Capitolo I.
I
wanna go home.
It’ll be alright
I’ll be home tonight
I’m coming back home
(“Home”,
Michael Bublè)
Inghilterra, Devon, Ottery
St. Catchpole.
31 agosto 2022, primo
pomeriggio.
James era sdraiato per terra, tra l’erba ancora pregna
della rugiada mattutina, all’ombra di uno dei grandi alberi del cortile di casa
Potter. Fischiettava piano uno dei tanti tormentoni estivi che la radio aveva
trasmetto a tutto spiano per due mesi e mezzo e che lui, alla fine, si era
ritrovato a conoscere praticamente a memoria.
L’aria era calda, più calda rispetto al consueto
temperamento inglese. L’avevano detto anche in tv o alla radio – che, tra
parentesi, gli aveva spesso tenuto compagnia –, all’inizio delle vacanze, che
quell’anno l’estate sarebbe stata caratterizzata da un clima più asciutto.
E lui aveva diciassette anni. Aveva diciassette anni da
quarantacinque giorni, ormai, eppure si sentiva strano. Perché ogni volta che
aveva pensato alla sua maggiore età gli erano sempre venuti in mente party su
party, alcol, uscite. Uno sballo, in poche parole. E invece era tutto come
prima, niente pareva aver mutato anche solo di una minuscola, insignificante
virgola.
Aveva passato l’estate un po’ in famiglia, un po’ con
gli amici – il tutto studiando almeno due ore al giorno, con sua madre che
controllava perennemente il suo lavoro neanche fosse un mastino (Ginny Weasley
in Potter sapeva essere spaventosa, quando voleva). Si sentiva esausto e ancora
minorenne, sebbene non lo fosse più. La cosa non gli era particolarmente
gradita, poi, per ovvi motivi.
Chiuse gli occhi, con il cicaleccio continuo degli
insetti nelle orecchie.
Il lato positivo era il fatto di essere in vacanza, alla
fine, che aveva sempre significato dormite fino a tardi, rimanere svegli fin
quando si voleva, girare con i bermuda ed una maglietta a maniche corte e
sbottonata senza che nessuno ti dicesse niente, le partite a Quidditch stile
Weasley. Senza contare, naturalmente, che finalmente poteva anche usare la
magia fuori da scuola – il che era a dir poco magnifico.
E ovviamente farsi qualche giro nella Londra Babbana con
Scorpius, che, per la cronaca, aveva smesso di essere messo in punizione per
essere il migliore amico del peggior Potter in circolazione – o almeno così lo
definivano alcuni. Ma alla fine lo sapeva, James, che Draco non aveva poi tutti
questi problemi con lui: anzi, qualche volta che era andato al Manor, era quasi
del tutto certo di averlo visto increspare appena le labbra pallide e tirate. E
poi, a lui, Malfoy Sr. non dava per nulla fastidio, nonostante tutto quel che
lo zio Ron aveva detto quando Rose aveva ricevuto la sua lettera da Hogwarts
l’aveva fatto partire con il piede sbagliato verso Scorpius. E alla fine
l’aveva capito, che i Malfoy non erano cattivi come li si dipingeva, affatto:
Asteria era bella e gentile, con quei suoi modi di fare dolci che alla fine
avevano sciolto anche il marito, di cui si è già parlato prima. Eppure, James
sembrava uno dei pochi a pensarla così o, più semplicemente, ad averlo capito:
ad Hogwarts, infatti, buona parte dei compagni consideravano Scorpius solo un
Malfoy, come se fosse solo un cognome e non un semplice ragazzo di sedici anni
la cui unica colpa era quella di essere nato in una famiglia non proprio
fantastica, ma che lo amava in tutti i modi possibili ed immaginabili. Non
erano molti quelli che si prendevano la briga di scavare almeno un po’ dietro
quel cognome e che non si nascondevano dietro ad accuse che erano state sciolte
anni addietro.
James sbuffò, strappando un ciuffo d’erba verde e
attorcigliandoselo ad un dito. Poi sentì i passi di qualcuno che si avvicinava,
calpestando il terreno umido, e piegò il collo leggermente in avanti anche se
già sapeva chi avrebbe visto: solo Lily camminava in modo così leggero che
quando eri a scuola e ti salutava da dietro saltavi su perché non l’avevi
sentita arrivare.
E infatti quando aprì gli occhi vide la chioma rossa
della sorellina che si avvicinava poco a poco. La ragazza indossava un vestito,
di un azzurro tanto pallido da sembrare bianco, ed ai piedi aveva un paio di
sandali da giardino – probabilmente era stata tutto il tempo scalza in casa e
quando lo aveva visto lì non aveva neppure pensato di infilarsi un paio di
scarpe, ma vabbe’, lei era fatta così.
Lily gli assomigliava abbastanza, a ben pensarci. Non di
aspetto, certo, ma certe caratteristiche caratteriali erano quasi le stesse:
Gryffindor, chiassosi, dalla risata facile, giocatori di Quidditch e fan di
tante altre immani cavolate. Non era molto, alla fine, se ne rendeva conto, ma
solo con Lily riusciva ad essere un po’… empatico.
Senza contare Domi,
ovviamente, ma vabbe’, lei è la mia migliore amica…
Di aspetto, poi, erano davvero tutto l’opposto, fatta
però eccezione per gli occhi castani ereditati dalla madre. James era alto, dai
capelli scuri e le spalle larghe. Lily aveva i capelli dello stesso rosso della
nonna paterna, ed era esile – sebbene spesso usasse tale immagine come una
copertura per i suoi piccoli scherzi.
Smise di pensare a tutto ciò quando la sorella gli si
fermò davanti, sorridente come sempre. Aveva un bel sorriso, lo dicevano tutti.
« Jamie! Che fai? » chiese e si sedette accanto
a lui, senza curarsi del fatto che la veste le si sarebbe potuta sporcare
facilmente, mentre l’interpellato storceva il naso per via del nomignolo che
gli era stato affibbiato da piccolo, quando Albus non riusciva a dire giusto il
suo nome, e che purtroppo era rimasto nel tempo.
« Niente » rispose semplicemente con
un’alzata di spalle.
La sentì ridacchiare accanto a sé: « Sei il solito scansafatiche ».
« Ah! Perché, tu no? » le chiese retoricamente,
sghignazzando apertamente. Lily lo seguì nella risata, poggiando la schiena al
tronco dove lui, invece, aveva appoggiato la testa.
« Ehi, attento a quel che
dici » rimbeccò scherzosamente.
« Non vedi come tremo? Ho la
pelle d’oca » la prese in giro, ridacchiando ancora.
« Carogna. Comunque, sei
pronto per il tuo ultimo anno? »
James sospirò e si strinse nelle spalle. Già. Era
pronto? Non lo sapeva con certezza nemmeno lui. Sua zia Hermione e suo zio
Percy continuavano a dire che i M.A.G.O. erano qualcosa di difficilissimo,
riuscendo così a mettergli ancora più ansia. In più c’era il Quidditch, che lui
non aveva assolutamente idea di lasciare. Il Quidditch era troppo… troppo
sacro, per lui.
« Sono sicura che andrai
benissimo, James » gli disse subito Lily, mentre lui faceva per aprire
definitivamente bocca.
Era così, Lily, ti rassicurava su tutto e il suo sorriso
non riusciva a farti pensare che quel che diceva potesse essere falso. Si
riteneva più che fortunato ad essere suo fratello, assolutamente.
« Se lo dice la mia
sorellina, allora, sarà così » sorrise, e poi iniziarono
ad osservare le nuvole e a cercare di immaginare a cosa potessero assomigliare
maggiormente.
*
Casa Weasley-Granger.
« Hai preso la divisa pulita
da sopra la lavatrice? »
« Sì, mamma ».
« E le nuove pergamene? »
« Sì, mamma ».
« Sei sicura di aver preso
tutti i tuoi libri di testo? »
« Sì, mamma ».
« E l’Allontana-Malfoy? »
« Per l’amore del cielo, Ron! » sbottò allora Hermione
Granger, allargando le braccia in un gesto di stizza.
« Su, Hermione, era solo per
scherzare… » mugugnò allora Ron, ma qualcosa – tutto – nel suo tono faceva capire che non era affatto così. Era
ancora molto protettivo nei confronti di sua figlia, nonostante la ragazza
avesse già sedici anni.
Rose, già stufa di quel teatrino, pensò bene di
svignarsela e correre in camera sua. Mentre passava davanti a quella del
fratello minore, Hugo, i propri timpani protestarono con veemenza a causa del
volume decisamente troppo alto della musica che il ragazzo stava ascoltando.
Siano maledetti James e
Freddy, che l’hanno contagiato con tutta questa musica babbana…
Si richiuse la porta della propria camera dietro e,
finalmente, sospirò sollevata. Tra sua madre e la sua apprensione pre-scuola,
suo padre e i suoi noiosi discorsi sul fatto che “Malfoy non è una buona
persona da conoscere” – nonostante lo dovesse vedere spesso a casa Potter
assieme a James – e suo fratello e la sua dannatissima radio, avrebbe davvero
voluto dormire subito. E non le importava affatto che fossero solo le cinque e
mezza del pomeriggio.
Forse potrei darmi una
padellata in testa…
Passò davanti allo specchio e si osservò per un po’.
Stessi capelli rosso Weasley, forse solo un po’ più corti. Stessi occhi
azzurri. Stesso naso con qualche spruzzata di efelidi. Stesse spalle magre. Stesso
viso. Stessa persona.
Stessa Rose.
Spesso si chiedeva perché tutte sembravano cambiare,
migliorare, crescere mentre lei rimaneva sempre uguale, immutata. Qualcuno
doveva avercela con lei, lassù – era arrivata a questa conclusione, alla fine.
Si sentiva piuttosto usuale, sempre.
Albus le diceva che andava bene così com’era, che non doveva preoccuparsi.
Già, ma qualche decimo di
bellezza in più non mi dispiacerebbe mica…
Si sedette sul suo letto e prese in mano la bacchetta.
Se la rigirò tra le dita, stando bene attenta a non fare magie. Sbuffò, mentre
si rialzava ancora, prendeva un libro a caso dalla libreria e si buttava
un’altra volta sul letto, stavolta a pancia in sotto.
Sapeva che il libro le sarebbe scivolato addosso come
una doccia fresca, ma era meglio quello che ascoltare le raccomandazioni
ripetitive dei suoi o dare corda ai suoi pensieri sul poter chiedere a zio
George di creare qualcosa per diventare un po’ più carina.
Sospirò.
Finalmente domani si torna
ad Hogwarts.
*
Avevano guardato le nuvole, dicendo che assomigliavano a
questo e a quell’altro, poi si erano messi a provare a fischiare con dei fili
d’erba – i risultati erano stati ovviamente scadenti –, ed infine avevano
deciso di sdraiarsi e basta, a chiacchierare concitatamente e buttando, di
tanto in tanto, qualche battutina nella conversazione.
E così si era fatta sera, mentre le stelle cominciavano
ad apparire pallide in cielo e il sole tramontava definitivamente, sparendo
dietro alle colline del Devon.
La sagoma di casa Potter si stagliava, netta, proprio di
fronte ai loro piedi. Sdraiati com’erano, infatti, il capo era rivolto al cielo
e con i piedi puntavano, appunto, alla casa. Era bella: una casa di tre piani
con il tetto rosso e una specie di rete di legno attaccata alla parete destra
della casa, ove cresceva rigogliosa una pianta di rampicanti.
Erano proprio quei rampicanti a rendere la loro casa
così particolare, secondo Lily. Perché le ricordavano suo padre, in un certo
senso. Avevano gli steli piccoli, un vento molto forte avrebbe potuto spezzarli
senza problemi, ma loro rimanevano attaccati al muro – sempre. E così aveva
fatto suo padre tanti anni prima: era solo un ragazzino con tanti problemi e
carichi più grossi di lui sulle spalle, avrebbe potuto cedere da un momento
all’altro, eppure era rimasto attaccato alla vita proprio come quei rampicanti
alle pareti. Per questo, la pianta preferita di Lily era proprio il rampicante:
le ricordava suo padre, che aveva corso il rischio di dare la vita anche per
persone che non conosceva.
« Uno zellino per i tuoi pensieri, sorella » disse ad un certo punto James, accennando un sorrisetto sardonico. Sotto sotto,
però, era anche un po’ preoccupato. Ultimamente la sua sorellina s’immergeva
sempre più spesso in sogni ad occhi aperti, ed ogni volta che provava a farla
parlare riceveva solo una risposta vaga ed un’alzata di spalle. Cercava di
farsi bastare ciò, ma gli sarebbe piaciuto sapere davvero cosa passava per la testa rossa di Lily.
« Niente di speciale, non valgono così tanto, questi pensieri » gli sorrise lei, sistemandosi una ciocca rossa dietro l'orecchio.
« Assolutamente » convenne James e poi le
passò un braccio attorno alle spalle. « Ma un giorno capirò cosa
pensi! »
« Nah. Sei troppo stupido per
imparare la Legimanzia » ghignò la ragazza, e James
l’avrebbe davvero stimata se solo non lo avesse appena insultato senza farsi
troppi problemi. « Ma va bene così, dopotutto lo sanno tutti che è Al
quello intelligente. Tu sei quello stupido, io sono quella carina » aggiunse, ridendo.
« Sono più bell- ».
« Qualcuno mi ha chiamato? » Esclamò una voce, quasi
urlando. Albus stava camminando verso di loro: evidentemente era da poco
tornato a casa.
« In realtà ti abbiamo
nominato, Albie » rispose James, schivando poi una gomitata di Lily, che si
alzò in piedi e trotterellò allegramente verso l’altro fratello per stringerlo
in uno dei suoi famosi abbracci stritolatori – probabilmente era l’unica cosa
che aveva ereditato da nonna Molly.
« Al! » cinguettò Lily, mentre
l’altro mugugnava qualcosa riguardo al fatto che lo stava effettivamente
soffocando. La quasi quindicenne1 scoppiò a ridere e lasciò la presa,
posandogli poi un braccio sulla spalla sinistra. « Che hai fatto con Zabini?
Letto tanti libri? »
Al roteò gli occhi sotto lo sguardo divertito degli
altri due.
Okay che Noah non è proprio
il massimo dell’esuberanza, ma non è noioso… - pensò, rispondendo che no, non avevano letto dei
libri. Anche perché sennò non saprei che
leggere fino a Natale.
« Uh-uh » fischiettò James e Albus
sbiancò irrimediabilmente. No, suo fratello non poteva essere sul serio tanto
idiota da pensare che… « Non è che c’è qualcosa tra te
e Zabini, Albie? » … Sì, suo fratello era davvero un idiota.
« Che cosa? » esplose con voce acuta,
mentre Lily iniziava a ridere tranquillamente sulla sua spalla. Aveva gli occhi
verdissimi spalancati, come due fari nel buio, e la bocca spalancata. James
ghignò ancora.
« E noi cosa dovremmo pensare
di te e Logan, allora? O di te e Scorpius? » aggiunse, cercando di
rendergli pan per focaccia.
Ed evidentemente ci riuscì, perché il sogghigno sulle
labbra dell’altro andò sgretolandosi pian piano, mentre la risata di Lily si
faceva sempre più sguaiata. « Oh, Merlino, siete meglio
di quella vecchia serie tv… Ma sì, quella stupida! Dai… Scrubs, mi pare ».
Sia Al che James fecero per ribattere, il primo con le
guance rosse ed il secondo con una smorfia oltraggiata sul viso, quando la voce
di Ginny Potter riecheggiò per il giardino fiorito: « Ragazzi, venite, è pronta
la cena! »
Il baule era stato finito e chiuso circa mezz’ora prima
e in quel momento giaceva ai piedi del letto – ma probabilmente il giorno dopo
sarebbe stato aperto di nuovo per infilarci all’ultimo momento qualcosa che
James aveva dimenticato fuori, come al
solito –, con sopra uno zaino contenente una rivista di Quidditch, una
Babbana di motociclette, della cioccolata e una felpa d’evenienza, nel caso la
temperatura scendesse tutt’a un tratto.
Gli occhi scuri di James erano spalancati e, nonostante
non fossero poi così grandi, in quel momento sembravano immensi.
Ultimo anno ad Hogwarts. Ultimo anno in un posto dov’era
praticamente tutto bianco, a parte qualche piccola sfumatura di un grigio
pallidissimo. Ultimo anno al sicuro. Ultimo anno per comportarsi come un
ragazzo scapestrato quale era sempre stato. Ultimo anno in cui avrebbe potuto
‘proteggere’ la sua sorellina da eventuali spasimanti ogni giorno. Ultimo anno
a ricordare ad Albus che gli sarebbe venuta la scogliosi a forza di stare
chinato sui suoi dannati calderoni. Ultimo anno per ripetere a Scorpius di
muoversi, perché più lento di lui non c’era nessuno, probabilmente.
Ultimo anno a casa.
Note:
So che è un capitolo corto e che qui non succede
praticamente niente, ma dal prossimo capitolo compariranno altri personaggi.
Promesso. :)
E grazie, davvero, per le recensioni. Sono un ottimo
incentivo a continuare! *Messaggio tra le righe: continuate, su…*
1. Quasi quindicenne, già.
Perché? Praticamente. La mia Lily è nata il 25 settembre 2007, quindi
teoricamente avrebbe dovuto fare il quinto anno, sì. Solo che Hogwarts apre il primo
settembre e non ci possono essere primini. Perciò be’, ta-dan!, Lily è un po’
più grandina di Hugo, ma di poco. :)
Vi adoro,
A.