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Autore: gaccia    12/03/2012    10 recensioni
Non è possibile!
I mostri non esistevano, me lo diceva sempre la nonna, quando mi rimboccava le coperte.
E allora che ci faccio qui? Legata a una roccia in attesa di essere mangiata da una creatura nera e malvagia emersa dalle profondità del mare.
Io sono Isabella Marie Swan, e mi trovo qui, prigioniera, destinata al sacrificio, come Andromeda.
Mini-fic. liberamente ispirata al mito.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
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Buongiorno a tutti.

Visto che domani sono impegnata e che il capitoletto è già pronto, anticipo la scadenza, sperando che apprezziate il regalo anticipato.

Ricordatevi:  questa è una storia fantasy, dove la magia la fa da padrone, tutto e il contrario di tutto sono possibili.

Buona lettura

 

---ooOoo---

 

 

Avrei voluto piangere, strapparmi gli occhi e il cuore dal dolore che mi era stato inferto, invece l’unica cosa che sentivo era odio. Profondo, intenso odio contro Jacob.

Lui mi aveva ingannata, mi aveva tradita, aveva fatto in modo che mi fidassi e mi aveva venduta nel più meschino e viscido dei modi.

Come aveva potuto? E come avevo potuto io, fidarmi così ciecamente di lui?

Come aveva potuto battere così forte il mio cuore con lui vicino? Mi aveva abbracciata, mi aveva salvata dal congelamento, mi aveva toccata… non significava niente?

Ormai non avevo più lacrime da versare.

Quando il soldato, dall’armatura brunita venne a prelevarmi dalla cella nella quale ero stata rinchiusa, non cercai minimamente di ribellarmi. Non sapevo cosa sarebbe successo, ma ormai non avevo più la forza per combattere.

 

Venni scortata attraverso numerosissime scale e attraversai altrettanti corridoi. Il soldato era sempre al mio fianco, completamente coperto dalle piastre della sua cotta e dall’elmo.

Quando giungemmo di fronte al portone di accesso di quella che pareva la nostra destinazione, si tolse l’elmo e a me si bloccò il fiato.

Era lui, il traditore. Jacob.

Sentii nuovamente le lacrime pungermi, lottando per scorrere libere. “Perché?” chiesi. Solo questo, volevo sapere solo questo.

Cosa gli avevo fatto di male per meritarmi questo trattamento da parte sua? Non mi aveva conosciuta? Non sapeva che non ero cattiva?

“Dovere” rispose secco… poi osservandomi con la coda dell’occhio, aggiunse in un sussurro “Grazie per avermi medicato, Isabella… mi… mi dispiace” e detto questo tornò ad assumere un’espressione vuota ed aprì la porta, introducendomi al cospetto della persona che aveva ordito contro di me.

 

Il salone, nel quale ero entrata, era immenso. Con stucchi dorati, marmi e preziosi arazzi alle pareti e tappeti riccamente elaborati sul pavimento. Sulla parete opposta alla porta, si trovava un rialzo, dove spiccava un grande trono dorato, riccamente intarsiato.

Jacob mi fece un gesto secco per farmi avanzare al centro del salone e chiuse la porta, lasciandomi sola ad aspettare.

“Benvenuta tra noi… tu dovresti essere Isabella? Giusto?”. Una voce melodiosa di donna, proveniente dal retro di alcuni pannelli posti alle spalle del trono, ruppe il silenzio, ghiacciandomi sul posto.

 

Attesi alcuni minuti, senza avere il coraggio di muovere un muscolo. Sentivo dei rumori soffocati dietro al pannello, come due persone che stessero parlando… o facendo altro.

“Dimmi, Isabella, tu sai perché sei qui?” chiese ancora la voce, sospirando subito dopo.

“No” bisbigliai. Probabilmente non mi sentirono, non mi ero sentita io stessa, così ripetei l’affermazione con voce più alta. “No”.

“Te l’ho detto… è forte”. Quella affermazione mi gelò ancora di più: era il comandante.

Una risata riempì la sala. “Andiamo” un ordine trasformato in preghiera da parte della donna mi rese attenta. Stavano arrivando.

 

Sbattei le palpebre diverse volte, per abituarmi allo splendore di donna che mi trovai davanti. Vero che avevo vissuto quasi in isolamento, con le uniche donne che conoscevo bene: la mamma e la nonna, ma in qualche sporadica visita al villaggio, ne avevo incontrate altre. Lei le superava tutte in grazia e bellezza.

I suoi capelli biondi come il grano maturo incorniciavano un viso cesellato dagli angeli. Le ciocche scendevano lungo la schiena per arricciarsi sopra le natiche che ora lasciava scoperte. La sua bocca era rossa, carnosa, come il ricordo di un peccato. La sua pelle era diafana, trasparente, porcellana perfetta. Gli occhi, erano pezzi di cielo incastonati in lunghe ciglia scure, il suo corpo era splendido.

Si presentò completamente nuda ai miei occhi, accompagnata dal comandante che vedevo privo di armatura per la prima volta.

Anche lui era nudo, se si faceva eccezione per un misero pezzo di stoffa che gli circondava i lombi, coprendo il suo sesso.

Anche questa volta mi sentii minuscola in confronto alla sua corporatura. Era enorme, con muscoli guizzanti in tutto il corpo. Se Jacob mi era sembrato molto sviluppato, era nulla paragonato a quell’uomo. Bruno con gli occhi grigi, il petto lucido, seguiva la sua donna con una devozione quasi religiosa.

 

“Aiutami per favore” chiese dolcemente all’uomo consegnandogli un drappo dorato. Lui lo prese e l’aiutò ad indossarlo, dopo aver deposto un bacio adorante sulla spalla di lei.

Ero completamente affascinata dalla scena. I due erano in intimità, eppure si mostravano a me senza alcun pudore.

La donna non si preoccupò di chiudere la vestaglia infilata e si sedette tranquillamente sul trono, lasciando in mostra un seno e le gambe completamente nude. Il comandante si sedette ai piedi della donna, lasciando che la mano di lei gli accarezzasse i capelli.

“Allora, Isabella, sai chi sono io?” chiese dolcemente la donna.

Negai. Sapevo che doveva essere una donna importante per avere il controllo del comandante e i soldati ai suoi ordini, ma non avevo idea di chi esattamente fosse.

“Sono la Regina! Sono a capo del regno di Nimuve e della città di Sfinghertea, il mio dominio va dal mare alle montagne del cielo oscuro, dalle colline d’oro alla pianura degli sherpa. Io posso tutto su queste terre, quindi, visto che tu vivevi nella valle di Vatia, posso tutto anche su di te” concluse con un sorriso accondiscendente.

La sua mano continuava ad accarezzare i capelli corti del comandante, come se fosse il suo gatto.

Sembrava una scena dolce, ma in realtà, il fuoco inestinguibile che leggevo nei loro occhi, mi faceva tremare di paura.

 

“Cosa… cosa volete da me? Perché sono qui?” chiesi cercando di farmi coraggio.

“Perché sono qui? Cosa volete da me?” scimmiottò il comandante facendo ridere la regina.

La risata argentina della donna si spense all’improvviso “Devi essere sacrificata… per il bene del regno. Alice!” urlò infine.

La vecchina che mi aveva accompagnato all’inizio del mio viaggio, si fece avanti comparendo dal nulla, come se si fosse materializzata in quel momento staccandosi dal muro. Avanzò con il suo passo incerto e sicuro allo stesso tempo. Sembrava volesse andare veloce ma fosse costretta di forza a rallentare.

“Prendila e ripuliscila. Controlla che sia perfetta. Poi vestila. Che sia bella e desiderabile! Lui dovrà essere soddisfatto!”. La regina ordinò senza più guardarmi, poi si alzò e si ritirò dietro i pannelli, seguita immediatamente dal suo amante che ghignava al mio indirizzo.

 

La vecchia mi prese per il polso, trascinandomi con poca delicatezza verso la porta dalla quale ero entrata. “Sei sporca” fu il suo unico commento.

Come potevo essere pulita e profumata dopo quindici giorni di fuga, tra paludi, fiumi, terreni per poi essere rinchiusa nelle segrete? Era assurdo solo pensarci.

Venni nuovamente scortata da un soldato verso le stanze dove mi avrebbero ripulito. Avevo ancora addosso i vestiti stracciati e sporchi di quando mi avevano rapito e desideravo ardentemente cambiarmi.

Mi ritrovai in una stanza, piena di vapori, con una enorme tinozza di acqua calda al centro e quattro ancelle pronte a servirmi. Ero stupita… poteva una schiava, pur vergine, essere trattata in questo modo? In cosa consisteva questo sacrificio?

Provai a dare voce alle mie perplessità, ma né la vecchia, né le ancelle risposero a una sola delle mie domande.

Venni spogliata e lavata accuratamente.

Poi, dopo essere stata asciugata, la vecchia prese ad esaminarmi minuziosamente. Controllò tutto, occhi, denti, capelli, seno, ventre, gambe, piedi e soprattutto se ero davvero vergine.

Cercai di trattenere le lacrime di umiliazione che mi spuntarono. Ero trattata peggio di una mucca al mercato.

 

Le ancelle presero a ungere il mio corpo di oli profumati e setosi e a intrecciare i miei capelli in modo da lasciare scoperto il collo e la schiena.

Alla fine mi misero un vestito argentato, se vestito si poteva definire. Era un insieme di strisce di stoffa divise alle spalle che si riunivano in vita, fermate da una cintura di placche d’argento, che poi proseguivano sino ai piedi.

Non mi sarei mai messa un pezzo di stoffa come quello, addosso: lasciava scoperto le braccia, parte dei seni, il ventre, i fianchi e le gambe. In pratica ero nuda.

La vecchia mi fece indossare dei sandali e mi indicò la porta. Scortata nuovamente da un soldato, venni condotta, per la seconda volta, nella sala del trono, dove trovai ad attendermi la regina, vestita di tutto punto, e accanto a lei il comandante dei soldati.

 

“Sembra perfetta… è integra?” chiese con una certa irritazione la regina.

“Sì, maestà” rispose Alice con tono fermo.

“Benissimo! Allora, mio caro, conducila alla roccia. E tu Alice, porta le catene del rito. Deve compiersi questa notte… domani festeggeremo il prossimo anno di pace” e con questo ordine, la regina si alzò e lasciò la sala.

 

Io mi guardai attorno. Cosa dovevo fare? Dove mi avrebbero portato? Cos’era la roccia e perché servivano le catene del rito? Quale rito?

Cosa doveva compiersi questa notte?

Avevo paura, tanta paura.

 

Il comandante, vestito con la solita corazza e senza elmo, mi indicò l’uscita e mi scortò a una carrozza che sostava davanti al portone principale del palazzo. Insieme a noi, salirono anche la vecchia di nome Alice e un valletto, curvo sotto il peso di un sacco.

“Dove stiamo andando?” chiesi, appena la carrozza si mosse.

Sembrava essere tornata indietro di due settimane, la stessa domanda ottenne la stessa risposta: il silenzio.

Ogni tanto la vecchina mi lanciava occhiate tristi e compassionevoli, ma le sue labbra erano sigillate in una linea dura da dove non usciva nemmeno un sospiro.

 

Il tragitto non durò molto. In meno di mezz'ora la carrozza si fermò ed io fui invitata a scendere, aiutata dalle forti braccia del comandante.

Eravamo arrivati alla scogliera, un ammasso di rocce a strapiombo sul mare, dove le onde si abbattevano feroci.

Scavata nella pietra stessa, una specie di scala, portava al livello del mare, permettendo di scendere a riva. Sembrava che questo passaggio, fosse stato creato da poco tempo, come se questa scena avesse avuto pochissimi attori negli anni.

Arrivammo al termine del passaggio, su una grossa pietra liscia, bagnata dalle onde più alte del mare.

 

Il valletto posò a terra il sacco e ne aprì la sommità, mentre io venivo spinta verso la parete di sassi che delimitava quello spazio.

Nel momento che salii su una specie di rialzo presente, attaccato alla parete sul fondo di quello spazio, sentii una forza sovraumana e misteriosa, immobilizzarmi.

Alice allungò le braccia davanti a lei, sopra il sacco, con i palmi rivolti verso il basso e gli occhi chiusi e, come un serpente una grossa catena uscì strisciando verso di me.

Urlai dalla paura, tutto mi sembrava sinistro e malefico. Gli spruzzi delle onde mi bagnavano, lasciando la mia pelle gelida e tremante.

Quando la catena arrivò ai miei piedi, scattò verso l'alto, ancorandosi ad un anello posto a circa due metri sopra la mia testa, e da lì scese per legarmi i polsi trascinandoli sopra il mio capo.

Mi ritrovai così, legata ad una roccia, inerme e impaurita.

 

“Addio, Isabella. Spero che il sovrano non ti faccia soffrire molto. Ci rivedremo nella terra dei morti” mi salutò il comandante con il suo ghigno di cattiveria, mentre iniziava a risalire la scala.

“Se permettete, io e il mio valletto, torneremo più tardi. Rimandateci la carrozza!” ordinò la vecchia con voce flebile. L'uomo si limitò ad annuire e se ne andò.

 

Lasciai passare alcuni minuti, durante i quali la vecchia si era accomodata sul sacco e guardava seria e silenziosa il mare, senza badare agli spruzzi che le bagnavano la veste.

“Cosa mi accadrà ora?” chiesi agitata, incapace di attendere oltre.

 

“Sarai tu a scegliere il tuo destino, dopo che ti avrò rivelato le alternative”

Sobbalzai al suono della voce. Era maschile, dolce e calda, profonda e vicina. Ovviamente non era stata la vecchia che aveva parlato, ma un essere strano, appena uscito dalle acque e seduto sul bordo della roccia. Aveva le spalle larghe, muscoli scolpiti, capelli scuri con qualche riflesso rosso, un viso stupendo, adatto a un essere mitologico e, al posto delle gambe, una coda argentata di pesce, che terminava con due larghe pinne trasparenti.

 

Avevo troppa paura per spaventarmi oltre, riuscii solo a chiedere tremante “Chi sei?”

“Mi chiamo Edward” rispose sorridendo tranquillo “e probabilmente sono la tua sola possibilità di sopravvivere a colui a cui sei destinata”.

Stavo tremando.

 

----ooOoo---

 

Angolino mio:

Finalmente abbiamo incontrato Edward il pesce… chi aveva indovinato?

Il prossimo capitolo sarà la lunga, lunga spiegazione di tutto questo mistero.

Cosa ve ne pare della regina? E del comandante? Li ho pensati fuori dai canoni, sfacciati nella loro cattiveria… e vagamente… chi?

 

Ok, vi ringrazio per l’apprezzamento

Rimando alla prossima (martedì 20)

baciotti

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