Cap.
3
Uno
squillo lungo, troppo lungo. Lorenza resta apposta in camera sua. Sua
madre va
a rispondere al citofono.
“chi
è?”
“salve
signora! Sono Andrea, mi scusi se le citofono, ma Lorenza aveva detto
che si
sarebbe fatta trovare giù, ma non
c’è… non è che per caso
è già andata?”
Nonostante
l’odio che prova per questo ragazzo la sua educazione le
impone di essere
gentile, anche se con una certa freddezza.
“no,
non è uscita è ancora in casa”
“grazie…”
Quel
silenzio imbarazzante, provocato apposta da lui, la fa reagire
nell’unico modo
possibile.
“beh…
se vuoi salire, ma… ”
Non
la lascia neanche finire.
“grazie
signora, allora mi apre?”
Con
malavoglia preme il bottone del citofono, e dall’ingresso
urla alla figlia
“ma
si può sapere perché non ti fai mai trovare
pronta? E poi non potresti cambiare
amicizie? Dove è finito quel ragazzo così a modo
ed educato che veniva a
trovarti prima della gita? Come di chiamava… Gabriele? Era
così simpatico e
gentile… era perfetto per te…”
Per
l’ennesima volta sua madre le sbatte in faccia quel nome, un
fiume impetuoso di
ricordi spacca quella fragile diga che si era fatta in mente per
trattenerli.
In preda a quei ricordi, si avvicina al suo armadio. Lo apre e prende
quella
bottiglia. Vodka. Vuole dimenticare. Si è già
dimenticata di chi sta salendo.
Il suo salvagente sta arrivando. Ma lei è più
veloce. Se ne beve mezzo litro,
tutto di un fiato, a stomaco vuoto, la testa inizia a girarle.
“salve
signora… Lorenza è in camera?”
“si…”
E
si muove, fa per accompagnarlo.
“non
si preoccupi, ricordo la strada… grazie comunque”
Andrea
si avvia verso la camera. “Strano”
pensa “non sento la
musica…” sente un
rumore strano, una bottiglia che tocca lentamente terra, e inizia a
rotolare. La
paura si impadronisce di lui. Si butta contro la porta, e la trova
lì. Le si
avvicina, e le passa ancora una volta quel braccio attorno alle spalle.
“Perché,
Lore, perché?”
Lei
a quelle parole, ha un brivido, non capisce più niente, non
riesce neanche a
ricordare la sua voce, una bestia dentro le sta squarciando
l’anima e il cuore;
all’improvviso, come una brezza leggera, il suo profumo
arriva alla sua mente e
spazza via quella nebbia che si è creata. Andrew. Ancora una
volta si rifugia
in quel maglione che tante volte l’ha accolta, consolata,
coccolata e piange.
Lacrime. Acqua salata. Sente una goccia caderle sulle mani, non ci fa
caso; non
sa che quell’unica goccia non è sua.
Rimangono
così, abbracciati. Lui la porta in bagno, l’aiuta
a vomitare. L’unico modo che
conosce per riprendersi. Si richiede quante volte ancora
dovrà ripetere quei
gesti, per quante altre volte dovrà rivedere quella scena,
per quante altre
volte dovrà sentire quella bottiglia rotolare sul pavimento
con la paura di non
arrivare in tempo. Ma non ha tempo per pensare, deve far riprendere
l’unica
persona a cui tiene veramente.
“riesci
a tornare in camera?” un cenno affermativo lo tranquillizza, “ha capito cosa le ho
chiesto…”
Appena
prova a rialzarsi le forze l’abbandonano, le gambe le cedono.
Un braccio la
prende sotto le ginocchia, uno le avvolge le spalle, lei si aggrappa al
suo
collo. Ha solo una cosa da dire prima di addormentarsi.
“Sei
il mio angelo, non volare via”
“non
volerò via”
“grazie,
ti voglio bene, te l’ho mai detto?”
“no…
anche io Lore”
E
con quei sentimenti fraterni rivelati lui la porta sul letto, la copre
con una
coperta, prova a sciogliere i suoi capelli, ma ricordandosi il numero
esorbitante di forcine che usa capisce che è una battaglia
persa.