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Autore: Eralery    15/03/2012    1 recensioni
L’ultimo anno è sempre quello più intenso, perché sai di non avere altre possibilità.
Se vuoi una cosa, è la tua ultima occasione per prendertela. Il massimo dei voti, la ragazza che ti piace ormai da una vita, la coppa del Quidditch. Se vuoi una cosa, prendila e basta, non pensarci troppo su, fallo e basta, perché là fuori non la potrai più trovare.
Là fuori c’è solo caos, desolazione, guerra e morte.
Capitolo 5:
«Tutto questo qui» le spiegò, indicando il campo con un movimento del polso e della mano. «per me è importante. E stare qui, sulle tribune, non può farmi stare bene».
«Ma… è solo un gioco, Potter. Solo un gioco» farfugliò, perplessa, e poi lui scosse la testa.
«No, Evans, per me non è solo un gioco» sorrise laconicamente, e mentre la ragazza faceva per ribattere, riprese: «Per me è un ricordo».
«Diventerai il Cercatore migliore di tutti, figlio mio»
Capitolo 7:
« Ma quelli non sono i miei calzini? » s’informò, allibita.
« Sì » rispose tranquillamente Sirius, come se avere un paio dei suoi calzini fosse la cosa più naturale del mondo.
« E perché tu hai i miei calzini? »
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Mary MacDonald, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: James/Lily
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Capitolo 5

Capitolo 5: Snitch and Touch

«C’è sempre qualcosa di più, un po’ più in là…
Non finisce mai».
(Sulla Strada – Jack Kerouac)

La settimana dopo il ritorno di Sirius e James era iniziata normalmente, quasi come tutte le altre: James sembrava aver riacquistato un po’ del suo solito buon carattere, mentre Sirius, be’, era rimasto Sirius, solo che più allegro ché qualche giorno prima. Tuttavia, se si passava molto tempo con loro, ci si poteva rendere facilmente conto che spesso si perdevano – un po’ tutti, anche Peter e Remus – nei propri pensieri, mentre un velo di malinconia prendeva ad aleggiar loro negli occhi.
Il lunedì era passato lentamente, tra lezioni di Erbologia, Aritmanzia e Storia della Magia, mentre quel martedì l’aspettavano, crudeli come solo loro potevano essere assieme, doppie Pozioni e Trasfigurazione. Ultimamente, poi, la professoressa McGranitt era più strana del solito con gli studenti che frequentavano il settimo anno, anche se nessuno sembrava aver capito il perché, ma dopotutto dei ragazzi non dovevano poi preoccuparsene più di tanto.
Nell’aula di Pozioni faceva caldo, nonostante fosse nei sotterranei del castello. I fumi che si alzavano dai calderoni di peltro degli alunni appesantivano l’aria, facendo tossire alcune persone; altri, invece, sembrano più che a loro agio, tra liquidi e schifezze come gli occhi delle Salamandre.
Lily mescolava con perizia la propria pozione da quasi un quarto d’ora, aspettando pazientemente che essa assumesse la consona tonalità azzurro pallido di una buona e corretta Pozione del Ghiaccio; fortunatamente si stava avvicinando a tale colore, poiché se prima era di un blu acceso e quasi elettrico, adesso stava diventando sempre più chiaro.
Accanto a lei, Mary era in crisi: le punte dei capelli le si stavano arricciando a causa dei vapori a sua detta ‘tossici’, la divisa era sporca di pozione un po’ dovunque e le labbra erano contratte in una smorfia rassegnata ed arrabbiata. E in più, la sua pozione era gialla e non vi era nemmeno la traccia di una minuscola, insignificante sfumatura azzurrina; Lumacorno le girava intorno da un po’, guardando accigliato il suo lavoro, con la paura che il contenuto del calderone potesse esplodere all’improvviso ed ucciderli tutti in un solo colpo.
Mary sbuffò e si passò una mano tra i capelli, cercando di sistemarli alla bell’e meglio; con la bacchetta fece scomparire le macchie che le sporcavano la divisa, ma per i capelli non c’era verso: aveva bisogno di uno specchio, anche se non adorava tali oggetti, e in quel dannato sotterraneo non ce n’era uno nemmeno per scherzo.
«Mary, sicura che quella roba non sia pericolosa?» chiese Lily, preoccupata, guardando con occhio critico la pozione dell’amica. «Forse dovresti provare a sistemarla, anziché aggiustarti la divisa, no?».
«Come se fossi capace! Sono negata, lo sai» si lamentò l’altra, sconsolata.
«Hai una O in Pozioni, non fai schifo!» la spronò la rossa, non molto convinta.
«Solo perché prendo quel voto alle interrogazioni orali e ai compiti scritti. Quando si tratta di pratica a malapena prendo una A, e lo sai che Lumacorno mi mette la O solo per mia madre» disse Mary, stringendosi nelle spalle: Pozioni era una delle poche materie in cui non andava bene, insieme ad Aritmanzia, che aveva mollato subito dopo i G.U.F.O..
«Questi sono dettagli» borbottò Lily, con l’intenzione di risollevare il morale della migliore amica. «Comunque dai, ora proviamo a rimediare» aggiunse, prendendo a trafficare con gli ingredienti sul tavolo e la pozione. Alla fine, dopo qualche minuto, il liquido divenne blu scuro.
Mary sorrise raggiante e la ringraziò con un abbraccio frettoloso, mentre l’altra si raccomandava: «Figurati. Ora devi solo girare in senso orario finché non diventa azzurro pallido» e le metteva un mestolo di legno in mano.

*

La partita tra Grifondoro e Corvonero era alla porte: la stagione del Quidditch stava finalmente per iniziare e James non vedeva l’ora che ricominciasse – aveva bisogno di sfogarsi, e una partita a cavallo della sua amata scopa era l’ideale. Moriva dalla voglia di rimontare sul proprio manico di scopa e sorvolare il campo, il vento tra i capelli, la voce squillante dello speaker e le urla dei tifosi. La sensazione che il volo provocava in lui, poi, era straordinaria, riusciva a risollevare il suo umore anche nei momenti più difficili.
E davvero, lui sperava che funzionasse anche quella volta.
Intanto, la tensione era alle stelle: Brickend metteva sotto torchio tutta la squadra, ricevendo in risposta svariate imprecazione più insulti, borbottati o urlati, dai giocatori. Erano tutti ansiosi, sì, ma se Jack continuava a comportarsi in quel modo forse nemmeno ci sarebbero arrivati alla partita.
«Non starai esagerando, Jack?» domandò James al compagno di camera, un giorno in cui aveva indetto un allenamento extra senza preavviso e al quale nessuno si era presentato.
«No che non esagero: sto solo cercando di far vincere la Coppa del Quidditch al Grifondoro, quest’anno, così come hanno fatto anche i miei predecessori» ribatté quello, compito e con un tono a dir poco pomposo.
«Ma se abbiamo vinto anche l’anno scorso!» esclamò Sirius, interdetto, grattandosi la nuca con fare perplesso.
«E allora? Questo non vuol mica dire che devo essere io a farlo perdere quest’anno, no? Ah, e domani ci sarà l’ultimo allenamento pre-partita, James. Vedi di esserci, mi raccomando» si raccomandò, prima di uscire e andare in Sala Comune.
James fece una sorta di giravolta, le mani tra i capelli ed un’espressione scocciata. «Un altro! Come se non ne avessimo avuti altri tre questa settimana, no!».
«Jack ha sempre avuto qualche rotella fuori posto, comunque» commentò Peter, mentre muoveva un cavallo sulla scacchiera, mangiando uno dei pedoni di Remus. «Non è una novità, questo suo comportamento».
Remus corrugò la fronte, apparentemente impegnato ad ideare una mossa, e sorrise appena. «Scoperto adesso?» chiese, muovendo l’alfiere.
Sirius scoppiò a ridere sonoramente, mentre James sorrise e basta: il Quidditch lo aveva sempre reso allegro, ma in quei giorni portava alla mente troppi ricordi di suo padre – la prima volta sulla scopa, a tre anni; quel giorno in cui era caduto da un metro e mezzo ed era scoppiato a piangere correndo dal padre, a quattro anni…
«Prongs, va tutto bene?» chiese Peter, guardandolo con quel suo tipico sguardo un po’ da chioccia.
«No, Pet. Stavo solo pensando alla partita di domenica» disse, vago, scuotendo la testa.
«D’accordo…».
«Ehi! Voi avete fatto il tema per Lumacorno?» domandò Sirius, cambiando discorso e allungandosi sul pavimento.
«Quello sulla Pietra Lunare? Sì» rispose Remus, picchiettando con un dito sul bordo della scacchiera, meditabondo.
Peter mosse un ultimo pezzo e, sorridendo, disse: «Scacco matto».
James applaudì all’amico, come sempre: battere Peter a scacchi era alquanto difficile, praticamente impossibile, poiché era dannatamente bravo in quel giorno. Non conosceva nessuno bravo come lui.
«Cavolo, mi ero distratto, non mi ero accorto della regina…» sorrise Remus, divertito, guardando la regina bianca che fino a poco prima stava difendendo il suo re. «Sei stato bravo. Per l’ennesima volta, a dire il vero».
«Vuoi la rivincita?» chiese Peter, bloccandosi nel rimettere a posto i pezzi.
«No, magari domani, ora è meglio che ripassi Trasfigurazione per domani» disse, alzandosi dal pavimento e prendendo il libro che aveva preso in biblioteca dopo pranzo. Si sedette sul letto, la schiena poggiata alla tastiera e le gambe piegate, con il libro aperto a pagina centodue.
«Sempre a studiare stai» scherzò Sirius, guardandolo con un sorrisetto sghembo.
«Quest’anno abbiamo i M.A.G.O.…» borbottò il licantropo in propria difesa, senza staccare gli occhi dalle pagine un po’ ingiallite dal tempo.
«Cambia scusa, lupastro dei miei stivali, questa è vecchia» rise Padfoot, appoggiato da James, che nel frattempo aveva preso la sua scopa per lucidarla con cura.
«E’ già novembre» se ne uscì ad un certo punto Peter, guardando il buio che avvolgeva silenziosamente il castello – il loro luogo sicuro, dove nessuno poteva anche solo tentare di sfiorarli, dove sarebbero rimasti ancora per troppo poco tempo. 
«Già» sospirò Remus, dopo un attimo di stordimento. «Tra qualche mese sarà tutto finito. Addio Hogwarts, addio scuola, addio sicurezza. Di tutto rimarrà solo un ricordo – uno dei più importanti. Almeno per me».
«A me sembra ieri, il giorno in cui son stato smistato a Grifondoro. O il giorno in cui vi ho incontrati» disse Sirius, ricordandosi del suo primo giorno di scuola, della prima notte, delle paure sull’essere come la sua famiglia, del terrore del poter finire a Serpeverde e non rivedere quel ragazzino del treno che l’aveva fatto sentire finalmente accettato.
«Faccio ancora a crederci, in effetti».
Chiacchierando – o meglio, mormorando, perché il farsi sentire equivaleva al rendere la cosa troppo vera – di ciò, non si accorsero della figura magra e avvolta nel mantello nero dagli alamari chiari a contrastare con quel colore cupo che si avvicinava loro.
«Remus, scusa, potresti venire un attimo?» sorrise Lily, fermandosi dietro al loro divano. Aveva raccolto i capelli sopra la nuca, e per James il suo viso era bello pure così, anche se lei non lo stava degnando di uno sguardo.
«Be’, certo. Un momento». Il ragazzo si alzò e si tolse un po’ di polvere dai pantaloni con un rapido gesto della mano, per poi salutare gli amici e seguire l’altra fuori dalla Sala Comune.

*

Lily uscì dal bagno con indosso l’accappatoio ed i capelli lavati e già asciugati con un incantesimo. Si vestì rapidamente, mentre Miriam, Alice, Claire e la poco partecipe Mary chiacchieravano di matrimoni e cose del genere.
«A marzo si sposa mia sorella» disse senza nemmeno pensarci, con tono pensieroso ed una camicetta bianca in mano. Quattro paia d’occhi si posarono rapidamente su di lei, perplessi e stupefatti.
«Ti ha invitata, no?» balbettò appena Claire, non trovando nulla di più intelligente da dire.
«No» rispose con una scrollata del capo e sentendosi gli occhi pericolosamente lucidi. «L’ho saputo da mamma. Tunia non voleva nemmeno che lo venissi a sapere. Non mi vuole più come sorella, perché negarlo, ormai?».
Mary scosse la testa, decisa: «Senti, è tua sorella. Non può odiarti. O se ti odiasse davvero, non può comunque impedirti di volerle bene ed andare al suo matrimonio».
Lily si sedette sul letto della migliore amica e scrollò ancora le spalle: «E perché dovrei andarci? Per sentirmi dire “non ti voglio qui”? Grazie, passo» sussurrò, triste, chinando il capo in avanti.
«Be’, ma non è detto che faccia così!» si intromise Alice, annuendo pensierosa.
«Non penso stapperà le bottiglie di champagne quando mi vedrà Anzi, sono sicura che non lo farà» continuò Lily, abbozzando un sorrisino laconico. «E poi non voglio rovinarle il matrimonio…».
«Rovinarle il matrimonio? Lily, ma ti senti?» sbottò con malagrazia Mary, furiosa. «Dimmi che stai scherzando! Petunia sarà pure odiosa – e non guardarmi così, almeno con me non lo è mai stata, e a quanto ho visto nemmeno con te, e solo perché sei una strega! –, ma non può davvero non volerti al suo matrimonio».
«Mary…» tentennò la rossa, ma l’altra la interruppe posandole una mano sul braccio e obbligandola ad alzare il viso.
«Sei una Grifondoro, no? Provaci».
«N-non ha senso provarci».
«E allora? Non dicono sempre che noi Grifondoro siamo degli idioti impulsivi? Per una volta dagli ragione» sorrise Miriam, gentile, sdraiata a pancia in su sul suo letto e con la testa che ciondolava fuori il bordo del letto.
«Lei mi odia! Tunia mi odia!».
«Petunia non odia te, odia la magia» le ricordò Mary, cercando di calmarsi. «Solo che tu te lo scordi troppo spesso. Che poi, secondo me, certe cose bisognerebbe ricordale sempre, e non solo qualche giorno».
Alice annuì, mentre Miriam trillava un «Sì» convinto; Claire intanto si chiedeva come facesse Miriam a trillare sempre, anche in momenti come quello – ma Miriam lo faceva per provare a risollevare il morale delle amiche, lo faceva per provare a farle sorridere.
«Io sono d’accordo con Mary. E poi facendo così stai solo peggio» disse Miriam, regalandole un sorriso raggiante e malizioso prima di aggiungere: «Potrei andare a chiamare Potter, comunque. Scommetto che ti distrarrebbe».
«Certo» sbuffò lei, di risposta, «Così passo da depressione a incazzatura. Che bello» aggiunse, ironica.
Miriam si picchiettò un dito sul mento e disse: «Io in realtà pensavo più a qualcosa del tipo: lui ti vede triste, ti consola, tu lo rivaluti definitivamente, e infine vi saltate addosso e fate quattro figli, così da far essere tutte noi la madrina di uno di loro».
Mary, Alice e Claire scoppiarono a ridere forte, tenendosi la pancia dalle risate, mente Lily sbiancava prima di diventare tutta rossa. «Miriam! Ho diciassette anni! Non ci penso nemmeno a fare quattro figli ora!».
Mary smise di ridere subito, e spalancò gli occhi azzurri: «Aspetta… tu hai appena detto di non voler fare quattro figli ma non hai negato di voler saltare addosso a James Potter? Oh, Merlino» e si portò una mano al petto.
«Ma quello era sottinteso!» si lamentò Lily, sconfortata e imbarazzata.
«Sì, sì, ovvio».

*

Fischiettando per il corridoio del quarto piano, Sirius osservava i cartigli che si muovevano piano sulla Mappa del Malandrino. Sollevava appena i vari fogli per vedere chi era dove, ma perlopiù si concentrava a far vagare semplicemente lo sguardo sui nomi, pensando un ai fatti suoi.
James era in camera assieme a Peter – Probabilmente stanno finendo i compiti di Pozioni, pensò – e Remus in cucina – Sono sicuro che si sta abbuffando di cioccolata. La Evans era in Sala Comune, le amiche in camera, Mary in Biblioteca. Il nome di Jack si trovava praticamente sopra quello di Ally Brown, la sua ragazza, in una delle aule in disuso del sesto piano. Sirius ghignò appena.
Camminò fino alle scale, continuando a fischiare sommessamente, e si fermò lì vicino, non sapendo cosa fare. Non gli andava di studiare, lui il Tema l’aveva finito il giorno prima, evitando di doversi ridurre all’ultimo momento, e – strano ma vero – non gli andava nemmeno di andare a mangiare qualcosa. Lanciò l’ennesimo sguardo alla Mappa, poi scrollò le spalle con un ghigno appena accennato e mormorò: «Fatto il misfatto» premendo la punta della propria bacchetta sul foglio di pergamena.
Sempre ghignando, si avviò verso il terzo piano e l’adorata signora Pince.

Entrò allegramente, finendo di fischiare solo ad un’occhiata ammonitrice della bibliotecaria e prese a girare tra gli scaffali, lanciando occhiate stralunate a tutti i libri enormi e dai nomi assurdi che incontrava. Finalmente, vide Mary seduta ad uno degli ultimi tavoli: il viso chino sul foglio su cui stava pasticciando nervosamente con la piuma; aveva i capelli raccolti sulla nuca e la lingua tra i denti, notò Sirius sorridente.
«Mary!» esclamò raggiante, mentre la ragazza sollevava la testa di scatto e portandosi perciò la mano al collo. Alzò le mani dal tavolo e gli fece segno di non far rumore, indicando poi il tavolo della Pince. Poi, sempre con i gesti, gli intimò di avvicinarsi.
«Ma sei cretino?» gli domandò, sussurrando. «Se ti sentiva, ero rovinata!».
«Secondo me è troppo sorpresa dal vederti qua per accorgersi di me che parlo normalmente» le fece notare Sirius, senza smettere di sorridere. «A proposito. Come mai qui? Cosa ti porta nell’antro della strega cattiva?» aggiunse, sedendosi sulla sedia davanti a lei.
«Il dover finire il tema di Pozioni» sbuffò desolata. «Lily il suo l’ha già finito e Miriam lo sta ricopiando».
«Non potevi fare lo stesso?».
«Magari, ma se voglio entrare nel corso di giornalismo devo impegnarmi» spiegò, stringendosi nelle spalle.
«Però posso darti una mano, mmh? Io il mio l’ho già finito, e comunque non sarebbe copiare, ma solo fare più in fretta» propose Sirius, prendendo il lavoro di Mary per un bordo e ponendoselo di fronte per leggerlo con attenzione.
Lei aggrottò la fronte ed inclinò la testa di lato: «Perché dovresti farlo?» domandò con sospetto ed interesse. «Cosa ci guadagneresti?».
«Mmh» finse di pensarci su lui, alzando gli occhi sulla ragazza e piegando le labbra in un pigro sorriso. «Una Burrobirra?».
Lei sogghignò e scosse la testa: «Nah. Ma dammi una mano lo stesso, la Burrobirra la puoi sognare comunque».
Sirius rise, divertito, beccandosi un’altra occhiata truce da parte della Pince, mentre Mary avvicinava la propria sedia alla sua ed ascoltare le annotazioni di Sirius.

*

«Jones, passa quella Pluffa!» sbuffò ancora una volta Brickend, sorvolando il campo con aria vigile. Tutto si poteva dire di lui, ad onor del vero, ma non che non tenesse alla sua carica di Capitano o che non la prendesse sul serio – a James, a parte quando gli urlava contro, stava quasi simpatico, sul campo.
L’erba del campo era ancora bagnata della pioggia smessa da giusto qualche ora, ma che loro si erano dovuti sorbire per una mezz’oretta almeno. Nessuno aveva detto niente, perché se si vuole vincere si deve per forza arrivare a dei compromessi.
James, a cavallo della propria scopa, zigzagava in aria, fingendo di vedere davvero il campo, e non quello che sembrava essersi impressa davanti ai suoi occhi. Come una fotografia proprio davanti al viso, l’immagine di suo padre che sorrideva gli faceva perdere la cognizione di ciò che accadeva in campo.
«James! Il Boccino è dall’altra parte, non lo vedi?» sbottò Amanda Prynn, mentre gli sfrecciava accanto con la mazza da Battitore stretta nel pugno. Quella ragazza faceva paura, e James era rincuorato dal fatto che si sfogasse più che altro con i Bolidi e non con le persone.
Il ragazzo annuì un po’ distrattamente, e lei lo guardò ancora in cagnesco prima di filare via velocemente, lasciandolo lì, di nuovo da solo. Cercò con tutto se stesso – ci provò davvero – di non pensare più a suo padre, ai suoi consigli sul come correre il più possibile sulla scopa, alla sciarpa legata alla testata del letto in dormitorio che gli aveva regalato lui quando aveva compiuto otto anni ed erano andati assieme alla partita di Quidditch.
Sentì un ronzio vicinissimo all’orecchio e si girò, beccandosi quasi in faccia un Bolide che stava per arrivare. Si piegò per andare in picchiata, salvandosi all’ultimo, e si lasciò sfuggire un sospiro mentre il Bolide incriminato lo sorpassava.
Jack fischiò e gli urlò qualcosa. Lui fece finta di aver capito tutto ed annuì, riprendendo a setacciare il campo. C’era tutto il tempo del mondo per sorbirsi delle ramanzine, mentre James voleva solo poter volare e liberare la mente. E quando, infine, vide un bagliore dorato vicino agli anelli dove stava il loro Portieri, anziché correre al suo inseguimento, si bloccò all’improvviso.
«Il Boccino è lì, peste!».
Ma non era stato l’unico a scorgere il Boccino che volteggiava e poi scappava via, perché Jack, esasperato, gli volò incontro, il viso contratto come a cercare di reprimere la rabbia, che però era palese ugualmente.
«Che ti è preso? Era lì il Boccino, l’abbiamo visto tutti. Perché ti sei fermato?» lo interrogò, con voce forzatamente calma.
«N-non lo so. Io volevo andare a prenderlo… Non so perché non l’ho fatto».
«Non sei in forma, James» sospirò infine Jack, con enorme sforzo, passandosi entrambe le mani tra i capelli castani. James lo guardò martoriarsi le labbra, e capì. No, il Quidditch no. «Non sei in forma, non… non puoi giocare questa partita, James».

*

Al tavolo dei Grifondoro, Brickend stava rintontendo la squadra con un veloce ripasso pre-partita sulla loro affinata tattica di gioco, anche se il tempo aveva già mandato a monte buona parte del piano: grossi nuvoloni grigi si estendevano sopra Hogwarts, il cielo prometteva pioggia e sicuramente quella non sarebbe stata una delle loro partite migliori. E questo senza contare il fatto che James, quella partita, non l’avrebbe giocata.
Il suddetto, infatti, era seduto in mezzo a Sirius e Frank, con davanti Remus e Peter, mentre del suo sorriso non si vedeva niente. Gli avevano tolto il padre, e ora anche il Quidditch; tutto quel che adorava fare gli era stato sottratto, e in quel momento nemmeno organizzare scherzi con l’amico lo faceva sentire meglio. «Avete visto che bella giornata, mmh?» provò Sirius, ostentando un’allegria che non provava: vedere il suo migliore amico in quello stato era quanto di più doloroso potesse vedere.
«Sta per mettersi a piovere» fu l’acuta risposta di Frank, che con il suo cipiglio scettico sembrava davvero pensare di star parlando con un idiota – e non sarebbe stata la prima volta. 
«Mi passi i pancake, Moony?» domandò appena Peter, come per non disturbare l’amico, che probabilmente si era di nuovo ‘addentrato’ nella selva oscura dei ricordi. Dispiace anche a lui, vederlo in quello stato così laconico: James era l’amico ideale, pronto a dispensare sorrisi a chiunque ne avesse avuto bisogno, con una parola buona praticamente per tutti. E in quel momento era così anti-James il dover sorridere per lui, per cercare di fargli increspare appena le labbra.
Afferrò il piatto che Remus gli stava porgendo, e in quel momento Lily Evans si sedette accanto a Lupin, accompagnata dall’amica Mary. Pensò sorriso mesto che le aveva illuminato il viso di dispiacere fosse rivolto a James, e fece per girarsi verso quest’ultimo, va vedendo che non si era nemmeno accorto dell’arrivo della ragazza, si strinse nelle spalle e affogò la tristezza nei pancake.

Era una domenica fredda e dall’aria novembrina e pungente. Gli studenti erano avvolti nei cappotti pesanti e caldi, molti avevano parte del viso nascosta da una sciarpa con i colori di una delle due Squadre in disputa.
Un ragazzino smilzo e dall’aria allegra con la divisa di Tassorosso era seduto alla postazione del commentatore; il microfono era ancora spento, mentre gli altri studenti iniziavano a prendere posto sulle tribune della propria Casa, ridendo e facendo confusione.
Lily e Mary si fecero spazio nella calca di una delle tribune di Grifondoro, spintonando per sbaglio qualche altra persona. La prima non aveva niente della propria squadra, solo un nastro a legare i capelli che l’amica le aveva obbligato di mettere, mentre la seconda aveva il collo avvolto in una sciarpa rosso-oro e un cappello di lana del medesimo colore.
Quando trovarono finalmente dei posti liberi, ci si sederono rapidamente, senza farseli scappare. Mary assestò una gomitata a Lily, che la guardò con aria interrogativa; in tutta risposta, Mary le indicò un punto accanto a lei. La rossa si girò: e poi. E poi si ritrovò James Potter, seduto accanto a lei, con gli angoli delle labbra che sembravano puntare irrimediabilmente verso il basso e l’aria abbattuta e malinconica; per un momento, si chiese come potesse essere possibile.
«Ciao!» disse Peter Minus, sorridendo loro, mentre Remus e Sirius si sbrigavano a fare lo stesso. James si girò verso di loro e si limitò ad un cenno del capo. Lily pensò che era mille volte meglio quando faceva chiasso. Poi si rimangiò tutto.
«Ed ora, ecco che i Grifondoro fanno la loro entrata in campo!» gridò il Tassorosso, esagitato. «A capo di tutti, c’è il nuovo Capitano: Jack Brickend! Seguono Amanda Prynn, Cindy Poltrer, Jason Linch, Katherine Jones e… Michael Davies?». La voce dello speaker risuonò per tutto il campo, che prese a mormorare a più non posso – probabilmente chiedendosi perché James Potter non fosse in campo. «Oh, be’, fidiamoci del nostro Capitano…» continuò, perplesso e non troppo convinto.
La squadra di Grifondoro sorvolò il campo, volando fino alle postazioni assegnate loro, accolti dalle incitazioni dei tifosi rosso ed oro, questa volta meno ruggenti e fragorose del solito. Senza James Potter, la vittoria si preannuncia difficile.
«Dove stanno le vostre altre amiche?» chiese Sirius, seduto dietro James, sporgendosi verso di loro e facendo riscuotere l’amico, che prima corrugò le sopracciglia, poi si girò verso di loro e spalancò appena gli occhi.
«Alice è con Frank» iniziò Mary, indicando un punto leggermente distante da loro, ma abbastanza vicino da poter distinguere senza problemi le sagome dei due amici teneramente abbracciati. «Miriam e Claire avevano da fare, a quanto pare».
«Capito» assentì il ragazzo, spostando rapidamente lo sguardo sul campo. «Ehi, James», si chinò su se stesso per mormorare all’orecchio dell’amico: «Sei il migliore, Prongs, senza di te non sono niente di che».
Le labbra di James s’incresparono in un sorriso, e Lily, vedendolo con la coda dell’occhio, rifletté su quanto l’amicizia tra Potter e Black fosse simile a quella tra la sua con Mary – un gesto, qualche parola, ed un sorriso che torna a far capolino sulle labbra.
«Madama Bumb ha liberato i Bolidi ed il Boccino!» gridò ancora lo speaker, mentre la professoressa usciva dal campo. «Ed ecco anche la Pluffa… la partita ha inizio!». La palla rossa appena annunciata dal ragazzo sferzò l’aria per venir poi presa al volo da Amanda Prynn, che sfrecciò verso la porta avversaria zigzagando tra i nemici. «Grifondoro in possesso di palla! Ma Lynton, Corvonero, recupera la Pluffa in un passaggio tra Prynn e Brickend! Ah, che brave, queste ragazze…» sospirò, scherzoso, mentre la McGranitt lo fulminava con un’occhiataccia.
Jason Linch, Battitore del Grifondoro, colpì un Bolide con un colpo di mazza al rovescio, facendo così sterzare rapidamente la Corvonero, che perse la palla. Cindy Poltrer afferrò la Pluffa e si catapultò verso la porta avversaria.
«Un Bludger Backbeat!» esultà lo speaker, partendo con una descrizione particolareggiata dell’azione. «È difficilissimo sferrare un colpo del genere con tale precisione, ma confonde gli avversari! Il Capitano Brickend si è finalmente dimostrato all’altezza della spilla che porta!». Jack gli scoccò un’occhiata seccata, mentre sorvolava il campo dalla parte opposta a quella di Cindy.
«Wow!» escamò Peter, dopo aver visto la mossa di Jason, probabilmente premeditata.
«Io lo dicevo, che Jack non è male come Capitano» sospirò James, con aria depressa. «Gli allenamenti danno i loro frutti, e i Battitori stavano lavorando a quella tecnica da settimane intere».
«E’ anche carino, il Capitan Jack!» esclamò una voce trillante vicino a loro, facendoli girare verso le ragazze.
Mary scoppiò a ridere e salutò l’amica appena arrivata: «Miriam! Ma non avevi da fare?».
«I Corvonero sono noiosi» si corrucciò l’altra, facendo sporgere il labbro inferiore con fare da bambina delusa. «Preferiva venire a vedere una sciocca partita. Anziché stare con me, capisci?».
«Quale affronto» commentò Lily, sorridendole, mentre James, dietro di lei, abbozzava un ghigno divertito – non strafottente, solo divertito. «Come si è permesso?».
«La Prynn lancia la Pluffa! E… 10 a 0 per Grifondoro!» esclamò il Tassorosso, allegro. «Il Portiere dei Corvonero la riacciuffa e la passa a McDougal, che a sua volta la lancia verso Sarah Owen!».

I Grifondoro erano in testa per 90 a 50, mentre la Cercatrice dei Corvonero setacciava accuratamente il campo dall’alto, stando bene attenta ai movimenti di Davies, il sostituto di James Potter. Non era veloce come il ragazzo occhialuto, ma aveva una buona vista e, essendo piccolo ed esile, si muoveva agilmente sulla scopa. Solo, non era James Potter, non aveva la sua fortuna o la sua esperienza in aria.
«Smith in possesso di Pluffa, si avvicina alla porta dei Grifondoro, lancia e segna!» gridò il commentatore, leggermente imbronciato – dopotutto tutti sapevano della piccola contesa tra Corvonero e Tassorosso, sebbene non fosse forte quella tra le altre due Case. «90 a 60 per Grifondoro! Sembra essere una partita infuocata, questa!».
«Stanno recuperando» bofonchiò Sirius, scocciato.
Mary inarcò un sopracciglio e si girò sul proprio sedile, guardandolo e facendogli segno di avvicinarsi. Lui l’accontentò e la guardò, perplesso.
«Preoccupati per il tuo amico, non della partita» gli mormorò, indicando James con un cenno del capo: il ragazzo era immobile, come pietrificato, con le dita strette attorno alla ringhiera e le palpebre quasi totalmente abbassate.
Lily, che aveva ascoltato distrattamente il dialogo tra Sirius e l’amica – che ora era tornata a chiacchierare con Miriam –, spostò anch’ella lo sguardo sul ragazzo al suo fianco. Sembrava stanco, spossato, distrutto. Istintivamente, si sporse leggermente verso la ringhiera, mentre gli altri erano occupati a fare altro, e gli picchiettò con un dito sul braccio teso. James sussultò e si girò di scatto verso di lei, che si sforzò di non abbassare gli occhi davanti a quello sguardo perso e, così le sembrava, lucido.
«Stai bene?» gli domandò appena, mentre riportava nella tasca la mano con cui l’aveva richiamato.
«Evans,» iniziò lui, e sembrò stanco – stanco davvero, non esasperato o scocciato, nei suoi occhi c’era solo la stanchezza di chi avrebbe voluto semplicemente dormire finché non sarebbe finito tutto. «Non ti interessa. Sei gentile e tutte quelle altre cazzate lì con tutti, ma per favore, di me non ti importa niente, perché dovresti chiedermi come sto?». Non era arrabbiato, stimò Lily, tuttavia sentendosi un po’ ferita: che ci poteva fare, lei, se non riusciva a non preoccuparsi per le persone che le stavano attorno?
«Si chiama cortesia» spiegò, piccata, mentre ritornava con la schiena dritta. Lo osservò fare lo stesso, con occhi scettico. «Non la con-».
«Comunque no, non sto bene» la bloccò, stringendosi impercettibilmente nelle spalle. «Tutto questo qui» le spiegò, indicando il campo con un movimento del polso e della mano. «per me è importante. E stare qui, sulle tribune, non può farmi stare bene».
«Ma… è solo un gioco, Potter. Solo un gioco» farfugliò, perplessa, e poi lui scosse la testa.
«No, Evans, per me non è solo un gioco» sorrise laconicamente, e mentre la ragazza faceva per ribattere, riprese: «Per me è un ricordo».

«Diventerai il Cercatore migliore di tutti, figlio mio».












Ma buonciao, miei pochi ma cari lettori. Vi sono mancata? Ma non preoccupatevi: sono già tornata a rompere.
Allora, che dire di questo capitolo? Io direi che si commenta praticamente da solo: abbiamo un James che soffre, una Lily che anche se non se ne rende conto cerca di capirlo almeno un po’, una partita di Quidditch, il dolore di una ragazza a causa di una mancanza fraterna.
Il matrimonio di Petunia&Co. sono argomenti che probabilmente ritratterò, perché ci sono tante cose da dire. Stessa cosa posso dire riguardo la perdita subita da James: pensate che sia finita così? Vi sbagliate, c’è un motivo se l’ho fatto, come ho già detto, e no, ci tengo a specificare che Lily non consolerà nessuno e che i signori Evans dovrebbero rimanere sani e salvi fino alla fine di questa storia.
Comunque. Le recensioni calano sempre più, ma davvero, ringrazio con tutto il cuore le quattro persone che si sono fermate per recensire lo scorso capitolo: siete degli angeli, ed io vi adoro. Spero di rivedervi nelle recensioni, magari assieme a qualche altro nome :3
Ovviamente ogni parere è il benvenuto e sono pronta a ricambiare ogni recensione ricevuta.

Love you all,
A.


Volevo farmi sapere, poi, che mi sono trasferita in questa pagina.
   
 
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