<<
Io ti avrei seguito, fratello mio, mio
capitano…mio Re >>.
Stop.
Rewind.
<< Io ti avrei seguito, fratello mio, mio
capito…mio Re >>.
Stop.
Rewind.
E ancora, stop, e ancora rewind, finchè il sonno
non mi avrebbe preso di nuovo con sé, come tutte le notti.
Non ne capivo bene
il motivo, ma adoravo quella scena, mi commuoveva, mi rallegrava, mi
rattristava. E quanti sogni facevo, forse troppi, data la mia
età avrei dovuto
smettere di farmi certi filmini mentali già da tempo.
“22 anni e ancora sogni di prendere parte a certe
meravigliose avventure, come una bambina sogna di aspettare il suo
principe
azzurro, su un cavallo bianco, attendendolo in una una
torre…e magari tale
principe ti avrebbe anche gridato << Raperonzolo sciogli
i tuoi capelli!
>>”. Era ridicolo, non c’era che
dire, infatti per questo che tenevo per
me le mie passioni e le mie ridicole fantasie. 22 anni di fallimenti
però erano
stati abbastanza convincenti, le fantasie erano le uniche casupole con
caminetto
acceso in mezzo a boschi in piena pioggia.
Reclinai la testa all’indietro poggiando la nuca
sul letto, sospirando e lasciando cadere morbidamente la mano lungo il
fianco
fino a toccare il caldo parquet su cui ero seduta abbastanza
disordinatamente.
Insomma, a ventidue anni si spera che una si sia
realizzata in qualche modo, ma per me era impossibile. Forse per colpa
mia, o
forse NON per colpa mia, o forse entrambe le cose. A scuola non ero mai
stata
una cima, non che fossi una bulletta in piena crisi adolescenziale
mossa solo
dall’istinto di ribellione verso qualcosa che nemmeno
conoscevo, ma solo perché
adoravo leggere e preferivo perdere le giornate dietro qualche bel
libro
fantasy anziché dietro numeri o pensieri di filosofi morti
secoli prima. E poi
c’è anche da dire che sono sempre stata una
con…1 pelo per ogni lingua. In
parole povere non pensavo prima di parlare e dicevo tutto, ma proprio
tutto, e
questo molte volte mi è costato un cinque in condotta. Un
insieme di cose che
mi hanno portato allo sfracello, a litigi in casa, e a un paio di anni
in più
da passare entro le mura del liceo. Solo ora mi rendo conto
dell’importanza di
fare un paio di nodi alla lingua e di quanto la gente potente
abbia….potere su
di te.
E l’università?? Non ne parliamo! Mamma mi aveva
dato una sola possibilità “o entri, o vai a
lavorare”, non che mi volesse male,
ma non aveva le forze economiche adeguate per aiutarmi negli studi
quindi o
dimostravo di volermi impegnare davvero o davo una mano in casa con
altri
mezzi.
Forse ecco perché molti miei compagni hanno
tentato il test d’ammissione a più
università, ma io ero testarda! Volevo fare
veterinaria e ho provato solo lì con un ottimismo che mi ha portato maggiori
delusioni quando vidi
la mia posizione in graduatoria.
Inutile insistere, ero una fallita e tale sarei
rimasta. Continuai allora nella mia passione di lettrice e scrittrice
lavorando
come barista in un pub non molto lontano da casa mia, lavoro che
DETESTAVO. La
maggior parte degli uomini che entravano lo facevano solo con
l’intenzione di
ubriacarsi e portarsi a letto la barista, l’unica del locale,
IO! Ogni volta
che mi allontanavo da quei bulletti temevo che all’uscita dal
locale li avrei
trovati con spranghe e catene tra le mani, odiavo, odiavo con tutta me
stessa
quella vita! Miseriaccia!
Ecco perché la fantasia, i libri e i film erano
la mia unica finestrella per respirare un po’
d’aria pulita di campo dopo
un’intera vita in città tra smog e odore di
cassonetti pieni.
Ok, forse esageravo. Ma d’altronde che opportunità
avevo di fronte a me? Nessuna!
E allora eccomi lì, davanti a un televisore
mentre mi guardo per la…penso sia stata la 25esima volta, Il
signore degli
anelli. Storia a dir poco meravigliosa, la conoscevo tutta a memoria! E
come
può capitare a chiunque nell’appassionarsi a una
storia ci si appassiona a un
personaggio in particolare, che sia un protagonista o meno,
c’è sempre qualcuno
che ci affascina di più rispetto agli altri.
Per me era lui.
Incredibile, ma vero.
La sua figura di uomo fiero e valoroso, che si
vuol dimostrare di ferro ma in realtà è debole
tanto da arrivare a tradire i
propri compagni.
Lui, l’Uomo per eccellenza, colui che pentendosi
del suo errore si è sacrificato per i suoi amici, colui che
è morto con valore.
Lui, la figura più tormentata di tutta la storia,
quello che subisce una guerra maggiore al suo interno rispetto a quella
che
combatte con spada e scudo.
Lui.
Boromir.
Era incredibile come era riuscito a rendermi
completamente partecipe dei suoi sentimenti nonostante
l’autore e il regista
non ne parlino poi in maniera troppo approfondita, ma infondo era
questo il
bello: il lasciar spazio alla mia immaginazione, era come per un uomo
vedere
una donna con una lunga gonna che le lascia scoperte solo le caviglie.
Lo
eccita di più che di una donna in minigonna
perché lascia spazio
all’immaginazione che può rendere le cose ancor
più belle e interessanti di
quello che in realtà siano.
Eppure dormii beatamente, cullata dalla magnifica
voce di Enya, udendo in lontananza spade che si incrociavano e scudi
che si
spezzavano. Un corno in richiesta di aiuto.
E poi, non contenta di ciò che avevo appena visto
con gli occhi, vidi anche con la mente, nei miei sogni, quel volto da
uomo rude
che tanto mi affascinava e il momento della sua valorosa caduta.
A volte mi chiedevo come sarebbe proseguita la
storia se lui si fosse salvato, se Aragorn fosse arrivato prima, se
Merry e Pipino
non fossero stati così sciocchi da attirare
l’attenzione su di loro per poi
lasciarsi catturare.
Cosa avrei dato per riuscire a vedere il suo
volto, accarezzare, sfiorare con la punta delle dita il sangue che
colava al di
fuori del suo corpo, sentirne il calore, magari anche aiutarlo,
salvarlo
e…poter sentire sulle sue labbra il sapore della morte
appena sconfitta.
Molte volte ci avevo pensato, così tante da farne
diventare una vera e propria ossessione, avevo scritto tante volte su
un pezzo
di carta come mi sarei comportata in caso, una fan fiction su come lo avrei salvato e
come me ne sarei
innamorata.
Un altro sospiro, impercettibile nella notte.
Urla.
Urla nel fuoco.
E un occhio che guarda il mondo che presto farà
suo.
Non fu un sogno tranquillo quello, aveva sognato
i magnifici paesaggi della Nuova Zelanda usati da Peter Jackson nel suo
film,
ne aveva immaginati di nuovi, aveva visto volti e baciato labbra
morenti. Ma
ovunque c’era morte, distruzione, la fine,
l’oscurità che in un abbraccio di
fiamme ingoiava quel meraviglioso mondo che era la Terra di Mezzo.
La fine.
O forse… l’inizio.
Spaventata mi alzai in piedi, eppure ero sempre
in pigiama, segno che non ero giunta lì dopo una sbornia al
pub con gli amici.
Ero veramente andata a dormire. Che fossi sonnambula? Sì, ma
anche fosse… come
diavolo avevo fatto ad arrivare in quel posto sconosciuto? Non
c’era l’ombra
della città nemmeno se guardavo verso l’orizzonte,
solo prati, boschi, sassi e
colline. Un fiume scorreva poco più avanti, ai piedi di
quella collinetta su
cui mi ero svegliata, molto carino a vedersi ma
<< DOVE DIAVOLO SONO?? >>.
Ok, ero in preda al panico più accecante. Cercai
di fare mente locale: ero in pigiama nel bel mezzo del nulla, la sera
prima ero
nella mia camera e adesso mi trovavo lì… nel bel
mezzo del nulla!!!! Nulla!
Però in quel nulla doveva esserci per forza
qualcosa, qualcosa che forse riposava beatamente e che il mio grido
aveva
svegliato. Sentii un urlo di uccelli dietro di me, un urlo terrificante
che mi
fece venire i brividi a partire dal tallone fino alla punta dei miei
capelli
biondi sparati verso l’alto grazie al fango che aveva fatto
da gel.
Mi voltai improvvisamente sicura che quell’urlo
fosse provenuto da dietro di me e non mi sbagliai. Un grosso uccello
nero volò
a qualche centimetro dalla mia testa urlando chissà quale
maledizione contro
chissà chi. Non che la cosa mi interessasse più
di tanto, ma quella planata e
quelle sue imprecazioni in uccellesco causarono la mia caduta
giù per la
collina. Rotolai come una pallina ferendomi con qualche sassolino e
sporcandomi
tanto da sembrare che avessi fatto una tinta ai capelli per diventare
mora con
meches verdi e un operazione chirurgica alla pelle per diventare
marocchina.
Non ebbi purtroppo modo di constatare troppo i
danni in quanto una volta arrivata in fondo e caduta nel fiume avevo
già perso
i sensi. Mi salvai solo grazie ad un tronco e alla forza della
disperazione che
prima di abbandonarmi insieme ai sensi
mi aveva portato ad abbarbicarmi come un’edera a
questo mia ciambella
con paperella improvvisata.