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Autore: Aya88    13/03/2012    3 recensioni
A volte il passato può essere doloroso, ma si cerca ugualmente di andare avanti e si può giungere a pensare di averlo superato. Quando però ritorna insieme alla sofferenza e ai sentimenti negativi che l'avevano caratterizzato, le certezze acquisite crollano e per non crollare con esse è indispensabile il sostegno di chi ci sta accanto.
E' questo quello che capiranno i protagonisti, chi in un modo, chi in un altro, tra indagini poliziesche e banchi di scuola.
Prima long-fic, spero possa piacere a qualcuno.
Paring: KakaSakuNaru, InoShika, TsunadeJiraiya, AsumaKurenai.
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Capitolo IX


Come aveva immaginato non appena aveva ricevuto il messaggio di Shizune, trascorrere la serata con lei si era rivelato piacevole, anzi molto piacevole; oltre alla bella presenza, la dottoressa era indubbiamente una donna intelligente e simpatica, e per la prima volta aveva avuto modo di apprezzare quelle sue caratteristiche anche fuori dall’ambito lavorativo, chiacchierando tranquillamente in un ristorante. I problemi erano sorti quando l’aveva riaccompagnata a casa, per la precisione nel momento in cui, fermi in macchina sotto il suo appartamento, aveva permesso che lo baciasse, convinto che quello potesse essere un buon modo per distrarsi ed iniziare a voltare pagina, convinzione che si era dimostrata nell’immediato un errore di valutazione; se infatti aveva afferrato per le spalle la donna, scostandola da sé, non era stato per mettere in chiaro, come spesso gli capitava, che non poteva assicurare nient’altro che del sesso, ma per troncare in modo categorico ogni possibile prosieguo. Era stato allora che aveva compreso quanto il suo cuore e la sua mente si prendessero gioco di lui e quanto grave fosse la sua situazione.
Mentre sedeva, in attesa di un caffè, al tavolino di quello stesso bar in cui aveva incontrato Shizune la sera prima, non poteva fare a meno di ritornare su quelle constatazioni. Prima di giungere a Konoha credeva, se non di aver vinto le proprie paure, di esservi almeno molto vicino, gliel’aveva fatto credere prima di tutto il non affievolirsi, pur con il passare degli anni, dell’amore che provava per la giovane collega, un dato di fatto a cui si era affiancata la minore difficoltà nell’istaurare dei rapporti che andassero al di là del semplice contatto lavorativo; tuttavia, era stato sufficiente un incontro troppo ravvicinato con Sakura per far riaffiorare quelle paure dal nulla, o almeno così aveva pensato. Se infatti temeva ancora di non riuscire a dedicarsi ad una relazione stabile, abitudine che a suo tempo Isoshi Haruno gli aveva apertamente rinfacciato in un istinto paterno di protezione, perché diavolo si era trattenuto? In teoria, niente avrebbe dovuto impedirgli di pronunciare quelle poche frasi che in gioventù gli erano servite per tutelarsi da eventuali recriminazione e a cui negli ultimi anni aveva ricorso per premettere che il suo cuore tendeva altrove. La spiegazione più semplice e convincente che riusciva a darsi era che non ci fosse più il grande bisogno di lottare per lasciarsi andare e quindi cercare in una donna qualcosa che andasse al di là di una notte, una spiegazione che smentiva però le conclusioni a cui era giunto solo ventiquattro ore prima e lo riportava al punto partenza. Non che la cosa gli dispiacesse, in fondo, perché poteva offrire qualcosa di più sicuro a Sakura, ma oscillare da una considerazione all’altra, incapace di capire facilmente se stesso, motivo a cui poteva attribuire la titubanza avuta nel baciarla, non era esattamente il massimo.
Si massaggiò la nuca, scrutando il liquido nero che gli era stato servito pochi minuti prima; come aveva sospettato, quella bevanda non sarebbe servita a sciogliere almeno un po’ lo stress interiore che provava, come invece avrebbe potuto fare un bicchierino di sakè, ma purtroppo doveva entrare in servizio a breve, o meglio sarebbe dovuto già essere in commissariato, e non poteva bere nulla di alcolico.
Sospirò, afferrando il manico della tazzina.
Era inutile perdersi ancora nel labirinto della propria mente, perché quella uscita imprevista con Shizune aveva senza dubbio contribuito a mettere un definitivo punto fermo in modo molto drastico; bloccarsi in determinati frangenti non gli era mai successo e rappresentava l’indizio lampante non solo del vero stato delle sue difese, ma anche del non poter più reggere quella situazione di stasi, una situazione che si trascinava da più di un semplice mese, sebbene in quell’ultimo periodo fosse diventata meno sostenibile. Doveva assolutamente sforzarsi di raccattare una volta per tutte il coraggio per scavalcare le sue remore e dire alla collega tutta la verità. Se poi avesse ricevuto un rifiuto, qualunque ne fosse stato il motivo, l’avrebbe accettato e avrebbe cercato di andare avanti per la propria strada, mettendoci una grossa pietra sopra, quella volta con più convinzione. Sollevò un angolo della bocca in un sorriso amaro; era incredibile come si fosse ridotto a causa di quella ragazza e dell’idea di averla dopo tanto tempo così vicina. 
Bevve in un sorso il caffè, trovandone piacevole il sapore amaro, e fu in quell’istante che il suo cellulare iniziò a squillare, con perfetto tempismo. Appena possibile lo recuperò dalla tasca dei pantaloni leggendo sul display il nome di Tenzo e  rimanendo leggermente sorpreso; tutto al più, si sarebbe aspettato una telefonata di Sasuke, pronto a rimproverarlo per il suo ennesimo ritardo, oppure una di Shizune, sebbene nel suo caso ritenesse più probabile la volontà di avere un confronto diretto. Incapace di immaginare cosa volesse l’amico, rispose senza indugio.
“Ciao, Tenzo. Qualcosa non va?” Domandò diretto.
“Eh, perché qualcosa non dovrebbe andare?” Replicò l’uomo all’altro capo del telefono, spiazzato ma non tanto, abituato come era alla sua perspicacia. “Comunque buongiorno.”
“Beh, perché sto per entrare in servizio e lo sapevi, quindi credo che non mi avresti chiamato se non fosse strettamente necessario.” Spiegò l’Hatake.
“Sì, come so che sicuramente starai ancora perdendo tempo in un bar, se non sei addirittura a casa, considerando i tuoi programmi per ieri sera. Anzi, poi mi racconti, ora invece ho una specie di soffiata da farti.”
A quella risposta Kakashi aumentò il suo grado di attenzione, contento di poter evitare l’argomento che era stato oggetto dei suoi pensieri fino a pochi istanti prima.
“In pratica, stamattina presto c’è stato un incidente e nell’auto che proveniva da Konoha abbiamo trovato della droga. Potrebbe essere solo una remota possibilità, ma ho pensato che la cosa potrebbe rivelarsi utile per voi. Il problema è che il sinistro è avvenuto nell’aria di competenza del commissariato di Kurara, ma se qualcuno si facesse un giro casualmente da queste parti, potremmo evitare che le cose si complichino. Mi trovo sul posto, all’imbocco della statale 56, datti una mossa.”
Dopo aver illustrato in modo rapido la situazione e la motivazione della sua chiamata, Tenzo riattaccò senza attendere una conferma, conscio che l’ispettore non avrebbe rifiutato il suo aiuto; quest’ultimo, avendo capito perfettamente che l’altro non poteva restare a lungo al cellulare, soprassedé sul leggero fastidio causato dalla chiusa un po’ brusca e si soffermò a riflettere un attimo sulla notizia ricevuta. Indubbiamente era molto lontana dal rappresentare una sicurezza, ma qualora ci fosse stata davvero una coincidenza tra la droga trovata da Tenzo e quella che avevano a loro disposizione, avrebbero potuto considerarla in piena regola un colpo di fortuna che gli sarebbe servito per incrementare la loro probabilità di successo e velocizzare i tempi, e lui avrebbe dovuto offrire quantomeno una birra all’amico per sdebitarsi. Si alzò dal tavolino e si affrettò a pagare, così da raggiungere il commissariato prima possibile.

Ci aveva rimuginato su tutta la notte, o meglio fino a quando non era crollata per la stanchezza tra le braccia di Morfeo, cosa che poteva senza problemi essersi verificata prima di quanto credesse, se teneva conto del gioco perverso che, nei momenti meno opportuni, la mente metteva in atto manipolandola percezione del tempo. Dopo che Kakashi aveva liquidato il suo bacio con la fastidiosa quanto inoppugnabile frase ‘Mi dispiace, ma possiamo essere solo amici’, aveva ingoiato con estrema difficoltà un grumo di imbarazzo, poi aveva biascicato qualche monosillabo in segno di comprensione ed era scesa in fretta e in furia dalla macchina, turbata. Con sua sorpresa, però, in ciò che l’agitava c’entrava ben poco il rifiuto dell’uomo, ricevuto dopo che era stata lei stessa ad invitarlo e a dar luogo a quell’approccio intimo; anzi, nonostante l’avesse desiderato con una certa insistenza, come una scomoda ed inattesa visitatrice, le era venuta incontro l’insoddisfazione, nello stesso momento in cui scorrevano fugaci le sensazioni provocate da quel contatto. Era stato senza alcun dubbio piacevole, Kakashi era un bell’uomo e ne era attratta, altrimenti non sarebbe arrivata fino a quel punto, eppure non sembrava essere ciò che il suo cuore voleva davvero. Quella constatazione l’aveva spiazzata, se non addirittura sconvolta, e ne era sempre più sicura man mano che i sentimenti confusi della sera prima acquisivano dei contorni più chiari.
Sollevò con un dito il margine destro del primo foglio di una cartella clinica; avrebbe dovuto leggerla con attenzione e invece aveva appena gettato uno sguardo alle righe di ideogrammi, incapace di soffermarsi sul loro contenuto, mentre un unico e terribile dato di fatto la faceva da padrone nei suoi pensieri: era intrappolata in un grosso guaio, tanto più grosso perché sentiva che gli sforzi della sua parte razionale sortivano scarsi effetti. C’erano diverse ragioni per respingere mille miglia lontano ciò che non avrebbe mai creduto di provare per un certo quattrocchi di sua conoscenza. Prima di tutto era un suo assistente, ed era perfettamente consapevole che in ambito lavorativo la voce di una eventuale relazione poteva quanto meno generare situazioni spiacevoli e imbarazzanti per entrambi; era poi più giovane di lei, anche se di poco, una realtà che comunque avrebbe potuto creare difficoltà anche fuori, e già il solo pensiero di dover sostenere sguardi o parole cariche di pregiudizio la sfiniva; inoltre, aveva un carattere sfuggente, era menefreghista e presuntuoso, a volte scostante, altre ingombrante al punto da essere irritante.
Esalò un sospiro di stanchezza e rassegnazione; avrebbe dovuto considerare il carattere di Kabuto il no principale e invece finiva per metterlo in fondo alla lista, anteponendo fattori che a conti fatti erano qualcosa di marginale in un rapporto di coppia, elementi esterni che potevano solo aggravare una situazione già precaria di suo. Se solo non avesse saputo da che cosa dipendessero in gran parte i suoi modi di fare, se solo avesse ignorato la storia di quel bambino solo, sopraffatto da un legame di dipendenza e affetto divenuto col tempo asfissiante per la sua unilateralità, forse sarebbe stato diverso, forse non ci sarebbe stato un bicchiere di troppo e una notte di sesso, forse non si sarebbe trovata in quel momento nel suo ufficio a pensare a lui.
Per un attimo, nella vana ricerca di qualcosa o qualcuno con cui prendersela, che non fosse se stessa, il collega o il destino avverso che li aveva fatti conoscere, provò un moto di nervosismo nei confronti di Kakashi; chi diavolo aveva per la testa, perché qualcun’altra doveva esserci, per non poter accettare il suo palese interessamento e aiutarla a dimenticare la persona meno adatta, almeno per la sua sanità mentale, che potesse esserci nei paraggi? Forse, gliel’avrebbe chiesto per liberarsi dal pizzico di curiosità femminile che in parte quella domanda racchiudeva, lo avrebbe fatto non appena avesse avuto un po’ di tempo per parlargli e chiarare quanto accaduto la sera prima. Qualunque decisione avrebbe preso riguardo a Kabuto, non le sarebbe dispiaciuto istaurare con il poliziotto almeno un rapporto amichevole, qualcosa che andasse al di là di collaborazioni lavorative, collaborazioni che tra l’altro non sarebbero durate per sempre.
Immersa in quell’ultima considerazione, non notò la presenza della causa materiale dei propri recenti tormenti, fino a quando non divenne troppo ravvicinata per passare inosservata; all’improvviso, entrarono nel suo campo visivo un’ombra che ostacolò l’illuminazione garantitagli  da una finestra e una mano che si appoggiò al bordo della scrivania, a pochi centimetri dal suo braccio. D’istino sollevò il busto leggermente piegato in avanti, trovandosi ad aderire con la schiena al petto dell’uomo alle sue spalle; si irrigidì, mentre la sua spina dorsale venne percorsa da una scossa di tensione, accelerata quando avvertì un respiro caldo sul suo collo, segno che di cosa fosse la debita distanza quell’idiota non ne aveva la più pallida idea.
“E’ interessante la cartella clinica?” Le chiese ironico, e Shizune si morse il labbro inferiore per il nervoso; perché doveva essere così altamente detestabile, perché doveva comportarsi così sul posto di lavoro, e soprattutto perché diavolo quella situazione non era solo ed esclusivamente spiacevole?  Richiuse con un gesto rapido il documento che aveva sotto mano, lo afferrò e scattò in piedi con un movimento brusco, voltandosi verso di lui e colpendogli tutt’altro che gentilmente il torace con la cartellina semirigida.
“Dato che è così interessante, te la leggi all’istante e nel lasso di tempo più breve possibile mi riferisci le tue conclusioni, ponderate però, non buttate lì a caso.” Gli intimò seria, con una chiara nota di irritazione nella voce, riflesso preciso della sua espressione.           
Kabuto non poté evitarsi di piegare le labbra in un sorriso malizioso.
“Sarà fatto.” Replicò, guadagnandosi uno sbuffo da parte della donna, che per salvaguardare quella mattina il suo equilibrio psicofisico abbandonò l’ufficio, senza aggiungere più una parola.        

Quando Kakashi era entrato in ufficio, non aveva dato tempo a Sasuke di aprire bocca per la consueta ramanzina, che l’istantanea occhiataccia scoccatagli lasciava presagire, ma gli aveva imposto di sbrigarsi perché non avevano molto tempo a disposizione e, per non compromettere l’andamento della giornata di lavoro, aveva addolcito quell’ordine dettato dall’urgenza aggiungendo che gli avrebbe spiegato tutto in macchina. Nonostante la prima reazione di disappunto, per un tipo come il collega abituato a rispettare le procedure, era riuscito a convincerlo puntando sulla possibilità di giungere più facilmente a quelli che potevano essere i responsabili principali dello spaccio, una possibilità che non sarebbe affatto dispiaciuta al commissario, per istinto di sopravvivenza, e al sindaco, per brama di potere.
Favoriti per buona parte del tragitto dalla scorrevolezza del traffico, raggiunsero abbastanza in fretta il luogo del sinistro, dove evitarono la fila di macchine determinata dal parziale blocco della polizia stradale accostandosi sul ciglio opposto della strada, al di là delle vetture incidentate, alla giusta distanza per non ostacolare ulteriormente la viabilità.
Fu Tenzo a venire loro incontro, sollevando leggermente a mo’ di saluto il berretto blu che aveva tra le mani, per poi rimetterlo sul capo.
“Vedo che ogni tanto mi dai retta.” Disse rivolto a Kakashi, non appena gli fu abbastanza vicino, e l’amico non ebbe difficoltà a cogliere, nel tono apparentemente serio, la seconda ironica allusione al suo ritardo cronico.
“Anche troppo, direi.” Ribatté pacato, poi gli presentò rapidamente il collega e gli chiese di spiegargli un po’ meglio la situazione.
“Beh, niente.” Iniziò Tenzo. “Non c’è molto altro da aggiungere, Kakashi, sempre che non ti interessino le modalità dell’incidente. Prima che l’ambulanza lo portasse via, ho avuto modo di parlare con l’unico sopravvissuto, nella cui macchina abbiamo trovato la bustina di droga, e mi ha confermato che lui e il suo amico tornavano da un locale di Konoha. Era sotto shock, quindi non è riuscito a dirmi altro, ma credo che sia sufficiente per un inizio.”
“Capisco, potrebbe esserci utile interrogarlo in effetti, qualora…”
“Prima di ogni cosa, dovremmo attendere le analisi della scientifica sulla droga.” Lo interruppe con tono freddo l’Uchiha, ancora un po’ seccato dall’essere stato coinvolto in qualcosa di poco ortodosso. “Come intendete procedere affinché ciò avvenga?” Continuò, sollevando il punto centrale di quell’incontro.
L’ispettore Hatake sospirò interiormente; per quanto il collega avesse compreso l’utilità di quel sotterfugio, non riusciva affatto a comportarsi senza complicazioni quando non era totalmente d’accordo.
“Ecco, per non sollevare grossi problemi,” intervenne Tenzo al suo posto “pensavo di ritardare solo un altro po’ nell’avvertire il distretto di Kurara, il tempo necessario per permettervi di affrontare la questione con il vostro commissario. Sicuramente ha più autorità di me per trattare con chi di dovere.”    
“D’altronde siamo arrivati sul posto e abbiamo elementi che ci inducono a pensare che la droga provenga da Konoha. Tsunade-sama potrà facilmente far appello su questo affinché la droga sequestrata ci pervenga direttamente, senza allungare i tempi.” Spiegò Kakashi, sperando che Sasuke si accontentasse e non facesse altre storie.
“Uhm, capito.” Biascicò quello, poi soffermò lo sguardo serio sul collega. “Ci parli tu col commissario, però, e a questo punto, prima torniamo in distretto, meglio è.” Disse asciutto.
“Non c’è problema.” Commentò l’altro atono, sollevato per non aver ricevuto obiezioni. “Comunque come si chiama il ragazzo rimasto in vita?” Domandò poi, rivolto all’amico.
“Kiba Inuzuka. Dovrebbe essere di Kurara, ma nel caso abbiate difficoltà a trovare un recapito fammi sapere.” Rispose Tenzo, prima di essere richiamato a gran voce da una collega.
“Ce la fai, Ten?” Lo rimbrottò quella, le braccia conserte e un’espressione poco rassicurante sul volto. “Abbiamo ancora qualche rilievo da fare, non dimenticartelo.” 
L’uomo sospirò insofferente, abbassando leggermente il capo e socchiudendo gli occhi.
“Non è una chiacchierata di piacere, Anko. Comunque ora arrivo.” Le disse con un pizzico di esasperazione, dopo essersi voltato verso di lei. “Mi chiedo che bisogno ci sia di urlare a pochi passi di distanza.” Si confidò poi con l’Hatake.
“Io ho notato il Ten, in realtà.” Affermò l’ispettore con una luce di divertimento nello sguardo.
“Eh, non farti strane idee, Kakashi, non c’è nulla da dire.” Scattò l’altro sulla difensiva, tradito però dal tono lievemente concitato.
“Uhm, vedremo.” Mormorò. “Comunque grazie per le informazioni e per l’appoggio. Ci sentiamo appena possibile.” Disse poi per congedarlo.
Tenzo assentì con un breve cenno del capo e un ‘va bene’, dopodiché lo salutò e tornò al proprio lavoro, mentre i due poliziotti di Konoha raggiungevano la loro autovettura.

La prima ora di lezione volgeva ormai al termine, ora che Ino aveva trascorso a fingere interesse verso le spiegazioni della professoressa di lettere, tracciando ghirigori sul foglio di un quaderno, mentre la sua mente pianificava come eseguire nel modo migliore l’ordine che il commissario le aveva impartito il giorno prima, quando si era svolta una breve quanto intensa riunione sui recenti sviluppi delle indagini e su come avrebbero dovuto portare avanti quella che sembrava essere la fase finale. Nelle sue orecchie risuonavano ancora le parole precise pronunciate dalla donna: Cerca di avvicinarti a Sai Shimura, dobbiamo essere sicuri che l’appuntamento non venga spostato prima di compiere qualsiasi mossa. Mi raccomando, però, stai attenta a non insospettirlo, sii il più naturale possibile.
“Non insospettirlo ed essere il più naturale possibile.” Mormorò tra sé e sé per l’ennesima volta, così come per l’ennesima volta la riposta che si diede fu che era più facile a dirsi che a farsi.
L’unico contatto che aveva avuto con il ragazzo da quando si era infiltrata nella scuola si era limitato al buongiorno appena entrava in classe e a qualche sporadica battuta durante il resto della giornata, sia perché il tipo era piuttosto riservato, sia perché, probabilmente da perfetta idiota, l’aveva escluso a priori dalla lista dei sospettati. Sarebbe stato impossibile, quindi, che interagire in modo diverso con lui e così all’improvviso potesse apparire perfettamente normale; oltretutto, Sai gli sembrava abbastanza intelligente da intuire che sotto ad un inaspettato interessamento da parte di una compagna di scuola potesse esserci qualcosa di tutt’altro che innocuo per lui che era uno spacciatore ricercato dalla polizia.
Sospirò adagiando la matita sul banco; in ogni caso, non aveva altra scelta, doveva tentare, e sperò che come tutti gli adolescenti della sua età il ragazzo collegasse il suo approccio a ben celate ragioni sentimentali, possibilità che si sarebbe impegnata a rendere altamente realistica. L’unico spunto che le era venuto per attaccare bottone tirava in gioco la passione per il disegno del giovane, testimoniata dall’assidua presenza al suo fianco di un album. Tutte le volte che l’aveva trovato alle prese con quel raccoglitore di fogli bianchi, con un briciolo di curiosità si era chiesta che cosa immortalassero i suoi disegni, quali ne fossero i soggetti, e considerando come si erano messe le cose, fin dall’inizio avrebbe fatto bene a non tenere per sé quella domanda, a cui si augurava di ricevere riposta a breve. 
Quando il suono della campanella giunse ad annunciare la fine della lezione, approfittò del momento di rilassamento e confusione tipico del cambio d’ora per agire; si alzò dal proprio banco e si diresse verso quello di Sai, due file più avanti, poi quando gli fu vicino e due occhi scuri si posarono su di lei, sistemò dietro le orecchie alcune ciocche dorate ribelli e ammorbidì le labbra in un sorriso.
“Ciao. Come va?” Lo salutò ilare. “Stamattina ho notato che prima che arrivasse la prof stavi disegnando qualcosa.” Continuò dopo una breve pausa, mentre una luce di curiosità attraversava lo sguardo del compagno di classe.
“Già, come il più delle volte.” Le rispose quest’ultimo con tono calmo, e la poliziotta si allarmò leggermente, ma si riprese subito cercando di prendere la palla al balzo.
“Eh, sì, in effetti mi ha sempre incuriosita la cosa, ma pensavo di poter risultare invadente.” Replicò, abbassando un po’ il capo mentre pronunciava le ultime parole, poi si passò una mano tra i capelli, accarezzando la coda che li raccoglieva, gesto con cui intendeva simulare un presunto imbarazzo.
Sai aggrottò le sopracciglia, con sulla punta della lingua la frase con cui ribattere, ma non lasciò che giungesse a destinazione, interessato ad ascoltare la scusa che la ragazza si sarebbe inventata per giustificare il suo comportamento.
“Tuttavia certe cose non si possono rimandare in eterno,” disse lei dopo un po’, tornando a fissarlo con un sorriso incerto e gli occhi lievemente socchiusi, “quindi posso guardare i tuoi disegni? Se non ti dà fastidio ovviamente.”
Dopo quella richiesta, per rimarcarne l’implicito messaggio, Ino appoggiò le dita al bordo del banco lasciando scivolare il palmo della mano sulla superficie lignea e lo guardò dritto negli occhi.
Lo spacciatore, tremendamente divertito dalla situazione, piegò le labbra in un’espressione maliziosa.
“Forse ora non è il caso… è appena entrato il professore di matematica.” Spiegò, e alle sue parole seguì la voce di Shikamaru che invitava gli studenti a sedersi di nuovo ai propri posti.
Per un attimo la poliziotta tentennò, quella volta davvero imbarazzata all’idea di dover flirtare alla presenza dell’amico, ma poi si ripeté che dopotutto si trattava solo ed esclusivamente di lavoro, così rivolse al ragazzo un altro finto sorriso e gli chiese se poteva occupare il banco libero al suo fianco, ottenendone il consenso senza alcuna difficoltà. Recuperò solo un quaderno e una penna dal proprio posto ormai abbandonato e si sedette velocemente.
Il suo spostamento non passò inosservato al nuovo arrivato, che adagiata la borsa con alcuni libri sulla cattedra gettò uno sguardo stanco ai presenti in aula, lasciandosi andare ad un sospiro, come tutte le volte che era in procinto di iniziare una lezione, ma quella volta la spossatezza che provava andava al di là della fatica di elaborare un discorso su argomenti che aveva abbandonato diversi anni prima, per giunta davanti ad un pubblico per nulla attento, cosa che distraeva anche lui; in quel momento avrebbe voluto essere nel suo ufficio, indaffarato con un’indagine ordinaria, con Sasuke che elargiva le sue supposizioni con tono asciutto e aria saccente e Ino che sbucava ogni tanto a chiedergli come andava la giornata, se non si trovavano a collaborare su qualche caso, ma soprattutto avrebbe voluto la calma e il tempo necessari per riafferrare il filo che lo legava alla poliziotta bionda, seduta dove in teoria non avrebbe dovuto.
Ne incrociò le iridi cerulee per un istante, come tacito consenso a qualsiasi azione volesse compiere, poi recuperò l’eserciziario e annunciò che quel giorno avrebbero fatto pratica, in religioso silenzio, con le funzioni, ignorando che si sarebbe pentito presto di quella decisione.       Gli studenti accolsero la notizia con un certo sollievo, ben lieti di sfuggire ad una opprimente interrogazione, quindi non se lo fecero ripetere una seconda volta e presero nota del numero delle pagine e degli esercizi che il professore dettò loro, man mano che sfogliava le pagine del libro e scrutava i numeri e i segni matematici che le ricoprivano. Terminato il suo compito, già troppo gravoso per i suoi gusti, Shikamaru si sedette incrociando le braccia sul petto e accasciandosi contro lo schienale della sedia. Avrebbe preferito trascorrere quell’arco di tempo contemplando un bel cielo limpido ornato da candide nuvole, ma dal momento che in quel periodo dell’anno era difficile ricevere una simile concessione, si sarebbe accontentato di osservare i ragazzi con le teste sui quaderni e le calcolatrici a portata di mano, evitando se possibile di appisolarsi. Non tutti, però, intendevano svolgere il compito loro assegnato, e non tardò ad accorgersene.
Piuttosto di rintracciare gli esercizi dal libro ormai aperto, quello di Sai ovviamente, Ino appoggiò una guancia contro una mano puntellandosi con un gomito sul banco e torse lievemente il busto verso il ragazzo al suo fianco.
“Allora, posso?” Sussurrò incurvando le labbra e addolcendo lo sguardo.
Lo spacciatore la fissò in silenzio per un istante, poi l’assecondò prendendo l’album dalla cartella e porgendoglielo; la poliziotta lo afferrò mormorando un ‘grazie’ e, senza ricomporsi, lo adagiò sulla superficie lignea, l’aprì e inizio a sfogliarlo. Osservò i disegni che riempivano le pagine senza fretta, concedendo ad ognuno il tempo necessario per essere apprezzato, e dovette ammettere che il loro autore aveva talento, per quel poco che ne capiva. I soggetti misteriosi che avevano attirato la sua curiosità erano semplici ma non banali: qualche scorcio paesaggistico, ritagli cittadini, un gatto alle prese con un gomitolo di lana, oppure intento a dormire pacificamente, alcuni ritratti. Fu uno di quest’ultimi a farle sgranare gli occhi per la sorpresa, generando un moto di divertimento nel ragazzo seduto al suo fianco, che durante la sua esplorazione aveva spostato più volte lo sguardo dal quaderno a lei, curioso di leggere le reazioni sul suo volto, proprio in attesa di quel momento.
“Mi piacciono i bei soggetti.” Si giustificò con perfetta naturalezza, quando Ino si girò verso di lui alla ricerca di una spiegazione.
Forse un suo ritratto su quell’album avrebbe dovuto allarmare la poliziotta, ma la situazione l’aveva così presa in contropiede che quel pensiero non la sfiorò; si ritrovò solo ad arrossire contro la sua volontà e a pensare che quel particolare era senza alcun dubbio un punto a suo favore, insomma la conseguenza più immediata che poteva dedurre, e ne approfittò subito.
Assottigliò lo sguardo in un’espressione provocante, poi allungò il braccio libero verso Sai sfiorando con le dita affusolate la sua mano ferma su una pagina dell’eserciziario.
“Potrei anche essere disponibile per un altro ritratto, però consapevole questa volta.” Suggerì con voce morbida; una proposta che fece comparire sul volto del proprio interlocutore un altro sorriso per nulla innocente.
“Per me va bene.” Accettò quello, con un tono piatto che non impedì a Ino di provare il gusto dolce di una piccola vittoria.
La ragazza appoggiò definitivamente la mano sulla sua, come a sottolineare il piacere per l’accordo ricevuto, un gesto che a Shikamaru apparve superfluo ed eccessivo, insomma perfettamente evitabile, così come riteneva evitabile l’incrocio di sguardi e la vicinanza eccessiva per i suoi gusti, o almeno quello era ciò che lo spingeva a pensare il contorcersi di qualcosa non identificato all’interno del suo stomaco, sensazione che lo tormentava da alcuni minuti, mentre la sua parte razionale gli faceva notare che in fondo era lavoro e quindi opportunismo e finzione, in modo però troppo labile.
“Yamanaka, vieni alla lavagna.” Disse infatti, con un tono più duro di quanto avrebbe immaginato, incapace di tollerare oltre la situazione, e quando Ino si avvicinò alla cattedra guardandolo perplessa e leggermente infastidita, l’ispettore si rese conto che l’unico aspetto positivo era la consapevolezza di aver trovato la risposta che cercava, perché per il resto quella settimana avrebbe avuto qualche problema.

“Quindi sei riuscito a parlargli?” Chiese Sakura, replicando al brontolio confuso di Naruto sulla idiozia di Sasuke.    
“Insomma… è il solito idiota!” Borbottò seccato l’uomo al suo fianco, lo sguardo sempre fisso sulla strada.
“Questo l’avevo intuito.” Commentò l’altra, cercando di non far notare il divertimento generato da quella risposta.
Nonostante i loro frequenti battibecchi, sapeva che l’Uchiha occupava un posto importante nella vita del collega, e non voleva certo dargli l’impressione di trattare con leggerezza quello che per lui era qualcosa di preoccupante.  
“In pratica, se ne è uscito con le solite storie, che non ha nessun problema, che mi sono immaginato tutto e che anche se fosse non sono affari miei. Insomma, parafrasando ‘ho qualche problema, ma stanne fuori, perché non ho voglia di parlarne’.” Le spiegò Naruto.
“Ho capito. E non hai la minima idea di cosa possa essere?” Domandò.
“Uhm, forse c’entrerà in qualche modo sempre suo fratello, poi boh, non saprei.” Rispose lui, con una scrollata di spalle, guadagnandosi un’occhiata interrogativa da parte della poliziotta, totalmente all’oscuro dell’esistenza di un fratello.
Non si era, in effetti, mai interessata molto a Sasuke Uchiha al di là del poliziotto e del collega con cui collaborare su alcuni casi, tanto che l’unica informazione più privata che aveva su di lui riguardava l’amicizia con Naruto.
“Fratello?”
“Eh, sì… è una storia lunga.” Disse il collega, stirando le labbra in una smorfia, una reazione che Sakura interpretò come l’indizio che quella lunga storia fosse anche spiacevole, per cui preferì non chiedere altro, evitando di mettere il naso in faccende che non la riguardavano.
“Capito, comunque magari prova a riparlargli affrontando la questione con più calma.” Gli consigliò, ricevendo come risposta un sommesso ‘ci proverò’ accompagnato da un’espressione tesa, che le fece desiderare di poter spazzare via quell’ansia che il poliziotto provava.
Allungò un braccio accarezzandogli con la mano una guancia.
“Vedrai che è solo un momento, gli passerà.” Tentò di tranquillizzarlo, e si sentì sollevata quando vide i suoi lineamenti ammorbidirsi e l’ombra di un sorriso fare la sua comparsa.
“Grazie, Sakura-chan.” Affermò con tono deciso, voltandosi leggermente verso di lei mentre rallentava l’autovettura. “L’ho mai detto che ti amo?” Chiese dopo una brevissima pausa.
Di fronte a quella domanda e al suo sguardo dolce, la ragazza ebbe la netta sensazione di sprofondare; la felicità per la sua espressione finalmente più rilassata era risucchiata con inclemenza dal senso di colpa per la confusione che l’aveva assalita di nuovo contro la sua volontà, esattamente il giorno prima.
“Sì, ma pensa a guidare.” Lo rimproverò bonariamente, senza permettere che calasse un silenzio inopportuno, mentre cercava di seppellire in fondo al suo cuore quell’attimo di tentennamento, così come quello avuto davanti alla tomba dei suoi genitori; ciò che voleva era lì davanti a lei, racchiuso nel calore e nella speranza che l’uomo seduto al suo fianco le trasmetteva ogni volta, e non avrebbe lasciato che l’intrusione di qualcosa che non c’era mai stato e che non ci sarebbe mai stato glielo lasciasse sfuggire dalle mani.
Lo scrutò per qualche altro istante mentre tornava a concentrarsi sulla guida, poi si immerse totalmente nei propri pensieri, ribadendo a se stessa che quella sarebbe stata davvero l’ultima volta in cui avrebbe ripercorso le stesse identiche riflessioni. Anche Naruto intanto non pensò di continuare la conversazione, dal momento che mancava poca strada da percorrere e si sentiva ormai in parte alleggerito dal peso della preoccupazione, avendo potuto sfogarsi con qualcuno.   
Gli ultimi minuiti che li separarono dalla loro meta trascorsero quindi immersi nel silenzio.   
Quando giunsero all’ospedale, dopo aver chiesto informazioni alla prima infermiera incrociata nel pronto soccorso, i due poliziotti raggiunsero la stanza in cui era ricoverata la ragazza con cui avrebbero dovuto parlare, in seguito ad una denuncia per violenza sessuale ricevuta in mattinata.
Trovarono la giovane sdraiata in un letto, con i lunghi capelli castani sciolti sul cuscino e gli occhi chiusi; l’avrebbero creduta addormentata se non fosse stato per la mano che stringeva quella del ragazzo seduto su una sedia accanto a lei, molto probabilmente la stessa persona che aveva chiamato al commissariato.
“Buongiorno.” Esordì Naruto dopo aver bussato, catturando subito la loro attenzione. “Siamo della polizia.” Spiegò entrando, e provò un attimo di sorpresa quando incrociò lo sguardo candido del ragazzo, che alzatosi si volse verso i nuovi arrivati.
“Buongiorno.” Rispose inespressivo, scrutandoli serio.
“Se è possibile, vorremmo fare qualche domanda.” Continuò il poliziotto, accantonando almeno momentaneamente la curiosità per il colore familiare di quegli occhi.
Il giovane si voltò di nuovo verso la compagna alla ricerca di un consenso.
“Tenten?”
“Per me va bene, Neji.” Disse la ragazza con voce sommessa.
“Ovviamente non sei obbligata a dirci tutto, solo ciò che ti senti di dire.” Intervenne Sakura, ormai al fianco del collega, e ottenne un cenno del capo in segno d’assenso.
“Dove sei andata ieri sera?” Le chiese allora.          
“All’Alba, una discoteca di Konoha.” Rispose l’altra, poi avvertì formarsi un improvviso groppo alla gola al solo pensiero di aggiungere altro.
Strinse tra le dita le lenzuola bianche stropicciandole, un gesto che racchiudeva oltre al dolore anche un pizzico di rabbia; non si era mia sentita così impotente e insignificante, ma per quanto fosse difficile, per quanto avesse solo voglia di sprofondare nel sonno, non voleva che il responsabile rimanesse a piede libero.     
“Per caso è stato qualcuno che lavora al locale?” Domandò ancora l’agente di polizia.
Nonostante si fosse accorta della reazione della sua interlocutrice, era consapevole che prima avrebbero avuto qualcosa di concreto da cui partire e prima avrebbero potuto esserle in qualche modo d’aiuto. 
Incapace di esprimersi a parole, Tenten si limitò ad un nuovo piccolo movimento del capo, socchiudendo leggermente gli occhi nocciola, fornendo così ai due poliziotti una conferma che avrebbe indubbiamente reso molto più semplici le loro indagini.
“Sai il suo nome?" Chiese Naruto, ricevendo come risposta dopo qualche istante un 'no' sommesso. "Capisco. E mica te la sentiresti di fare un identikit? Ci sarebbe certamente d’aiuto.” Proseguì allora.
“Potremmo far venire qualcuno qui, magari oggi pomeriggio, oppure puoi venire più in là in commissariato.” Continuò Sakura per cercare di non metterle fretta.
La ragazza soppesò le due proposte, trovando la forza di prendere una decisione solo quando sentì la mano calda e rassicurante di Neji appoggiarsi di nuovo sulla sua; lo fissò per qualche istante negli occhi, quegli occhi apparentemente inespressivi che tuttavia erano in grado di tranquillizzarla, poi si sforzò di sciogliere il nodo che le impediva di parlare.     
“Oggi pomeriggio va bene.” Affermò con un leggero tremore nella voce, decisa a mettere un punto fermo a quella storia il prima possibile.
“Ok, allora faremo così. Grazie per avere risposto alle nostre domande.” Disse allora il poliziotto.
“Grazie a voi.” Mormorò Tenten.
 
L’ora di spacco era sempre una liberazione, quel giorno poi che non aveva niente su cui indagare avrebbe dovuto esserlo di più, peccato però che le cose stessero diversamente; il fatto che qualcun altro svolgesse quel compito anche per lui e soprattutto il come ciò avvenisse non lo mettevano affatto di buon umore. L’aveva realizzato più o meno da due ore, e conviverci non era ancora tanto semplice. Forse, avrebbe fatto meglio a pensare all’altro aspetto della faccenda, in qualche modo più tranquillizzante. Se si impegnava, gli sembrava di vedere davanti ai suoi occhi il filo del suo rapporto con Ino, non lineare come l’aveva sempre considerato, ma contorto, al punto che la sua estremità gli era sfuggita dalle dita e per fortuna era bastata una piccola spinta per recuperarla. Se così non fosse stato, forse un giorno se ne sarebbe pentito, rimproverandosi per la propria incertezza e indecisione, così come per l’inefficacia che il suo rinomato quoziente intellettivo dimostrava nelle questioni sentimentali. Non aveva mai lontanamente intuito cosa l’amica provasse in realtà per lui; la sua presenza al suo fianco era diventata così preziosa e insostituibile, così naturale e indispensabile, che immaginare che ci fosse dell’altro non alterava il suo posto nella propria vita. Nell’ultima settimana, aveva temuto di perdere quello che avevano e di farla soffrire contro la propria volontà, e ciò l’aveva paralizzato, portandolo a creare una distanza assurda tra di loro. Non vedeva l’ora di azzerarla di nuovo quella distanza, anche se, riflettendoci, non sapeva da che parte cominciare, quali parole usare, come comportarsi, o forse lo sapeva, ma la sola idea lo faceva sentire già in quell’istante terribilmente impacciato.   
Stravaccato su una sedia nella sala professori, era totalmente perso in quei pensieri che si accorse dell’arrivo della collega di francese solo quando questa appoggiò la borsa sul tavolo a cui era seduto, gettandogli uno sguardo stanco e inespressivo, per poi avvicinarsi al proprio cassetto in cerca probabilmente di materiale inerente alle lezione successiva. Quella situazione gli trasmise  una sensazione di dejà vu e impiegò qualche secondo a trovare ciò a cui ricollegarla, ovvero un ricordo che risaliva ad una settimana prima, quando attendeva qualcuno da sfruttare per ricavare informazioni utili alle indagini. Come allora, era chiaro che qualcosa non andava, altrimenti l’avrebbe ripreso per il suo atteggiamento da scansafatiche o per qualunque altra cosa lei ritenesse fuori luogo, come capitava la maggior parte delle volte in cui si incrociavano.
Rimase per qualche istante incerto su cosa fare, se chiederle quale fosse il problema, oppure non interferire rimanendo in disparte; la seconda opzione era indubbiamente la più comoda, quella che gli evitava di invischiarsi in una situazione che con alte probabilità non avrebbe saputo gestire - sembrava quasi che quel giorno situazioni simili lo avessero preso di mira – ma si era talmente abituato in quel mese ad essere infastidito dai suoi rimproveri che vederla apatica e silenziosa gli dispiaceva. Non appena quel pensiero prese forma nella sua mente, non poté fare a meno di considerarlo l’ennesimo segnale che gli indicava che negli ultimi tempi stava ammattendo.
“Qualcosa non va?” Domandò serio, troncando ogni altra riflessione su quel punto, mentre si ricomponeva per dare meno l’impressione di disinteressamento totale del mondo, come avrebbe detto lei.
Recuperate alcune fotocopie e richiuso il cassetto, Temari si voltò verso di lui con cipiglio interrogativo, spiazzata dal suo intervento.
“Da quando ti interessa qualcosa, Nara?” Replicò secca, con la voglia di parlare ai minimi storici, tanto più su questioni personali. “E comunque è tutto a posto, e pure se non fosse così non sono certo affari tuoi.” Continuò, avvicinandosi al tavolo.
“Mah, non sembrava.” Biascicò Shikamaru, distogliendo lo sguardo dalla donna, già pentito di non essersene rimasto in silenzio. “Scusa se sono stato invadente.” Disse scrollando le spalle, e la professoressa si sentì fuori luogo e un po’ in colpa.
Non credeva che il collega potesse essersela presa per davvero, ma quella era un’altra prova della sua incapacità di comportarsi nel modo giusto, come gli aveva dimostrato la sera prima anche lo scatto d’ira di Gaara, chiuso nel suo impenetrabile mutismo.
Si morse il labbro inferiore, nervosa, mentre infilava i fogli che aveva in mano nella borsa e la richiudeva con un pizzico di rabbia.  
“Scusa tu, invece.” Sussurrò dopo un breve sospiro. “In realtà non è giornata, ma non ho alcuna voglia di parlarne.” Confessò, gli occhi acqua marina fissi sul tessuto in pelle.
Notando il tono grave, Shikamaru la guardò di sottecchi, in parte curioso, in parte con sua sorpresa lievemente preoccupato; Temari gli era sempre sembrata una donna sicura di sé, con la situazione sempre sotto controllo e le idee ben chiare, ma a quanto pareva aveva anche lei le sue debolezze, una considerazione ovvia che però non l’aveva mai sfiorato e che in quegli istanti giungeva con le sue dirette conseguenze. Per la seconda volta perplesso di fronte ad un interessamento che non credeva di provare, si massaggiò la nuca con una mano.
“Non importa.” Disse per liquidare la questione, poi si alzò tornando a rivolgerle direttamente la sua attenzione. “In ogni caso, a volte è meglio non tenersele dentro le cose.” Consigliò, mentre i ricordi andavano alla chiacchierata avuta tempo addietro con Asuma.
“Eh, certo, magari una confidenza davanti ad un caffè.” Commentò pessimista Temari, incapace di credere che parlare avrebbe potuto alleviare la sensazione di claustrofobia che avvertiva al solo pensiero del fiasco in cui si era risolta la cena della sera prima.
“E’ un’idea.” Replicò l’altro, sorvolando sul tono scettico della collega, persistendo nel suggerire qualcosa che a lui in fondo era risultato utile.   
Quell’ultimo scambio di battute giunse intanto alle orecchie di Ino, da pochi istanti ferma sulla soglia della sala professori, e privo di contestualizzazione, la ragazza l’interpretò come l’inequivocabile invito per un caffè, un invito che il poliziotto non aveva affatto tardato ad accettare. D’istinto strinse un pugno e assottigliò lo sguardo, lottando contro il bruciore della delusione e della gelosia; più tentava di fare un passo avanti e più aveva l’impressione di rimanere indietro. Ingoiò un grumo di tensione, ricordando a se stessa che era lì per lavoro, poi bussò. 
“Scusate il disturbo… io volevo parlare con il professore.” Esordì col tono più calmo e naturale che le riuscì, spingendo i due professori a voltarsi verso la porta.
Vedendola, Shikamaru si sentì sollevato, perché la sua presenza in quella stanza implicava la sua lontananza da Sai, nello stesso tempo però si rese conto che l’argomento della prossima conversazione non poteva che essere lo stesso spacciatore e forse anche la reazione che aveva avuto in classe, e se la prima opzione lo seccava, la seconda lo metteva a disagio.
“Ma certo, non credo proprio abbia qualcosa da fare adesso.” Rispose Temari prima che il collega potesse aprire bocca, con una frase che inconsapevolmente contribuì ad alimentare l’errata supposizione della poliziotta, sebbene fosse stata pronunciata senza nessuna particolare intonazione.
Mentre la professoressa li lasciava soli, Ino tentò di reprimere l’amarezza; per quanto fosse difficile, se non avesse ricevuto un segnale diverso da parte di Shikamaru, avrebbe dovuto accettare definitivamente l’idea che l’ispettore potesse frequentare una donna che non fosse lei.
Prima di iniziare a parlare, provvide a socchiudere la porta, sia per tutelare la loro conversazione da occhi e orecchie indiscrete, come faceva sempre, sia per sfruttare quegli attimi di silenzio per stabilizzare il suo stato d’animo.
“Scusa se ho interrotto la vostra conversazione.” Si giustificò con tono inespressivo, mentre si voltava lentamente verso di lui, così da evitare almeno per quei primi istanti di guardarlo dritto negli occhi.
Nell’ascoltare la premessa dell’amica Shikamaru inarcò le sopracciglia interrogativo, dal momento che le indagini venivano prima di tutto, cosa che Ino sapeva bene, e quindi le scuse oltre che inutili erano insolite.             
“Comunque credo di essere riuscita ad agganciare il ragazzo senza insospettirlo,” continuò l’altra, passando subito alle questioni di lavoro “anzi ho anche recuperato un invito a casa sua per domani.”
“A casa sua?” Le domandò in modo un po’ brusco l’ispettore, perplesso e in parte allarmato, ricevendo uno sguardo confuso da parte della collega. “Non è proprio il massimo, lo sai, vero?” proseguì dopo una breve pausa “Se ti sbagliassi e sospettasse qualcosa, o comunque cominciasse a insospettirsi mentre sei lì?”  
“Eh, stai dicendo che non sono in grado di valutare le situazioni?” Replicò Ino pacata, benché provasse una certa irritazione.
“Non ho detto questo.” Disse Shikamaru con tono fermo ma tranquillo, cercando di non portare quella discussione sopra le righe; erano a scuola e non potevano assolutamente permettersi di attirare l’attenzione. “Sto solo ipotizzando che potresti trovarti in difficoltà, dal momento che…”
“E quale sarebbe l’immensa differenza di grazia?” Sbottò l’altra, accigliandosi, senza concedergli il tempo di concludere.
“A volte può anche mancarci qualche elemento, Ino, quindi in ogni valutazione un margine di dubbio dobbiamo sempre metterlo in conto.” Spiegò l’ispettore, poi si affrettò a mettere un freno alla situazione, consapevole che il suo tentativo di non farla degenerare era fallito.
“Comunque, forse è meglio se ne continuiamo a parlare altrove.”
“Eh certo, le reazioni a cavolo te le puoi concedere solo tu!” Commentò con tono asciutto la poliziotta, ormai nervosa, seccata dall’aria saccente dell’amico.
“E tra l’altro senza un motivo, dato che hai altri interessi.” Continuò dopo un po’, con il capo leggermente reclinato di lato per non incrociare il suo sguardo, mentre tutti i sentimenti che l’avevano assalita da quando era giunta davanti a quella stanza le chiudevano lo stomaco.
Nella mente di Shikamaru, intanto, i vari tasselli si ricomponevano in un unico pezzo: l’espressione strana che era apparsa sul viso della collega mentre la professoressa di francese se ne andava, le scuse fuori luogo e la voce insolitamente atona con cui erano state pronunciate, quell’ultima frase; si trattava di elementi che gli facevano pensare che Ino avesse tratto delle conclusioni affrettate, partendo tra l’altro da una situazione dai contorni vaghi.
“Comunque, sì, è meglio se me ne torno in classe, è passato già troppo tempo.” Annunciò la poliziotta, poi fece per andarsene, ma l’uomo la trattene per un polso.
“Aspetta un attimo. Noi… ” Incominciò quello, prima di venire interrotto per la seconda volta.
“Qualcuno potrebbe vederci, professore.” Disse concisa Ino, continuando a non guardarlo.
Per quanto non si aspettasse il suo gesto, per lei non c’era lo stesso più niente da aggiungere, né sul piano lavorativo, né soprattutto su quello privato, se mai Shikamaru avesse voluto affrontare davvero quel punto; se il solo pensiero di ascoltare un’altra pillola di saggezza dal suo intelligente superiore la faceva arrabbiare, quello di sorbirsi qualche scontata frase da amico le procurava un dolore sordo. Si sentì quindi molto sollevata, quando l’uomo la liberò dalla sua stretta permettendole di lasciare la sala professori. 



Note dell'autrice

Non sono passati nemmeno due mesi dall'ultimo aggiornamento, posso avere un biscotto come premio? Magari due? Ok, no, scherzi a parte, sono contenta di non aver fatto passare altri sei mesi e spero che possa andare avanti così, anche se sta per iniziare un periodo super incasinato a causa dell'uni e quindi non so, farò quel che posso^^ Per ora, mi auguro che questo capitolo sia piaciuto, come credo si noti contiene alcuni punti di svolta: Kakashi ha più o meno smesso di tormentarsi, Shizune ha cominciato a farlo, Ino e Shikamaru  non chiedete a  me  perchè  fanno tutto da soli, Sakura mi fa pensieri threesome (come già da qualche capitolo, ma non so perchè mentre scrivevo mi è sembrata una scoperta preoccupante u_u) e gli ultimi due casi sono all'orizzonte, di cui uno ha fatto sbucare Tenzo in carne e in ossa con connesso accenno AnkoTenzo, per la gioia di qualcuno, spero. Insomma, la cosa più importante di queste righe inutili è che stiamo per entrare nella parte più rilevante di questa storia, d'ora in avanti ci sarà sempre qualche 'punto', diciamo così^^
Smetto di tediare,  e ringrazio chi ha recensito e chi ha messo la fic nei preferiti o seguitiXD

  
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