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Autore: Spankie_13    16/03/2012    1 recensioni
Le porte scorrevoli si aprirono al nostro passaggio e sia io che la mia amica entrammo, ignare che da quella sera, proprio in quel piccolo supermercato di quartiere, qualcosa di importante sarebbe accaduto; qualcosa, o meglio qualcuno, che avrebbe stravolto completamente la mia vita.
Infatti, proprio qualche istante dopo, qualcun altro entrò in quello stesso supermercato…
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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You’re my Guiding Light   - Chapter 5 -
 
 
 
Era passata quasi una settimana dalla sera della festa, eppure molte cose erano cambiate.
Mio fratello era tornato momentaneamente in Italia con sua madre dopo che questa era venuta a farci visita la domenica ed io finalmente avevo casa tutta per me.
Avevo raccontato ad Alice il perché della mia fuga dalla festa in maschera a seguito della spiacevo sorpresa avuta nei bagni e il caso volle che lei quella sera rimorchiasse proprio l’amico di quel Dominic, Matthew, che era anche il suo cantante preferito da sempre. Dove io avevo trovato disgrazia e disperazione, la mia amica aveva trovato oro puro e luccicante!
Lei e Matt in qualche modo si erano piaciuti e ora avevano preso a frequentarsi quando avevano del tempo libero; nulla di ufficiale, solo un caffè, quattro chiacchiere e qualche bacio fugace. La vedevo felice, allegra e sorridente come non mai e questo mi riempiva di gioia. Mi faceva piacere sapere che Matt la rendesse felice anche se la misi in guardia dal non crearsi false illusioni, lui era pur sempre una rockstar, ma lei ovviamente non badò molto ai miei consigli. Lei prendeva sempre le cose così, come venivano, senza stare a farsi troppe paranoie: non faceva altro che ripetermi “Julie, se sono rose fioriranno altrimenti niente da fare, pazienza!”.
Io dal mio canto ero sempre presissima dal lavoro e non avevo più rivisto Dominic da quella sera né ero interessata a riceve sue notizie nonostante Matt fosse venuto un paio di volte a casa mia a prendere Alice per portarla fuori a cena. All’inizio sembravamo essere entrambi un po’ in imbarazzo nel chiacchierare anche di cose banalissime: sicuramente il suo amichetto gli aveva raccontato tutto ed io ovviamente non ci facevo una bella figura. Poi per giunta l’avevo beccato un paio di volte a smanettare con il suo cellulare, sobbalzando lievemente non appena gli rivolgessi lo sguardo…Forse stava informando il biondino dei miei movimenti e questo mi infastidiva un po’.
Ma io non mi azzardai nemmeno una volta a chiedere informazioni su di lui, non mi interessava averne anche se prima o poi avrei dovuto affrontarlo visto che presto ai due piccioncini sarebbe venuto in mente di organizzare un’uscita fra amici ed io tenevo le dita delle mani e dei piedi incrociate affinché succedesse il più tardi possibile.
 
Ma tornando a quel giovedì…
 
Quella mattina ero in un ritardo pazzesco. Avevo passato tutta la notte a prepararmi per un importante incontro di lavoro che si sarebbe tenuto proprio quel pomeriggio ed ero riuscita a dormire solo per un paio d’ore. Il risultato?! Non avevo sentito la sveglia e per questo ero in ritardo di mezz’ora con due occhiaie da paura che non ero riuscita nemmeno a nascondere con abbondante correttore e fondotinta. Non male per cominciare la giornata eh?!
 
Mi vestì ed uscì di casa in fretta e furia. Avevo avvisato Alice del mio ritardo e fortunatamente lei era già in ufficio per ricevere i clienti ed inventarsi una scusa plausibile con il nostro capo.
Camminavo per la strada a passo sostenuto cercando di fare il più in fretta possibile e beccandomi anche qualche storta a causa dei tacchi alti.
Fortunatamente lo studio distava solo 10 min a piedi da casa mia ma io dovevo necessariamente passare prima a prendere un caffè altrimenti non sarei mai riuscita a svegliarmi del tutto e ad affrontare la mattinata come si deve, e poi il caffè della macchina che avevamo in ufficio faceva veramente pietà nonostante il caffè solubile faccia già di per sé pietà.
 
Feci irruzione da Starbucks manco fossi inseguita da un branco di leoni inferociti e affamati. Diedi un’occhiata fugace alla cassa e per mia fortuna notai che la fila non era molto lunga. Me la sarei sbrigata in 5 min: avrei ordinato il mio caffè macchiato con latte scremato, poi avrei pagato il conto e infine sarei corsa dritta in ufficio e tutto in meno di 10 minuti. Un piano perfetto.
 
Finalmente arrivò il mio turno e feci la mia ordinazione. Come ogni mattina c’era Andres alla cassa, un simpatico ragazzo spagnolo, moro con i capelli neri come la pece e gli occhi color nocciola. Tipico belloccio spagnolo insomma…
 
“Buongiorno señorita!” esclamò vedendomi e regalandomi un sorriso caloroso o come direbbero loro in Spagna “caliente” .
 
“Giorno Andres…Il solito e cerca di fare il più in fretta possibile perché sono in un ritardo allucinante stamattina”  gli risposi gentilmente mentre prendevo il portafoglio dalla borsa.
 
“Sì lo so, Alice me lo ha detto…Stamattina non vedendoti mi sono preoccupato e allora…” raccontò mentre passava l’ordinazione al suo collega.
 
“…Alice ha provveduto a raccontarti tutto…” terminai prontamente la sua frase divertita e per niente meravigliata dalla lingua lunga della mia migliore amica.
 
“Ahaha sì esattamente…Che ragazza d’oro! Ecco il tuo caffè macchiato bello caldo.” Mi porse con garbo il bicchiere di carta sul bancone.
 
Mentre lo afferravo notai sul lato del bicchiere una scritta fatta con un pennarello nero. Avvicinai il bicchiere agli occhi per leggere meglio cosa ci fosse scritto anche se lo sapevo…
 
“Andres, Rosemary Ave 13723   0044 7931 876  call me”
 
Sorrisi, lo sospettavo. Come tutte le mattine mi aveva scritto il suo indirizzo e il suo numero di telefono. Sorrisi ancora scuotendo lievemente la testa mentre gli pagavo il caffè.
 
“Tu non demordi mai vero Andres?!” esclamai dolcemente. I suoi modi di fare mi facevano sempre un certo effetto; si può dire che mi intenerissero.
 
“Come si fa ad arrendersi davanti ad un tale splendore?!” rispose poggiando i gomiti sul bancone e guardandomi con aria sognante.
 
Sorrisi arrossendo leggermente. I suoi complimenti riuscivano sempre a mettermi di buon umore.
 
“Te l’ho detto, non sono la ragazza giusta per te! Tu meriti di meglio e poi sei molto più giovane di me.” risposi mentre riponevo il portafogli in borsa.
 
“E se io non volessi di meglio? Se invece volessi solo te? E poi cosa sono 4 anni di differenza? Sono uno ragazzo abbastanza maturo per la mia età!” insistette facendomi gli occhi dolci.
 
Andres ti prego basta o un giorno o l’altro davvero finirò per cedere a quegli occhioni così dolci…
 
“Beh in tal caso saresti destinato a rimanere single a vita! Buenas Dias Andres! “ risposi spiritosamente mentre mi allontanavo dalla cassa.
 
Lui mi sorrise salutandomi con la mano e mandandomi un bacio. Sapevo che avrebbe continuato a scrivermi tutte le mattine il suo indirizzo e il suo numero di telefono e a flirtare spudoratamente davanti a tutti i clienti con la speranza che magari un giorno avrei ceduto, o sarei andata a fargli visita o più semplicemente gli avrei telefonato.
 
Sorrisi a testa bassa ripensando all’accaduto ma non appena voltai la colonna per raggiungere l’uscita successe l’irreparabile: andai a sbattere dritta contro qualcuno e quasi tutto il caffè mi si rovesciò sul trench. Un vero e proprio disastro.
 
“No no no no no noooo, accidenti!! Non può essere successo veramente, non a me, non stamattina!! “ esclamai parecchio allarmata mentre senza nemmeno sollevare il capo, guardavo l’enorme macchia di caffè che avevo addosso.
 
“Se prestassi un po’ più di attenzione mentre fai le cose forse eviteresti disastri come scontrarti con qualcuno e versarti del caffè addosso oppure far cadere barattoli di latta in testa alla gente…”  sentenziò lo sconosciuto che dopo quelle affermazioni non mi parve essere poi così sconosciuto.
 
Quella voce snervante con un pizzico di sarcasmo infatti mi parve di riconoscerla. Per non parlare poi dell’aneddoto dei barattoli, non poteva essere di certo un dejavù.
No non poteva essere lui. Non ero pronta per rivederlo e affrontarlo, non quella mattina.
 
Molto lentamente alzai lo sguardo partendo dai suoi piedi, con la speranza di deludere le mie aspettative.
 
Converse nere, jeans scuri, maglietta bianca con una strana stampa sopra, giubbotto di pelle, Ray-Ban neri…Senz’ombra di dubbio il tizio magro, con quel sorrisetto sfacciato e i capelli biondi era lui, Dominic Howard. Dio…Proprio non ci voleva!
 
“Perfetto, ci mancava solo questa stamattina!!” esclamai parecchio infastidita.
 
Lui ridacchiò divertito vedendomi in quello stato.
 
“Che fai sfotti? Guarda che è anche colpa tua!” lo accusai.
 
“Oh sì certo per te è sempre colpa mia vero?!” rispose ironicamente allargando le braccia.
 
Aveva ancora quel sorriso sfacciato stampato sulla bocca. Gli lanciai un’occhiataccia per cercare di spaventarlo. Si stava divertendo a provocarmi come al solito...Che stronzo.
 
“Eh sì…Oltre ad essere maleducata e manesca è anche impertinente!” disse ad alta voce a sé stesso mentre raccoglieva la mia borsa caduta sul pavimento.
 
Sul serio?! Io impertinente?! Perché lui invece si credeva un santo no?! Ma per favore…
 
“Come prego?!” tuonai facendo finta di non aver capito.
 
Si tolse gli occhiali per permettermi di guardalo negli occhi.
 
“Sì…Maleducata e manesca…” mi rimproverò come un papà rimprovera la propria figlia “…Non si trascina la gente in bagno a scopare per poi scappare via mollandole un ceffone una volta scoperto di chi si tratta!” mi sussurro avvicinandosi di più a me per evitare che la gente intorno udisse i nostri trascorsi libidinosi “…E poi è vero…Sei goffa ed impertinente, i fatti lo dimostrano!” terminò tornando ad usare un tono di voce normale ma pur sempre estremamente ironico e a dir poco irritante mentre con l’indice della mano mi sfiorava la punta del naso. Sorrideva divertito. Dio quanto lo odiavo!
 
Digrignai i denti indignata, decisa a reprimere la rabbia ma soprattutto la voglia incontenibile di mollargli un ceffone, stavolta più forte, davanti a tutti. Decisi che non avrei accolto le sue provocazioni dando così conferma alle sue affermazioni; no, mi sarei dimostrata matura e superiore.
 
“Senti, mi attende una giornata d’inferno che è già cominciata nel peggiore dei modi quindi SPARISCI, di grazia! Non ho tempo da perdere con trentenni che si comportano da bambini!” risposi seccata mentre con dei tovaglioli cercavo di asciugare la macchia di caffè. Ovviamente mi divincolai dall’argomento “sveltina in bagno e via” ma la cosa non funzionò. Lui era molto più furbo di quanto si potesse pensare anche se non lo dava molto a vedere…
 
Sospirò…”Non vuoi proprio saperne di parlare con me vero a proposito di quello che c’è stato tra noi, vero?!” disse inclinando il capo in cerca del mio sguardo.
 
“Oh sei anche molto perspicace, ma che bravo!” risposi sarcasticamente sollevando il capo e aiutandomi con la mimica facciale.
 
“E poi il bambino sarei io eh?!”
 
“Insomma…ma che vuoi da me?!” sbottai ormai spazientita.
 
“Voglio solo essere gentile con te ma tu mi rendi sempre le cose difficili! E poi vorrei solo chiarire le cose fra di noi…Julie guardami, ti prego…” disse con voce gentile e soave nella speranza di catturare la mia attenzione.
 
Non riuscì a resistere. Distolsi lo guardo dalla macchia sul mio soprabito spostandolo sul suo viso, sui suoi occhi. Avvampai. Non avevo di certo dimenticato quanto quei suoi occhioni grigi fossero belli e ammalianti. Rimasi a fissarli per qualche istante dimenticandomi di tutto…Scossi il capo ritornando in me, abbassando nuovamente lo sguardo per occuparmi della macchia.
 
“Ascolta…Permettimi di rimediare. Pago io il conto della lavanderia.” disse cordialmente mentre cercava di togliermi il soprabito dalle grinfie di quella mano che sfregava nervosamente il tovagliolo contro il tessuto rischiando di logorarlo.
 
Una sua mano sfiorò appena la mia quanto bastasse per farmi sobbalzare.
 
“Scordatelo!” esclamai accennando una risata isterica “Non voglio niente da te! Ascolta, facciamo finta che non sia successo niente ed ognuno va per la sua strada ok?!” sentenziai alla fine raccogliendo le mie cose con l’intendo di andare via immediatamente da quel posto.
 
“Ma io volevo solo…” tentò di giustificarsi mentre cercava di fermarmi. Non gli lasciai nemmeno terminare la frase
 
“Senti visto che vieni tanto a farmi prediche sull’educazione, lo sai che insistere con una persona quando questa ti ha detto ripetutamente “di no” è segno di cattiva educazione?!”
 
Ok forse ero stata un po’ stronza ma dovevo pur sempre cercare di svinarmela da quella situazione troppo scomoda ed imbarazzante no?!
 
“Scusa tanto se ho cercato in tutti i modi di essere gentile!! Ma dimmi perché ce l’hai tanto con me?!” chiese alla fine il biondo spazientito mentre mi seguiva fuori dal locale.
 
Mi fermai girandomi di scatto per guardarlo in faccia
 
“Perché ogni maledetta volta che ci incontriamo finisce sempre male, vedi l’episodio del supermercato, quello della festa e…QUESTO!” risposi parecchio innervosita mostrandogli il mio trench macchiato.
 
“Questo perché lo vuoi tu e poi scusa ma alla festa non mi sembrava fosse cominciata poi così male fra di noi…” rispose sfacciatamente con tono malizioso.
 
“Roba da non credere…” ripetei a me stessa guardandomi intorno “Senti, ci tieni proprio tanto ad andare d’accordo con me?!”
 
“Certamente!” rispose convinto
 
“Allora stammi lontano!!” esclamai con una punta di acidità cercando di scandire al meglio le ultime due parole.
 
Rimanemmo a fissarci per qualche istante, poi gli voltai le spalle e me ne andai. Lui stranamente rimase impassibile, non fece assolutamente nulla. Né parlò né tentò di fermarmi e la cosa mi stupì non poco visto la sua insistenza di prima.
Ci badai poco. Ero in ritardo e dovevo darmi una mossa e quel dannato batterista non rientrava nelle mie priorità, non in quel momento almeno.
 
 
 
 
Dovevo essere maledettamente fortunato perché ero riuscito ad incontrarla ancora una volta.
Ok forse non sarò stato del tutto onesto, forse il nostro incontro non era stato poi tanto “casuale” visto che avevo deciso di fare una capatina da quelle parti di proposito pur di incontrarla e magari offrirle un caffè per chiarire l’immane casino venutosi a creare fra di noi lo scorso week-end. Stavo per perdere le speranze quando improvvisamente la vidi entrare frettolosamente nella caffetteria. Dissi a me stesso che ero l’uomo più fortunato del mondo e la seguì.
Entrai, la cercai con lo sguardo tra la marea di gente che faceva colazione e alla fine la vidi e mi diressi verso di lei con l’intento di farle una sorpresa ma quella testona, bellissima quanto goffa e maldestra, non mi vide e mi si venne a schiantare addosso talmente andava di fretta, rovesciandosi così tutto il caffellatte addosso e ovviamente incolpando me per l’accaduto. Avevo tentato in tutti i modi di farla ragionare, cercando come in ogni situazione di mantenere la calma (con uno come Matt ci vuole pazienza) ma lei in preda all’agitazione non ne aveva voluto proprio sapere. Non c’era stato verso di farla ragionare e per l’ennesima volta mi era sfuggita mollandomi uno schiaffo, stavolta per fortuna morale!
Di certo vi starete chiedendo come mai me la sia lasciata sfuggire così su due piedi senza tentare minimamente di fermarla. Beh innanzitutto non volevo rischiare di beccarmi un altro ceffone sulla guancia, per giunta in pubblico visto che ho una reputazione da difendere in quanto rockstar, ma la cosa più importante è che stavolta avevo un asso nella manica per porre rimedio a tutto e l’asso che mi sarei giocato di lì a poco era proprio il mio migliore amico, Matt.
Presi il cellulare cercando il suo numero in rubrica ed avviai la chiamata. Al terzo squillo ancora non si decideva a rispondere…Sicuramente stava ancora dormendo.
 
“Pronto?!” rispose finalmente con la voce impastata di sonno.
 
“Matt sono io, Dom!”
 
Rimase per qualche secondo in silenzio cercando di mettere la fuoco la situazione.
 
“Dom sono le 9 passate…Che diavolo vuoi?” tuonò parecchio infastidito visto che avevo interrotto il suo sonno.
 
“Sì lo so ed è tardi! Svegliati Matt ti prego! Ho bisogno di un favore!” lo implorai mentre camminavo lungo il marciapiede
 
“E da quando tu non ne hai bisogno?! Avanti dimmi un po’ cosa ti serve…”
 
“Mi serve il numero di quella ragazza, Alice!” sparai
 
“Cosaaa?! Dom che fai ora ti metti anche a rubarmi le ragazze? E la regola dell’amico va forse a puttane?!”
 
“Ma no Matt…Per una volta nella tua vita sta zitto e ascolta cosa ho da dirti…”
 
Raccontai l’accaduto al mio amico spiegandogli anche il mio piano e come sempre lui decise di aiutarmi dandomi il numero di Alice…Le cose finalmente sembravano andare per il verso giusto, almeno per me!
 
 
**************************** contemporaneamente ***********************************
 
 
“Maledetto batterista!! Non mi stancherò mai di ripeterlo!! MALEDETTO BATTERISTA!!” mugugnavo fra i denti mentre mi dirigevo alla lavanderia della signora Lovette che era a pochi isolati da lì.
Lo avevo incontrato di nuovo e quei due occhioni grigi mi si erano piazzati ancora una volta davanti facendomi perdere il controllo. Ok forse avevo esagerato un po’ troppo con la mia scenata, in fondo era stata anche colpa mia che ero troppo distratta e di fretta soprattutto.
Credo di averlo trattato in malo modo perché avevo paura del confronto. Cavoli l’avevo sedotto, scopato e mollato nella toilette femminile di un locale. Anch’io sarei arrabbiata e in cerca di chiarimenti.
Ma al momento non volevo complicazioni, non volevo che per 10 minuti in paradiso se ne facesse un affare di stato. E poi il mio trench di Burberry aveva una gigantesca macchia di caffè sul davanti e per giunta ero in un mega ritardo e la cosa mi faceva andare in bestia.
 
Entrai nella lavanderia e come al solito trovai la signora Lovette sorridente dietro al bancone.
 
“Oh ma buongiorno Julie! Come stai? Il vestito che mi hai chiesto di lavare non sarà pronto prima di 3 giorni…”
 
“Buongiorno signora Lovette! No guardi non sono qui per il mio vestito. Ho un problema molto più grosso…” dissi ancora con il fiatone mostrandole l’enorme macchia scura.
 
“Immagino sia caffè…” ipotizzò indossando gli occhiali per guardare meglio la macchia.
 
“Sì ed ho bisogno che lei mi faccia un favore immenso…Dovrebbe lavarlo e stirarlo entro le 4 di oggi pomeriggio! Ho un incontro di lavoro molto importante e non posso presentarmi senza! La prego signora Lovette mi dica che può farlo!” la supplicai giungendo le mani e mostrandole un’espressione di disperazione sul volto.
 
“Figliuola tu mi stai chiedendo praticamente…”
 
“La supplico signora Lovette! Sono disposta anche a pagare il doppio o il triplo se servirà a convincerla!!”  la interruppi supplicandola nuovamente.
 
Esitò qualche minuto prima di darmi una risposta: si tolse gli occhiali, un’occhiata fugace al mio trench, un’altra sulla sua agenda e infine il suo sguardo tornò su di me:

”Eh va bene per te farò un eccezione ma solo per questa volta! Che non diventi un’abitudine…” sentenziò alla fine prendendo in mano il capo e passandolo ad una commessa.
 
Tirai un sospiro di sollievo. Non so se era stata la mia espressione da cane bastonato o la mia offerta di pagare il doppio a farle cambiare idea ma sta di fatto che mi aveva salvata da un gran bel pasticcio. Finalmente le cose cominciavano a girare per il verso giusto.
 
“Oh grazie mille signora Lovette lei è veramente un angelo! Prometto che questa è la prima e l’ultima volta che le chiedo un favore simile!” la ringraziai di cuore  mandandole anche dei baci in segno di immensa gratitudine “…Ora devo scappare perché sono in ritardo per il lavoro! Verrò a ritirare il trench per le 4:00. Arrivederci e buona giornata!”
 
Mi congedai dalla signora Lovette ringraziandola altre 20 volte e uscì di corsa dalla lavanderia per andare dritta in ufficio. Corsi per un paio di isolati e finalmente arrivai a destinazione. Entrai nel portoncino e salì velocemente le scale. Non appena aprì la porta dello studio vidi una marea di gente in sala d’attesta che aspettava pazientemente il proprio turno. Li guardai uno per uno. Sapevo che avrei avuto una giornata di fuoco.
Passai in mezzo a loro salutandoli cordialmente con un “buongiorno”, diretta alla porta del mio ufficio. La porta si aprì prima che riuscissi  a farlo io e vidi alice che accompagnava e salutava la signora Collins rassicurandola con delle carezze sulla spalla.
 
“Tranquilla signora Collins vedrà che tutto si sistemerà per il meglio. Lei è in buone mani!”  le disse rassicurandola con un sorriso quasi materno.
 
“Grazie avvocato, ci vediamo la prossima settimana.” Rispose la gentile signora stringendole la mano “…Buongiorno signorina Julie” si rivolse poi a me mostrandomi un sorriso di cortesia.
 
Ricambiai volentieri il saluto.
 
“Signori prego un attimo di pazienza, devo conferire qualche minuto con la mia collega…”  esclamò cordiale Alice prima di afferrarmi per un braccio e trascinarmi letteralmente dentro il nostro ufficio.
 
“Ahia Ali! Mi fai male!” protestai tentando di liberarmi dalla sua presa.
 
“Ma che cavolo di fine avevi fatto?! Mi avevi detto mezz’ora di ritardo e guarda invece che ora è!! E’ passata un’ora Julie, un’ora!! Ringrazia solo che Simonetta mi ha telefonato per dirmi che sarebbe venuta più tardi perché aveva delle cose da sbrigare!! Mi sono preoccupata da morire!!”  esclamò tutto d’un fiato la mia amica agitatissima.
 
“Calmati Alice! Lo so hai ragione sono in ritardo pazzesco ma è stato per via di un contrattempo…” spiegai posando le mie cose sulla scrivania.
 
“Cioè? Ehi ma di un po’ ti fa proprio così caldo oggi, a Londra poi?! Che fine ha fatto il tuo soprabito?!” chiese incuriosita notando che mi mancava qualcosa addosso.
 
“Ecco per l’appunto…Un tale idiota, “Dominic Howard” mi è venuto addosso e mi ha fatto rovesciare il MIO caffè sul MIO trench di Burberry preferito e mi sono dovuta fermare in lavanderia…” spiegai ancora parecchio arrabbiata per l’accaduto
 
“Dom?! Ma come…Avete litigato ancora?!”
 
“Diciamo che gli ho fatto capire molto garbatamente che mi da fastidio averlo fra i piedi!”
 
“Lo immaginavo! Che poi Dom è veramente un ragazzo gentile, dolce, simpatico…Non capisco perché tu ce l’abbia tanto con lui!” lo difese
 
“Mi irrita! Sai quando una persona non ti piace a pelle? Ecco, per me quel batterista è così!”
 
“Mmhh strano…Per lui non sembra essere la stessa cosa…” alluse come se sapesse qualcosa di cui io non ero a conoscenza. La cosa mi insospettì.
 
“Chee?! Cosaa?! Alice cosa intendi dire?!” chiesi allarmata
 
“Chi?! Io?! Oh niente…Assolutamente niente! Dicevo così per dire…” rispose maliziosa mentre apriva la porta ed invitava due clienti ad accomodarsi nell’ufficio negandomi così la possibilità di approfondire la questione.
 
“Non finisce qui Alice, sappilo!” la intimai puntandole un dito contro.
 
“Se lo dici tu…Staremo a vedere!” rispose mostrandomi ancora una volta quel suo sorriso malizioso.
 
La mia amica sapeva sicuramente qualcosa ed io dovevo scoprirlo a tutti i costi ma non era quello il momento più indicato. C’era parecchio lavoro da fare quella mattina.
 
 
 
 
Era quasi ora di pranzo e decisi che era il momento più opportuno per mettere in atto il mio piano diabolico.
Presi il cellulare e digitai il numero di Alice…
 
“Pronto?!”
 
“Pronto Alice, sono Dom! No ascolta non dire una parola se c’è Julie lì con te!” la avvertì prima che potesse pronunciare il mio nome e mandare a monte i miei piani “…Lei non deve sapere che ti ho chiamata…Devo chiederti un favore grande, grande! Inventa una scusa per allontanarti da lei!” le spiegai tutto d’un fiato.
 
“Ermh…Mamma ciao, che sorpresa!!” esclamò poi lei dopo qualche secondo di esitazione “…Julie è mia mamma, vado un attimo di la a parlare che qui non c’è molto campo…” si inventò poi con l’amica per potersi allontanare.
 
“Dom che sorpresa, dimmi tutto!” disse quasi fosse entusiasta della mia telefonata.
 
“Ehi Ali mi serve he tu faccia una cosa per me…Non so se Julie ti ha parlato del nostro incontro di stamattina?!”
 
“Certo, certo! Era furiosa per il suo soprabito! Pensa che lo ha portato immediatamente in lavanderia…”
 
“Benissimo! Senti siccome vorrei farmi perdonare non è che potresti indicarmi la lavanderia così provvedo a saldare il conto?!”
 
“Sì ma temo che non sia possibile…Dalla signora Lovette ci vuole la ricevuta e poi lei andrà a ritirarlo oggi stesso…”
 
“Meglio ancora…Senti che cosa facciamo…Tu le prendi la ricevuta senza farti vedere e la consegni a me così io posso andare da questa signora Lovette a pagare e a ritirare il suo soprabito…”
 
“Pagare e ritirare?! Ma scusa che senso ha?”
 
“Mi serve una buona scusa per invitarla ad uscire e questa mi sembra la più ideale. La tua amica non uscirebbe mai spontaneamente con me nemmeno se fosse la Regina Elisabetta in persona a chiederglielo!”
 
“Mmhh…Hai ragione…Julie non ti vede proprio di buon occhio…”
 
“Ecco per l’appunto…Allora?! Sei disposta ad aiutarmi?!”
 
“Dipende…”
 
“Da cosa?!”
 
“Ascolta Dom…Julie ti interessa veramente?” chiese senza girare troppo attorno alla questione
 
“E’ importante saperlo?”
 
“Per me sì! Julie è la mia migliore amica ed io non voglio che soffra perciò se è uno dei tuoi soliti mezzucci per portartela a letto un’altra volta beh sappi che non sarò disposta ad aiutarti! Conosco i tuoi trascorsi con le donne…Puoi fregare lei ma non me di certo!!” sparò mettendomi in guardia. Ci sapeva fare la ragazza…
 
“Diciamo solo che in genere non faccio cose del genere con ragazze per cui non provo interesse…” risposi cercando di darle una qualche risposta visto che nemmeno io sapevo se mi piacesse sul serio o meno.
 
Alice rimase per qualche secondo in silenzio a meditare su cosa fare. Lei conosceva bene la mia reputazione da Don Giovanni ed era normale che non si fidasse ciecamente di me. Nemmeno io mi sarei fidato. La sentì emettere un profondo sospiro.
 
“Va bene ti aiuterò…Appena si distrae le prendo la ricevuta e ti chiamo così puoi passare a prenderla…”
 
“Perfetto!! Alice sei grande, grazie mille!” la ringraziai entusiasta
 
“Prego…Ah Dom!”
 
“Sì?!”
 
“Se la fai soffrire giuro che ti taglio le palle e te le faccio ingoiare!” mi minacciò seria come non mai
 
“Ho recepito il messaggio alla perfezione! A dopo, ciao!”
 
Terminata la chiamata fui più che felice. Ora che Alice aveva deciso di essere mia complice i giochi erano fatti. Dovevo solo prendere la ricevuta, andare in lavanderia, pagare il conto, prendere il soprabito ed invitarla a cena per restituirglielo. Perfetto no? Speravo solo che lei non avrebbe fatto troppi capricci e polemiche come al suo solito…Ci tenevo a rivederla e a passare del tempo con lei...Devo ammettere che mi piaceva anzi, credo mi sia sempre piaciuta sin dal primo momento in cui l’avevo vista. Certo, di solito non devo pregare le ragazze per uscire con me, sono loro che cadono ai miei piedi ma con Julie era tutto diverso. Mi sono sempre piaciute le ragazze forti con un certo temperamento, che non hanno paura di dirti in faccia ciò che pensano sia che tu sia una rockstar o un semplice sconosciuto, e lei non aveva di certo esitato a dimostrarmelo. Ormai le ragazze adulatrici e arriviste stavano cominciando a stancarmi perché rendevano le cose tutte più semplici: ti vengono incontro, si presentano, si strusciano un po’ addosso, ti dicono quanto sei bello e bravo, ti si scopano convinte che sceglierai loro per passare insieme il resto della tua vita e invece tu le congedi la mattina successiva, quando la sbornia è ormai sparita, diretto in un altro continente, in un altro stato, in un’altra città, da altre ragazze…Risultato?! Ti ritrovi a 33 anni a fare la solita vita monotona da solo. Certo ci sono gli amici…Matt, Chris e Tom i miei migliori amici di sempre, c’è la famiglia, quella c’è sempre…Ma io parlo di una persona che sia sempre al tuo fianco, che ti sostenga, che sia lì ad aspettarti quando torni a casa dopo una giornata di merda, che stia lì disposta ad ascoltarti e che poi faccia l’amore con te 1,2,3,4 volte, anche fino al mattino…Qualcuno che ti ami insomma.
Non so se con Julie sarebbe andata così…Non ero nemmeno convinto che mi piacesse sul serio però non so c’era qualcosa dentro di me che mi spingeva a cercarla continuamente anche se non sapevo assolutamente nulla di lei…Quel giorno forse sarei finalmente riuscito ad allontanare, anche se di poco, l’enorme abisso che ci faceva sentire così lontani.
 
 
 
 
La giornata sembrava essere veramente volata e le 4.00 non tardarono ad arrivare.
 
“E questa era l’ultima!” esclamai mentre richiudevo una pratica nell’apposito fascicolo
 
“Che giornata di fuoco mamma mia! E non è ancora finita!” si lamentò Alice rilassandosi sulla sedia

“Non dirlo a me! Senti, io vado perché devo passare prima in lavanderia e poi andare a quell’incontro di lavoro con Oliver…Ceniamo insieme stasera o devi vedere Matt?” le chiesi mentre radunavo le mie cose.
 
“Eermm…No non devo vedere Matt ma ho l’impressione che tu avrai tanto da fare e che finirai tardi e sinceramente mi secca aspettarti, per cui meglio di no…” rispose con un tono molto allusivo mentre sfogliava una rivista.
 
Sembrava sapesse con certezza che qualcosa mi avrebbe impedito di passare la serata con lei e ciò era veramente strano, molto strano…
“No non credo…Oliver mi ha assicurato che non ci vorrà molto, comunque se cambi idea chiamami!” le risposi mentre imboccavo l’uscita della stanza.
 
“Mi servirà il numero dl pronto soccorso invece…” bisbigliò fra sé e sé
 
“Come dici?!” per sua fortuna non capì ciò che aveva appena detto.
 
“Niente, niente pensavo così ad alta voce…Ora vai o farai tardi. In bocca al lupo!” si giustificò mentre mi venne incontro dandomi un bacio sulla guancia e un abbraccio di incoraggiamento. Sembrava dovessi partire per la guerra…Mah!
 
“Crepi, ci sentiamo…Ciao!” la salutai parecchio confusa dal suo atteggiamento e mi diressi verso l’uscita.
 
Per mia fortuna quel giorno era una bella giornata di primavera e il freddo invernale Londinese sembrava essere ormai un ricordo. Il sole splendeva alto nel cielo e un sottile venticello mi accarezzava in viso attraversando i miei capelli.
 
Un paio di isolati dopo voltai l’angolo diretta alla lavanderia della signora Lovette che si trovava esattamente in fondo alla strada.
 
Aprì la porta e il campanellino sullo stipite della porta annunciò il mio arrivo alla gentile signora, la quale si avvicinò immediatamente al bancone.
 
“Buon pomeriggio signora Lovette. Il mio trench è pronto vero?” le chiesi cordialmente tamburellando con le unghie sul bancone.
 
“Buon pomeriggio a te Julie. Certo, il trench è pronto…Maggie prendi quel trench beige che ho lasciato sulla stampella affianco all’asciugatrice!” chiese alla giovane donna che si trovava sul retro “…Cara ho bisogno della ricevuta così posso farti la fattura.” disse poi rivolgendosi nuovamente a me.
 
“Certamente! Deve essere qui nella mia borsa…” dissi cominciando a frugare nella borsa ma ben presto mi accorsi che della ricevuta non vi era traccia…
 
“Accidenti! Era qui nella borsa…Signora Lovette mi dispiace ma non riesco a trovarla perché devo averla lasciata in ufficio. Senta siccome sono in ritardo potrebbe fare un’eccezione per questa volta? Gliela porto domani così potrà registrarla…”
 
“Va bene cara non c’è problema!” rispose dimostrandosi ancora una volta gentile e disponibile “ Maggie allora questo trench?!” chiese ancora ad alta voce alla sua commessa.
 
La commessa finalmente uscì dal retro ma senza il mio soprabito.
 
“Signora Lovette veramente non c’è nessun trench…” si giustificò la giovane donna rivolgendosi al suo capo.
 
“Come non c’è?! E’ impossibile me ne sono occupata io personalmente!” esclamò la signora Lovette sorpresa.
 
Io cominciai a sudare freddo. Il mio giubbotto sembrava essere sparito: la mia giornata sembrava andare di male in peggio.
 
“Non c’è perché sono già passati a ritirarlo! E’ venuto un signore un quarto d’ora a più o meno…” si spiegò molto tranquillamente la donna.
 
Aggrottai le sopracciglia non riuscendo a capire di chi potesse trattare. Non avevo mandato nessuno a ritirare il mio trench! La commessa si stava sicuramente sbagliando.
 
La signora Lovette guardò entrambe sempre più confusa. Decisi di intervenire…
 
“No guardi, deve esserci sicuramente un errore…” risposi gentilmente alla commessa cercando di non entrare nel panico “ Io non ho mandato nessuno a prendere il mio trench perciò controlli meglio cortesemente…Provi a cercare “Rinaldi…Rinaldi Julie!” “ conclusi indicandole l’ammasso di vestiti incelofanati nell’angolo a destra.
 
“Sì era proprio quello il nome che l’uomo mi ha dato!” insistette la donna
 
“No scusami Maggie ma tu ti sei permessa di consegnare il soprabito di una cliente ad uno sconosciuto solo perché ti ha detto il nome del cliente?!” finalmente intervenne la signora Lovette rimproverando severamente la sua commessa.
 
Io nel frattempo ero ufficialmente entrata nel panico più totale. Mi muovevo nervosamente sul posto carezzandomi la fronte ancora incredula per l’accaduto.
 
“Certo che no signora Lovette! Quell’uomo aveva la ricevuta…Guardi qui, l’ho messa insieme alle altre dopo averla registrata!” insistesse convintissima la donna mentre apriva un cassetto e cercava la ricevuta. “…Dia un’occhiata lei stessa! Questa è la sua calligrafia e questa è la firma della signorina…”
 
La signora Lovette incredula indossò gli occhiali e cominciò a leggere attentamente quel foglietto rosa.
 
Io ormai ancora più incredula mi sporsi in avanti sul bancone in attesa di un suo responso…
 
“Signorina Julie…effettivamente…Maggie ha ragione. Non so come sia potuto succedere ma questa è proprio la sua ricevuta, guardi lei stessa!” esclamò piena di imbarazzo porgendomela.
 
Glielo strappai letteralmente di mano dimenticando per un attimo le buone maniere e lo lessi. Entrambe le donne avevano ragione: la ricevuta era proprio la mia ma come fosse finita lì non ne avevo proprio idea.
 
“Sì è lei…Ma guardi proprio non capisco come sia è potuto succedere ciò…E’ assurdo!! Mi dica ma quest’uomo deve pur averle detto qualcosa…Il suo nome…com’era fisicamente o non so, qualcos’altro!!” esclamai pretendendo delle informazioni più precise.
 
“Sì era biondo, carnagione chiara, occhi azzurri, giacca di pelle…Ma non mi ha detto il suo nome però ora che mi ci fa pensare mi ha detto di darle questo…” si spiegò estraendo dalla tasca del suo grembiule un bigliettino.
 
La donna me lo consegnò ed io immediatamente lo aprì rimanendo sempre sotto lo sguardo attento e curioso delle due spettatrici…
 
 
Scusa tanto ma mi hai costretto ad agire con le maniere forti. Ho preso in ostaggio il tuo soprabito.
Se vuoi rivederlo sano e salvo ti lascio il mio numero per discutere sulle trattative…
 
     003492579316                                                                   
 
                                                                                                       Dom  xx  “
 
 
Ecco svelato l’arcano mistero!!
 
Non appena terminai di leggere quel messaggio tutta la faccenda pian piano cominciò a chiarirsi.
Alzai lo sguardo fissando un punto nel vuoto cercando di trattenere la collera onde evitare scenate da pazza isterica in un luogo pubblico.
 
Nel frattempo le due donne, diventate ormai spettatrici di tutta questa assurda faccenda, continuavano a fissarmi in attesa di una reazione ma soprattutto di una spiegazione da parte mia.
 
“Signorina Julie…Va tutto bene?!” si fece coraggio infine a domandare la signora Lovette.
 
“Cosa?! Oh sì, sì certo signora Lovette! Si tratta solo di un banale scherzo da parte di un amico che evidentemente non sa come riempire le sue giornate…” risposi infine sempre più nervosa mostrandole un sorriso isterico.
 
“Ne è sicura?!” la signora Lovette evidentemente aveva capito che qualcosa non andava. La mia faccia evidentemente non sembrava prometterle nulla di buono.
 
“Certamente…Risolverò io la questione, ecco tenga…Prenda pure quanto le devo!” esclamai porgendole i soldi.
 
“Oh no, no signorina! Quel gentile ragazzo ha già pagato il conto ed ha anche lasciato una mancia cospicua!” disse la commessa restituendomi i soldi.
 
La goccia che molto probabilmente fece traboccare il vaso. Bene era anche riuscito ad ingraziarsi la commessa con del denaro pur di ottenere ciò che voleva…Che vile!
 
“Come non detto allora, perfetto!” esclamai nervosa mentre rimettevo i soldi nel portafoglio “…Scusate ma ora devo andare a commettere un atto che molto probabilmente sarà severamente punito dalla legge ma la ringrazio comunque e mi scusi ancora tanto per l’inconveniente…Buona giornata!”
 
Uscì dalla lavanderia lasciando le due donne immobili ed interdette che molto probabilmente stavano ancora tentando di dare un senso all’intera vicenda.
 
Nel frattempo camminavo a passo spedito verso il mio ufficio rileggendo di tanto in tanto quel bigliettino. Una lettera di riscatto?! Ma cosa aveva 12 anni per davvero?! Ero ancora incredula e fuori di me ma soprattutto ero incavolata nera con la mia migliore amica che sicuramente aveva giocato un ruolo importante nel piano organizzato da quel degenerato.
E intanto il tempo passava, io perdevo tempo e rischiavo di essere ancora in ritardo per il mio appuntamento di lavoro. Questa era veramente una di quelle giornata da dimenticare per sempre!
 
Entrai come una furia in ufficio gettando la borsa e le mie cose sui divanetti della sala d’attesa ed entrai nell’altra stanza dove Alice era ancora seduta a leggere quella rivista.
 
“Oh sei tornata!? Hai forse dimenticato qualcosa?” chiese fingendosi ingenua e guardandomi meravigliata.
 
Alice, amica mia mi sa tanto che non sei portata per la recitazione…
 
“Non lo so, dimmelo tu…” le chiesi a braccia conserte
 
Fece spallucce guardandosi attorno fingendo di non sapere il motivo per cui fossi tornata.
 
“Ti do una mano io…Per esempio potresti spiegarmi come il mio trench di Burberry sia finito in ostaggio di Dominic Howard anzi no, comincia dal principio…Dalla ricevuta!” le intimai con fare accusatorio parecchio irritata.
 
“Beh diciamo che…” posò la rivista e si alzò in piedi “…Forse potrei aver ricevuto una sua telefonata e che forse potrei anche avergli consegnato la ricevuta che ho rubato dalla tua borsa mentre eri in bagno…?!” vuotò il sacco trovatasi ormai con le spalle al muro.
 
“ALICE!! PORC…” Urlai facendola spaventare ma per evitare di perdere quel minimo di lucidità che mi fermava dal commettere un omicidio, in uno studio legale per giunta, mi fermai, feci un respiro profondo sopprimendo la collera.
 
“Perché?!” le chiesi poi con tono pacato accennandole un sorriso isterico.
“Beh…s-sembrava pentito per tutto quello che era successo fra di voi e voleva solo fare un gesto carino nei tuoi confronti, così mi ha chiesto di aiutarlo ed io ho accettato!” si giustificò con calma per evitare di farmi arrabbiare ancora di più.
 
“Continuo ancora a non capire il perché…” le risposi ormai esausta mentre camminavo per la stanza. Mi spiace ma per me tutta la storia continuava ad essere senza senso.
 
“Ma dai Julie io non ci vedo nulla di male! Poi è giusto che voi due vi chiariate perché lui è il migliore amico di Matt e si da il caso che io esca con lui!” protestò
 
“E io che c’entro in tutto questo?!”
 
“Beh scusa tanto se magari ogni tanto vorrei che la mia migliore amica uscisse con noi senza correre il rischio di scatenare un conflitto a fuoco solo perché voi due vi comportate da stupidi, sì l’ho detto! Siete due stupidi e tu lo sei ancora di più perché sei una testona e ti rifiuti di collaborare!!” sbottò come raramente aveva fatto in 5 anni di amicizia. Era seriamente offesa, arrabbiata, ferita…
 
Aveva ragione. Mi stavo comportando da stupida ragazzina testarda, orgogliosa ed egoista. Avevo dato a Dom del bambino ma pensandoci bene io di certo non mi stavo comportando da meno. Avevo trascurato i sentimenti della mia amica troppo presa dai miei e questo in qualche modo l’aveva ferita ed io mi sentivo una vera stronza.
 
“Dai Ali, scusa…Hai ragione, sono una stupida…” le dissi a testa basso mentre le andavo incontro per abbracciarla.
 
“Eh sì, non sempre parlo a vanvera io!” rispose in tono sarcastico ricambiando fortunatamente il mio abbraccio. La cosa mi rese felicissima e contribuì a far sparire del tutto la mia collera nei suoi confronti.
 
“Ti prometto che troverò un modo “civile e lecito” di recuperare il mio trench e soprattutto di chiarire con Dom ma sia chiaro…Lo faccio SOLO per te!”
 
“Apprezzo il tuo ENORME sforzo” esclamò ancora una volta sarcastica. Sapeva che ero un osso duro.
 
“Ehi ora però non te ne approfittare troppo!” la misi in guardia “ Ora vado perché sono in ritardo…Ti chiamo più tardi, ciao!” mi allontanai da lei diretta all’attaccapanni vicino alla porta.
 
Presi il suo soprabito e lo indossai mentre mi dirigevo alla porta d’ingresso.
 
“Ehi che fai? Quello è il mio soprabito!” esclamò sorpresa dal mio gesto
 
“Lo so! Per colpa tua sono rimasta senza soprabito per andare a quell’appuntamento di lavoro e in qualche modo dovrai pur sdebitarti, no?! Bye, bye!” la salutai chiudendomi la porta alle spalle.
“E’ stata una sua idea!! Io gli ho solo fatto da spalla! JULIE!!” la sentì gridare da dentro ma ovviamente la ignorai.
 
Mi sfuggì un sorrisino sulle labbra mentre percorrevo la rampa di scale. Aveva complottato alle spalle della sua migliore amica e prendere in prestito il suo soprabito mi sembrava il giusto prezzo da pagare, una sorta di piccola punizione, e poi non potevo andare senza soprabito ad un importante incontro di lavoro.
 
Scesi in strada e presi un taxi. Chiesi al tassista di portarmi all’ Langham London Hotel nel cuore della città.
Ci sarebbe voluto un bel po’ prima di arrivare vista la distanza ed il traffico ma sapevo benissimo come impiegare il tempo: dovevo telefonare al rapitore di soprabiti ed accordarmi in modo CIVILE per la restituzione. L’avevo promesso ad Alice e non potevo deluderla anche perché sapevo che quel dannato batterista avrebbe spifferato tutto al suo amico che di conseguenza avrebbe raccontato tutto ad Alice.
 
Presi il mio iPhone e digitai il numero sul display. Esitai qualche minuto prima di premere la cornetta verde.
 
“Andiamo Julie è solo una telefonata…” bisbigliai sottovoce mordendomi il labbro inferiore.
 
 
*************************** contemporaneamente *********************************
 
 
Dopo aver messo in atto il mio piano machiavellico tornai dagli altri come se niente fosse. Ci eravamo riuniti tutti a casa di Tom per una rimpatriata. Chris era in città con moglie e figli a seguito e anche Morgan e Dominic aveva fatto lo stesso perciò decidemmo che era opportuno organizzare qualcosa tutti quanti insieme.
Non appena tornai erano tutti in soggiorno a chiacchierare allegramente. Mi inventai che avevo dimenticato di spedire l’estratto conto della mia carta di credito al commercialista e che quello era l’unico giorno utile per farlo altrimenti avrei rischiato una multa. Fortunatamente ci cedettero tranne Matt ovviamente che era a conoscenza del mio piano; gli avevo pregato di non spifferarlo per nessuna ragione ai 4 venti e fortunatamente aveva mantenuto la promessa. Si limitò semplicemente a mostrarmi una risatina complice in faccia.
 
Parlavamo e ridevamo allegramente anche se io ero parecchio agitato. Erano le 4e30 passate, lei sarebbe dovuta passare in lavanderia per le 4; ormai doveva aver già scoperto tutto e ricevuto il mio bigliettino ma allora come mai non si era ancora decisa a chiamarmi?!
Tamburellavo nervosamente le dita sulla mia gamba e il mio sguardo giocava a ping-pong con l’orologio e l’ iPhone. Ridevo alle battute dei miei amici per inerzia, senza prestarvi la dovuta attenzione, mentre la mia mente si trovava altrove.
Quando i miei occhi si posarono per l’ennesima volta sul mio orologio Matt pensò bene di intervenire:
“Rilassati amico…Guardare continuamente orologio e cellulare non la farà di certo chiamare prima…” mi sussurrò accostandosi al mio orecchio per non far sentire nulla agli altri intenti nella loro conversazione “…E poi hai pur sempre qualcosa che le appartiene no?! Vedrai che chiamerà presto per riaverla…E’ solo questione di tempo!” mi rassicurò infine dandomi delle piccole pacche sulla spalla.
 
“Sì forse hai ragione…”
 
Non feci in tempo a terminare la frase che il display del mio cellulare si illuminò e comparve il suo numero. Il mio viso s’illumino quasi quanto quello del mio iPhone e Matt aveva la tipica espressione da “te l’avevo detto” stampata in viso.
 
Afferrai immediatamente il cellulare congedandomi un attimo dai miei amici per andare in un posto più tranquillo ed appartato dove poter rispondere. Appena fui lontano abbastanza premetti la cornetta verde.
 
“Pronto?!” risposi fingendomi indifferente
 
“Restituiscimi il mio trench!” tuonò la sua voce dall’altro capo. Ormai per me era diventata inconfondibile.
 
“Chi parla?!” chiesi fingendo di non averla riconosciuta.
 
“Il tuo incubo peggiore se non mi restituisci immediatamente il mio preziosissimo trench di Burberry!!” mi minacciò con tono deciso. Sembrava facesse proprio sul serio. La cosa cominciava a farmi divertire.
 
“Certamente…” le risposi con molta naturalezza
 
“Perfetto, allora ti do l’indirizzo del mio ufficio così puoi farmelo recapitare lì…Hai carta e penna?!” disse velocemente senza nemmeno farmi terminare ciò che stavo per dirle.
 
“Ermh…Mi dispiace ma non è così che funziona…” risposi rifiutando la sua proposta
 
“Come scusa?!” chiese come se non avesse capito
 
“Rivuoi il tuo “preziosissimo soprabito di Burberry”?! Vediamoci più tardi per una cena e ne riparliamo…” le avanzai con decisione la mia proposta
 
“C-cosa?! Stai scherzando vero?!” esclamò stupita.
 
“Mai stato più serio di così in vita mia!”
 
“Cos’è una specie di ricatto?! Hai forse 12 anni?!” mi insultò
 
“Gioco mie, regole mie tesoro!”
 
“Primo, non chiamarmi tesoro e secondo…Io non ho nessuna intenzione di venire a cena con te, CHIARO?!” ora stava cominciando ad incavolarsi, di nuovo.
 
“Ah no?! Beh allora puoi dire addio al tuo soprabito…Lo indosserò da parte tua per l’ultima volta…” le dissi deciso a non mollare.
 
“Io ti denuncio!” mi minacciò
 
“Ah sì?! E come farai in assenza di prove?!” mi divertì a provocarla facendole credere che se fosse ricorsa alla polizia avrei fatto sparire ogni traccia del suo trench.
 
“Non oseresti mai farlo!” mi intimò avendo capito le mie intenzioni
 
“Non mettermi alla prova…Perderesti!” la avvisai mettendola in guardia
 
“Non è giusto, io…” balbetto quasi sconfitta. Che fossi riuscito finalmente a farle gettare la spugna?! Troppo presto per dirlo…
 
“Ascolta, queste sono le mie condizioni: stasera ci vediamo per una cena, parliamo, chiariamo un po’ le cose fra di noi e poi ti restituisco il trench. Prendere o lasciare! Siccome oggi poi sono buono ti lascio anche del tempo per decidere e quando l’avrai fatto mi richiami, ciao!”
 
“Aspetta! Non p-…”
 
La sentì protestare mentre le chiudevo la chiamata in faccia senza darle nemmeno il tempo di replicare. Dovevo metterla con le spalle al muro per farla cedere altrimenti saremmo stati allo stesso punto fino a notte fonda.
Mi scappò una risata pensando a quanto stesse inveendo nei mie confronti in quel momento. Contai 5 secondi aiutandomi con le dita della mano convinto del fatto che non avrebbe aspettato più di tanto per richiamarmi e infatti fu proprio così: al termine dei 5 secondi il display si illuminò ancora.
 
“Si?!”
 
“Ho promesso ad Alice che avrei risolto questa situazione in modo civile, senza spargimento di sangue e manterrò la promessa perciò sì, acconsento a vederci più tardi ma SOLO per un caffè! Parliamo, ci chiariamo, tu mi restituisci ciò che mi appartiene e tutti siamo felici e contenti! Ti va bene la mia proposta o il tuo ego vuole di più?!”
 
“Va benissimo. Non era proprio ciò che avevo in mente ma mi accontenterò…”
 
“Ecco da bravo, accontentati!”
 
“Ok facciamo alle 7:00 al “Caffè Nero” di Monmouth Street?! Dovrei essere da quelle parti per quell’ora…”
 
“Va bene, anch’io sarò vicina…A dopo allora…” rispose con aria di rassegnata
 
“Non mancherò dolcezza, cheers!”
 
Chiusi la chiamata. Non ci potevo credere…Ce l’avevo fatta, l’avevo convinta ad uscire con me! Ok forse non proprio con le buone ma comunque mi aveva detto di sì ed era già qualcosa.
Tornai dai miei amici felice, con un sorriso a 32 denti sulla bocca e un’espressione di estrema soddisfazione in volto.
Matt prese a fissarmi impaziente di sapere come erano andate le cose anche se dalla mia faccia doveva aver già intuito qualcosa. Presi posto accanto a lui e mi avvicinai con la bocca la suo orecchio:
 
“Tutto liscio come l’olio. Mi ha detto di sì! Ci vediamo alle 7:00 per un caffè insieme…” gli sussurrai all’orecchio felice come una pasqua.
 
Sulle labbra del mio amico comparve un sorriso fiero e compiaciuto:
 
“Questo è il mio ragazzo!” esclamò dandomi un’energica pacca sulla spalla.
 
Adesso che sapevo l’avrei rivista solo poche ore dopo mi sentivo più rilassato, o quasi…
 
 
*************************** contemporaneamente *****************************
 
 
 
Me l’aveva fatta. Quell’infame era riuscito proprio a farmela! Ormai non mi sarei più potuta tirare indietro. Più tardi l’avrei rivisto e avrei dovuto affrontarlo e la cosa mi rendeva parecchio nervosa. Cosa avrei dovuto dirgli?! Che mi andava di far sesso ed ho adescato il primo capitatomi sotto mano?! No di certo perché mi avrebbe presa per una sgualdrina. Dirgli che si era trattato solo di un incidente?! Andiamo Julie non è di certo un ingenuo, non ci crederebbe mai una cosa simile. Oppure scegliere di spiegargli che la mia vita è un casino totale e che io mi sento come una tigre in gabbia che vive giorno dopo giorno senza dare un senso alla sua esistenza, senza vivere la propria vita come una normale ragazza di 28 dovrebbe fare. No, non mi sembrava decisamente il caso.
 
Abbandonai i miei pensieri e decisi che non era il momento più opportuno per badare a certe cose. Lo avrei fatto più tardi magari mentre raggiungevo il luogo dell’appuntamento, o più semplicemente avrei affidato tutto al caso.
 
Arrivata a destinazione pagai il tassista e scesi dal taxi entrando nel lussuosissimo albergo.
Nella hall c’era un uomo alto, capelli castani, in giacca e cravatta che camminava avanti e in dietro tenendo le mani nelle tasche. Mi affrettai a raggiungerlo.
 
“Oliver!” esclamai
 
“Oh eccoti arrivata finalmente!” rispose sorpreso abbracciandomi e baciandomi le guance.
 
Oliver Harris, il figlio di Simonetta, il mio capo. Anche lui era un avvocato solo che a differenza di sua madre aveva preferito curare gli interessi della borghesia ed aveva aperto uno studio legale prestigiosissimo a Belgravia, nel cuore di Londra.
Più volte mi aveva offerto un posto di lavoro nel suo studio legale quasi implorandomi ma io avevo puntualmente rifiutato ogni volta; occuparmi della difesa di comunità immigrate prevalentemente musulmane e nere e di casi di violenza all’interno delle famiglie facevano decisamente più per me. E poi avevo accuratamente evitato quell’avvocatura d’elite che mio padre mi aveva sempre imposto, figuriamoci se ora accettavo una proposta di lavoro del genere! Mi limitavo semplicemente ad aiutare Oliver di tanto in tanto giusto per arrotondare un po’ a fine mese e poi anche perché gli volevo bene, era un mio amico.
 
“Ciao! Perdonami, so che dovevamo vederci un po’ prima per rivedere le ultime cose ma non puoi nemmeno immaginare cosa mi è capitato oggi!” gli spiegai ancora con un po’ di fiatone.
 
“Tu stai bene?” chiese preoccupato prendendomi per le spalle.
 
“Sì sto bene tranquillo ma non c’è tempo per certe storie…Il tuo cliente è già qui?”
 
“L’importante p che tu stia bene e che sia qui soprattutto!” esclamò felice “No, scenderà a momenti, ci aspetta nella sala da the dell’albergo, vieni.” Disse poi conducendomi verso la sala dove si sarebbe tenuto l’incontro.
 
“Nervoso?!” chiesi vedendolo un po’ impacciato nei movimenti
 
“Un po’ ma mi fido di te! Sei una ragazza in gamba e un ottimo avvocato!” esclamò. Non so se stesse cercando di rassicurare se stesso o me.
 
“Beh almeno in qualcosa sono brava!” ironizzai per alleviare un po’ la tensione.
 
Entrammo nella sala da the e ci mettemmo a sedere. Quel posto era incantevole, finemente arredato e c’era lusso ovunque: nei quadri d’autore appesi ai muri, nei drappi delle tende che ornavano le finestre, nella tappezzeria, nel servizio da the in porcellana di Limoges, nel lucidissimo servizio di posate in argento Bruckmann. Tutto era perfetto, bellissimo e soprattutto valeva una fortuna…Mi ricordava tanto casa mia.
 
Pochi istanti dopo il cliente di Oliver ci raggiunse ansioso di sapere quale fosse il piano di difesa studiato per difenderlo dall’accusa di frode fiscale. C’era stato un leggero malinteso fra il governo britannico e quello della sua patria, la Svezia ed era nostro compito tirarlo fuori dai guai.
Il nostro incontro durò all’incirca un paio d’ore, un’ora in più di quanto Oliver avesse previsto perché il suo cliente era un tipo estremamente pignolo e preciso e non voleva che si tralasciasse nulla al caso. Questo lo portò a farci rileggere, ricontrollare e apportare qualche modifica ai documenti su cui ci avevo lavorato la notte intera. Tutta fatica sprecata.
“Lei è veramente sicura che così facendo riusciremo a vincere la causa?” chiese non ancora convinto al 100%. Ma quanto la facevano difficile questi svedesi.
 
“Certamente! E’ la soluzione migliore…Si fidi di noi!” lo rassicurai per la milionesima volta.
 
“Non si preoccupi signor Sjöberg…” Oliver pensò bene di intervenire vista la sua insistenza “…La signorina Rinaldi è un eccellente avvocato! Non a caso ho chiesto il suo aiuto per un caso delicato come il suo…” lo rassicurò cercando di convincerlo.
 
 
Il signor Sjöberg esitò ancora qualche minuto rileggendo ancora una volta i documenti sotto i suoi occhi.
 
“Bene, mi avete convinto…Allora mi fido di le signorina!” esclamò finalmente convinto stringendomi la mano sorridente “Ora che abbiamo terminato che ne direste di unirvi a me per un drink?! Non so voi ma dopo un pomeriggio simile mi ci vuole qualcosa per rilassarmi…” concluse poi alzandosi e sistemandosi la giacca.
 
“Certamente! Ci farebbe molto piacere!” rispose Oliver imitandolo.
 
Le 7:00. Avevo un appuntamento da rispettare al quale non sarei potuta mancare altrimenti non avrei più rivisto il mio soprabito se non sottoforma di stracci.
 
“Veramente…ermh…si è fatto tardi….io…” annaspai grattandomi nervosamente il capo.
 
“Hai forse un impegno cara?!” chiese Oliver
 
“Una specie…Dovrei andare…” mi giustificai alzandomi dalla poltroncina.
 
“Suvvia signorina non faccia complimenti! Si tratta solo di un drink, non ci vorrà molto!” intervenne il signor Sjöberg per cercare di convincermi.
 
Oliver sorrideva ma i suoi occhi mi supplicavano di restare terrorizzati dal fatto che il suo cliente potesse reagire male al mio rifiuto e perciò non potei fare altro che accontentarlo. In fondo si trattava solo di chiamare Dom ed avvertirlo del mio ritardo.
 
“Ermh…e va bene…Lasciatemi soltanto fare una telefonata…” dissi prendendo il cellulare e rimettendomi a sedere.
 
“Ma certo! Faccia pure con comodo, noi l’aspetteremo al bar…” rispose gentile il signor Sjöberg
 
“Grazie, ci vorrà solo un minuto…” lo ringraziai mentre raggiungeva il bar “…Oliver ordini tu per me? Prendo un cosmopolitan…” chiesi poi ad Oliver prima che raggiungesse anche lui il bar.
 
Mi affrettai a digitare il numero di Dominic sul display del cellulare per in formarlo del mio ritardo. Speravo solo che non lo prendesse come un tentativo di sabotaggio.
 
“Pronto?!”
 
“Pronto Dom, sono Julie…”
 
“Ah ciao! Scusami sto arrivando, il tempo di trovare parcheggio…” si giustificò scusandosi per il ritardo credendo che fossi fuori dalla caffetteria ad aspettarlo.
 
“A dire il vero ti chiamo per dirti che farò un po’ tardi…Sono bloccata per una cosa di lavoro…” dissi un po’ timida mordendomi il labbro inferiore
 
“Non fa niente, aspetterò!” non esitò a rispondere
 
“Sicuro? Guarda che ci vorrà un po’…Non so q-…”
 
“Non è un problema! Di quanto tempo hai bisogno?!” chiese senza farmi nemmeno finire di parlare
 
“Vediamo…Una mezz’ora o poco più…Calcolando che sono al Langham London Hotel mi ci vorranno circa 10 minuti per arrivare…”
 
“Capito…Va bene ti aspetto allora, a più tardi!” rispose tranquillamente senza fare una piega. Mi aspettavo una reazione diversa, un rimprovero o non so che…
 
“Ok, ciao!”
 
Caspita era proprio deciso ad andare fino in fondo. Era uno che non mollava molto facilmente.
 
Raggiunsi Oliver e in signor Sjöberg al bar ed insieme brindammo all’accordo raggiunto.
Dopo circa mezz’ora ci congedammo e mentre lo svedese fece ritorno nella sua camera al piano superiore, io ed Oliver ci avviammo verso l’uscita dell’albergo.
 
“Non so davvero come ringraziarti! Mi sei stata davvero di grande aiuto!” continuava a ripetermi Oliver sopraffatto dalla contentezza
 
“Dovere, non preoccuparti!” gli risposi sorridente soddisfatta del mio successo
 
“Ancora non riesco a capire perché tu ti accontenti del lavoro allo studio di mia madre, insomma è un lavoro più che rispettabile e mia madre ha la sua reputazione ma con le tue potenzialità potresti ambire a qualcosa di meglio…”
 
“Tipo lavorare nel tuo studio?!”
 
“Esatto! Come hai fatto ad indovinare?!”
 
“Perché sarà tipo la millesima volta che mi fai un discorso del genere?!” risposi sarcastica
“…No grazie Oliver, amo quel lavoro e mi piace aiutare la gente meno fortunata. Le battaglie legali fra ricchi capricciosi mi fanno venire l’orticaria!”
 
“E allora perché accetti sempre di aiutarmi?!”
 
“Perché sei un amico e mi paghi bene!”
 
“Ahaha sei terribile!” rispose divertito scuotendo il capo
 
Mentre eravamo intenti a chiacchierare allegramente del più e del meno notai un uomo ben vestito di fianco ad una berlina nera con in mano un cartello con su scritto “J. Rinaldi”.
 
“Ehi quell’uomo aspetta forse te?!” chiese Oliver notandolo anche lui.
 
“Beh o c’è un’altra “J. Rinaldi” nelle vicinanze oppure deve aspettare proprio me…Stavolta giuro che lo ammazzo!”
 
“Chi ammazzi?!” chiese curioso di saperne di più
 
“Ah niente…E’ una lunga storia! Meglio che vada prima che quel pazzo mandi un elicottero della polizia a prendermi!” sviai l’argomento. Raccontargli tutto avrebbe solo contribuito a farmi innervosire di nuovo
 
“Se ti serve aiuto batti un colpo!” mi avvertì scherzosamente battendo con il pugno
 
“A dire il vero forse avrò bisogno di un buon avvocato!” ironizzai pensando ad una mia eventuale reazione omicida
 
Alla mia affermazione Oliver scoppio a ridere poi ci salutammo ed io mi diressi verso l’autista dicendo di essere la “J. Rinaldi” del cartello. Confessò di essere stato mandato dal signor Howard e galantemente aprì lo sportello della macchina facendomi cenno con la mano di accomodarmi a bordo. Obbedì senza far storie. Ormai era pronta a tutto ed ero troppo stanza per mettermi a fare polemiche.
L’autista partì e durante il tragitto mi accorsi che qualcosa non andava:
 
“Mi scusi ma questa non è la strada che porta a Monmouth Street…Doveva girare due isolati fa!” feci notare prontamente all’autista
 
“Ma non è lì che stiamo andando signorina. Il signor Howard mi ha dato altre indicazioni.” Mi informò dell’improvviso cambio di programma del quale non ero a conoscenza
 
“E dove stiamo andando allora?”
 
“Mi dispiace ma questo non mi è permesso rivelarglielo…Ordini del signor Howard.”
 
“E perché mai?!?”
 
“Lui temeva che avrebbe chiesto di far fermare la macchina e scendere…”
 
“Certo, perché invece tenendomi nascosta la destinazione no eh?! Che genio…”
 
“Io faccio soltanto il mio lavoro signorina…”
 
“Ha ragione…Ma cosa ho fatto di male io per meritarmi tutto questo?!” ripetei a me stessa portandomi una mano alla fronte.
 
Sprofondai nel sedile dell’auto gettando la testa all’indietro ormai del tutto rassegnata. Cosa poteva succedermi di peggio arrivati a questo punto?!
Dopo un bel po’ di tempo l’auto finalmente di fermò: se il mio istinto non mi stava ingannando dovevamo essere non troppo lontani dal Tamigi.
L’autista accorse ad aprirmi lo sportello e finalmente fui libera di scendere. All’inizio fui un po’ spaesata ma poi a sentendo l’ambiente umido e il venticello che si faceva più forte e fresco capì che eravamo proprio vicino al Tamigi. Mi guardai intorno cercando di orientarmi quando vidi Dominic a pochi metri di distanza che mi faceva cenno con la mano di raggiungerlo.
Mi avvicinai senza indugiare troppo.
 
“Non c’era bisogno che mandassi una macchina a prendermi…” gli feci notare un po’ infastidita dal suo gesto.
 
“Mi seccava richiamarti per informarti del cambio di programma…” si giustificò come se nulla fosse. Mi fece strada indicandomi un pub che si trovava a ridosso del fiume.
 
Il biondo proseguì fino ad arrivare all’entrata del locale io invece esitai qualche istante ferma in mezzo alla strada prima di entrare.
 
“Che fai non vieni?! Guarda che non ho intenzione di mangiare te per cena!” ironizzò facendomi notare quanto fosse stupida ed inutile la mia presa di posizione visto che oramai ero a mezzo metro dall’entrata del locale. Non sarei dovuta scendere dall’auto se non avessi voluto andarci.
 
Sbuffai alzando gli occhi al cielo ormai del tutto rassegnata e mi decisi ad entrare. Il locale era pieno ed una giovane cameriera ci venne incontro e ci guidò ad un tavolo in un angolo del locale dove noi vi prendemmo posto. Fu Dom a chiedere un tavolo appartato per non dare troppo nell’occhio nel caso in cui ci fossero state delle fans nei dintorni.
 
La cameriera fu cordiale e gentile, anche un po’ gatta morta a giudicare da come lanciava sguardi languidi al batterista e lui di certo non le era indifferente. Probabilmente ci veniva spesso in questo posto e una delle tante volte in cui era venuto da solo doveva averla accompagnata a casa all’ora di chiusura. La cosa non mi meravigliava affatto.
La ragazza ci porse subito i due menù e dopo averci portato dei bicchieri d’acqua naturale con abbondante ghiaccio e tra uno sguardo languido e una risatina ebete al batterista disse che sarebbe tornata a breve per prendere le nostre ordinazioni.
Dom continuava a fissarla mentre si allontanava; probabilmente le stava guardando il sedere. Non mi meravigliai nemmeno di questo.
 
“Allora il mio soprabito?!” esordii immediatamente decidendo di ignorare le manie da pervertito del biondo. I miei interessi erano altri…
 
“Hai mai sentito parlare di un rapimento dove il rapitore consegna l’ostaggio prima di ricevere il riscatto?!” rispose a tono aprendo il menù e cominciando a sfogliarlo.
 
“Sai una cosa, mi sbagliavo…Tu non hai 12 anni, ne hai 5!” lo accusai visto il suo comportamento estremamente infantile.
 
“Appena compiuti!” esclamò alzando il capo e sorridendo proprio come un bambino di 5 anni “Suvvia, dai un’occhiata al menù e scegli cosa prendere…” disse poi tornando serio a sfogliare il menù.
 
Obbedii e mi misi comoda a sfogliare il menù. A pensarci bene non era stata poi una cattiva idea sostituire il caffè con una cena visto i lamenti provenienti dal mio stomaco ma detestavo ammetterlo perché temevo avrebbe cominciato a pavoneggiarsi.
Cominciai a scorrere i piatti sul menù mentre di tanto in tanto alzavo lo sguardo per sbirciare cosa stesse facendo. Temevo stesse complottando qualcosa e che di lì a poco ne avrebbe combinata un’altra delle sue tipo far entrare una torta gigante con su scritto “I’m sorry” a lettere cubitali.
Invece niente, se ne stava lì tranquillo a leggere il menù aggrottando di tanto in tanto le sopracciglia sulle pietanze che lo incuriosivano di più.
 
“Allora cosa volete ordinare?!” squillò la voce della giovane cameriera interrompendo i miei pensieri.
 
“Io prenderò del roast beef con contorno di funghi, patate al burro e della salsa a parte…” risposi chiudendo il menù e riconsegnandolo alla cameriera.
 
“Ermh…Anche per me la stessa cosa e da bere prendiamo due birre bionde medie, grazie Sammy!” intervenne Dom facendo gli occhi dolci alla cameriera che andò via con l’ordinazione più rossa in un peperone.
 
“Cavoli! Credevo fossi il tipo da un’insalata leggera con una fettina di pane integrale e invece…” ironizzò essendo rimasto sorpreso dalla mia ordinazione paragonabile a quella di un camionista obeso e sudaticcio.
 
“Non siamo tutte uguali noi donne caro Dominic…E poi ho fame! A pranzo ho mangiato solo un tramezzino al prosciutto…”
 
Sorrise guardandomi sognante mentre si sosteneva il mento con la mano. Arrossii improvvisamente presa da un lieve imbarazzo e chinai il capo fingendo di cercare qualcosa nella borsa. Quel delinquente se ne accorse e cominciò a ridere di sottecchi appoggiandosi allo schienale della sedia.
 
“Allora…Come è andata la tua giornata?!” domandò poi con molta nonchalance
 
“Come dici?! La mia giornata?!” esclamai rinvenendo dai meandri della mia borsa, alquanto sorpresa dalla sua domanda. Sul serio vuoi sapere come è andata la mia giornata, Dom?! Credevo avresti attaccato bottone con la storia della “sveltina in bagno”.
 
“Certo che voglio saperlo!” rispose come se avesse fatto la domanda più normale di questo mondo. Beh in effetti lo era…solo che non me la aspettavo da lui.
 
Rimasi in silenzio attonita, spiazzata si potrebbe dire. Non sapevo cosa rispondere. Mi ero fatta 1000 paranoie durante tutta la serata cercando di trovare una giustificazione al mio atteggiamento libidinoso di quella sera e lui se ne usciva con una banalissima domanda?!
Il batterista capì che mi trovavo in seria difficoltà e pensò bene di intervenire…
 
“Ascolta Julie…” si avvicinò poggiandosi con i gomiti sul tavolo e prendendo a guardarmi negli occhi “…Contrariamente a quanto tu possa pensare non ho nessuna intenzione di stare a torturarti per quella storia, davvero. E’ successo, punto. Ormai è acqua passata e non devi vergognartene più di tanto perché sono cose che possono capitare a tutti. Te lo dice uno che ha fatto cose peggiori di questa che nemmeno puoi immaginare!” disse con estrema dolcezza e comprensione, in modo quasi fraterno “…Se ho organizzato tutto questo stasera è perché volevo smettere di litigare visto che pare ci toccherà vederci più spesso ora che i nostri migliori amici si frequentano, giusto? Perciò puoi rilassarti…Tregua?!” concluse porgendomi la mano in attesa che gliela stringessi.
 
Fu davvero un discorso inaspettato che mi spiazzò ancora di più. Ed io che mi aspettavo con quella storia magari dicendomi quanto gli era piaciuto fare sesso con me e magari chiedendomi anche quando saremmo andati di nuovo a letto insieme e invece no: voleva semplicemente conversare e far pace in nome dell’amicizia tra lui e il suo migliore amico. Un po’ come per me nei riguardi di Alice.
Forse ero davvero stata un po’ troppo avventata nel giudicarlo come un cattivo ragazzo…
 
“Tregua…” risposi dopo qualche attimo di esitazione stringendogli la mano.
 
 
Le sorrisi compiaciuto “Allora che hai fatto di bello oggi?!” chiesi bevendo un sorso d’acqua. Improvvisamente mi si era seccata la gola.
 
“Vuoi dire oltre ad impazzire per colpa dei tuoi piani machiavellici?!” mi imitò bevendo un sorso d’acqua “…Ho lavorato…Sai molte donne a questo mondo lo fanno e anche tutti i giorni! Anche la cameriera e la commessa della lavanderia lavorano anche se sono delle pupe da urlo!”  rispose sarcastica come sempre. Eccola che ritornava sul piede di guerra…
 
“Come prego?!”  cosa diavolo voleva insinuare con quell’affermazione?
 
“Avanti lo sai benissimo, non fare il finto tonto…Le 50 sterline che hai dato alla ragazza della lavanderia…I tuoi occhi pazzamente innamorati dei seni prosperosi della cameriera…” continuò ammiccando e lasciando intendere chissà cosa.
 
Ah Julie, Julie quanto sei ingenua…Se proprio fuori strada! Ora ti sistemo io…
“Tu credi che io sia uno di quei tipi che in una donna guardano solo il culo e le tette vero?” beh ti informo che non è così, almeno non con te perché a me piacciono le donne con delle tette enormi!” le dissi per sfotterla imitando con le mani la forma di due seni enormi “…Tipo una quinta o giù di lì e se la mia esperienza, come la definiresti tu, non mi inganna tu sarai sì e no una terza, decisamente fuori dai miei standard!” conclusi la mia riflessione carica di ironia nel tentativo di farle capire che non ero il tipo di ragazzo che ci provava con tutte.
 
La vidi chinare il capo nascondendo il viso con una mano per poi cominciare a tremare.
Oddio, avevo dimenticato quanto potesse diventare irascibile, soprattutto se ero io ad aprir bocca. Sicuramente non aveva gradito la mia battuta e molto probabilmente mi sarei presto beccato un bicchiere sulla fronte più una serie di insulti…O forse no?!
Dalla bocca infatti cominciarono ad una uscire strani versi, simili ad un sibilo. D’un tratto sollevò il capo e fui colto di sorpresa.
Contrariamente all’idea che mi ero fatto qualche istante prima, lei stava ridendo; proprio così, stava ridendo e anche di gusto per giunta! Roba da pazzi.
Mi rilassai sollevato per aver risparmiato ulteriori danni al mio bel faccino, incredibilmente sollevato dalla sua strana reazione.
 
“Aaaahh allora sai ridere! Stavo cominciando a preoccuparmi seriamente…” esclamai fissandola sorridente.
 
“Devo ammettere che per quanto il tuo sarcasmo mi faccia uscire dai gangheri questa tua battuta mi ha fatto veramente divertire molto!” esclamò con mia grande gioia ancora tra le risate.

Ma quanto era bella quando rideva?!
 
“Mi sento molto sollevato!” le risposi sorridente “E comunque per la cronaca ho dato 50 sterline alla commessa della lavanderia perché tu avevi promesso alla proprietaria di pagare il triplo del prezzo normale e siccome avevano fatto un ottimo lavoro ho pensato di pagare un extra e per quanto riguarda la cameriera…ha solo 20 anni! Frequento spesso questo pub con Matt e gli altri e lei si è sempre mostrata molto gentile e carina. Ammetto che ci ha provato un paio di volte ma io l’ho sempre rifiutata…Non vado con le bambine in cerca di una scopata con una rockstar da raccontare alle amichette mentre sorseggiano the e pasticcini!” dissi tanto per precisare le cose. Non so perché lo feci, in fondo non dovevo di certo render conto a lei di tutte le scopate che mi facevo però ci tenevo a precisare le cose, a farle capire che non avevo solo una reputazione da Don Giovanni alle spalle. Dominic Howard era anche altro…
 
“Calma biondino, ne hai ancora di strada da fare prima di entrare nelle mie grazie!” disse ricomponendosi e bevendo un sorso d’acqua per calmarsi. Aveva ragione e ben presto avrei avuto modo di constatarlo di persona.
 
“E chi corre?! Non ho nessuna fretta io…” risposi con una punta di malizia. Ok ora stavo cominciando a flirtare. Dominic ma che ti prende?!
 
 
 
La nostra cena non tardò ad arrivare e io nel frattempo avevo scoperto quanto potesse essere piacevole chiacchierare con Dominic Howard, o quasi…
 
“Ma dimmi…Se poi riuscita a trovare qualcosa “di forte” dopo la sera della festa” chiese riferendosi alla breve discussione avuta sul divanetto di quel locale.
 
Eccola. La domanda sul sesso. Julie avevi dimenticato che gli uomini sono essere più elementari di quanto lo sembrino.
 
“Mi stai forse chiedendo se la tua prestazione è stata eccellente o meno?!”
 
“No scemina, parlavo in generale…Si capiva lontano un miglio che quella sera non avevi solo bisogno di far sesso…” disse in tono saccente mentre tagliava la carne
 
Quella sua affermazione mi spazzò completamente. Come cavolo aveva fatto a dedurre una cosa simile in così poco tempo passato insieme?” Cos’era forse un chiaroveggente o roba simile?!
Tornai a tagliare anch’io la carne nel mio piatto cercando di non apparire per niente turbata da ciò che aveva appena detto
 
“E che cosa te lo fa pensare?” chiesi indifferente bevendo un sorso di birra per dare sollievo alla mia gola improvvisamente secca. Ero proprio curiosa di sapere cosa si sarebbe inventato ora.
 
“Semplice…Gli occhi!” rispose mettendo in bocca un pezzo di carne
 
“Come prego?!” esclamai rischiando di strozzarmi con una pezzetto di carne
 
Bevvi ancora un sorso di birra per mandare del tutto giù il boccone nell’attesa di una sua risposta.
 
“Dicevo…Gli occhi…Cioè, il tuo corpo, le tue frasi, i tuoi atteggiamenti quella sera dicevano “Ho voglia di divertirmi, di fare pazzie!” ma il tuo sguardo, i tuoi occhi, sembravano chiedere disperatamente aiuto, come se volessi scappare da qualcosa che ti turba…qualcosa che ti rende inquieta, che ti fa anche soffrire molto probabilmente…Non è forse così?!”
 
Si fermò in silenzio a fissarmi. Sembrava stesse cercando conferma alle sue supposizioni nei mie occhi. E la cosa davvero sorprendente sapete qual era?! Che ci aveva azzeccato in tutto quello che aveva detto! Quel ragazzo cominciava a mettermi paura.
 
Abbassai lo sguardo sentendomi messa sotto esame da quei grandi occhioni grigi profondi come un oceano.
 
“Però ne hai di fantasia eh?!” risposi fingendomi indifferente mentre tagliavo nervosamente la carne nel mio piatto.
Distolse i suoi occhi dai miei facendo spallucce.
 
“Sarà…Ma in genere gli occhi non mentono mai ed io sono abbastanza bravo a leggerli.” rispose sicuro di sé
 
“E…E…E a te come è andata la giornata?!” chiesi impacciata tentando di cambiare discorso. Speravo avesse creduto alla mia recita.
 
“Mah tranquilla…Quando non siamo in tour c’è poco da fare ma non parliamo di queste cose noiose…Piuttosto, dimmi di te…Sei italiana vero?!”
 
Aveva abboccato. L’avevo scampata bella.
 
“Sì…Nord Italia…”
 
“E come ci sei finita a Londra?” chiese curioso
 
“Studio…Dopo la laurea ho trovato un lavoro e ho deciso di rimanerci…”
 
“Il fascino di Londra, posso capirlo…E i tuoi vivono sempre in Italia?!”
 
“Mio padre…Mia madre è morta…”
 
“Mi spiace…Non lo sapevo…” disse palesemente mortificato
 
“oh non preoccuparti…E’ stato molto tempo fa…Avevo 12 anni. Un cancro se l’è portata via nel giro di 1 anno…” risposi con un pizzico di malinconia
 
“Cavoli…Deve essere stato proprio un brutto colpo. Sai…Anch’io ho perso mio padre, è stato 8 anni fa. Era venuto ad un nostro concerto al Glastonbury Festival e subito dopo la fine ha avuto un infarto…E’ morto sul colpo senza nemmeno riuscire ad arrivare in ospedale…” disse incupendosi un po’. Il Dom allegro, sorridente e giocoso di qualche minuto prima era improvvisamente sparito. Evidentemente ricordare un evento simile doveva fargli ancora molto male.
 
“Mi spiace…Non deve essere stato molto facile per te…” ora ero io quella mortificata. A vederlo in quello stato mi si stringeva veramente il cuore.
 
“Il momento migliore della mia carriera fino a quella sera seguito dal momento peggiore di tutta la mia vita…Sono cose che inevitabilmente ti segnano…”
 
“…E solo…” mi venne spontaneo completare la sua frase lasciata in sospeso. Sapevo benissimo di cosa stesse parlando e soprattutto cosa stesse provando in quel momento.
 
Ci guardando reciprocamente dandoci un sorriso di conforto consapevoli di quello che l’altro stava provando in quel momento.
 
“Ma non credo sia il caso parlare di certe cose in un occasione del genere! Parliamo d’altro ti va?!” pensò bene di cacciare via quel clima cupo venutosi a creare.
 
“Sì decisamente!” acconsentì ansiosa di parlare d’altro.
 
Continuammo a chiacchierare del più e del meno per tutta la serata. In un paio d’ore scoprì che Dom aveva una passione per la musica sin da piccolo, amava fare snowboard nel tempo libero, sapeva come pilotare un elicottero e se mangiava qualsiasi tipo di cosa a base di mele si gonfiava come un pallone e la faccia cominciava a prudergli. Mi raccontò anche di quanto adorasse essere in tour perché oltre a suonare negli stadi più famosi del mondo, davanti a milioni di fans scatenati e adoranti, aveva anche la possibilità di visitare alcuni fra i posti più belli mai visti al mondo.
Io dal mio canto gli raccontai della mia passione per la lettura, per la scrittura e ovviamente per il mio lavoro. Gli raccontai di quanto anche a me piacesse viaggiare e visitare posti nuovi, mangiare cibi diversi e conoscere nuove culture. Non un solo accenno alla mia vita privata salvo per l fatto che ero figlia unica e che mi ero trasferita a Londra a metà dei miei studi; non mi andava di farlo, in fondo per me era uno sconosciuto di cui non mi fidavo molto. Lui invece mi raccontò praticamente ogni cosa della sua, di sua mamma, di sua sorella, di suo padre che aveva sempre preso come modello da imitare. Fu abbastanza discreto nel non forzarmi a parlare della mia famiglia e per questo gliene fui molto grata.
Ma parlando di cose serie e stupefacenti, sì stupefacenti perché non c’è un altro aggettivo più adatto di questo, contrariamente alle idee che mi ero fatta su di lui da quei pochi “scontri” nell’arco di pochi giorni, Dom sembrava essere davvero una brava persona, allegra, sorridente e addirittura la più calma che io abbia conosciuto in vita mia. Si può dire che avessi trovato piacevole trascorrere la serata con lui; era da tanto che non uscivo con qualcuno e non passavo una serata tranquilla in totale spensieratezza. Ero stata veramente una stupida a crearmi tante paranoie per nulla.
 
“Ma davvero non conoscevi i Muse?! Cioè non per peccare di superbia ma siamo molto conosciuti qui a Londra e nel resto del mondo come una delle migliori band inglesi in assoluto…” chiese imboccava la strada di casa mia non ancora rassegnato all’idea che non fossi una fan fanatica come la mia amica Alice.
 
“Beh è Alice quella fissata con voi, io ho solo sentito qualche vostro pezzo di tanto in tanto a casa sua oppure quando siamo in macchina…E poi onestamente non ho più molto tempo per la musica…” mi giustificai pensando a quanto avessi veramente dimenticato il significato della parola “musica” e tutto ciò che ne consegue. Proprio io che pochi anni prima amavo andare a concerti, festival musicali e rave party. Come cambiano le cose…
 
“Mmmhh…Questo non va bene! Dovremmo rimediare, innanzitutto al nostro prossimo concerto sarai in prima fila con la tua amica…” cominciò a progettare prendendo parecchio a cuore a mia situazione suscitando in me una risata
 
“Ok, ok ci sto…Ecco io abito qui…” gli dissi indicandogli il portoncino nero di casa mia.
 
“Carino…” giudicò dopo aver dato una sbirciatina intorno
 
“Già…E’ una zona molto tranquilla…Si sta bene tutto sommato…”
 
“Capisco…” annuì. Sembrava che ormai non sapessimo più cosa dire “Bene! Ora che la serata è volta al termine e ti ho riportata sana e salva a casa posso restituirti ciò che ti appartiene!” esclamò quasi euforico mentre scendeva dalla sua Audi.
 
“Oh che gioia immensa!!” esclamai ironica battendo appena le mani mentre scendevo anch’io dall’auto.
 
“Ti sei comportata da brava bambina e per questo meriti un premio!” esclamò aprendo il cofano e porgendomi una grossa scatola rettangolare sottile, azzurra con una nastro bianco ad abbellirla: sembrava essere un pacco regalo.
 
La fissai nelle sue mani per un istante “UN PONY??!!” chiesi in modo esuberante atteggiandomi come una bambina.
 
Dominic rise divertito dalla mia buffa performance
 
“Mi spiace ma li avevano finiti…Scherzi a parte, eccolo qui il tuo “preziosissimo trench di Burberry” come promesso…Lindo, profumato e stirato!” esclamò consegnandomi in mano il pacco.
 
“Wow! Altro che involucri di plastica trasparenti dati dalla lavanderia!” dissi apprezzando il modo con cui aveva deciso di restituirmi il soprabito. Era stato un gesta davvero molto carino da parte sua
 
“Mi piacciono le cose fatte bene…” rispose sorridente, un po’ imbarazzato infilandosi le mani nelle tasche.
 
Sorrisi nel vederlo in imbarazzo e chinai il capo per nascondere un lieve rossore sulle guance “Grazie, davvero e non solo per il soprabito, insomma…” trovai il coraggio di dirgli anche se colta da leggera balbuzie a causa dell’imbarazzo
 
“Avanti su, dillo…Dimmelo in faccia se ne hai davvero coraggio…” mi incoraggiò divertito e astuto sapendo oramai a cosa mi stessi riferendo
 
“E va bene…” sospirai alzando gli occhi al cielo rassegnata “Ok forse mi sono sbagliata sul tuo conto. Forse non sei poi così orribile come persona e sono stata bene con te stasera…Ecco, l’ho detto sei contento ora?! Il tuo ego si è ingigantito ancora di qualche centimetro?!”  lo presi in giro soprafatta dall’imbarazzo per avergli confessato una cosa del genere
 
“Diciamo solo che è una bella sensazione!” si pavoneggiò a testa alta gonfiando il petto “Scherzi a parte…Anch’io sono stato molto bene stasera e devo dire che non sei poi così bisbetica!” osservò facendosi serio ma senza mai togliersi quel sorriso beffardo dalla labbra
 
“Gne, gne!” gli feci il verso mostrandogli smorfia “Dimmi un po’…La prossima volta cosa ti inventerai per invitarmi di nuovo a cena?! Mi ruberai la macchina? Oppure prenderai in ostaggio il mio capo? O meglio ancora, rapirai me direttamente?! Svelami i tuoi piani Arsenio Lupin!”
 
“A dire il vero non ho assolutamente intenzione di dar nulla!” disse scrollando le spalle mentre richiudeva il cofano dell’auto
 
“Come sarebbe?” chiesi un po’ spiazzata. Dopo che aveva combinato tutto quel casino e mi aveva detto che gli piacevo come persona non aveva intenzione di rivedermi?
 
“Sarebbe quello che ho detto. Niente più giochetti simili. Non sono il tipo che vuole obbligare una tipa ad uscire. Se loro ne hanno voglia bene, se al contrario non ne hanno beh, pazienza!” rispose indifferente
 
“E quella di stasera come la chiami allora?!” gli feci notare
 
“Ti dovevo un favore! Non mi piace lasciare conti in sospeso e poi non volevo che tu continuassi a farti un’idea sbagliata sul mio conto. Mi pare di essere riuscito in tutto o no?!” rispose facendosi improvvisamente più distaccato. A che gioco stai giocando Howard?
 
“S-sì certo…” balbettai forse un po’ delusa da quella sua affermazione
 
“Bene!” esclamò sorridente e soddisfatto “Allora ci vediamo sabato sera a casa di Matt per la cena?!” mi chiese poi cambiando argomento come se nulla fosse
 
“Ermh…No non ci sarò…Torno in Italia per il compleanno di mio padre.” Risposi giocherellando con il nastro del pacco
 
“Ah…Ok…Ermh…Allora ci vediamo quando torni alla festa di compleanno di Matt?!” chiese indietreggiando verso lo sportello della sua Audi
 
“Certo non mancherò, buonanotte!” lo salutai con la mano accennandogli un sorriso.
 
“Notte…” fece altrettanto salendo in macchina
 
Rimasi a guardarlo mentre metteva in moto la sua auto sportiva e sfrecciava via sgommando appena con le ruote sull’asfalto. Mi salutò ancora una volta con la mano passandomi davanti.
 
Rimasi sola e in piedi sulla soglia di casa a fissarlo mentre andava via, con il pacco azzurro sempre tra le mani ed un milione di domande che come al solito mi frullavano per la testa.
E’ mai possibile che un ragazzo organizzi una simile messa in scena pur di rivederti per poi dirti a fine serata che non ha intenzione di chiederti ancora di uscire?
Oh andiamo Dominic sarai pure furbo e perspicace quanto vuoi ma sei pur sempre un maschietto e si sa che i maschietti sono una frana con i sentimenti, soprattutto quando si tratta di nasconderli.
 
 
******************************* contemporaneamente ***********************************
 
 
Continuai a guardarla dallo specchietto retrovisore mentre mi allontanavo da casa sua. Una cosa era certa: con le mie ultime parole l’avevo sicuramente lasciata di stucco visto che era rimasta immobile sul marciapiede a guardare la mia macchina allontanarsi.
Non fraintendetemi, le cose che le ho detto non sono vere o almeno non lo sono in parte: la mia intenzione era quella di lasciarla con l’amaro in bocca e a quanto pare ci ero riuscito perfettamente.
Dopo quella cena cominciavo davvero a provare un forte interesse per lei. Mi andava di rivederla e se avessi lasciato parlare il mio cuore al posto del mio cervello molto probabilmente non avrei perso tempo ad invitarla un’altra volta fuori a cena. Ma Julie era diversa dalle altre ragazze che ero abituato a frequentare, lei non aveva la minima idea di chi fosse veramente Dominic Howard, per lei ero un perfetto sconosciuto e questo mi piaceva perché forse avrei potuto costruire con lei un rapporto basato sulla spontaneità, distaccato da quella che era la mia fama e soprattutto il mio conto in banca! No, Julie non era decisamente quel tipo di donna, era troppo intelligente per esserlo. Avevo voglia di scoprirla a poco a poco ma senza bruciare le tappe. Volevo prima verificare se anche lei era interessata a me e per farlo decisi che il modo più appropriato fosse quello di “tirarsela un po’ ”. Sapere che non avrebbe partecipato alla cena a casa di Matt la sera successiva mi rattristò non poco ma avevo già in mente qualcosa che l’avrebbe aiutata a non dimenticasi di me durante tutto il week-end…
 
 
 
 
 
 
Il mattino seguente mi svegliai di buonora. Come al solito preparai il caffè e mi accoccolai comodamente sul divano per seguire il notiziario delle 8 alla tv.
Ero intenta a sorseggiare il mio caffè caldo ascoltando le ultime news dal mondo quando qualcuno suonò il campanello della porta.
Non avevo la minima idea di chi potesse essere a quell’ora del mattino. Sebastian era in Italia, Alice di solito chiama prima di venire, il postino viene sempre in tarda mattinata…Presa dalla curiosità mi alzai dal divano diretta alla porta per scoprire chi mai disturbasse a quell’ora.
Aprì la porta e mi ritrovai davanti un fattorino. Un fattorino alle 8 del mattino?! Che cosa strana…
 
“Buongiorno…Devo consegnare un pacco per Julianne Rinaldi” disse il fattorino con voce squillante
 
“Sì, sono io…” risposi ancora un po’ sorpresa
 
“Bene, firmi qui e qui…” disse porgendomi la penna e i figli dove firmare.
 
Quando terminai mi consegnò il pacco e dopo essersi congedato andò via in sella al suo motorino.
 
Rientrai in casa rigirandomi la busta imbottita fra le mani cercando di capire chi mai me l’avesse mandata.
Alla fine mi arresi e decisi di soddisfare le mie curiosità aprendola: dentro c’erano un iPod con attaccato un post-it con su scritto “Play me” e un bigliettino.
 
Aprì il bigliettino impaziente di sapere il mittente
 
 
 
“Voglio che in questi giorni che trascorrerai in Italia tu recuperi il tempo perduto con la musica! Ci sono alcune canzoni delle tue band preferite, alcune delle mie ed ovviamente ci sono anche quelle dei Muse!
Fa’ buon viaggio e divertiti, a presto!
 
P.S. L’ iPod puoi tenerlo.
 
                                                                                               Dom xx    “  
 
 
 
Non ci potevo credere. Mi scappò un sorriso non appena finì di leggere il suo messaggio. Quel pazzo aveva passato tutta la notte in piedi per caricare un sacco di musica sul suo iPod , per non parlare della consegna a tempo di record alle 8 del mattino! Questo mi faceva pensare che doveva avere delle ottime conoscenze anche all’ufficio postale.
E poi pensandoci bene non aveva forse detto che non avrebbe più tentato di perseguitarmi? Si può sapere che diamine ti frulla per la testa Howard?
Cominciai a pormi mille domande sul perché di tante attenzioni da parte sua anche se avevo già intuito qualcosa…Forse cominciavo a piacergli. Arrossii di colpo al solo pensiero di poter scatenare interesse in uno come Dom. Ah Julie andiamo!! Figurati se Dominic Howard prova un qualche interesse per una come te con tutte le strafighe che gli ronzano intorno e che può avere con un solo schiocco delle dita…Suvvia non essere tanto sciocca da perderti in certe fantasie e piuttosto pensa a cose più serie!
Abbandonai immediatamente quell’idea incredibilmente ridicola e surreale. Avevo altro a cui pensare: c’era una valigia da preparare e un volo per Milano che mi attendeva all’ora di pranzo. Il tanto temuto ritorno a casa per il compleanno di mio padre era ormai arrivato.
  
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