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Autore: Elpis    15/03/2012    9 recensioni
Bellatrix Lestrange è un'amazzone solitaria, uno strumento di morte nelle mani di lui, Lord Voldemort.
Ma è anche una donna, con una miriade di dubbi e di incertezze. E se per una sera decidesse di lasciare spazio a tutta la sua femminilità? Se decidesse di rischiare, di mettersi in gioco al 100%?
"L'aveva respinta, ma non importava. L'aveva derisa davanti a tutti, ma non era cambiato niente. L'aveva ferita, schiacciata, umiliata nel peggiore dei modi possibili eppure lo amava ancora. "
La storia ha partecipato al contest di Andrea S "Ci sono notti che...non accadono mai", classificandosi prima.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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                           One Night Only


 

 
 

                                                                                                                                          And I heard your voice
                                                                                                                                                      As clear as day
                                                                                                                  And you told me I should concentrate
                                                                                                                                               It was all so strange

And so surreal
                                                                                                                       That a ghost should be so practical
                                                                                                                                                  Only if for a night
                                                                                                                   “Only for a night” Florance and the Machine
 


 
 
 

Le ombre giocavano sui muri e si attorcigliavano intorno al letto in volute di fumo nero.
La camera era immersa in un'oscurità che si muoveva lungo le pareti con il passo felpato di un gatto. Solo un fievole chiarore argenteo filtrava dalla finestra dischiusa e quel raggio di luna tagliava il pavimento come una lama, scacciando le ombre che si ritraevano disgustate da quella polla di luce. Ombre. Sibilavano nell’oscurità, fondendosi in grumi indistinti e forme oscene che solleticavano la sua fantasia e la eccitavano con immagini di sangue e violenza. Ombre. Le pareva quasi di sentirle respirare e mormorare il suo nome, incessantemente. Bellatrix, Bellatrix…
Si strinse le ginocchia al petto, cercando di impedire alle sue membra ribelli di tremare in modo così convulso. Odiava il suo corpo in quel momento Bellatrix Lestrange. Odiava il fatto di non averne il controllo. Per quanto si sforzasse di ignorarle, fitte di dolore le si propagavano nella pelle ad intervalli regolari e ogni singolo nervo le bruciava ancora come se stesse andando a fuoco. Affondò gli incisivi nel labbro inferiore, torturandolo fino a quando non uscì una stilla di sangue. Il dolore era sempre stato un palliativo utile per smettere di pensare e scacciare quei cupi ricordi dalla testa.
Bellatrix si abbandonò all'indietro sul materasso imbottito di piume, lasciando che il suo sguardo vagasse sulla stanza e sull’elegante mobilia che l’adornava. La camera da letto era ampia, con un gigantesco letto matrimoniale al centro e un armadio in ebano che occupava un’intera parete. Il lampadario a goccia era nero e pendeva proprio sopra la sua testa, simile a una spada di Damocle. Sapeva che se l’avesse acceso una luce giallastra avrebbe illuminato gli arazzi antichi che ritraevano la purissima dinastia dei Black e le stupide chincaglierie che sua madre aveva ammassato sulle mensole e che gli elfi domestici si affannavano a spolverare più volte al giorno. Non desiderava farlo. Le piaceva il buio, trovava l’oscurità consolante come un abbraccio, un velo nero e sottile che ricopriva tutto quello che la circondava e gli donava un alone nuovo, nascondendo le imperfezioni. Si abbandonò sul guanciale, i capelli che le coprivano il viso in una coltre odorosa di ginepro. Cercò di spostarsi lentamente ma fu perfettamente inutile: il dolore la colpì al basso ventre, proprio là, dove lui aveva…
Una striscia di luce le ferì gli occhi, interrompendo il flusso confuso dei suoi pensieri. Si tirò su di scatto, la mano destra che correva veloce sotto la veste alla ricerca della bacchetta, una fitta lancinante che le trapassava il fianco e le faceva digrignare i denti per il tormento.
Rodolphus Lestrange entrò nella stanza a passi lenti e misurati, lasciandole il tempo di ricomporsi. Le lanciò un’occhiata distratta e Bellatrix si vergognò dell’immagine che sapeva di offrirgli: adagiata sul letto sfatto per i suoi continui cambi di posizione, con la veste scura sollevata, i capelli un ammasso intricato, gli occhi pesti e gonfi. Sollevò il capo con fierezza pensando che dopotutto non le importava. Non le era importato del marito nemmeno il giorno in cui l’aveva sposato; per quale motivo se ne sarebbe dovuta preoccupare proprio quella sera che… quella sera in cui…
<< Bellatrix >> la voce piatta di Rodolphus risuonò nell’aria. << Mi pare di vedere che non ti sei ancora ripresa. Eppure dovresti sapere quanto poco il nostro Signore tolleri la debolezza. >>
Si avvicinò al letto, le braccia conserte dietro la schiena, lo sguardo freddo e privo di emozione.
Lei si scostò, avvicinandosi il più possibile alla sponda del letto. Fino a quel momento suo marito l’aveva lasciata perfettamente indifferente: sopportarne la presenza era solo un’incombenza come un’altra che peraltro le rubava davvero poco tempo stante quanto rari e brevi erano i loro incontri.
Ma il quel momento la disgustò. Le faceva ribrezzo ricordare come i suoi occhi slavati si erano
soffermati sulla scena, come la sua mano era rimasta pendula lungo il fianco, senza cercare neanche per un secondo di afferrare la bacchetta e intervenire per difenderla. Certo, non era stato lui a farle quello. Ma non l’aveva nemmeno impedito. Era rimasto lì, immobile, e la sua aria di perenne apatia non lo aveva abbandonato nemmeno allora, come se quello fosse solo uno spettacolo come tanti, come se lei fosse una vittima come tante…
<< Ti avevo avvertito, Bellatrix. >> continuò noncurante delle sue occhiate assassine << Erano così evidenti i tuoi sentimenti, ti si leggeva in faccia che eri innam… >>
<< ZITTO! >> lo interruppe, tappandosi le orecchie con le mani.
Quella notte quella parola non avrebbe proprio sopportato di sentirla. Non quella notte, quando lui aveva calpestato i suoi sentimenti come se fossero immondizia gettata per strada.
Rodolphus ammutolì ma le lanciò uno sguardo strano, come se fosse solo una pazza furiosa indegna persino della sua compassione.
<< Posso tacere, Bellatrix, ma sai bene che il Signore Oscuro non ha bisogno di parole per leggere nella mente dei suoi seguaci… >>
<< Se sei venuto fin qui per ammorbare l’aria con questa banalità, puoi anche andartene. >> lo freddò lei, girando la testa di lato per non doverlo vedere in viso.
Era sua moglie da cinque anni e le sembrava che la sua faccia non mutasse mai, quasi fosse priva di espressioni: era sempre bianca come il gesso, con le labbra chiuse in una linea dura e gli occhi spenti. Sembrava più una maschera che il viso di una persona viva e ciò le dava i brividi.
Rodolphus si irrigidì a quelle parole ma Bellatrix non se ne preoccupò troppo perché farlo arrabbiare era un'impresa quasi impossibile e  persino quando uccideva sembrava farlo con annoiata disinvoltura.
<< Ero venuto solo a fare il mio dovere di marito. >> le rispose cupo ed offeso. << Ma se preferisci stare da sola, non starò certo qui a pregarti. >>
Attese solo un attimo, forse aspettandosi delle scuse che Bellatrix non era affatto propensa a porgli. Si allontanò ancora impermalito, ma senza un’altra parola ancora si chiuse la porta alle spalle, lasciandola al suo cupo ed ostinato silenzio.
Sola.
Sola in quella grande e vuota casa estiva, che quella sera ospitava occasionalmente un ritrovo di Mangiamorte. Sola mentre gli altri erano di sotto che banchettavano e narravano delle ultime prodezze, delle schiaccianti vittorie contro il Ministero della Magia e quegli inetti dell’Ordine. Sola mentre la musica sottile si infiltrava sotto lo stipite della porta e giungeva fino a lei a creare un sottofondo alla sua malinconia. Sola a curarsi le ferite come un gatto randagio di cui a nessuno sembrava davvero importare qualcosa.
La porta si chiuse con un suono secco, lasciandole quella sensazione di gelo addosso.
Bellatrix si alzò dal letto e, forzando le gambe tremule e riluttanti, si avvicinò al grande specchio dalla superficie rilucente.
Si appoggiò alla cassettiera, gli occhi chiusi, il respiro mozzo nel petto perché per i suoi muscoli sfiniti anche quei pochi passi erano stati una tortura. Si diceva che quello specchio cupo, con la cornice di ebano nero e barocche volute ad adornarlo, originariamente si fosse trovato nella camera da letto della dimora ufficiale della famiglia Black. Era stata sua madre, Druella Rosier, ad averlo relegato in quella sperduta villa al mare, perché non sopportava di vedere il suo volto riflesso in esso dopo aver fatto l'amore con un uomo che per lei era come un estraneo.
Le dita di Bellatrix si soffermarono sul bordo superiore dello specchio, accarezzando i ghirigori e le figure appena accennate che lo decoravano. Aveva sentito dire dalla servitù che quello era un altro dei tanti misteri che si annidavano dietro la sua superficie opaca, che per ogni persona che li osservavano quelle incisioni acquisivano un significato diverso. C'era chi era convinto che rappresentassero demoni e altre creature dell'oscurità, chi diceva che narrassero una storia di amore e di sangue, chi sosteneva che non raffigurassero nulla, che fossero solo bozzi e curve, linee e punti, scolpite da una mente malata. Bellatrix ne seguì i contorni per un istante ancora prima di farsi forza e guardare al centro dello specchio.
La superficie opaca tremolò per un istante, disfacendosi in cerchi concentrici. Bellatrix fissò incantata il suo riflesso che si ricomponeva lentamente.
Era un volto pallido, scheletrico, con una massa di capelli corvini che le ricadevano sulla fronte, nascondendola per metà. Ma era innegabilmente lei: stessi occhi che bucavano come spilli, stesse labbra troppo rosse per il morderle, stesse sopracciglia che ricordavano le ali di due rondini. Era lei eppure non riconosceva quella smorfia sofferta che le contornava i lineamenti, come se una mano capricciosa li tirasse verso il basso. Il resto della stanza sembrava scomparso e solo il suo viso latteo galleggiava in quell'oscurità che si adattava così bene alla sua pelle. Per un flebile istante, Bellatrix pensò che lo specchio fosse difettoso, perché non compariva altro oltre al suo volto distrutto e a quel vuoto fitto di tenebra.
Poi reclinò il capo all'indietro e rise, rise a lungo, di una risata stridula e senza gioia. Sembrava quasi che quella superficie argentea avesse il potere di sodarle l'anima e metterla a nudo in tutta la sua putrescente verità. E quell'immagine le era ormai indelebilmente impressa nella retina: il suo viso avvolto dal nulla, da quell'assenza di luce e calore.
Sola.
Bellatrix si appoggiò di nuovo alla cassettiera, stringendo le braccia convulsamente intorno al corpo, in un abbraccio che non riusciva a scaldarla neanche un po'. Un ricordo che credeva di aver sepolto per sempre, riaffiorò lentamente ma caparbiamente alla sua mente. Chiuse le palpebre, cercando di ricacciarlo all'indietro e di regolarizzare il respiro.
Non vi riuscì.
Nell'aria c'era un odore, strano, ferroso. Era acre e pungeva le narici.
Bellatrix aveva solo sette anni e impiegò un po' a rendersi conto che si trattava di sangue.
Il colpo della frusta risuonò forte nell'aria e la sua pelle frizzò per quel contatto che le arrossava la pelle e la faceva gemere per il dolore.
<< Ancora, Tinky. >>
La voce melodiosa e alta di Druella risuonò nel cortile, mentre l'elfa domestica piagnucolava debolmente.
<< Signora, mia signora... Non crede che sia sufficiente? È solo una bambina... >> tentò vanamente di intercedere quella buffa creaturina vestita di stracci.
Bellatrix era prona per terra e non poteva vederne l'espressione ma era sicura che le enormi orecchie da pipistrello fossero flosce e schiacciate intorno alla testa bitorzoluta, i grandi occhi a palla liquidi per le lacrime.
Sua madre era proprio di fronte a lei e Bellatrix pensò che non avrebbe mai dimenticato il sorriso condiscendente che le increspava le labbra.
<< Tu non devi pensare, elfa. Questo è un ordine del tuo padrone. E adesso continua. >>
Ci fu un attimo di silenzio e Bellatrix si illuse che Tinky si sarebbe ribellata, che avrebbe preferito disobbedire ai comandi di sua madre, pur di far cessare quella tortura. Poi il piccolo frustino squarciò di nuovo l'aria, abbattendosi sulla sua schiena. Questa volta non riuscì a trattenere il grido che le fiorì fra le labbra.
<< Raccontami quella storia, Bella. >> la esortò sua madre.
Provò ad aprire la bocca, ma la trovò ostruita da un grumo di muco e lacrime. Bastò un cenno da parte di Druella e il frustino colpì di nuovo la sua carne. Sapeva che Tinky faceva di tutto per farle meno male possibile, ma la sofferenza e l'umiliazione erano un liquido cocente che le incendiava le vene.
<< Parla. >> le ordinò di nuovo sua madre.
<< C'era... c'era una volta un mostro. >> iniziò titubante.
<< Che genere di mostro? >> la incalzò Druella, mentre i suoi occhi scuri brillavano di una luce strana e sinistra.
<< Idra. >> esalò Bellatrix prima dell'ennesima frustata. << Si chiamava Idra. Viveva in una palude, immersa nel fango e il suo corpo era simile a quello di un drago ma con tre teste che le spuntavano dal tronco. >>
Druella annuì, sorridendole in modo quasi materno.
<< E poi cosa successe? >>
<< Poi... >> lo scudiscio sibilò e lei non riuscì a trattenere un grido. Ormai le lacrime le rigavano copiose le guance e l'odore del sangue era inconfondibile. Si fece forza, consapevole che fino a quando non avesse finito la storia quella tortura non avrebbe avuto termine. << Poi un eroe decise di ucciderla e dopo mille peripezie riuscì a tagliarle la testa, usando una spada magica. >>
Druella passeggiava avanti indietro, scuotendo la testa in un cenno di assenso.
<< Continua. >> ordinò rivolta ad entrambe.
<< Ma... >> Bellatrix chiuse gli occhi, mordendosi le labbra fino a far uscire il sangue. << Ma la testa ricrebbe. >> Ne assaggiò il sapore forte e amaro e scoprì che le piaceva. << Anzi, furono due le teste a ricrescere al posto di quella che era stata tagliata. L'eroe provò ancora e ancora, ma per quanto si affannasse, le teste non cessavano di moltiplicarsi. >>
Il sibilo della frusta si interruppe.
<< E cos'è che faceva ricrescere le teste all'Idra? >> le chiese inginocchiandosi in modo che le loro teste si trovassero alla stessa altezza.
Bellatrix si perse in quelle iridi scure, sentendosi come risucchiata dalle striature di ebano brillanti di eccitazione. Sapeva di stare osservando la fotocopia esatta del suo sguardo.
<< L'odio. >> affermò, riscuotendosi dal suo torpore. << Era grazie all'odio che l'Idra era imbattibile. >> ripeté sicura della sua risposta, perché la madre le aveva raccontato quel mito un'infinità di volte la notte prima di lasciarla dormire.
Druella sorrise, come se alla fine la figlia si fosse comportata proprio come si aspettava.
<< Esatto, Bella. Vedi di non scordarlo più. >> trillò, alzandosi in piedi con un unico, fluido, movimento.
Il settimo colpo di frusta si accanì sulla sua pelle lattea.
<< Adesso promettimi che non definirai mai più Tinky una tua “amica”. Lei è solo una sudicia elfa domestica e come tale d'ora in poi la tratterai. Sono stata chiara? >>
Bellatrix abbassò il capo, sconfitta.
<< Sì, madre. >>
<< Bene. Una Black non ha bisogno di amici, solo di servitori. >>
Fu con quell'ultima frase e uno svolazzo di quella stoffa blu notte che le adornava il corpo nodoso, che Druella Black si allontanò, lasciando che fosse l'elfa a curare le ferite della figlia.
Bellatrix si riscosse e tornò alla realtà, con un sussulto. Ricacciò faticosamente quei ricordi di infanzia che le si incollavano alla pelle come ragnatele e si avvicinò alla finestra, spalancando le imposte.
Il freddo della notte fu un toccasana per le sue membra riarse. Sentì la porta aprirsi ma non se ne curò, persa com'era a fissare Bellatrix che brillava fulgida nella cintura di Orione. Era una delle stelle più brillanti dell'universo ma le sembrava che la sua luce fosse assolutamente insufficiente a rischiarare la patina di amarezza che le velava il petto.
Lui non parlò. Le si avvicinò solo, fino a che a separarli furono solo pochi centimetri..
Istintivamente Bellatrix si irrigidì. Il suo fianco sinistro bruciava, come se lui stesse praticando qualche oscuro sortilegio. Il destro invece era freddo e gelido, quasi il vento freddo della notte si accanisse solo lì, in quel punto.
<< Non ti facevo così interessata alle stelle, Lestrange. >> asserì, riempiendo la stanza con la sua voce ipnotica.
<< Sono molte le cose che non sapete di me, mio Signore >>
La voce le uscì amara e stridente, come uno strumento arrugginito per il non uso. Era completamente diverso dal tono che di solito usava con lui. Era una voce che sapeva di tormento e strazio delle carni contorte in pose grottesche. Era una voce che diceva, anzi no, che urlava, che quello che lui le aveva fatto non l'avrebbe dimenticato mai.
<< Davvero? >> la sua voce si fece bassa e carezzevole, mentre si avvicinava ancora di più in modo che i loro gomiti si sfiorassero << Penso di sapere anche troppo, invece. >>
Bastò quel lieve sfioramento a farle frizzare la pelle. Non riuscì più a resistere e si voltò. Il fiato le si ruppe in gola nel fissare i lineamenti del Signore Oscuro, illuminati dalla luce delle stelle.
Aveva un viso spigoloso, le ossa che sporgevano tanto da bucare quasi la pelle, l'incarnato talmente bianco da far invidia alla luna. Poi c'erano quegli occhi che lei si era sognata chissà quante volte, girandosi nel letto insoddisfatta. Erano grandi e scuri, sormontati da ciglia lunghe e femminee. Profondi, due pozzi senza fondo che finivano inevitabilmente per risucchiarla, lasciandola imbambolata al suo cospetto, come una ragazzina di dodici anni.
E anche quella volta, inevitabilmente, si perse.
Come sempre quando fissava quelle iridi che avevano bevuto la più profonda oscurità e l'avevano assorbita all'interno di quel corpo fatto di carne e magia, Bellatrix si accorse che la ragione si ritirava impotente, un cane che si leccava le ferite in un angolo. L'aveva respinta, ma non importava. L'aveva derisa davanti a tutti, ma non era cambiato niente. L'aveva ferita, schiacciata, umiliata nel peggiore dei modi possibili eppure lo amava ancora.
Fu una consapevolezza profonda e bruciante che rese d'improvviso insostenibile quel silenzio fra loro.
<< Quella è la cintura di Orione. >> Si pentì della frase appena pronunciata un secondo dopo averla detta. Ma la sua bocca continuava a parlare e nemmeno il timore di una sua reazione le impedì di finire la frase. << E quella è Bellatrix, la stella di cui porto il nome, incastonata tra Meissa e Betelgeuse. Sono così vicine, sembrano quasi sfiorarsi...>> si interruppe, incapace di proseguire oltre.
Una brezza fredda le sollevò i pesanti ricci, facendoli svolazzare intorno alle sue spalle. Con la coda dell'occhio vide l'espressione di Voldemort farsi assorta, per aprirsi in un  ghigno sadico.
<< Forse a prima vista. >> le rispose giocando pigramente con una ciocca dei suoi capelli, come se quello fosse un gesto abituale fra loro. Lei si irrigidì ma neanche il ricordo del tormento riuscì ad arginare il piacere che le procurava il fatto che lui le rivolgesse quelle attenzioni. << Ma è solo un'illusione ottica: in realtà ciascuno di quei puntini è talmente distante dall'altro che non ti basterebbe una vita per raggiungerli. Non è buffo, Bellatrix? >> le chiese infondendo un'amara ironia in ciascuna parola. << Apparentemente vicini, in realtà infinitamente distanti... >>
Chinò il capo, per evitare che lui leggesse quanto quelle parole l'avevano colpita in profondità. C'era tutta la sua vita in quella frase pronunciata con il chiaro intento di ferirla: circondata da persone in superficie, sola in profondità. Lontana anni luce da ogni tipo di affetto che non fosse inquinato dall'opportunismo o da una convivenza forzata.
<< Perché sei qui? >> sussurrò con voce roca.
Le labbra di Voldemort si schiusero come un fiore vermiglio, lasciando intravedere il biancore dei denti affilati. Bellatrix aveva sentito dire a sua madre che prima di quei lunghi anni in Albania il Signore Oscuro era ancora più affascinante. Che un tempo non aveva quelle perenni occhiaie sotto gli occhi e che il suo incarnato era più roseo e salutare.
Non le aveva creduto. Per lei Voldemort era da sempre stato il prototipo della bellezza, la quintessenza della notte e di quell’oscurità che la faceva sentire al sicuro, protetta. Lui parve leggere nei suoi occhi tutta la sua imperitura adorazione e sollevò lentamente la lunga mano affusolata, fino a posarla sulla sua guancia. Avrebbe voluto abbandonarsi al suo tocco, inclinare il capo in modo che la maggiore porzione possibile della sua pelle aderisse a quelle dita di alabastro. Era incredibile come bastasse la più lieve delle sue carezze a cancellare i ricordi di quello che era successo nemmeno un'ora prima.
Si era morsa le labbra per trattenere le grida, proprio come quando era piccola e veniva punita. E proprio come una bambina non era riuscita a trattenersi e aveva urlato con tutto il fiato che aveva in gola, quando il dolore era diventato troppo per essere sopportato...
<< Sei troppo trasparente, Bellatrix. >>
La sua voce risuonò, calda e scivolosa come miele, pericolosa come il veleno di un aspide. Bellatrix lo avrebbe ascoltato parlare per ore, solo per sentire quel suono melodico e gutturale che le faceva vibrare le ossa come se esse fossero una diapason che si animava solo per lui.
Era tutto completamente differente rispetto a come era stato poco prima: in mezzo alla folla dei suoi seguaci lui l’aveva fissata con disprezzo e sdegno come se fosse qualcosa di marcio e impuro, ma adesso… Adesso era così profondo e caldo il suo sguardo, così piacevole il suo timbro.
<< Tutto quello che pensi... >> le dita scivolarono lentamente lungo la sua guancia, per scendere fino alla gola, una scia di fuoco che risvegliava ogni singola terminazione nervosa << Tutto quello che sogni... >> la sua voce si era abbassata ancora ed ora era solo un soffio, sussurrato contro il suo orecchio. Bellatrix temette che le gambe non le avrebbero retto e che sarebbe crollata lì, fra le sue braccia. << Tutto quello che desideri...>> Le sue dita scesero ancora di più, sfiorandole la base del collo,  tracciando lentamente il profilo del suo seno.
Smise di respirare, le orecchie piene solo della sua voce suadente e del rombo assillante del suo cuore. Non seppe mai dove trovò la forza per parlare, per interrompere la lenta trappola del suo respiro sulla pelle.
<< È stato per i miei sentimenti che mi avete fatto questo? >> mormorò con voce tremante.
Fuoco. Fuoco che si spargeva nella pelle, in ogni vena, in ogni linfonodo, in ogni più piccola e recondita cellula. Sotto quel marasma infuocato la sua spina dorsale si era inarcata al punto quasi di spezzarsi.
Lui ritrasse la mano, lasciandola sola con una sensazione di vuoto e la voglia irrefrenabile di gettarsi fra le sue braccia.
<< Era necessario. >> le rispose atteggiando il viso a una smorfia dispiaciuta che sarebbe riuscita a ingannare chiunque altro, ma non lei che studiava le espressioni del suo viso come se fossero un Vangelo da scoprire. << Sei uno dei miei più fedeli Mangiamorte, Bellatrix, e non posso lasciare che tu cada preda di frivolezze come... >>
<<... come l'amore? >> terminò lei per lui, fissandolo sfrontatamente negli occhi.
Un guizzo attraversò il suo sguardo e neanche il suo attento esame riuscì a decifrare quel lampo di emozione che aveva attraversato il corpo di Voldemort.
<< L'amore è per i deboli. >> ribatté con un disprezzo così palese che lei se ne sentì umiliata.
Era quello tutto ciò che aveva da dire? Bastava quella misera frase per far tacitare il suo cuore? Voldemort si girò, fissando il cielo stellato. Bellatrix non riuscì a distogliere lo sguardo dal suo profilo, intagliato dalla luce fredda della luna. Gli occhi erano assorti, le labbra tirate, la fronte corrucciata. I pugni stringevano convulsamente il bordo del balcone, quasi volessero stritolarlo.
<< Non voglio mai più dover leggere pensieri simili nella tua testa, Bellatrix. >> affermò modulando la voce e usandola come una sferza pungente. << Dovrai farti passare questo tua stupida fissa nei miei confronti e al più presto. Altrimenti...>>
<< Altrimenti mi crucerete di nuovo? >> chiese con un tono carico di risentimento.
Voldemort si voltò a fissarla, stupito dalla sua audacia.
Dolore. Un dolore che era penetrato in ogni più piccolo anfratto del suo essere, un dolore che non credeva sarebbe stata in grado di sopportare. Un vortice di visi bianchi, coperti da cappucci neri. Un coro di risate di scherno che le aveva fatto contorcere le budella fino a quando non aveva sentito il sapore amaro della bile in gola. La sua bacchetta puntata contro il suo petto, quando lui l'aveva aggredita senza pietà e offerto il suo corpo come dessert di quell'insensato ritrovo.
Fra tutti gli occhi, quelli inespressivi di suo marito. Fra tutte le risate, il suono penetrante della sua voce.
<< Solo se sarà necessario, Lestrange. >> le rispose con una voce che si era velata di minaccia.
I suoi occhi neri l'avevano scandagliata e lei si era sentita di nuovo nuda sotto il suo sguardo, una sensazione inebriante e terrorizzante al contempo.
<< Solo se tu non mi obbedirai... >> proseguì, incatenandola con quel suo sguardo colmo di bagliori rossastri.
Bellatrix alzò il capo, sentendo distintamente il cuore che le risaliva lungo la gola, andando a
incastrarsi fra le tonsille.
E cos'è che faceva ricrescere le teste all'Idra?
<< Solo una volta >> implorò e fu quasi un grido. Amami solo una volta. << Obbedirò. Seppellirò questo mio amore così in profondità che non riuscirete mai più a leggerlo, mio Signore. >> promise con voce rotta. Il volto di Voldemort era una maschera impassibile. << Ma vi prego: per questa notte...Solo per questa notte...>> si interruppe incapace di finire quella frase, già pentita per quel suo folle gesto.
L'odio. Era grazie all'odio che l'Idra era imbattibile.
Lui adesso l'avrebbe torturata di nuovo o forse addirittura uccisa, perché non poteva tollerare quella impudenza. Ma non le importava, non sarebbe riuscita a tenersi dentro quelle parole, neanche se il prezzo fosse stato la sua vita.
Fissò quel volto pallido incorniciato da quei sottili capelli d’ebano e le sembrò che il tempo si fosse fermato. Loro due, sotto le stelle, in quella notte eterna. Nessuna missione da compiere, nessun Ministero da abbattere, nessun Ordine da sconfiggere. Solo loro due. .
I lineamenti del Signore Oscuro era un indecifrabile puzzle fatto di linee e curve, una geometria che Bellatrix avrebbe volentieri passato l'intera vita a studiare. I suoi occhi si incupirono e per un fugace attimo a Bellatrix parve di vedere che qualcosa si infrangeva come fragile cristallo nel suo sguardo di granito. Mentre Riddle ripeteva  le sue parole, le mani non cessavano di stringere convulsamente le sbarre della finestra.
<< Una... notte? >>
Bellatrix annuì, sentendo un fiotto di speranza risalirle il petto e fermarsi sulla punta della lingua, lacerandole l'anima. Perché sua madre si sbagliava e a far ricrescere le teste all'Idra non era l'odio. Non era per l'odio che il mostro si rifiutava di abbandonarsi alla morte e combatteva ancora, per quante ferite le venissero inferte...Era la disperazione.
 E quella notte lei era abbastanza disperata da rischiare il tutto per tutto pur di averlo per sé.
<< Solo per questa notte, Tom. >>
Il suo sguardo acquisì un bagliore rossastro, inquietante, che le fece accapponare la pelle. Lui odiava che la gente usasse il suo vero nome e di nuovo Bellatrix pensò di essersi spinta troppo oltre, di aver varcato quel confine sottile fra lecito ed illecito che in sua presenza poteva avere conseguenze senza ritorno. Attese in silenzio una punizione che non sapeva se sarebbe mai arrivata e quando essa giunse si sentì quasi morire.
Riddle la strattonò prepotentemente contro il suo petto e la sua bocca, vorace ed implacabile si abbatté sulle sue labbra dischiuse. Bellatrix si sentì quasi soffocare nella morsa delle sue braccia, troppo stupita per fare alcunché. Il suo cervello era rimasto indietro, perso in conversazioni senza senso, in domande che non avrebbero trovato risposta. Il suo corpo invece si risvegliava  sotto quelle labbra possessive e implacabili, sotto quel contatto che la marchiava come una sua proprietà e la faceva riemergere dal grigiore della sua vita piatta.
Non vi fu dolcezza né amore nel modo in cui lui la prese.
Non vi fu dolcezza né amore nel modo in cui la denudò rapidamente delle sue vesti, usando appena un colpo di bacchetta. Le sua mani bianche le percorsero il corpo palpando e graffiando, imparando la geografia delle sue curve e ghermendola come se fosse qualcosa di cui impossessarsi, un tesoro che si apriva solo per lui. La fissò per un attimo, nuda e fremente sotto il suo tocco, illuminata appena dalla luna. Nelle sue iridi scure Bellatrix lesse un bisogno che la paralizzò e la inebriò al contempo. La spinse rudemente sul letto, schiacciandola sotto il suo corpo, mentre non smetteva di divorare la sua bocca di baci impazienti che le facevano girare la testa e le mozzavano in respiro.
Non vi fu dolcezza né amore in quell'amplesso consumato su lenzuola fredde, nel modo concitato e bramoso con cui i loro corpi aderirono, incastrandosi l'uno all'altro. La pelle di Bellatrix si arrossò sotto le sue dita, gemiti di piacere e dolore insieme prorompevano dalla sua bocca dischiusa mentre Riddle le percorreva il corpo con baci che spesso diventavano morsi, con finte carezze che le imprimevano lividi sulla pelle e strisce di sangue.
Non vi dolcezza né amore, né Bellatrix desiderò che vi fossero. Non le importava che lui si comportasse come un amante tenero ed affettuoso, non voleva che le mormorasse vuote bugie contro l'orecchio, parole dolci che il mattino dopo sarebbero diventate solo un peso ingombrante di cui disfarsi. Lo denudò lentamente, assaporando il contatto con la sua pelle fredda, percorrendo con le unghie nere il torace pallido e glabro di lui, i suoi muscoli leggeri e appena accennati, le sue gambe toniche, la sua virilità che si ergeva sotto il suo tocco deciso.
Baciò il suo collo ad occhi chiusi, mentre lo sentiva armeggiare fra le sue cosce aperte, inalando il suo odore muschiato, sperando che quell'unica notte fosse sufficiente ad imprimerlo sulla sua pelle.
Riddle non si curò di verificare che fosse pronta, né che desiderasse quell'intromissione nella sua intimità. La penetrò con un gesto deciso che le strappò un gemito e la sua smorfia di sofferenza sembrò eccitarlo ancora di più. Si mosse dentro il suo corpo con gesti secchi ed impazienti, donandole quel piacere misto a dolore che da ora e per sempre avrebbe indelebilmente associato a lui. Il suo respiro roco le risuonò nelle orecchie mentre si immergeva sempre più fondo nelle pieghe della sue pelle, fondendo i loro umori, intrecciando i loro occhi neri in una danza estenuante che ricordava un po' una preghiera. Mentre raggiungeva il culmine Bellatrix fissava le sue iridi scure, che per una notte, solo per quella notte, si facevano liquide per il piacere che lei gli stava donando.
Urlò il suo nome, stringendolo spasmodicamente a sé, soffocando il singulto che le risaliva dal petto. Lui crollò  sul suo petto un attimo dopo, i loro corpi intrecciati, i loro respiri fusi.
Lui dentro di lei, il calore dei loro lombi che bastava a scacciare il gelo della  solitudine.
Un attimo dopo Voldemort si sciolse dall'abbraccio delle sue gambe e si liberò dalla presa delle sue braccia avvinte intorno al collo, con un movimento fluido e deciso. Si alzò dal letto senza un'ombra di rimpianto, lasciandola sola in quelle lenzuola che senza di lui sembravano quasi un sudario.
Si rivestì sotto il suo sguardo attento ed implorante, godendo nel vedere la sofferenza che velava lo sguardo sfrontato di Bellatrix Lestrange.
L'eroe allora usò il fuoco per cauterizzare le ferite e dove la fiamma bruciava la carne, le teste non ricrescevano più...
Riddle infilò la veste nera, sempre fissandola con malcelato disprezzo, come se non fosse niente di più che un oggetto da cui aveva tratto tutto il divertimento possibile.
Ma la testa centrale era immortale e quella né la spada magica, né il fuoco riuscivano a domarla...
Lui ormai era completamente vestito ma non smetteva di fissarla con quel suo sguardo imperscrutabile. Le si avvicinò, chinandosi sul letto e afferrandole il mento fra le mani. Bellatrix si perse nei suoi lineamenti scolpiti, in quel profumo conturbante che le aveva bagnato la pelle, che si era impresso sulle lenzuola. Per un momento, solo per un momento sperò che anche per lui non si fosse trattato solo del sesso di una notte. Con gli occhi intrecciati e i loro respiri fusi insieme, osò illudersi che per loro due ci sarebbe stato un futuro. L'ultima testa era immortale... l'ultima testa era la sua speranza. Voldemort rimase immobile per quasi un minuto, fissandola senza proferir parola, mentre lei tratteneva persino il fiato per la paura di rompere l'incanto di quel momento. Lui le si fece vicino, sempre più vicino... Adesso appena un soffio separava le loro labbra dischiuse... Bellatrix sentì il suo intero essere fremere per quel contatto, agognare di assaggiare di nuovo il frutto proibito che era la sua bocca...
Si scostò in un attimo, un lampo crudele che gli brillavano nelle iridi, un ghigno che gli deformava i lineamenti. Si voltò lasciandosela alle spalle, le labbra ancora protese e quell'anelito d'amore che traspariva dagli occhi.
Non si girò nemmeno una volta e chiuse la porta alle sue spalle, come se fosse una sgualdrina qualunque di cui non si sarebbe nemmeno ricordato il nome. Bellatrix rimase paralizzata per un attimo per poi ricadere mollemente indietro in quel letto troppo grande. La sua mano artigliò le lenzuola, cercando un calore fittizio che riuscisse almeno un po' a consolare la voragine che le scavava il petto.
Ma l'eroe non si diede per vinto e schiacciò l'Idra sotto dei massi acuminati, assicurandosi che non potesse più nuocere a nessuno...
Bellatrix si sentì proprio così: un guscio vuoto e deformo, schiacciato sotto una coltre di solitudine troppo spessa perché  riuscisse a vederne il fondo.
 
 




 
 
Ciao a tutti!
Come ho scritto nell’introduzione questa ff ha partecipato allo splendido contest di Andrea. S. “Ci sono notti che…non accadono mai” e con mio sommo stupore si è classificata prima. Colgo l'occasione per ringraziare di nuovo la Giudicia! ^^
Nella mia storia avrei dovuto inserire il mito dell’Idra, ambientare la ff di notte, utilizzare l’immagine di una donna che si ritraeva in uno specchio ed infine il tema portante doveva essere la solitudine. Spero di essere riuscita a miscelare questi elementi in modo più o meno armonioso e che la lettura sia risultata piacevole! : )
Per le lettrici che stanno seguendo la mia altra ff, D’amore e d’ombra, come sapete questa settimana salto l’aggiornamento perché lunedì mattina parto. Spero che questa OS possa consolarvi per l’attesa, in fondo c’è sempre Voldemort! :D
Un saluto e un bacio,
Ely 

 

  
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