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Autore: EvyWeasley22    18/03/2012    1 recensioni
La missione dell'attrice Anne 'Annie' Evans è molto semplice: Lily, la sua amica più cara, con la quale convive a Londra da tre anni, è patologicamente e inevitabilmente ancora cotta e stracotta di Zayn Malik.
La 'Sacra Alleanza' da lei formata, composta da quattro soggetti uno più decerebrato dell'altro (conosciuti al pubblico come Horan, Payne, Styles e Tomlinson), vuole riportare la coppia, un tempo felice, sulla retta via, e ci riuscirebbe anche piuttosto in fretta, se non fosse per una ragazza fronscese dal cognome impronunciabile, una serie di atti di spionaggio volti solo alla formazione di un'altra impensabile coppia incasinata, e la piccola clausola che lega la vita di ogni personaggio dello Star System: "La privacy non esiste".
Dalla storia:
"Annie, insomma, segni che...? Sono segni, ok, abbiamo appurato che sono segni, perché queste cose... fuori dalla norma, capitano a tutti noi...sì. Va bene, mettiamo che sono segni, ok? Ma segni segnaletici che ci vogliono segnalare cosa? Qual è il punto?"
Harry, ti amo. No, sul serio. In questo momento gli costruirei un monumento. [...]
"Layn." dico semplicemente, cascando a sedere sul puff con un sospiro di sollievo.
I ragazzi mi fissano. Oggi, che incarno tutti gli ideali di stanchezza, schizofrenia, illuminazione, possibili e manifestabili su questa terra, loro decidono repentinamente di focalizzare la loro attenzione su di me.
"Lily e Zayn. Layn." ripeto, come se fosse la cosa più ovvia al mondo. [...]
"Ok, Ev." inizia Liam, alzando gli occhi dalle mie ciabatte, per arrivare al mio viso... eh no, non penso che lo descriverò. "A tutti noi mancano i pomeriggi passati insieme, quando quei due, invece che sbranarsi, si sbaciucchiavano. Ma non possiamo farci niente. Oramai è finita da due mesi e più."
Io mi metto le mani nei capelli, come a non voler sentir ragioni.
"Sì, sì che possiamo farci qualcosa! Possiamo dar loro una spintarella, prima che Zayn si trovi un'altra ragazza, e lo sapete meglio di me, che la sta cercando!"
[...]
Corruga un po' la fronte, socchiudendo le labbra, e quella sua mano si stringe ancora più audace sui miei fianchi. Io gli vado a un centimetro dal naso, per non dire altro, in quella che mi appare come la centesima volta, da quando ci siamo acquattati dietro a quel cespuglio. E basta, Evans. Smettila di pendere dalle sue labbra, gli stai per pestare un piede con un tacco dieci, se non ci presti attenzione. E fa male. Rischi di amputargli un alluce, così. E non è il modo migliore di iniziare una... relazione? E' questo che avevo intenzione di dire? Relazione?
Genere: Comico, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3. You've never met anyone as everything as I am, sometimes
"You've never met anyone as everything as I am, sometimes"

o

"Come Mademoiselle Des Bourgeois - Leclercq decise di scombussolare i piani della Sacra Alleanza"


"Come diavolo è successo?!"
Pazzesco come, solamente parlando di un problema, questo o si risolva parzialmente, o si ingigantisca senza minimo senso della misura. Come, per fare un esempio di vita quotidiana, se ci trovassimo davanti ad un triangolo rettangolo, di cui conosciamo solamente cateto minore e cateto maggiore, senza la congiungente: più ne parliamo, più facciamo supposizioni su come sia un problema impossibile da risolvere, più scivoliamo in ginocchio di fronte all'insegnante, strozzandolo con quella sua cravatta a pois, implorando una spiegazione vitale, che ci viene negata con un sadico "Dovete scoprirlo da soli", più il triangolo sembra impossibile da ricostruire. Al contrario, più  confidiamo nell'estro creativo dei nostri compagni di avventura, che riusciranno, sicuramente, a trovare una soluzione più originale del nostro totale abbandono, e, insieme a loro, ci inventiamo la regola del "moltiplica per due", ci avvicineremo alla soluzione. Una soluzione molto lontana, ma il piano d'attacco c'è.
Ed è oltremodo ancor più pazzesco come, una volta trovata questa perla di saggezza/ piano di battaglia/ soluzione - ognuno adotti il sostantivo che preferisce, purché riesca a vedere uno spiraglio di luce circa l'esito del problema - questa complichi ancora di più tutto. Non semplicemente il quesito, ma tutto tutto
Sarebbe come a spiegare, a semplicemente introdurre, "l'applicazione del teorema di Pitagora", che, certo, ti da la soluzione per trovare l'essenziale ipotenusa del triangolo rettangolo, senza la quale si andrebbe avanti a forza di opere incompiute, lo ammetto, ma che, in fondo, non fa altro che complicarti la vita, una volta che ne hai scoperto l'esistenza. "Come faccio ad applicarlo, quando è messo tutto storto?" "Ma a cosa mi serve risolverlo, questo affare?" così che, invece di rappresentare la bella soluzione, la via che ti salverà dall'esaurimento nervoso, ti porta direttamente, legato come un salame, in manicomio.
Certo, io la scuola l'ho lasciata da un pezzo, e di ipotenuse non ne ho mai incontrate, finora. Di solito, sul posto di lavoro, non mi metto a fare calcoli su calcoli, per trovare l'effettiva distanza che dovrò assumere rispetto al balcone, per baciare Romeo. Solitamente, non mi pongo nemmeno il problema, e lo bacio.
Ma qui non stiamo parlando del teorema di Pitagora, che, effettivamente, nella vita vera non serve a un accidente.
Qui parliamo di un problema generico, un problema che non riguarda la matematica - grazie a Dio -, un problema che, circa una settimana fa, mi stava creando dei problemi, e che ora, ora che siamo a un passo dall'attuare il procedimento di soluzione... me ne sta creando, o meglio: ce ne sta creando ancora di più.
Esatto: la missione suicida per salvare Layn, sulla base del mio Nirvana.
 

Sì, perché, una settimana fa, la mia vita era nel pallone, e la colpa era di Layn. La metropolitana di Londra, le quattro ore di cammino giornaliere, l'insonnia, il mio viso da zombie, le mie conseguenti performance fiacche sul palco. Un bel pacchetto completo, che, in qualche modo, dovevo cercare di risolvere. Dovevo trovare la pagina giusta del libro di geometria, per intenderci.
Beh, in ogni caso, dopo la disarmante illuminazione avuta l'altra notte - e che potremmo, sempre in senso metaforico, riassumere nella brillante idea di consultare l'indice -, le cose hanno preso una piega inaspettata, come se, il solo fatto di attivarci per salvare i nostri due ragazzi, avesse già di per sé influito sul moto di rivoluzione terrestre attorno al sole, così da allineare i pianeti un po' più decentemente, e far girare la fortuna a nostro favore.  
Infatti, la consapevolezza di aver, finalmente, convinto i guys a collaborare per il bene comune, mi ha portato a riscoprire un'innata fiducia nelle mie capacità, così da aver "bruciato quel palco" - parole esatte del mio direttore artistico, quel celebroleso di Dylan, prima che, saltellando su un piede solo, aggiungesse alla già di per sé insopportabile farina, un chilo di schiuma dell'estintore -, passato i controlli di sicurezza della metropolitana senza collassare, aver chiesto, così, tanto per sfizio, un passaggio ad R.J., essere stata invitata da lui a uscire a cena, questa settimana, e, ultimo, ma non per importanza, aver dormito. Non importa il come, né il dove, né il quando. Intanto, il mio viso è descrivibile e apprezzabile, senza la necessità impellente di un paio di occhiali da sole e una rivista di moda, con cui rifarsi i bulbi oculari. I miei capelli castano chiaro hanno smesso di sfibrarsi e assottigliarsi, così da evitarmi l'utilizzo di puzzolenti shampoo per uomini con problemi di calvizia precoce; i miei occhi marroni e penetranti - così li ha teneramente definiti R.J. - non sono più contornati da armadi a due ante sotto gli occhi; il mio sorriso è tornato smagliante, il mio fisico, tonico; il mio naso è rimasto lo stesso, ma, nell'insieme, ci sta bene aggiungere anche questo infimo particolare.
E tutto questo perché, nell'arco della settimana, ho realmente compreso il significato delle parole che compongono l'aforisma:"aiutando il prossimo, aiuti, in primis, te stesso."
Si, le ho comprese, vedendone, e sperimentandone in prima persona, i risultati. E non c'è molto da dire, se non che sono sagge. E che, per forza di cose, deve averle dette qualcuno di molto saggio, che doveva essere riuscito a decifrare e applicare la formula del quadrato del cateto, per la radice quadrata dello zio del nipote di mio padre, ottenendo dei buoni risultati. Dei saggi risultati. 
   

E qui torniamo alla considerazione di partenza, il cui fondo di verità si basa tutto su questo "affrontare il problema, parlarne, perché si ha una nobile causa da difendere."
"Pazzesco come, solamente parlando di un problema, questo o si risolva parzialmente, o si ingigantisca senza minimo senso della misura."
Oh, si. Pazzesco.      
Pazzesco come, la volta buona che ti ritrovi a un passo dal spiccare il volo per la gioia, la felicità di aver quasi trovato l'ipotenusa, tu scopra che il tuo obbiettivo era la ricerca di un cateto, che tutto quello che hai fatto finora è stato vano, che, in un triangolo - amoroso e non - che si rispetti, ci sono tre parti.

Bene. E allora dov'è la terza?


Stanotte, non mi è concesso sapere come, ho dormito sette ore e cinquantasei minuti, ininterrotte, o meglio, sì: interrotte. Una telefonata, alle cinque del mattino, durata all'incirca quattro minuti, che mi ha fatto sentire, non saprei, un misto tra "Una veggente all'ennesima potenza" e "Un carciofo".
Eccola, la terza.
Ho aperto gli occhi, sperando, per una volta, che fossero ancora le dieci di sera, e che mi ritrovassi punto e a capo nella situazione di una settimana prima: l'insonnia.
Sì, ti prego, fa che sia l'insonnia, che lo squillo del mio telefono coincida con un orario normale, che non stia per interrompere le sei ore di sonno continue migliori della mia vita. 
Ma, ovviamente, era chiedere troppo.  
Per la seconda volta, questo mese, le prove sono state ritardate di un'ora, per affari burocratici che non mi riguardano - e di cui non mi interessa un accidente -, così che, dopo un altro trenino di festeggiamenti, mi sono diretta a casa, ho lanciato le scarpe contro il muro, fatto una doccia, infilato il pigiama in flanella di Hello Kitty, e mi sono lanciata sotto le lenzuola, con un solo proposito: dormire.
E dire, che ce l'avevo quasi fatta!
Ad eccezione del momento di panico in cui mi sono fiondata in bagno a sciacquarmi la faccia, in seguito ad un appassionato scambio di battute con mio marito George Clooney, di fronte alla mia ex - fiamma Sean Connery, posso tranquillamente dire che, questa, è stata di gran lunga una nottata di sonno piacevole. Ovviamente, tutto questo era affermabile alle quattro e cinquantanove, poiché alle cinque - spaccato il minuto, e non solo - il mio IPhone ha preso a vibrare come un ossesso sul comodino, interrompendo l'idilliaco momento.     
Ho afferrato il telefono con poca convinzione, maledicendo a bassa voce chiunque stesse usufruendo del proprio cellulare per chiamarmi, e risposto.
"Hello?" ho mormorato, la voce impastata dal sonno.
"Ev! Catastrofe!" mi sono sentita trillare nelle orecchie, da una voce fin troppo familiare.
Ho alzato gli occhi al cielo, invocando la mia schiera preferita di santi, e mi sono tirata su a sedere, prendendomi il viso tra le mani.
"Oh. Louis. Sei tu."
"Ev, non hai idea di quello che è appena successo...!"
Dimmi che non è una cosa stupida, dimmi che non è una cosa stupida, dimmi che non è una cosa stupida...
"Cosa?" ho domandato, sbadigliando.
Non l'avessi mai chiesto.
Non avessi mai chiesto al mio compagno di banco la spiegazione riguardo il "Teorema di Pitagora".
Lui ha cominciato a parlare concitato, senza nemmeno fare una pausa. Ad ogni parola, riceveva miei versi di assenso, che lo incitavano a proseguire. Stavo seguendo, sul serio, anche se tra le braccia di George, e dovevo, perché l'argomento era di mia assoluta competenza.
"E quindi?" ricordo di aver sbottato alla fine del discorso, in iperventilazione, cercando di farmi riassumere gli eventi narrati in quei tre minuti, in una sola parola. 
Louis è rimasto zitto, come a pensarci un po', o come a ponderare bene cosa dire. Alla fine, allo scadere dei quattro minuti, prima di riattaccare teatralmente, ha sussurrato la parola che, noi, personaggi dello Star System Britannico, conosciamo e temiamo più di ogni altra cosa. "The Sun."

"The Sun."
 
Mi sono ritrovata a bocca aperta, con il telefono stretto convulsamente in una mano, e i sudori freddi lungo la schiena, non sapendo se mettermi a ridere e darmi il cinque da sola, per essere riuscita, comunque, a dormire una buona parte della notte, o cominciare ad attivarmi, già di prima mattina, e rubare tutti i "The Sun" d'Inghilterra, così che la mia lovely Lily non riuscisse a leggerne nemmeno uno.
Oh sì, perché "The Sun" non è la stella, punto focale del nostro Sistema Solare. No, "The Sun" è molto peggio. "The Sun" è la complicazione di tutto tutto, che arreca con sé l'apparente soluzione. 
E' un quotidiano, un tabloid: per intenderci, uno di quei giornaletti inglesi, che, senza alcun ritegno, né scopo preciso, è in grado di metterti, nella medesima prima pagina, fatti di cronaca nera agghiacciante - Hanno ucciso l'uomo ragno, chi sia stato non si sa! -, accostati all'improvviso interesse di Brad Pitt per le camicie in flanella.
E rappresenta, di per sé, un problema... e di dimensioni ciclopiche, aggiungerei. Proromperei con una frase della serie "Questo sembra proprio un caso da risolvere per Annie Evans!" ma non ne ho la forza, nemmeno la motivazione. Crollo soltanto sul cuscino, per godermi quelle che sembrano essere le mie ultime ore di sonno.
Ma cosa non si fa, per il trionfo dell'amore?
Non si vive, ecco cosa non si fa.

Sistemo con meticolosa attenzione le fette di pane sul vassoio, ben attenta a ogni mossa, mentre verso il tea nella sua tazza preferita. Sono già vestita e pronta per uscire, la borsa a tracolla appoggiata su quella che, una volta, doveva ricordare una sedia, e che ora, invece, ha assunto la pratica funzione di attaccapanni. Fuori - stranamente - il cielo è ricoperto da un fine strato di nubi, e il freddo pungente di Londra sembra già farsi sentire, a questa prima vista. Mi sistemo meglio il maglione arancione che ho deciso di indossare, forse per portare un po' di calore, lisciandomelo con le mani pallide. A cose normali, penserei che ho bisogno di prendere un po' di sole, ma no... oggi, al sole, non voglio minimamente pensare. Sto per entrare in scena, sollevando il vassoietto in legno con entrambe le mani, che sì, stanno benissimo cadaveriche così come sono, e muovendomi con circospezione per il corridoio. Ci siamo: la prima porta a destra è quella giusta. Prima di mettere su un'espressione da artista circense, e bussare rumorosamente contro lo stipite in legno - è nostro rituale, oramai, darci la buonanotte e il buongiorno fratturandoci il polso -, controllo frettolosamente la schermata del cellulare, sospirando. A parte un tenero "Buongiorno, Ann." da parte di R.J., la mia attenzione si sofferma sullo scattare dei minuti, dei secondi. Tra molto poco, dovrei ricevere un segnale da parte di quel babbuino celebroleso - senza offesa, o forse sì - del mio migliore amico, che mi avverte di poter dare inizio alla missione.
Oh sì, avete capito bene. Abbiamo una "missione". Sì, so che ce l'avevamo già, e questa "missione" era il salvataggio - in estremis - di Layn. Ma ora ne abbiamo un'altra. Una missione nella missione. Una missione nella missione piuttosto arrangiata, architettata alle sei del mattino via sms, e nemmeno così definita nei particolari. Ma è sempre una missione.
Mi sento, non saprei, molto Bond Girl nel mio maglione arancione, i capelli castani raccolti in una crocchia scomposta, e i miei occhiali da Clark Kent, che vanno tanto forte, quest'anno. Pensa! Anche Zayn ce li ha. Ed è il motivo per cui, stamattina, sto cercando di non ammattire.
Il mio IPhone vibra, facendomi quasi perdere l'equilibrio e rovesciare la mia preziosa opera di bene. "Ok, Ev." leggo di fretta, annuendo. Niall James Horan, un uomo che verrà sempre ricordato per la sua dialettica.
Sospiro, fissando con assiduo interesse le venature della porta in legno. Il mio viso, contratto in una smorfia concentrata, cambia radicalmente: metto su un sorriso serafico, alzando le sopracciglia, come a sottolineare tutta la mia felicità improvvisa, evviva. Senza neanche pormi il problema di staccarmi il polso dall'omero bussando, apro la porta con un colpo secco, mi dirigo scattante verso l'ampia porta - finestra, spalanco le tende, lasciando entrare l'eterea luce grigiastra del mattino, e esclamando, con tutta la serenità di questo mondo, "Buongiorno, dolcezza!"
Lily, tutt'uno con le lenzuola, riscuote lentamente la testa di capelli rossi - oggi abbastanza scoloriti, tendenti all'arancione del mio maglione - e, semplicemente, mi guarda sorridendo, stiracchiandosi un po' e mettendosi a sedere. Appena nota il vassoio, alza le sopracciglia colpita, dando in una risata. Deve essere il mio aspetto da Robin Hood della Disney, con tutto questo arancione volpe addosso, o la mia improvvisa carità, che non fa che accentuare ancor più la mia somiglianza con Robin Hood della Disney, ma Lily non riesce a trattenersi, e ride. "Oh, ma grazie!" esclama, stropicciandosi gli occhi. "Prego!" mormoro, mentre poggio il vassoietto sul comodino - chissà perché il suo non sembra maledettamente distante quanto il mio - e mi siedo accanto a lei. Continuo a sorridere, impiegando ogni muscolo del mio viso in una contrazione feroce, per mantenere questa mia espressione inebetita.
Lily mi guarda maliziosa, mentre, rapida, scosta le labbra dalla tazza del tea.   
"Qualcuno ha fatto qualcosa, l'altra sera, di cui dovrei essere informata? Qualcosa che ha reso questo qualcuno particolarmente socievole e aperto al dialogo?"
Allude, corrugando le labbra in un'espressione curiosa e alzando un sopracciglio, alle mie sempre più frequenti conversazioni telefoniche con R.J., che, tra l'altro, dovrei riuscire a vedere ufficialmente questo week - end, come primo appuntamento. Non che ieri abbia fatto conversazioni più di tanto interessanti - se si esclude il circolo vizioso in cui Louis mi ha trascinato stamattina - conversazioni che mi abbiano trasmesso un innato buonumore, o un senso di amore fraterno verso la mia coinquilina. Ma, essendo un agente segreto sotto copertura,"Qualcuno ha fatto qualcosa, l'altra sera!" mormoro tra i denti, sventolandole il cellulare davanti al naso, aperto alla conversazione con R.J., che, spero, non desideri leggere sul serio, perché non si potrebbe veramente considerare "qualcosa" un semplice "Ciao, come stai?" "Bene, e tu?" "Bene." "Ok."   
Lily sorride, mescolando il suo tea con gesti lenti e circolari, che mi stanno, gradualmente, mandando fuori di testa. E' inutile, questa missione è inutile, come è inutile che cerchi di tenerla lontana da ogni giornale di gossip del pianeta! Prima o poi, incapperà in una folata di vento, che le piazzerà, in pieno viso, la notizia del giorno, l'esclusiva di "The Sun." 
Qualcuno ha effettivamente fatto qualcosa, l'altra sera.
Ma, quel qualcuno, non sono io.
Mi capacito solo adesso, guardando la mia immagine riflessa negli occhi scuri di Lily, che ho assunto un cipiglio incupito, e le mie labbra, il cui unico e doveroso compito è quello di rimanere contratte in un'espressione felice, si sono repentinamente incurvate verso il basso, così che, se prima apparivo ebete ed elettrizzata per una conversazione di appena poche parole con un random boy londinese, adesso sembro depressa. E questo non va bene, perché lo scopo della mia missione è rimanere "gioviale e indifferente alle ultime notizie in campo di gossip", come era nei piani. Dando in un altro scatto di repentina ilarità, - grazie a Dio ho interpretato l'Amleto, e so gestire gli improvvisi sbalzi di umore di quella pazza di Ophelia - mi sporgo di più verso la mia amica, prorompendo con un acuto "Usciamo sabato, come appuntamento ufficiale!"
Lily per poco non si strozza con il tea bollente, nel vano tentativo di esclamare un "Davvero?!" sinceramente colpito. Io batto le mani, esageratamente, così da sembrare una scimmia impazzita, che prima era depressa, che prima ancora era ilare. Sono decisamente troppo "gioviale" e "indifferente alle notizie in campo di gossip", quindi, in tutta sincerità, è meglio se mi dileguo abbastanza velocemente, prima che la mia lovely Lily si accorga che sto cercando disperatamente di nasconderle qualcosa.
Mi alzo, sorridendo, e lisciandomi il maglione con le dita affusolate e pallide - ma è un pallido giusto, un pallido signorile -, prima di affermare, sbuffando, un flebile "Beh, devo andare alle prove. Juliet non può mica suicidarsi da sola..."
Lily annuisce, soffocando una risatina. "E 'Richard Judd' non può certo tornare a casa da solo..."
Sospiro, afferrando da una sedia uno dei suoi tanti maglioncini, e lanciandoglielo in testa. "R.J. suona decisamente meglio."
"Indubbiamente, Signora Palmer." mi fa eco, ridendo.
Io annuisco, sbuffando divertita e bloccandomi sulla soglia della camera. "Ah, Lily..." inizio, balbettando. Quella che sto per dire, suonerà veramente tanto come una castoneria, più che un modo cordiale per dissuaderla dall'uscire di casa, e il conseguente incappare nel gossip più recente. Non per nulla, mi è stata suggerita da un certo biondo che, di castronerie, se ne intende. "Non hai una bella cera, oggi... è meglio se resti in casa, fuori fa un freddo cane."
"Ma io mi sento bene!" esclama, mangiucchiando appena una fetta di pane.
Deglutisco. "A-appunto." mormoro, voltando il capo verso di lei. "Meglio prevenire, che curare, no?"
Lei strabuzza gli occhi, alzando le spalle. "Immagino di sì..."
"Bene!" esclamo, sfoderando uno sguardo sinceramente preoccupato "Allora stai a casa, non uscire, non accendere la TV, non leggere news su Yahoo, non rispondere a nessuna chiamata, messaggio, e - mail, citofono, qualunque cosa! Relax, take it easy!" trillo, avvicinandomi a lei, e sistemandola sotto le coperte. "Oh, e soprattutto: niente giornali, che poi ti fanno venire mal di testa!"  
"Annie, ma tu, invece, ti senti bene? Da quando R.J. ti ha chiesto di uscire, hai ritrovato un innato istinto materno..." borbotta, fissandomi come, non saprei, allibita.
Beh, normale, visto che le ho a malapena consentito di respirare, per una ragione a lei - ma anche a me, non credete - ignota.   
"Deve essere quello..." dico tra i denti, mentre, afferrata la borsa a tracolla, mi dileguo verso le scale.            

"Va bene tutto, ma, adesso, esigo una spiegazione."  
Solitamente, vanto un temperamento eccezionale. Non sarebbe nemmeno la prima volta che qualcuno mi volge una serie di complimenti, per questa mia innata e spiccata capacità di sopportazione. Perché sì, sin da quando ero bambina, ho sempre accettato, sopportato, metabolizzato ogni qualsiasi situazione mi si ponesse davanti, senza fiatare, o fiatando, ma solo per sussurrare un flebile "Fa niente". Ma oggi, beh... oggi no. Non sono né in vena, né in arteria, né in alveolo polmonare, di sopportare.
Per la seconda volta, in due settimane, mi ritrovo a sbraitare come un'ossessa di fronte a quella banda di idioti, celebrolesi, decerebrati, dementi, babbuini, e tanti altri simpatici appellativi che, per buona educazione, non intendo menzionare, dei miei migliori amici, predicando il sacro verbo del "Layn" che, in parte, si degnano di ascoltare e in parte no, troppo impegnati a scambiarsi occhiate fugaci sul mio stato di salute. Perché, no, mio Dio, io non sto bene, non dopo quello che Louis "cervello - pari - a - un - frammento - di - nocciolina" Tomlinson mi ha trillato nelle orecchie stanotte, non dopo quello che i miei occhi hanno visto.     
Stringo convulsamente in mano uno dei centottantasei quotidiani che ho comprato stamattina, praticamente svaligiando il newsagent's sotto casa mia, giusto per evitare che Lily, nel caso - ragionevolmente - non segua il consiglio - diavoleria che le ho propinato come scusa, non trovi, casualmente, la foto del suo ex fidanzato - provvisto di occhiali, e non di un paio qualunque - sulla prima pagina di tutti i giornali, mano nella mano con una simpatica biondina slavata, attorniato da una serie di scritte, quali "Esplosione centrale nucleare in Guatemala: i risvolti" e "La nuova fiamma del rubacuori Zayn Malik: sarà in grado, già in così poco tempo, di rimpiazzare la famigerata ex storica Lily Ellis?".
Questa, questa era la mia missione nella missione; questo era il motivo, l'unico e solo, del mio comportamento ilare, delle mie risposte evasive, delle chiacchiere in cui Louis mi aveva trascinato alle cinque del mattino. Chiamatela "addolcire la pillola", "occultare le prove" o, più semplicemente, "masochismo estremo", ma la mia missione non era nulla di più differente. Eclissare le foto - nella missione -"esclusive" dei paparazzi di "The Sun." e quelle testate che, lo sapevo perfettamente, avrebbero spezzato il cuoricino della mia piccola El.
Fatto sta che la mia missione era - e rimane - vana. Sì, perché, come ho già ribadito milioni di volte, in questo momento di dubbia lucidità mentale, questa "tipa bionda super faiga" non è altro che l'insorgere del problema immediatamente successivo alla conoscenza del Teorema di Pitagora. Una missione, una mini missione, nell'effettiva missione.
Solo che, per ovvietà di cose, se c'è lei di mezzo, la missione vera non può aver luogo. E, in una squadra che si rispetti, questo genere di spiacevoli inconvenienti si cercano di evitare. E noi, in teoria, siamo una squadra, anzi! Una "Sacra Alleanza".

E allora, con tutta la delicatezza che il buon Dio mi ha fornito, prorompo con un sonoro "Come diavolo è successo? E soprattutto, come avete potuto permettere che succedesse?"
I ragazzi si scambiano occhiate dure, come a cercare di "auto distruggersi" con lo sguardo, e risparmiarsi questa pena. Harry scuote la testa, in parte concorde, posandomi di sfuggita una mano sulla schiena, mentre - stranamente - tenta di dileguarsi dalla mia furia omicida. 
Liam si fa avanti, guardandomi negli occhi scuri, così simili ai suoi. Mi prende per i fianchi, cercando di cingermi in un abbraccio, come a dire "Ti capisco, è tua amica, e ci stai mettendo l'anima, in questa... questa cosa.", ma io mi divincolo subito, picchiandolo furiosamente con il giornale.
"Liam, fammi il piacere! Vi ho lasciato un compito! Uno!" sbraito, malmenandolo violentemente, sotto lo sguardo divertito e spaventato di Niall e Louis.
Ovviamente, tutti i presenti sanno a cosa alludo, quando parlo di quel semplice compito. Sarò anche fissata, nevrotica, psicopatica, intenta a molestare una persona con un giornale - il che dovrebbe già chiarire il mio livello di sanità mentale - ma sono davvero convinta, di questo. Quando la sessiona si è sciolta, una settimana fa, eravamo tutti - o quasi, mi ripeto in testa, mentre affondo un altro colpo di giornale sul collo di Liam - concordi nel dire che, quegli occhiali, sarebbero stati il nostro primo obbiettivo.
"Farli sparire", "Dar loro fuoco", "Farli cadere accidentalmente". Qualunque cosa, davvero. Anche affidarli a Babbo Natale, o a qualche ente benefico: l'importante era che non li indossasse, o, perlomeno, non fuori di casa.
Perché è clinicamente confermato anche dai ricercatori Pampers, quanto Zayn Malik con gli occhiali sia terribilmente irresistibile. E a noi, in questo momento, non serve uno Zayn destabilizzante, con quel suo sex appeal da intellettuale casual.        
"Ev, non ci vedeva, ne aveva bisogno!" prova a difendersi lui, bloccandomi per i polsi, le braccia, la schiena, le gambe. Ma niente. Le mie mosse arrangiate da scimmia radioattiva sono più potenti, e riescono a colpirlo a raffica in punti delicati.
Mi sta implorando; Liam Payne sta implorando Annie Evans di risparmiarlo, di non recidergli con un taglio netto la cosa a cui tiene di più, e che - maliziosi - sono le corde vocali. In questo momento, più che l'innocente e indifesa Juliet, mi sento tanto Sandokan. Povero Liam, lo sto conciando male, anche se solo con la mia "misera arma a doppio taglio", lasciandolo raggomitolarsi sul pavimento del suo salotto, con le mani in testa, esasperato.
Ma quegli occhiali erano la chiave! Facendo così, non ha fatto altro che consegnarla nelle mani di... di, effettivamente, non so come si chiama. Ma questo ha relativa importanza: che abbia un nome, o un altro, rimane comunque un problema.
Liam potrebbe mettersi a piangere da un momento all'altro, eppure, affetta da una strana forma di "sadismo ossessivo compulsivo", io non smetto di malmenarlo. Mi sento afferrare da dietro da un paio di braccia forti, che cerco di annientare con una solita mossa "fai - da - te", senza successo. "Evans, piccola! Calmati!" sbotta Louis, lasciandomi dalla morsa delle sue braccia solo pochi metri più in là, come a dare il tempo materiale al povero Liam - perché, lo riconosco, lui stava solo cercando di abbracciarmi, e io l'ho aggredito stile "Venerdì 13" - di rialzarsi e prepararsi al combattimento.
"Liam!" sbraito, stringendo le nocche delle dita. Lo riconosco, è vero, ma ciò non significa che io debba smetterla di "punirlo" per il suo "buon cuore". "Chi glieli ha dati gli occhiali?"
"Se dico che sono stato io..." inizia, indietreggiando "...riceverò altre giornalate e minacce?"
"Può darsi!" borbotto, rilanciandomi all'attacco. Niall riesce prontamente a mettersi tra noi due, dando in un flebile "No!" di rassegnazione, mentre Louis, ormai quasi automaticamente, mi cinge tra le sue braccia e mi tira indietro.  
Harry assiste alla scena impassibile, appoggiato comodamente al ripiano della cucina, una mela pigramente portata alle labbra.                 
"Se posso intromettermi" inizia, quasi sbadigliando, richiamandomi dal mio stato di attrice pacifista posseduta dal demonio "non credo che un paio di occhiali facciano la differenza."
Louis mi molla di colpo, pur consapevole della furia omicida che mi scorre tra le vene. Mi affaccio al ripiano che, dalla cucina, da sul salotto di casa Payne, trovandomi volontariamente a un centimetro dal naso di Harry, un'espressione sconcertata a incorniciarmi il volto. 
"Ma tu, Hazza, sei un uomo, ovvio che non vedi la differenza!" sbotto, staccando, con un fugace morso, parte della mela. E' buona, lo devo ammettere, anche se miravo alle sue dita.
Comincio a camminare per la stanza, masticando lentamente e svogliatamente. Qualunque sia il suo nome, qualunque nome adorabile, dolce, delicato o da camionista che sia, questa bionda pulzella dai facili costumi possieda, deve avere un buon occhio, per i pesci da far abboccare all'amo
"Ovvio che non noti come quegli occhiali lo rendano... non saprei, 'attizzante fino allo svenimento' non mi sembra sufficiente!" prorompo, sedendomi di schianto sul pavimento, un'espressione assente sul volto.
Se questi quattro ragazzi - gli aggettivi più infimi di questo mondo sono a vostra più completa disposizione - non mi conoscessero più di me stessa, direi che, a questo punto e a cose normali, sarebbe il caso di chiamare la polizia e farmi arrestare, con le accuse di "Violenza domestica", "schiamazzi notturni" e chi più ne ha, più ne metta. Scommetto che Liam, il povero Liam che ora mi fissa inebetito, ne ha a bizzeffe, nascoste dentro una cassetta dei suggerimenti fai - da - te, ma ha troppa paura che io gli recida le corde vocali nel sonno con uno dei miei centottantasei giornali, per spedirla al "Telefono Azzurro".
Niall ride, come tranquillizzato dalla mia "posizione da piccolo Buddha meditante", e Louis lo segue a ruota, con quella sua risata maliziosa, una di quelle che usa quando intende tirare una frecciatina.          
"Attenzione: a questo punto mi preoccuperei più di te, che di Mademoiselle Des Bourgeois - Leclercq!" borbotta, cingendomi da dietro e stampandomi un rumoroso bacio sulla guancia.
Io divento viola. Essere accostata a quella specie di... oh, aspetta! Adesso so il suo nome! E non mi piace, non mi piace per niente. Francese, con tutti quegli "Uh - la la!", "Mon Dieu!" "Bien, bien. Allez, allez".       
"Louis." inizio, alzando un sopracciglio, e parlando con uno strano accento fronscese, che non ricordavo assolutamente di avere. "Ti do venti secondi per dileguarti, prima che ti strozzi con quelle tue bretelle da nonno incontinente." sibilo, alzandomi di scatto e aspettando il suo incedere verso le scale. Lui corruga la fronte, mettendo su un faccino da cane bastonato. Ma che mi prende? Ho appena insultato le "bretelle"... Questa storia mi sta trasformando in un mostro senza ritegno. Mi mordo il labbro inferiore, sorridendo flebilmente. "No, dai, facciamo quaranta. Prima spiegami un po' chi è questa Mademoiselle Des Champagne - Leroy Merlin...no, non era così... Des Champignon... vabbè, lei."
Louis si volta, fingendosi offeso, ma tutti noi riusciamo a scorgere quel suo accenno di risata che accompagna un'uscita melodrammatica. 
"E perché dovrei farlo, adesso? Hai infangato il mio onore!"
Di fatti.
"Perché, ti ricordo, ho ancora centottantacinque giornali, su quel tavolino, che aspettano solo di essere usati." mormoro, incrociando le braccia.
Tommo mi sorride sprezzante, posandomi una mano sulla spalla, quasi per compassione.   "La nostra piccola Evans aggressiva..."
"Il nostro piccolo Tomlinson deficiente..."
I ragazzi ridono, tirando un sospiro di sollievo: la furia omicida sembra essere scemata. Perfino Liam si tranquillizza, ridendo istericamente mentre si gratta il capo. 
"Ok" inizia Louis, sospirando. "Non sapevo molto su di lei, Zayn mi ha accennato qualcosa di sfuggita, ma mi sono fatto una piccola cultura su 'The Sun'. Allora, si chiama Hannah, il cognome l'ho già dimenticato, è bionda, è alta, è molto..."
"Risparmiaci le considerazioni personali."
"... stavo per dire 'francese', prima che mi interrompessi! E, se dovessi basarmi su quello che c'era scritto..." fa una piccola pausa, guardandomi sconsolato "...caratterialmente è l'esatto contrario di Lily."
Ottimo. Non so bene se gioire, perché cercando l'opposto di El, dimostra di pensarci almeno un briciolo, o se decidere repentinamente di mettermi le mani nei capelli, e buttarmi melodrammaticamente sul pavimento, perché, sempre il medesimo motivo, potrebbe portarmi a dedurre che la voglia dimenticare. E se la vuole dimenticare, vuol dire che è - e rimane - molto importante. E questo è un bene, fin qui siamo d'accordo. Ma c'è Mademoiselle Des Baguette - Omelette au Fromage, o come diamine si chiama, di mezzo, che sembra, non saprei, una specie di "dea greca" scesa in Terra. E potrebbe essere un metodo efficace per dimenticarla. E questo è un male.
Scuoto il capo, schioccando la lingua sul palato.

"Beh... grazie, guys. Scusa, Liam, se ti ho malmenato con 'The Sun', ero fuori di me... Ci risentiamo, devo correre a casa."

Il fatto che stia vagando per le strade di Londra, nell'oscurità della sera, con un viso da funerale, non mi si addice, e non ha nemmeno uno straccio di senso compiuto.
Non sono io l'ex di Zayn, nemmeno mi piace
- se non da un punto di vista "amichevole" -, non ho mai avuto alcun "istinto naturale" piuttosto forte verso di lui. Non ho niente a che fare con questa storia, non dovrei nemmeno preoccuparmene, se non stessimo parlando della mia lovely Lily. La conosco da quando eravamo bambine, cresciute nel medesimo paesino sperduto e dimenticato da Dio, nell'Italia Centrale. Entrambe avevamo a che fare con il Regno Unito, chi da parte di madre, chi da parte dello zio del nonno del cugino di Vanna Marchi, così che legammo molto, e in fretta, con il grande e impellente desiderio di "rimpatriarci" presto. Io volevo iniziare una carriera da attrice, lasciando tutto e tutti, per un biglietto di sola andata per Londra, a diciotto anni. Lily mi seguì, spronandomi, credendo in me, sempre. Quando volevo mollare le prove, per il troppo stress, per pigrizia, per chissà quale altro motivo, lei mi prendeva, mi caricava in metropolitana, e non mi mollava finché non mi vedeva sorridente su quel palco. Sarà la prima che ringrazierò, quando l'Academy mi consegnerà il mio meritatissimo Oscar. La conosco come le mie tasche, da quando siamo adolescenti, così come lei conosce me. E so quando ha una cottarella, so quando prova "irrefrenabili istinti" verso qualcuno, so quando soffre, so quando è completamente persa. E mi sembra oramai chiaro che per Zayn "con - gli - occhiali - sono - un - figo - da - paura" Malik sia completamente persa.
E' mio dovere, quindi, fare qualcosa. Semplicemente per vederla sorridente, mentre si passa una ciocca di capelli rossi - tinti! - tra le dita, e pensa a quando "wow" sia il suo "ritorno di fiamma" con Zayn.
Certo, prima devo eliminare Hannah Des... - oh, insomma! Quella! - con una fiamma - ossidrica -, per poter vedere attuati i miei progetti. E la cosa sembra... complicata.
E quando mai l'amore non lo è?


Mi sto dando al sentimentalismo. Se vado avanti così, mi verrà il diabete. Non mi sono nemmeno accorta di aver fatto il giro di Londra a piedi, di notte, ed essere arrivata a Chelsea, tanto sono assorta nei miei pensieri. Roba che se mi ritrovo davanti una banda di maniaci, non me ne accorgo neanche.   
Sono di fronte a casa mia, e non so come ci sono arrivata. E il peggio è che sono sobria.
Faccio per aprire la porta, ma qualcosa mi blocca. Stretta in un cappotto nero, lo sguardo fisso sulle mie scarpe, Lily è seduta sugli scalini all'entrata della nostra abitazione londinese. Ha le labbra corrugate in un'espressione accigliata, le sopracciglia alzate, gli occhi bassi.
Sa qualcosa. Presto, fai finta di niente ed entra in casa! 
Alza il viso verso di me, mostrandomi un paio di lacrime non ancora asciutte.
Perfetto. Sa tutto.
"Lily..." mormoro, accasciandomi sugli scalini, affianco a lei.
Mi sento in colpa, terribilmente. Spero solo che la mia sia una supposizione, che non sappia niente. Spero che quelle lacrime siano per la dipartita del nostro pesce rosso - che nemmeno abbiamo - e non per quelle testate di giornale, quelle che vedono un semplice "flirt" come una "proposta di matrimonio", un "rimpiazzo".
Faccio per passarle un braccio attorno alle spalle, ma lei si scansa piano, senza dire niente. Rimaniamo in silenzio, ferme per un po', appoggiate agli scalini di casa nostra.
"A volte" inizia, dopo quella che mi è sembrata un'eternità "vorrei soltanto avere degli amici normali."
Ammetto, soprattutto dopo gli episodi anomali di oggi, di non essermi mai considerata una persona tanto "a posto" con la testa. Solo speravo che non fosse così evidente.

"A volte"
continua, rigirandosi una ciocca di capelli tra le dita "vorrei soltanto vivere una vita normale, in una città normale, con un ragazzo normale, e un'amica normale, che, possibilmente, mi dica le cose in maniera normale, senza che io le venga a sapere da una banda di giornalisti che non ha niente di meglio da fare, se non inseguirmi al supermercato e chiedermi come mi sento a riguardo."
Io fisso con interesse gli alberi posti lungo il marciapiede. Non so che dire, se non che lo vorrei anch'io.

"Certo"
sbotta, sbuffando "non serve nemmeno che specifichi a cosa alludo, perché lo sai già."
"Ti avevo detto di non uscire."
mormoro sommessamente, assumendo un'espressione di estrema ovvietà.
"Mi avevi detto che avevo una brutta cera!" ribatte, mollandomi una pacca sulle ginocchia.
Stasera, siamo in vena di violenza.
"Beh, adesso ce l'hai... E io ti avevo detto anche che prevenire è meglio che curare."

Non pensavo che la furia omicida potesse essere trasmessa telepaticamente. Mi devo ricredere, perché Lily mi sta fissando con tutta la sete di sangue possibile e immaginabile di questo mondo. Non posso sopportarlo. Non lo sopporterei mai. Non dopo che mi sto facendo in quattro per riportare le cose come prima!
Io faccio quello che mi viene meglio: sdrammatizzo, alzando le sopracciglia e mordendomi il labbro inferiore. Da in un principio di risata, mollandomi uno scappellotto sul braccio
- di nuovo - e sospirando.
"Non ce l'ho con te..."
afferma, avvolgendomi un braccio attorno alle spalle. 
Beh, dai. Almeno non sarò costretta a difendermi a colpi di giornale.
"Lo so."
mormoro, sorridendo. "So con chi ce l'hai."
Lei si tira velocemente a sedere, scuotendo la testa. 
"Non ce l'ho né con lei, né con Zayn."
"So anche questo."
dico, annuendo convinta. La conosco bene, io l'ho sempre detto. "Ce l'hai con te stessa, perché vorresti che non ti importasse, e invece muori dalla voglia di piazzarle in faccia una giornalata."
Lei mi guarda stranita, non so se per l'illuminante considerazione, o per l'utilizzo del termine "giornalata", che, di questi tempi, sembra ricorrere con sempre maggiore frequenza.
Poi sorride, scivolando sempre più in basso, quasi a voler diventare parte integrante del freddo marmo delle scale.
"Ce l'ho con me, perché l'ho lasciato andare."


     
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