacio a fior di labbra che non mi aspetto, ma che davvero non mi spiace:
mi accorgo che mi sono davvero mancate le sue labbra sulle mie… e la sua
presenza.
In un attimo ritornano le paranoie
ed il timore che le cose non vadano come credo. Lui pare leggere il cambiamento
nei miei occhi, perché mi guarda interrogativo e mi prende la mano.
«È tutto ok?» chiede con voce
sottile, mentre si allunga a spegnere la musica, senza però lasciarmi.
Improvvisamente sento venir meno le
parole per dirgli la mia scelta, ma so che deve essere la prima cosa da fare.
«Kurt, è successo qualcosa? Che
volevano alla tua vecchia scuola?»
È il momento.
«Ho parlato con David Karofsky… lui…
ha detto di essere pentito e che posso tornare a scuola perché non farà più del
male a nessuno. Anzi, ha creato un club di protezione per le vittime di
bullismo»
I suoi occhi mi fissano,
indecifrabili come quelli di mio padre, mentre la stretta aumenta non appena
sente il nome di Dave.
«Blaine, ritorno al McKinley»
Sento che queste parole non mi sono
mai pesate tanto. E il loro peso aumenta non appena lo sguardo del mio ragazzo
diventa terribilmente chiaro: sorpresa, timore, delusione, forse rabbia si
alternano in quelle meravigliose iridi ed io sono paralizzato.
Aspetto che dica qualcosa, che
faccia qualcosa, ma tutto resta fermo, quasi il tempo si fosse bloccato in uno
stato surreale che non fa altro che ferirmi.
Dì qualcosa, Blaine. Qualsiasi cosa.
«Te ne vai…»
Il suo
sussurro, se possibile, fa ancora più male. C’è una tale… tristezza in esso che
non so in che modo io riesca a non crollare.
«Io…
non…Blaine, sono i miei amici… sai quanto mi mancano…» mi giustifico, ma lui
lascia andare la mia mano, allontanandosi di un passo. Mai più piccola distanza
ha fatto tanto male.
«E riesci a fidarti di quel Karofsky,
dopo tutto quello che ti ha fatto?»
La sua voce
è seria, quasi accusatoria.
«Blaine, non hai visto i suoi occhi!
Per un attimo mi è sembrato davvero… pentito. Non posso definitivamente
perdonarlo, non dopo tutto quello che mi ha fatto… Ma… gli credo. Gli credo
perché so cosa sta passando»
Lui mi guarda e la speranza di
essere compreso sfuma quando quegli occhi non fanno che peggiorare, colpendomi
sempre più in profondità.
«E…
e noi…?»
Trattengo il fiato. Noi? Siamo in
discussione noi?
«Questo non cambierà noi! Blaine,
saremo sempre io e te, non conta dove
siamo!»
Non ne è convinto. Ha paura. Glielo
leggo in volto e mi sento improvvisamente venir meno, le ginocchia che quasi
non reggono il peso del mio corpo e la paura che prende il sopravvento su
tutto. Che ha intenzione di fare? Vuole… lasciarmi? Lasciarmi per paura che lo
faremo in seguito?
Resta in silenzio, invece. Mi guarda
solo, come se stesse tentando di fare ordine nella sua testa ed io darei chissà
che per sapere a cosa sta pensando.
Pago la facilità con cui gli ho
confessato la mia decisione, la leggerezza con cui ho creduto che non ci
sarebbero stati problemi, che avrebbe capito ed anzi sarebbe stato lui a
rassicurarmi.
«Io gli ho
detto che a me starebbe bene…»
«Sto solo
dicendo che mi dispiace saperti lontano dai tuoi amici»
«Credevo…. Credevo saresti stato
felice… per me. Hai detto che se fossi riuscito in qualche modo a tornare in
completa sicurezza, la cosa a te sarebbe andata bene» confesso con una punta di
delusione che, egoista, non riesco a celare del tutto.
«Non pensavo… non pensavo avrest–»
Si blocca, prima di finire la frase,
nonostante il significato sia terribilmente chiaro. Non credeva lo avrei fatto
per davvero. Questo vuol dire che lo ha detto solo per circostanza? Per
illudermi, mostrando che mi avrebbe sostenuto in ogni caso, perché pensava che
in realtà la situazione non sarebbe mai migliorata?
Deglutisco con difficoltà e in un
attimo sento delle lacrime premere agli angoli degli occhi. Ma non piangerò,
non davanti a Blaine. Egoistico orgoglio che prende il sopravvento.
«Blaine, che succede?» chiedo,
facendo uno sforzo immane per mantenere la voce ferma.
Temo una sua risposta alla quale non
saprei come reagire. Non dirlo, Blaine non–
«Scusa, Kurt, ho bisogno di pensare
con calma» sussurra lui e poi mi lascia solo nella stanza.
Che diavolo è successo? Abbiamo
appena litigato? Qualcosa mi opprime il petto e mi sento come se non fossi in
grado di respirare per bene. Mi siedo sul letto e stringo con forza gli occhi,
ancora nella ferma volontà di non dover piangere.
Non so che fare.
*
Non riconosco subito il rumore che
spezza il silenzio senza tempo della stanza, strappandomi dallo stato di
dormiveglia nel quale sono sprofondato dopo aver alla fine ceduto alle poche
lacrime di rabbia e confusione.
Alzo lentamente la testa dal cuscino
e attendo qualche istante per mettere a fuoco la situazione. Il rumore si
ripete. È il bussare di qualcuno alla porta.
Blaine!
Al solo pensiero di quel nome tutto
si mette perfettamente a fuoco ed io scatto istintivamente dal letto,
ritrovandomi in un sol passo davanti all’entrata.
«Ascolta, credo ne dovremmo pa–»
La voce mi si blocca in gola quando,
nell’aprire, non mi ritrovo davanti l’Usignolo ingellato, bensì David. Per un
istante lo fisso come si fisserebbe un alieno e anche lui mi guarda un po’
confuso.
«Scusa Kurt, avrei bisogno di sapere
se per caso tu o Blaine aveste visto la cravat–»
È il suo turno di rimanere basito:
devo avere un aspetto orrendo a giudicare dalla faccia che il moro ha appena
fatto.
«Kurt, che succede? È tutto a
posto?» mi chiede con la stessa lieve preoccupazione che aveva mostrato Wes al
mio arrivo.
Io non so in che modo evitare l’argomento,
né se voglia davvero farlo; semplicemente mi allontano dall’ingresso, andandomi
a sedere di nuovo con pesantezza sul mio letto. David deve rimanere per qualche
istante indeciso sulla sua prossima mossa – forse ha paura di risultare
invadente o più semplicemente non sa come comportarsi – perché passa più di
qualche istante prima che senta il rumore della porta che si chiude, dei passi
leggeri che col mio stesso percorso raggiungono il letto e infine il piegarsi
di quest’ultimo sotto il suo pur leggero peso.
Non faccio nulla, non lo guardo
neanche – non potrei sostenere un simile sguardo – ed attendo che il silenzio
sia rotto da un suo intervento provvidenziale.
«Vuoi… non so, parlarne? Che cosa è
successo?» tenta con tono incerto ed anch’io non so che fare, se confidarmi con
lui: in fondo questa è una cosa mia e di Blaine… eppure forse al momento ciò
che mi serve è proprio un punto di vista esterno…
«Si tratta della convocazione alla
tua vecchia scuola? Kurt…?»
Il tono stavolta è più serio, più preoccupato
e sento di dover rispondere, almeno per rassicurarlo.
«Sì, si tratta di quella
convocazione, ma sto bene. Il bullo che mi aveva costretto ad andare via, dice
di essersi pentito e che… posso tornare a McKinley perché ha smesso di essere
quel tipo di persona e anzi, con degli altri ragazzi ha creato un club per
tutelare tutta la scuola da questo punto di vista…» spiego tutto d’un fiato.
«Oh, ma questo è…» il suo entusiasmo
si blocca in un attimo «Oh»
Ha compreso il punto con una
velocità che quasi mi spaventa. Non vedo il suo volto – il mio è sepolto ancora
tra le ginocchia – ma posso immaginare la sua espressione.
Sento la sua mano calda poggiarsi
con sicurezza sulla mia spalla e stringerla leggermente. Non credevo che un
simile contatto mi avrebbe fatto tanto bene, eppure sento improvvisamente la
possibilità vera di parlare a David a cuore aperto. In fondo è quello di cui ho
bisogno, forse anche di più che parlare con lo stesso Blaine.
«Ho detto di sì: voglio tornare con
i miei vecchi amici…» spiego alzando la testa e fissando il volto serio del
moro accanto a me.
«E… l’hai detto a Blaine, giusto?»
«Ovvio. È stato il primo a saperlo!»
«E non l’ha presa bene?»
Lo guardo. È così… scontato che
dovesse prenderla male? Non avrebbe semplicemente potuto essere felice per me e
per il fatto che tornavo dai quegli amici che – lui stesso se n’è accorto – mi
mancano così tanto, nonostante gli Usignoli ormai mi siano diventati allo
stesso modo cari?
Ma chi voglio prendere in giro? È
normale che abbia reagito così, anzi è il minimo! Insomma, in un certo senso lo
sto lasciando: io avrei probabilmente reagito anche in modo peggiore! Che cosa
ho fatto…? Che cosa–
«Alt, alt! Fermati subito!»
La voce di David mi strappa ai miei
pensieri e lo guardo confuso.
«Sono certo che la tua testa stava correndo ben oltre i limiti di
velocità della sanità mentale. Prendi un bel respiro e cominciamo da capo»
Non mi scompongo per quella che
potrebbe essere ritenuta un offesa e faccio come dice. L’aria nei polmoni però
non sembra calmarmi.
«Cosa ti ha detto Blaine?»
«Umh… non che sia stato di molte
parole… noi… è stato un litigio strano… David, se lo perdessi? Andandomene,
intendo»
L’Usignolo mi guarda pensieroso.
«È quello che ti ha detto?»
«Lui… no, non l’ha detto… ma i suoi occhi… non lasciavano
molti dubbi su ciò che stava pensando. Aveva paura»
«Tu no, invece?» mi chiede e non so
se ho solo immaginato l’accusa velata in quella domanda.
«Ovvio che sì! Ma credevo… cioè
pensavo che lui…»
Mi blocco. David mi guarda in un
muto incitamento ad andare avanti, ma io non so se voglio continuare: esprimere
ad alta voce i miei pensieri e le mie supposizioni ha cambiato la prospettiva
con cui li stavo osservando e giudicando e lentamente mi rendo conto
dell’egoismo delle mie azioni.
«Aveva detto che per lui sarebbe
andato bene se fossi tornato al McKinley in tutta sicurezza»
«Pensa davvero queste cose, Kurt:
vuole solo il meglio per te – e tu lo sai»
Annuisco. Certo, certo che lo so – è
lo stesso che voglio io per lui.
«Proprio per questo ho creduto… Sono
il primo ad avere paura, il primo che non vuole passare neanche un istante
senza di lui, ma…»
Sento di nuovo le lacrime premere
per rigare le guance; un sospiro tremulo esce dalle labbra ed abbasso di nuovo
lo sguardo senza essere in grado di continuare.
«Speravi che fosse lui a dirti che
sarebbe andata bene in ogni caso e che anche se in due scuole diverse le cose
non sarebbero cambiate, giusto?»
Annuisco e credo di vergognarmi:
detta da lui, questa cosa sembra egoistica ancora più di quanto non mi fossi
reso conto da solo. Che diavolo ho combinato?
«È solo che… non lo so. Lui mi è
sembrato spaventato e le mie paranoie invece di placarsi sono aumentate e poi
lui è andato via… Mi aspettavo la sua solita calma e magari un incoraggiamento,
ma è ovvio che l’abbia presa in quel modo: gli ho detto che me ne andavo! Non
avrebbe potuto reagire diversamente. Sono stato un egoista: ho creduto che
automaticamente avrebbe dovuto mettere da parte ogni suo sentimento e fare forza
a me… Come ho potuto aspettarmi questo? Come ho potuto pretenderlo?»
La stretta di David sulla mia spalla
– che non mi ha abbandonato per tutto il mio sfogo – si fa più forte ora che mi
sento davvero smarrito ed in colpa.
«Perché non lo cerchi e gli parli?
Spiegagli tutto, a cuore aperto: se c’è una cosa di cui non hai da temere con
Blaine è che ti giudichi, no? Non lo conoscevi e ti sei confidato con lui come
fosse un tuo vecchio amico, non credo sia tanto difficile farlo adesso.
Dialogo, Kurt. Verbale o no, credo sia la cosa più bella che abbiate: la
facilità con cui riuscite a comprendervi è una cosa stupenda, secondo me. Non
fatevela mancare proprio adesso!»
Lo guardo con occhi lucidi: David sa
essere un pozzo di saggezza e adesso ha completamente ragione. Le poche volte
che abbiamo litigato è stato semplicemente perché non abbiamo parlato
abbastanza.
«Grazie, davvero».
Mi alzo di scatto, senza pensare ad
altro che non sia cercare Blaine e chiarire, chiedendogli innanzitutto scusa.
Apro la porta e sto per correre fuori, quando qualcosa mi blocca sul posto.
Anzi, qualcuno.
Blaine. Blaine è qui, di fronte a
me, in viso un’espressione che mi toglie il fiato, gli occhi lucidi e le scie
di due lacrime che gli bagnano le guance. Perché piange? È colpa mia, giusto?
Da quanto tempo è qui? Quanto di quello che ho detto a David è arrivato alle
sue orecchie?
Improvvisamente il tempo pare
essersi congelato, mentre probabilmente entrambi aspettiamo che sia l’altro a
fare la prima mossa. Ma nessuno fa nulla, restiamo solo a guardarci, i suoi
occhi lucidi nei miei che probabilmente li imiteranno presto, se non lo stanno
già facendo.
Poi non reggo più. Quella vista, i
miei sensi di colpa, l’aver sbagliato ogni cosa… tutto, insomma, mi travolge
nello stesso tempo e non posso fare altro che spingermi tra le sue braccia e
tenerlo stretto a me, come se qualcuno potesse portarmelo via.
«Sono uno stupido, Blaine, uno
stupido!» gli dico stringendolo ancora più a me «Sono stato un egoista e ti
chiedo scusa. Mi aspettavo che tu–»
«Sssh, non dire nulla. L’ho sentito,
ho sentito quello che stavi dicendo a David…e anche quello che ha detto lui…
Dovremmo davvero parlare»
Solo allora mi stacco da lui e lo
guardo negli occhi: hanno una scintilla che li fa brillare e da forza alla sua
decisione. Mi accorgo appena che il moro ci ha affiancato con un sorriso e si è
avviato lungo il corridoio. Lo guardiamo per un istante, poi entriamo.
Mi risiedo sul letto, lui di fronte
a me; il silenzio ritorna nella stanza e con esso il lieve imbarazzo di non
sapere cosa dire o come cominciare.
«Sai che voglio che tu sia felice»
esordisce lui.
«Certo, certo che lo so!»
«Ed io so che le Nuove Direzioni ti mancano. Quindi, se
puoi, torna da loro»
«Ma… tu? Insomma, tu sei felice?»
Mi guarda e per un istante i suoi
occhi si offuscano, solo per un attimo, ma sufficiente a farmi capire che no,
non sarebbe completamente felice, come è
ovvio che sia.
«Certo, non ci vedremo con la stessa
frequenza di ora – sarebbe impossibile, considerato che adesso viviamo
praticamente sotto lo stesso tetto e dormiamo nelle stessa stanza – ma questo
non cambia molto»
Non è quello che pensava poco fa.
Sta mentendo – no, sta minimizzando,
in modo che io vada lo stesso, anche se lui non sarà felice.
«Non mentirmi, ti prego»
La mia voce trema più del voluto e
Blaine mi prende immediatamente la mano. Odio mostrarmi continuamente così
davanti a lui, perché la mia fragilità lo porterà sempre a fare qualcosa per me
e non per lui. Stiamo avendo la conversazione che mi aspettavo quando sono
sceso dalla macchina di mio padre, quella conversazione che non voglio più avere.
«Kurt, io–»
«Blaine, io voglio tornare nella mia
vecchia scuola, ma non voglio che tu sacrifichi te stesso per questo»
«Non lo sto facendo, credimi»
«Dimmi ciò che pensi, davvero. Ciò
che vuoi»
«Sarebbe da stupido dirti che non mi
mancheresti o anche non sarei un po’ triste, soprattutto i primi giorni… Ma
questo non significa che ci perderemo o cose del genere! Insomma, non tutte le
coppie passano insieme l’intera giornata o si vedono sempre, eppure stanno bene
insieme. Basterà abituarci e chiamarci spesso...»
«E
i tuoi dubbi?»
Lui abbassa lo sguardo come a
volermi nascondere ciò che sta provando.
«Io… non me l’aspettavo. Ho reagito
in quel modo perché mi hai preso in contropiede… e allora ho esitato. Niente è
in dubbio, Kurt. Dico sul serio. Sono felice che torni da loro, ti mancano. E… noi staremo bene. Non cambierà nulla»
Sospiro. Pronunciando quest’ultima
frase, ha di nuovo incatenato il mio sguardo al suo. E i suoi occhi brillano,
brillano di quell’ambra liquido, incandescente che ho visto poche altre volte e
che davvero non lascia scampo.
Mi sento… non so come mi sento.
Avremmo dovuto parlare da subito così, senza complicare nulla.
«Solo… solo un’ultima cosa… posso?»
mi chiede.
«E lo
chiedi? Non ti ho appena detto che devi dirmi
tutto?»
Sorride in
un modo bellissimo e dolce, prima di continuare.
«Tu… tu sarai davvero al sicuro lì,
vero?»
«Sì, Blaine. Sono al sicuro. Mi
erano mancati gli intrighi del McKinley: Santana – l’ispanica di cui qualche
volta ti ho parlato – ha fatto in modo che Karofsky non solo smettesse di fare
il bullo, ma addirittura creasse un club anti-bullismo!»
«Cioè, lo ha costretto?»
Ora mi pare meno convinto di prima.
«Mh, ufficialmente, per quel che mi
ha detto, sì: è tutta opera di Santana e lui è solo… un braccio… ma sai… c’era
qualcosa… Non lo so, credeva in quello che diceva, gliel’ho letto negli occhi.
Non farà nulla, sono al sicuro, Blaine»
L’Usignolo annuisce, stavolta più
convinto e si apre in un sorriso.
Poi si alza e annulla quel po’ di
distanza che ci separa prendendo le mie labbra con le sue e baciandomi con
dolcezza e desiderio, in un modo che mi fa girare la testa e chiedere
nient’altro che questo. Sento la sua lingua sfiorare le mie labbra, quasi
bussasse alla porta con educazione e non ci metto molto a dischiuderle e a
permettere alle nostre lingue di incontrarsi. Si studiano, sfiorandosi con
ritmi improvvisati eppure terribilmente sincronizzati e continuano un gioco
fatto di puro istinto. Sento la sua mano posarsi sul mio collo nel cercare un
appiglio e non so con che forza ho anche l’impressione che un suo ginocchio si
sia poggiato sul letto per non perdere equilibrio. Il cuore mi batte senza
alcun ritegno, ma non mi preoccupo che lui lo senta – non ho la lucidità per
farlo, né alcun motivo per nascondere gli effetti che ha su di me.
Con movimenti lenti e non del tutto
coordinati, Blaine fa in modo che indietreggi, fino a che la schiena non tocchi
contro il muro e lui poggi con entrambe le ginocchia sul letto. La mano mi
tiene ancora il collo e le nostre labbra si muovono ancora l’una sull’altra
anche se la mancanza d’ossigeno comincia a farsi sentire, costringendoci in
breve a staccarci.
«Kurt–»
Non gli do tempo di parlare, né di
pensare razionalmente a quello che sto facendo: so solo che sono di nuovo sulle
sue labbra, alla ricerca della sua lingua e questo basta. Dovrei essere
imbarazzato? Dovrei fermarmi? Non capisco più nulla.
Poi un brivido mi scuote e davvero
potrei impazzire. Senza che me ne sia accorto, Blaine ha sfilato la camicia dai
miei pantaloni e ha lasciato che una mano scivolasse sulla mia pelle nuda: il
contatto con le sue dita leggermente fredde mi da brividi che non so
descrivere. Un mugolio di piacere sfugge incontrollato dalle mie labbra ed è
come un incitamento ad andare avanti. Non lo avevo mai sentito così vicino, non
mi aveva mai sfiorato così e sento ogni cosa sfumare: resta solo il suo tocco
leggero che giunge al mio petto.
Voglio provare, voglio sentirlo come
lui sente me. Con difficoltà – le lingue che ancora danzano nelle nostre bocche
– sfilo la sua camicia dai pantaloni e porto una mano sulla sua pelle, calda
più di quanto mi aspettassi. Forse proprio per questo gli provoco sottili
brividi e sentirlo tremare sotto il mio tocco distrugge quei pochi neuroni che
ancora si erano finora inspiegabilmente salvati.
Dio, Blaine, cosa mi stai facendo?
Non esiste più nulla, il mio mondo
si è ridotto a pochissimo spazio, al suo corpo contro il mio e alle nostre
bocche che non vogliono sapere di staccarsi, nonostante mi accorga che il fiato
comincia di nuovo a mancare.
Un rumore. Qualcosa di lontano che
non riesco a percepire davvero e non distinguo. Non so se sia istinto o altro
quello che mi porta ad aprire comunque gli occhi: in ogni caso, quello che vedo
spezza ogni cosa.
Mi stacco da Blaine che per poco non
mi cade addosso data la… passione con cui mi stava baciando e a cui scappa un
sottile mugugno di risentimento, come se si stesse chiedendo perché abbia
interrotto così bruscamente un tanto piacevole contatto.
Cavolo, Blaine, come se a me non
piacesse!
Ma ora i miei occhi sono
praticamente incollati a ciò che ci ha interrotto, mentre l’istinto omicida fa
a cazzotti con l’imbarazzo e mi blocca sul posto, senza permettermi alcuna
reazione. Sento Blaine voltarsi e credo abbia assunto la mia stessa
espressione.
La situazione potrebbe essere comica
se fosse vista dall’esterno. Ma noi ci siamo dentro, quindi è tutt’altro che
questo.
Wes, David,
Nick, Jeff, Thad e Dominic. Non manca proprio nessuno all’appello!
«Voi!»
La mia voce, più acuta del normale
per l’imbarazzo, ma minacciosa per una simile interruzione ha un effetto
gratificante per la reazione che provoca ad ognuno di loro. Sussultano come se
li stessi minacciando di morte – e in effetti non ci sono poi così lontano.
«Per quale motivo secondo voi
esistono le porte chiuse? Possibile
che a nessuno di voi sia stato insegnato come bussare? Eppure siete in sei, sei cavolo! A nessuno è venuto in mente
di fare un gesto tanto semplice?»
Qualcuno – Nick e Jeff che sono tra
quelli più in avanti – boccheggiano per qualche istante, senza sapere che
rispondere ed io con la coda dell’occhio, scorgo Blaine sorridere per la mia
furia. Ma non è la prima volta che lo fanno, maledizione!
«Scusate, scusate, scusate!»
Come facciano ad essere un perfetto
coro anche quando non cantano, o meglio improvvisano nel panico più totale, è
qualcosa di sorprendente! Io li guardo ancora in cagnesco e li vedo leggermente
arrossire a disagio.
«Da-David ci ha detto che hai la
possibilità di tornare alla vecchia scuola e allora… stavamo pensando di fare
una bella festa di addio, o meglio arrivederci,
perché che ti piaccia o meno, un volta
Usignolo, Usignolo per sempre!» spiega Wes.
Io sgrano gli occhi, sorpreso dalle
loro intenzioni e soprattutto da quell’ultima frase. Qualcosa mi si agita
dentro: questi ragazzi sono stati la mia famiglia, almeno un po’, devo loro
molto…
Di nuovo una sorta di tristezza
velata mi prende ed abbasso lo sguardo, incapace di continuare a guardarli.
«Ehi, no! Non azzardarti a farlo!»
La voce di David mi porta
istintivamente ad incrociare con curiosità i suoi occhi scuri.
«Sembra che tu sia riuscito a… chiarire con Blaine, non rovinare tutto
ora! Va bene, Kurt: siamo felici che torni a casa. Nonostante sia stato bene
qui – lo spero – è quello il tuo posto. Siamo felici di averti avuto con noi,
solo questo»
Lo guardo, gli occhi di nuovo lucidi
per l’emozione e la mano di Blaine sulla mia spalla. Non so che dire e forse
non ce n’è davvero bisogno.
«Grazie. Davvero, grazie a tutti.
Io…»
Sono in difficoltà: non so mai che
dire in momenti come questi.
«Ok, ok, adesso basta con le parole!
Scendiamo, che dite? Rendiamo la Dalton e gli Usignoli indimenticabili per
Kurt!»
Nick! Il suo entusiasmo travolgente
porta tutti i ragazzi a correre via dalla stanza in un istante, lasciando me e
Blaine dietro.
Lo guardo sorridendogli e lui
ricambia il mio gesto.
«L’unica cosa che non mi mancherà di
tutto questo credo sarà la totale mancanza di privacy» dico, alludendo
all’incursione che come al solito ci ha colti in un bel momento, interrompendolo.
L’Usignolo scoppia a ridere,
annuendo. Poi mi lascia un soffice bacio sulle labbra e mi prende per mano, come la prima volta, trascinandomi lungo
il corridoio.
~ ∞ ~
I walked across an empty land
I knew the pathway like the back of my hand
I felt the earth beneath my feet
Sat by the river and it made me complete
È qui, di fronte a me, davanti a
tutti i ragazzi del McKinley e comincia a cantare come se fossimo da soli, come
se non potessi sentirlo che io. Dietro di lui, gli altri Usignoli compaiono
scendendo le scale e facendo da coro, in un suono unico ed emozionante come
sempre.
Ci sono tutti, pronti a mostrarmi
quanto mancherò loro. Le parole che mi ha rivolto Blaine prima di cominciare a
cantare mi hanno colpito molto: davvero non credevo di essere stato così importante per loro… ma la festa
che mi hanno dedicato prima che me ne andassi ed ora questo mi fanno capire che
forse non esagerano a dirlo…
Mi si gonfia il cuore di gioia e
forse – ok, sicuramente, anche di orgoglio: solo adesso mi rendo conto di
quanto mi mancherà ogni singolo folle ragazzo che fa parte di quel gruppo.
Sono qui che li guardo, con le
braccia conserte, tentando di rimanere quanto più possibile composto e fermo e
di trattenermi dall’abbracciare ognuno di loro e particolarmente Blaine, che
sta cantando senza curarsi di niente e di nessuno se non di me che lo guardo.
Quanto sono stato fortunato ad
incontrarti? Quanto sono stato fortunato ad averti con me?
Oh simple thing, where have you gone?
I’m getting old and I need something to rely on
So tell me when you’re gonna let me in
I’m getting tired and I need somewhere to begin
Si muovono ora, disponendosi su
tutta la larghezza delle scale, i loro occhi puntati su di me e Blaine che non
riesco a non guardare. Canta con voce ferma, ma si vede quanto sia emozionato,
quanto tenga a quello che sta facendo. L’ambra del suo sguardo è quasi
invisibile perché lo sforzo nel cantare e l’emozione che lo travolge fanno sì
che non si veda che una fessura dei suoi occhi e a me manca il fiato: non lo
avevo mai visto così durante un’esibizione e il mio cuore irrimediabilmente
romantico mi fa credere che sia perché sta cantando per me.
Per me.
È la prima volta che qualcuno mi
dedica qualcosa… e mi sento come se improvvisamente mi mancasse la terra da
sotto i piedi.
Gli Usignoli scendono alcuni gradini
con la classica coordinazione e mi accordo che tutti sono attratti
inevitabilmente dalla loro performance.
Poi ad un tratto, nel crescendo
della canzone, Blaine scatta e perdendo il mio sguardo, scende con velocità i
gradini per correre verso il pianoforte.
And if you have a minute, why don’t we go
Talk about it somewhere only we know?
This could be the end of everything
So why don’t we go somewhere only we know?
Somewhere only we know
Ritrovo immediatamente il contatto
con i suoi occhi – brillano e riesco a distinguerlo bene nonostante lo spazio
che ci separa. Continua a cantare, accompagnandosi col suono del piano come
fosse la cosa più naturale del modo ed io mi accorgo appena di aver preso a
muovere il corpo al ritmo di quella poesia.
Non ho parole, non riesco a
descrivere il modo in cui mi sento, quello che sto provando. Mi sento
completamente smarrito, senza via di scampo se non continuare a guardare Blaine
ed il cuore mi batte talmente forte che potrebbe uscirmi dal petto da un
momento all’altro.
Pazzo, innamorato Blaine. Cantare
per me davanti a tutti, al McKinley… è una cosa talmente da te che non so in
che modo non mi sia passato per la testa che avresti potuto farlo. E folli i
tuoi compagni che – al diavolo le esibizioni al di fuori del campus! – hanno
accettato di seguirti per salutarmi.
Lo raggiungono dietro di lui, di
nuovo con lo sguardo fisso su di me ed un’espressione sorridente eppure un po’
affranta sui visi. Mi mancheranno, uno per uno.
Non so per quanto ancora resisterò
contro la commozione che minaccia di rigare il mio viso e di interrompere la
performance per correre tra le braccia di Blaine e dirgli tutto quello che
sento – e so che non uscirebbe una sola parola dalle mie labbra e che andrebbe
bene così, perché non ne abbiamo bisogno. Resisto, solo perché non ho il
diritto di interrompere qualcosa di così bello.
Si allontana dal piano e mi si
avvicina ancora cantando; poi lascia che sia il coro a portare avanti la
melodia e con un sorriso tremendamente bello su cui si riflette già la sua di
emozione, mi prende le mani e mi fa scendere quei pochi gradini che mi separano
dal piano e dal resto degli Usignoli.
And if you have a minute, why don’t we go
Talk about it somewhere only we know?
This could be the end of everything
So why don’t we go somewhere only we know?
Somewhere only we know
Somewhere only we know
Somewhere only we know
Mi si avvicinano, uno per uno, e mi
salutano. Mi sento venir meno e non sono più capace di trattenere le lacrime
che ora mi bagnano il viso. Non è un addio, me lo hanno ripetuto tante volte
durante le ultime ore che ho passato alla Dalton. Una volta Usignolo, Usignolo
per sempre – altro motto del loro saluto, eppure una parte di me non può non
essere triste per questo arrivederci.
Mi mancheranno, ora lo so per certo:
mentre mi abbracciano o mi danno pacche amichevoli sulle spalle, so che ognuno
di loro, nella sua ordinaria follia, nel suo piccolo essere unico e speciale,
mi mancherà, in modo diverso ed unico.
Wes, David, Nick, Jeff, Thad e tutti
gli altri, che mi hanno accolto come un uccellino spaurito appena caduto dal
nido. C’è voluto tempo, mi hanno avvicinato con calma, lasciandomi lo spazio e
la tranquillità per ambientarmi e poi sono diventati indispensabili, nei
momenti seri tanto quanto in quelli divertenti. Ho capito che cosa significhi
essere un solo corpo e una sola voce e ho imparato un’unità che forse neanche
nelle Nuove Direzioni avevo compreso
appieno. Mi sono stati accanto e mi hanno fatto crescere e maturare fino a che
da passerotto infreddolito e lontano dal nido, non sono stato in grado di
imparare a volare e tornare a casa.
Significano tanto per me e no, non
li dimenticherò.
Il groppo che mi si è formato alla
gola mi impedisce anche solo di deglutire, mentre, dopo aver salutato tutti gli
Usignoli, mi ritrovo davanti mio fratello, con un grosso sorriso e gli occhi
che luccicano. Sospiro per cercare di riprendermi e lui allarga le braccia
tirandomi a sé. Il suo calore mi conforta e forse, dopotutto, mi calma anche un
po’ dal turbinio di emozioni che mi sta facendo girare la testa. Dopo di lui,
anche Mercedes mi stringe a sé con affetto.
Poi torno a guardare Blaine che
intanto ha continuato a cantare con forza. Trovo i suoi occhi e la commozione
che ha avuto già la meglio su di me, sta per sconfiggere anche lui che si avvia
alle note finali. Mi avvicino ancora un po’ e sospiro di nuovo abbassando per
un attimo la testa: ci sono tante cosa che vorrei dirti adesso, Blaine, ma
semplicemente dovrebbero inventare parole nuove, perché quelle che conosco non
bastano, non sfiorano neanche ciò che provo in questo momento.
Conclude la canzone mentre io
ritrovo il suo sguardo e quando la melodia sfuma dolcemente non resisto più e
mi lancio tra le sue braccia quasi con bisogno, come se fosse indispensabile
alla mia sopravvivenza. Mi stringe forte a sé come non aveva mai fatto prima,
come se potessero strapparmi via da lui e non ci rivedessimo mai più.
La necessità che colgo in
quest’abbraccio fa quasi male ed anche io ricambio la stretta per fargli
sentire che sono qui con lui. So cosa dirgli ora.
«Non ti dirò mai addio» sussurro con
voce tremula.
Lui capisce, so che capisce che cosa
intendo e mi lascia andare con un sorriso pieno di lacrime.
Sospiro di nuovo e sorrido anch’io,
per quanto mi sembri difficile. Lo vedo andare via e so con certezza che non è un addio. È un nuovo inizio e lui sta
percorrendo questa nuova strada con me: non ci stiamo separando, non lo faremo
mai.
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Rieccoci! Perdonate l’abissale ritardo, ma tra gli
esami di Pachelbel e le mille idee che mi hanno presa, non siamo riuscite ad
aggiornare prima.
Anyway, siamo qui ^^ Questo capitolo… non lo so, lo
reputo il migliore tra quelli che ho scritto finora… forse perché c’è Somewhere only we know e rivedere quella
performance prestando attenzione ad ogni dettaglio è stato devastante – alla fine
avevo le lacrime agli occhi.
Boh, spero piaccia anche a voi… e ricordo che anche
le critiche sono bene accette!
Ringraziamo tutti coloro che sono arrivati fin qui:
we love you ♥
A presto, baci ♥
Ps: ho detto delle mille idee che mi hanno presa, beh,
magari avete voglia di prestare attenzione almeno ad una di esse? Una nuovo
long, scritta con la benedizione di Pachelbel ♥ My universe will never be the same.