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Autore: Bethesda    18/03/2012    2 recensioni
"Nonostante fossi stato sposato non riuscii ad avere figli e comunque non ero mai stato attratto dall’idea di avere per casa dei piccoli urlatori, capaci di distruggere i miei scritti o strumenti lavorativi. Osservando il bambino però mi domandai come si potesse abbandonare una creatura tanto fragile come quella."
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Pensai che il piccolo avrebbe potuto prender freddo nella camera da letto e così, con rammarico, decisi di restare nel salotto scaldato dalle fiamme vermiglie del camino.
Cercai anche inutilmente di coinvolgere Holmes ma questo si dileguò prima che potessi dire qualcosa e mi abbandonò sul divano, comodo ma deleterio per la mia gamba.
Mi ero ormai assopito da qualche ora quando, interrompendo i miei sogni a base di bambini che fumavano da enormi pipe, Charles cominciò a piangere.
Non credevo fosse possibile che un essere così piccolo potesse trovare la forza di urlare a quel modo, perforando timpani e rendendo sempre più labile la mia pazienza.
«Cosa c’è adesso? Su, su…»
Il tentare di cullarlo fu a dir poco inutile e dopo poco Holmes uscì dalla sua stanza.
Rimasi colpito dal fatto che fosse piuttosto scompigliato ed assonnato e che nel suo sguardo non si leggesse più l’intelligenza ma un’insana furia omicida.
Sembrò comunque far tronare almeno lei a dormire nel più profondo del suo animo e dopo essersi passato una mano fra i capelli neri si avvicinò.
«Qual è il problema?»
«Non lo so. Charles, Charlie…dai, di’ a zio John cosa succede…»
Dopo aver detto questa frase con un tono basso e amorevole –o almeno quello voleva essere l’intento- mi voltai verso Holmes e lo vidi fissarmi come se fossi completamente impazzito.
Mi schiarii la voce con fare imbarazzato e distolsi lo sguardo, cercando di concentrarmi sul bambino.
Holmes però, esasperato dal pianto continuo e straziante, prese il bambino e lo sollevò, trovando l’origine del problema.
Il detective storse il naso.
«Per l’amor del cielo, Watson! Questo bambino deve essere cambiato!»
Effettivamente l’odore che mi giunse alle narici mi costrinse a giungere alla medesima conclusione.
Il mio amico ormai doveva avermi scambiato per una balia perché mi tese Charles come se fosse un sacco di farina.
«Io?!»
«Ovviamente. E’ più esperto di me in questo campo!»
«Io potrei curarlo da un’eventuale febbre ma non mi sono mai dovuto occupare di un lattante e quindi la mia abilità è pari alla sua! E inoltre questo caso non l’ho certo accettato io e la lettera richiedeva esplicitamente che fosse lei a occuparsi del bambino!»
«E va bene, allora», sentenziò con aria stizzita.
Mi disse di stendere un panno sul tavolo in cucina e ,dopo aver fatto come mi aveva ordinato, mi allontanai assicurandomi di occupare una posizione adatta per assistere a quello spettacolo.
Holmes all’iniziò sembrò piuttosto impacciato ma l’espressione che assunse quando tolse al bambino il tessuto che lo fasciava fu impagabile e mi riscattò da i soprusi delle ore precedenti.
Durò poco la sua goffaggine: che si trattasse di istinto paterno o meno cambiò in pochi istanti il piccolo Charles che perlomeno aveva smesso di piangere.
Si sbarazzò del contenitore altamente nocivo e guardò il bambino con la stessa soddisfazione che un artista può provare di fronte alla propria opera compiuta.
Un poco piccato per la sua ennesima vittoria gli feci i complimenti.
«Devo ammettere che non è stato semplice, Watson. Fortunatamente non era poi così difficile.»
Annuii e guardai il piccolo che si era riaddormentato quando mi accorsi di cosa il mio amico aveva utilizzato per fasciare nuovamente il piccolo.
«Ma quella è la mia camicia migliore!»
«Davvero? Non la usa mai ed era a portata di mano.»
«Non la uso mai perché è una delle mie preferite nonché più eleganti! Questo è stato un colpo basso!»
«Suvvia, amico mio, la prenda con filosofia: potrà sempre lavarla.»
Lo fissai allibito mentre riponeva un Charles pulito e dormiente nella cesta e sono ancora sicuro di aver intravisto un ghigno vittorioso sul suo volto prima che Holmes si ritirasse nella stanza.
 
 
«Ho controllato tutti casi in cui sono stati coinvolte delle donne, Watson. Tutti! Ovviamente deve essere una donna che si fida di me e con dei nemici e ogniqualvolta le ho tratte fuori da qualche brutta situazione ho automaticamente eliminato oppure annichilito l’origine dei loro danni. Ma non ci siamo, non ci siamo…»
Stavo allattando il bambino, osservando il mio amico aggirarsi fra i vari documenti che aveva accumulato durante tutti i suoi anni di indagine, e il fatto che non potesse fumare lo rendeva parecchio nervoso.
«Magari è una donna che la conosce per fama.»
«Watson, sia serio: lei affiderebbe mai suo figlio ad uno sconosciuto benché di grande fama?»
«…no, effettivamente no…»
Mosse la mano nella mia direzione come a dire “Ecco, visto?” e si buttò nella propria poltrona, sprofondando e raggomitolandosi con lo sguardo fisso alle fiamme del camino.
In quei momenti sarebbe stato impossibile cavargli anche una sola parola di bocca e la mancanza di fumo lo chiuse in un silenzio ancora più duro.
Lasciai che il bambino finisse di poppare e lo rimisi nella culla dove si addormentò poco dopo.
Forse fu il piacevole tepore che riscaldava la stanza, forse il fatto che fossero tre giorni che le indagini procedevano e che il bambino si svegliava più volte nel bel mezzo della notte, ma il sonno mi prese e caddi addormentato in pochi minuti.
Non so quanto tempo passò prima che il bambino decidesse di svegliarmi, fatto sta che Holmes doveva averlo spostato in una zona piuttosto lontana rispetto al camino –cominciava a capire che un calore troppo intenso avrebbe potuto infastidirlo- e quindi che Charles si trovasse a una distanza per me insormontabile a causa della stanchezza.
Anche il mio amico doveva essersi addormentato e grugnì qualcosa.
«…Watson, vada lei…»
«Io ci sono già andato ieri sera…»
«Ma io l’ho cambiato qualche ora fa…»
«E io gli ho dato da mangiare…»
Sbuffò e distese le lunghe gambe fino a toccare terra, alzandosi e trascinandosi fino alla culla.
Lo vidi tornare  vicino a me con il bambino in braccio, cullandolo e canticchiando quella che avrebbe dovuto essere una ninnananna, ma il fatto che contenesse le parole “squartatore”, “assassino” e “ghigliottina” la rendeva estremamente inquietante.
Nonostante ciò sembrò fare effetto e il bambino si addormentò fra le braccia del mio amico che, notandolo, sorrise impercettibilmente.
«Chi sarebbe mamma chioccia», chiesi con un sussurro per non disturbare Charles.
Mi meravigliai di non essere finito a terra fulminato visto lo sguardo d’odio che mi aveva lanciato.



Ecco qui il terzo e breve capitolo! Vi ringrazio per i commenti e spero che anche questo vi piaccia come i precedenti ^^ 
   
 
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