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Autore: candycotton    18/03/2012    1 recensioni
Anno 2181. Hestla.
Lo scienziato Sycor ha iniziato, più di 50 anni fa, il suo piano malato di trasformare l’imperfetta popolazione di esseri umani uccidendoli e donando loro una seconda vita, grazie all’impianto di fili metallici e organi sostitutivi, creando così una nuova razza, i Sostituti.
Rigel e Bion. Due ragazzi alla ricerca di vendetta, in un mondo che sembra aver tolto loro ogni cosa.
Ma niente è quello che sembra su Hestla, ed è fondamentale saper riconoscere gli Umani dai Sostituti, la verità dalle bugie, il tradimento dalla fiducia, il bene dal male.
In un vortice di equivoci, doppiogiochisti, imbrogli e verità, i due ragazzi riusciranno a raggiungere la meritata rivincita su quel mondo spietato? E gli esseri umani, saranno disposti a lasciarsi trasformare? Saranno disposti a morire per vivere una vita all’apparenza migliore?
Un mondo sull'orlo della guerra. Un'intera popolazione perseguitata e sottomessa. Un ragazzo e una ragazza pronti a combattere con un destino ignoto che li attende..
Genere: Azione, Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Risveglio

 

 

 

 

 

La ragazza avanzò guardandosi attorno, estasiata. “Hai proprio una bella casa” disse, con un tono piuttosto rilassato.

Rigel la squadrò. Nella sua testa si stava ancora chiedendo perché l’avesse fatta entrare. Forse per quelle poche e semplici parole uscite sofferte dalle sue labbra?

Sono umana.

Forse sperava che, oltre ad essere umana, fosse anche affidabile. Buttò un’occhiata a Freya, accanto ai suoi piedi. Neppure lei sembrava tranquilla fino in fondo. Per trovare sicurezza, Rigel sfiorò con le dita la pistola.

La ragazza seguì con gli occhi il suo braccio, fino ad arrivare all’arma. Sorrise. “Rilassati, non ho intenzione di farti del male. In più sono completamente disarmata, quindi sarebbe un duello impari”. Alzò le sopracciglia, lo fissò.

Rigel ingoiò la saliva amara.

“Non mi hai detto come ti chiami”.

“Rigel”.

“Rigel”, ripeté lei, un sorrisetto compiaciuto sulle labbra, “io sono Bion”.

Restarono distanti, guardandosi fisso negli occhi. Finché l’attenzione di Bion non fu attratta da un cesto di frutta colorata sul bancone della cucina. I suoi occhi famelici si spostarono su Rigel.

“Posso?”

Lui incrociò le braccia sul petto. Tenne lo sguardo a terra, un’espressione tra lo scocciato e l’incerto.

Senza attendere oltre, Bion afferrò una mela. Iniziò a morsicarla, vorace.

Rigel alzò un sopracciglio, si lasciò cadere sul divano, la pistola che pendeva lungo un fianco. Freya gli si accucciò accanto e lui iniziò ad accarezzarle il pelo rosso; la lince fece le fusa.

“È davvero bella. È una razza rara”, disse Bion, guardando Freya.

“È unica”, lo sguardo d’affetto di Rigel verso l’animale era senza prezzo. Bion percepì il sentimento a distanza.

“Mi piacerebbe sapere perché quelle persone ti cercavano, là fuori” esordì lui, cogliendo l’occasione per entrare nell’argomento.

Bion era a pochi morsi dal finire la mela. Si sedette su una poltrona e osservò la superficie verde della mela, rigirandosela tra le dita. “Non sono del tutto sicura di potermi fidare di te”, lanciò un’occhiata alla pistola.

Rigel socchiuse le labbra. “Non ne saremmo mai sicuri, entrambi”.

La ragazza fu alquanto stupita quando Rigel lasciò la presa sulla pistola e la fece scivolare sui cuscini, spingendola dall’altra parte del divano.

“Così va meglio?” le chiese, incrociando le braccia sul petto.

Lei sorrise. Cercò i suoi occhi, prima di parlare. “Sono scappata da una base militare. Volevano farmi degli esperimenti credo, forse trasformarmi in un Sostituto”.

Rigel aggrottò le sopracciglia e si fece più attento.

I Sostituti erano esseri umani cui era stata tolta la vita e per così dire “rigenerati”, riportati a vivere grazie a fili metallici che scorrevano sotto la loro pelle. Avevano un aspetto all'apparenza umano, ma erano molto più vicini ai robot. Avevano pensieri e provavano emozioni, ma non erano comparabili a quelle umane, ne erano solo una copia venuta piuttosto male.

Rigel era consapevole che i Sostituti erano ormai la maggioranza su Hestla, e la sua solitudine di tutti quegli anni lo aveva convinto che lui fosse l’unico essere umano rimasto. Ma si sbagliava.

Ingoiò la saliva e fissò intensamente le labbra di Bion che si muovevano, mentre gli raccontava tutto quello che le era successo alla base militare. Era come se per un momento la sua testa si scollegasse dal resto e tornasse indietro a sette anni prima, a quel terribile giorno in cui era tornato a casa e dei suoi genitori non ce n’era più traccia. Rapiti, probabilmente uccisi e da quello che ne sapeva trasformati in Sostituti. Da quel momento, da quando aveva quindici anni, era stato costretto a dire addio alla sua fanciullezza e preoccuparsi di ogni cosa, dalla più inutile alla più importante. Si era dedicato a fare ricerche per trovare chi li avesse presi, ma non era mai riuscito a trovare risposte alle sue domande. Si era sentito terribilmente solo per tanti anni, ma poi aveva trovato Freya, per caso, nella foresta, e il primo sguardo che si erano scambiati aveva dato inizio a una così forte amicizia che non aveva mai provato e nemmeno immaginato di stringere con un essere umano.

“Mi stai ascoltando?”

Rigel si riscosse dai suoi pensieri e guardò Bion.

“Scusa, mi sono distratto...”

Bion rimase impassibile. Chinò la testa di lato e si alzò dalla poltrona.

“Così sei una fuggitiva” continuò Rigel, massaggiandosi la fronte con le dita.

“In realtà c’è molto di più”, Bion iniziò a camminare per la stanza; le pistole che ciondolavano sui suoi fianchi. “Mia sorella è stata rapita da un pazzo di nome Sycor. Non l’ho mai incontrato né visto, ma in giro si dice sia lui l’inventore dei Sostituti, il folle che sta dietro quest’ atrocità di uccidere esseri umani per trasformarli in agglomerati di metallo. Molti dicono anche che sia immortale, che abbia vissuto una vita tre volte più lunga di qualsiasi altro. Ma non m’importa. Mia sorella è stata rapita, e chissà cosa starà passando in questo momento. Ogni giorno, ogni ora che passo lontano da lei mi uccide sempre di più. Devo trovarla, è l’unica ragione di vita che mi rimane”.

Rigel alzò lo sguardo su di lei. Le sue parole sincere avevano attirato la sua attenzione.

Bion ricambiò l’occhiata. “Tu invece, sembra che non abbia più qualcosa per cui vivere”, buttò lì.

Lui socchiuse le labbra, ma non gli uscì niente. Sostenere il suo sguardo, per qualche ragione così sapiente, gli fu difficile. Fissò il pavimento di legno, con il tappeto finemente disegnato. Deglutì a fatica.

“Mi dispiace per quello che stavi per fare, davvero. Non è una cosa nuova vedere persone che compiono gesti del genere di questi tempi. E io ne ho visti fin troppi. Amici, anche solo conoscenti. Sì, tutti erano soltanto Sostituti, ma questo non vuol dire che non mi fossero cari”.

“Mi dispiace”, disse Rigel.

Freya, accucciata sul divano al suo fianco, dormiva tranquilla.

Bion si rimise seduta sulla poltrona, si sporse in avanti e lo fissò. “Ma sembra che tu non abbia mai conosciuto persone a cui hai voluto bene”, lo esaminò.

“Che ne vuoi sapere tu, nemmeno mi conosci”.

Bion alzò un sopracciglio e sospirò. Si alzò in piedi di nuovo e fece il giro del divano. “Ad ogni modo, domani intendo partire per cercare mia sorella e avrò bisogno di armi. Molte armi. Magari puoi darmene un po’ delle tue…”

A quelle parole Rigel si riscosse e alzò il capo. Assunse un’espressione scettica. “Cosa ti fa pensare che io abbia delle armi?” aguzzò lo sguardo.

“Immagino che quella porta non dia su uno sgabuzzino impolverato e pieno di scope, giusto?”, ribatté Bion, indicando una porta di legno a muro, sulla parete sinistra della stanza. Era chiusa con un catenaccio e in ottime condizioni.

Rigel sorrise. “Tu non prenderai le mie armi”, mosse la mano verso Freya, facendo finta di accarezzarla; era così ad un passo dalla pistola posata sul cuscino.

Bion non si lasciò sfuggire al movimento. “Allora vieni con me, così non sarò io a prenderle”.

Rigel sorrise di nuovo, sarcastico. “Perché mai dovrei venire con te?”

“Sono sicura che se sapessi certe cose cambieresti idea”.

Tutto quel mistero a Rigel non piaceva neanche un po’. Si stava forse inventando tutto solo per convincerlo a seguirla, e magari indurlo in una trappola? Perché voleva che andasse con lei? Cos’è che sapeva e che non voleva dirgli? Quella faccenda incominciava a dargli la nausea, stava diventando solo una perdita di tempo.

“Non ti sei mai chiesto dove possono aver portato i tuoi genitori? Potrebbero essere ancora vivi, e sperare ogni giorno di poterti rivedere. Ma tu te ne stai qui, stravaccato su un divano, pensando al suicidio come unica soluzione per la tua vita insulsa. È ora che ti riscatti, che trovi qualcosa per cui valga la pena combattere”.

Rigel sbarrò gli occhi e un moto di rabbia gli attraversò lo sguardo. “Tu cosa ne sai dei miei genitori?”, sbraitò.

“Non è una cosa tanto misteriosa. Molti ne parlano giù al villaggio. Capitavo spesso da quelle parti prima di essere rapita, soprattutto nei giorni di mercato. La gente è curiosa e informata su tutto. È facile passare accanto a qualcuno e origliare ciò che stanno dicendo”.

Rigel la scrutò intensamente, mentre la sua collera si affievoliva. In qualche modo era riuscita a dissuaderlo, anche se c’era qualcosa in lei che non lo avrebbe mai convinto del tutto. Non gli aveva detto tutto, e probabilmente la verità era nascosta sotto fiumi di bugie.

Ma una cosa era certa e Rigel la sapeva: la sua vita era inutile, ed era perfino arrivato al punto di voler farla finita. Forse in quello Bion aveva ragione, forse era davvero il momento di riscattarsi, di provare qualcosa che lo facesse sentire vivo. Eppure tutti gli anni che aveva passato cercando i suoi genitori invano avevano radicato l’idea in lui che non c’era più speranza, che ormai li aveva persi per sempre.

“Li ho cercati tanto, ma non ho avuto successo, cosa credi che me lo farà avere questa volta?” Rigel la guardò insistente, pretendendo una risposta soddisfacente.

“Forse non hai cercato nel posto giusto”, tagliò corto Bion.

Si slacciò la cerniera della tuta nera che indossava, sotto lo sguardo confuso del ragazzo. Estrasse dal fianco un foglio di carta, piegato in più parti, che portava appiccicato alla pelle, sul ventre. Rigel la guardò esterrefatto.

“È il posto più sicuro che ho trovato”, commentò lei con un mezzo sorriso. Si sedette sul divano, accanto a Rigel e iniziò ad aprire il foglietto, fino a tenere tra le mani qualcosa che somigliava a una mappa, disegnata a matita. Era enorme e recava scritte e indicazioni accanto a corridoi, strettoie, vie e passaggi segreti.

“Che cos’è?” chiese Rigel, meravigliato.

“La base di Sycor”, il tono di voce di Bion tradiva un certo orgoglio.

Rigel capì dal suo sguardo che quella mappa l’aveva disegnata lei, ed era evidente che ne andava fiera.

Da quello che sapeva, Sycor viveva in una zona strettamente riservata e salvaguardata. Si diceva che nessuno non autorizzato fosse mai riuscito a entrarvi e uscirvi vivo. Rigel sapeva che la gente era abituata a esagerare, ma di certo il più famigerato scienziato del mondo non se ne stava tranquillo in una casetta aperta al pubblico. In un certo senso si sentì complice dell’orgoglio di Bion, e fu fiero del suo lavoro. Fissò i suoi occhi brillanti finché non fu lei a distogliere lo sguardo.

Avrebbe voluto chiederle come aveva fatto, ma si rese conto che non era importante saperlo, e indagare troppo nelle faccende altrui non era mai stato il suo forte.

Ad ogni modo, Bion interruppe il flusso dei suoi pensieri prima che potesse formulare qualsiasi parola, e iniziò a indicargli e spiegargli i luoghi contrassegnati sulla mappa.

“Ci sei mai stata?” Rigel la guardò fisso negli occhi.

Bion socchiuse le labbra. “Una volta, ma poi mi hanno catturato e rinchiusa nella base militare da cui sono scappata stanotte”.

Rigel era sorpreso. “Vuoi dire che ci sei stata da poco?”

La ragazza si aprì in una risata. “Sette mesi fa”, lo guardò, studiando la sua reazione.

Lui ricambiò lo sguardo. Era incredibile che fosse stata tutto quel tempo prigioniera in mano al nemico. Chissà quali pensieri le avevano attraversato la testa durante la prigionia. E come si era sentita, privata della sua libertà.

“Se c’è una cosa che ho capito, Rigel, è mai sottovalutare il tuo nemico, soprattutto se si parla di Sycor”.

Rigel notò un lampo di terrore attraversarle lo sguardo. Era evidente che fosse rimasta impaurita e provata da quell’esperienza.

“Sette mesi e non sono riusciti a trasformarti in un Sostituto?”

Bion abbassò la testa, e divenne pensierosa. “Ci sono andati vicini a uccidermi. Non so se conosci il procedimento, ma non è breve come potrebbe sembrare. Ci vogliono giorni ed è molto dispendioso di uomini e denaro. È per questo che Sycor ha concentrato le attrezzature e i macchinari necessari solo in alcune delle sue basi militari, sono le più importanti e sono note come i Poli. Su tutta la superficie di Hestla, finora sono stati creati soltanto quattro Poli”, Bion girò la mappa che aveva tra le mani, rivelando una lieve ma visibile marcatura dei confini di Hestla, le città principali, la morfologia e i punti fondamentali del suo territorio. Con un carboncino rosso erano state marcate quattro croci, che contrassegnavano quattro punti, quasi a formare un rombo.

“Queste che vedi corrispondono alla posizione dei quattro Poli”, Bion indicò i segni rossi. “Quando mi hanno catturato, sono stata trasportata da una base all’altra. Mi hanno fatto controlli in laboratorio, e poi mi hanno sbattuto in una cella. Non so che cosa avessi che non andava, ma mi hanno trattato come un esemplare difettoso. Ad ogni modo, qualunque imperfezione abbiano trovato in me, gli devo la vita”.

Rigel annuì. “Sei certa che indichino i luoghi esatti?” domandò facendo un cenno verso la mappa con i segni rossi.

“Ho visitato tante di quelle basi militari che ormai non tengo più il conto. Fidati, se non sono esatti, ci vanno vicino”, sorrise, per spezzare la tensione. Tuttavia c’era un tono amaro nella sua voce.

“Uno dei quattro Poli, il maggiore, è questo a Sud e corrisponde a Nallav, città dove si trova la dimora di Sycor e della sua famiglia. È qui che tutto è elevato al massimo. È qui che c’è la più alta concentrazione di Sostituti di Hestla. La popolazione sta letteralmente traboccando. Quando sono stata lì, sette mesi fa, mi è sembrato di vivere in un altro mondo. Ci sono guardie e militari a ogni angolo. Ogni via della città è asmatica, compressa di persone, traffico, puzzo e grida. Passare inosservati può essere facile in un posto del genere, ma il problema è che hanno dei sistemi elevatissimi che rilevano la presenza di umani soltanto camminando per la strada.

Io non lo sapevo, e così mi hanno catturato. Ma sono riuscita a rubare delle informazioni fondamentali che mi hanno aiutato a completare la mappa”, guardò Rigel, che questa volta la ascoltava affascinato. Restò in attesa che lei continuasse e Bion capì perfettamente cosa gli premeva sapere. “Il resto l’ho ricavato da vecchi tomi, mappe e indicazioni che ho saccheggiato qua e là, soprattutto durante le mie incursioni nelle basi militari del territorio”.

“Hai visitato ogni angolo di Hestla, insomma” commentò Rigel.

“Sì, da quando ho facoltà di camminare”.

Rigel la fissò ammirato. Era davvero incredibile quanto avesse viaggiato. Hestla aveva una superficie piuttosto estesa, e comprendeva diverse regioni, con morfologie del territorio diverse. A nord c’era una lunghissima catena montuosa, mentre a est e a ovest era bagnata dall’oceano. Era di forma massiccia, un blocco compatto su cui si alternava ogni varietà possibile di territorio. Rigel era sempre rimasto nei pressi di casa sua, nella foresta di Ismene, a nord-est. Era lì che aveva vissuto tutta la sua vita e non aveva mai viaggiato, almeno non al di fuori dei confini della foresta. All’improvviso si sentì sciocco e incompetente accanto a Bion. Da lei trasparivano tutto il suo sapere, la sua forza di volontà e la determinazione. Era di poco più giovane di lui, ma molto più esperta sul mondo, molto più forte.

Quei pensieri per un momento spaventarono Rigel e lo demoralizzarono. Fu come se la sua inutile vita gli passasse veloce davanti agli occhi, e non ci fu niente che attirò la sua attenzione. Era stata solo un susseguirsi di eventi scialbi, monotoni. Ingoiò la saliva. Pensarci lo rendeva triste.

Bion lo riscosse dai suoi pensieri. Gli picchiettò su una spalla e gli indicò Freya.

“È normale che faccia così?” gli chiese spaventata.

Rigel spostò lo sguardo sulla lince rossa. Era davanti a loro, la coda ritta, le fauci spalancate e un’espressione aggressiva negli occhi dorati. Il verso della lince è un suono riconoscibile e molto acuto. Freya era solita miagolare sonoramente in situazioni normali. Rigel ricordò una volta quando si persero nella foresta e Freya iniziò a produrre un suono così acuto che rimbombava contro ogni fusto e ogni chioma. Era come se la foresta cantasse con lei, animata dal suo miagolio. Non fu difficile ritrovarla quella volta.

Eppure, ora, Freya non emetteva alcun suono. Poteva significare soltanto una cosa: c’era qualcuno che non avrebbe dovuto udire il suo richiamo.

Rigel formulò il pensiero nel giro di pochi secondi, afferrò la pistola posata sul cuscino al suo fianco e prese Bion per un braccio. Fulmineo, spense la luce accesa delle candele sul tavolino e si rifugiò dietro al divano, Bion accanto.

Ora che Freya aveva fatto il suo dovere, si andò a rintanare tra la boscaglia, compiendo un salto silenzioso fuori dalla finestra e fu inghiottita dall’oscurità. Bion fu sul punto di avvertire Rigel che la lince era scappata, ma lui le mise una mano sulle labbra e la zittì con un gesto della mano.

Lui stesso aveva visto Freya scomparire eppure era rimasto tranquillo. Bion si chiese come tutta quell’intesa tra uomo e animale fosse possibile. Come sapeva una lince che qualcuno stava arrivando e come poteva capire di non fare rumore, per non essere intercettata? E poi come poteva Rigel essere certo che sarebbe tornata, dopo essersene andata via nella foresta?

Era qualcosa che forse non avrebbe mai compreso.

L’intuizione di Freya fu giusta. Il silenzio dell’oscurità fu interrotto dallo scalpiccio di robusti stivali sul pavimento di legno.

“Fa silenzio idiota, ti farai scoprire” disse una voce, in seguito ad uno scricchiolio.

Rigel continuò a tenere la mano sulla bocca di Bion, mentre con l’altra impugnava la pistola, pronto all’attacco. Dovevano essere almeno due, ma non era da escludere che fossero molti di più. Rigel si rese conto ben presto che il rifugio dietro al divano non era stata un’idea geniale, poiché non erano perfettamente nascosti e ben presto sarebbero stati scoperti.

I capelli scuri legati in una coda di Bion gli solleticarono il mento, quando lei si distese contro il suo petto. Rigel le tolse la mano dalla bocca e aggrottò le sopracciglia, confuso. Non capiva cosa stesse facendo, e per un momento gli balenò il pensiero che fosse tutta una montatura e che fosse arrivato il momento in cui anche lei, come tanti altri lo tradisse. Si trovò a disagio, non sapeva cosa fare, la testa viaggiava troppo in mezzo a pensieri negativi, e lui aveva perso ogni concentrazione.

I due Sostituti si avvicinavano sempre di più e uno di loro fece scattare il mitra. Bion era a un soffio dal pavimento, e in quella posizione era alquanto difficile che potesse scattare in piedi e scappare. Così facendo aveva costretto Rigel ha scostarsi da lei, e quindi ad allontanarsi dallo schienale del divano e rendersi più visibile al nemico.

Il ragazzo teneva gli occhi puntati su Bion, ed era pronto a ogni eventualità, la pistola in mano.

Tutto si svolse in una frazione di secondo. Bion si era allungata per afferrare una mitragliatrice posta sotto il divano, la estrasse e con una velocità impressionante ruotò il suo corpo passando da una posizione supina a una prona, fece leva con una mano e con entrambe le gambe per alzarsi in piedi, mentre con l’altra mano puntò la mitragliatrice dritta alla testa del Sostituto che ora li aveva visti e stava per sparare.

Una raffica di proiettili gli bucò la fronte e quello cadde all’indietro, senza il minimo spargimento di sangue.

Rigel, che aveva osservato la scena dalla sua posizione, scattò in piedi e senza perdere tempo sparò al secondo Sostituto, ferendogli il petto. Rimase interdetto quando quello incassò il colpo e lo guardò sogghignando con sguardo vittorioso. Era ancora vivo, ancora in piedi e si mosse a grandi falcate nella loro direzione.

Rigel sparò di nuovo, ma la sua mira divenne disordinata, il Sostituto si muoveva in modo scombussolato, il busto e le gambe serpeggiavano a destra e a sinistra. Alzò l’arma e preparò il colpo, che avrebbe trovato spazio tra i polmoni di Rigel, se Bion non fosse saltata in piedi tra i due e non avesse sparato diretta in mezzo alla fronte del Sostituto.

Al rumore assordante delle cartucce scartate seguì un silenzio immane, frammezzato dal tonfo del corpo del semi-robot che cadde a terra, spaccando il vetro del tavolino.

Bion calò la mitragliatrice e si voltò. Rigel stava dietro di lei, la pistola ancora puntata e il volto in un misto tra lo stupore, la rabbia e lo sconcerto. Abbassò l’arma, ancora stretta tra le dita e accennò un sorriso a Bion.

“Mira alla fronte per ucciderli. Ti sarà utile saperlo la prossima volta” fu tutto ciò che lei disse, alzò il braccio e si appoggiò l’arma sulla spalla. Si sentiva molto più a suo agio armata che disarmata.

Rigel non aveva mai ucciso nessuno. Ancora una volta si sentì inferiore a lei, come uno scolaretto impertinente che pensa di sapere tutto, ma poi si deve confrontare con la maestra molto più saggia ed esperta. Odiava sentirsi così.

“Immagino debba ringraziarti un’altra volta”, disse alle spalle di Bion.

Lei si era avvicinata ai due corpi, e si era chinata per esaminarli. Appoggiò la mitragliatrice a terra, e sfilò un coltellino dallo stivale. Alzò il braccio di uno dei Sostituti e praticò una piccola incisione in senso verticale, seguendo quella che negli umani era la linea naturale delle vene. Aprì con le dita i lembi della carne dura, non una goccia di sangue uscì. Dentro, un agglomerato di fili di metallo scoppiettavano, come quando c’era un corto circuito. Bion chiamò Rigel, che la raggiunse e si chinò dall’altra parte del semi-robot.

“Vedi questi fili interrotti e crepitanti? Significa che è morto, è fuori uso. Soltanto un colpo sicuro al centro della fronte lo provoca. Nient’altro. È quello il loro punto debole. È lì racchiuso il nucleo che li fa funzionare, come per noi umani lo è qui” Bion allungò le dita fino a sfiorare Rigel all’altezza del petto, lui sussultò, “dove c’è il cuore”.

Si fissarono per un lungo istante, poi lei ritrasse la mano imbarazzata.

“Il cuore in testa” commentò Rigel, ridacchiando.

Ma Bion non rise. Lasciò cadere il braccio molle del Sostituto a terra e diede un breve sguardo al suo volto, con una smorfia di tristezza. Era difficile pensare a quegli esseri soltanto come a dei robot che dovevano essere uccisi. In realtà, un tempo, anche loro erano stati umani, probabilmente con una famiglia, dei figli. Nessuno le poteva dire se fosse stato una buona persona o meno. Ma ormai dovevano solo essere eliminati, dovevano solo essere visti come robot cattivi senza pietà. Eppure non erano completamente robot, infatti, erano chiamati semi-robot, dal fatto che conservavano l’aspetto, i sentimenti e le emozioni umane, sebbene in dosi molto minori.

“Come facevi a sapere della mitragliatrice?” le domandò Rigel.

Si voltò e fu come se i contorni del suo viso andassero delineandosi meglio mentre lo guardava. Come se emergesse dai suoi pensieri e la facesse tornare improvvisamente alla realtà. Sospirò e impugnò l’arma, lanciandogliela tra le braccia. “È da quando sono arrivata che esamino la tua casa, non te ne sei accorto?”

Rigel sgranò gli occhi, ma cercò di assumere un’espressione calma.

“Ci sono altre tre mitragliatrici appese al soffitto, dello stesso colore del legno per essere camuffate meglio. Un fucile d’assalto nascosto nel porta ombrelli, sette pistole automatiche sotto il bancone della cucina, una frusta camuffata con il cordone per tirare le tende e… be’ penso che quel set fantastico di coltelli non lo usi molto in cucina, o sbaglio?”

Rigel era sicuro che la sua mandibola fosse scesa fino al pavimento. Era sempre più impressionato dell’abilità di quella ragazza. Nel breve tempo che aveva trascorso in casa sua aveva osservato ogni angolo così attentamente da scoprire tutti i suoi nascondigli più astrusi. Era senza parole e per un attimo si chiese cosa ne avesse fatto di lui, ora che sapeva tutti i suoi segreti.

“Dimenticavo la porta a muro chiusa col catenaccio. Posso solo immaginare l’arsenale che nascondi là dentro” Bion scrutò a lungo Rigel, mentre lui cercava di eludere il suo sguardo. “Non è che mi faresti dare un’occhiata?”

Rigel ingoiò la saliva. Era come al solito combattuto. Da una parte Bion gli aveva salvato la vita due volte, sebbene lui non glielo aveva mai chiesto. Lo aveva aiutato, gli aveva insegnato molte cose e aveva condiviso con lui la sua mappa, parte della sua storia e molte sue conoscenze. Dall’altra parte, c’erano indubbiamente cose che sapeva e che non gli aveva detto, cose su di lui. Si chiedeva cosa l’avesse portata proprio a casa sua, e cosa la spingesse a insistere per averlo come compagno di viaggio. Sembrava lo conoscesse da tempo nonostante lui non l’avesse mai vista prima. Si rese conto che in ogni campo, in ogni situazione lei si trovava sempre un passo avanti a lui.

“Lo so che non ti fidi di me, ma se avessi voluto ucciderti, non pensi che l’avrei già fatto? Ti ho salvato la vita due volte, non sono un’assassina. Non ci ricavo niente ad ammazzare la gente” Bion lo fissò intensamente e Rigel lesse un fondo di verità nei suoi occhi verdi.

Alla fine cedette e la condusse fino alla porta di ferro battuto. Si voltò a guardarla, lei pareva non stare in sé stessa, poi sciolse il catenaccio e abbassò la maniglia. Dentro al muro era incavato uno stretto spazio rettangolare. Rigel tirò una cordicella che pendeva di lato e una lampadina luminosa si accese sulle loro teste. Lo spettacolo era vasto e vario. L’arsenale era formato da una miriade di armi differenti, fucili, mitra, mitragliette, pistole automatiche, numerosi taser, una fionda, diverse catene di ferro e perfino un lanciafiamme. Bion allungò le dita per sfiorare il calcio di alcune pistole. Era tutto in perfetto stato, senza un filo di polvere.

“È davvero impressionante. Dove hai trovato tutta questa roba?”

Rigel fece finta di spolverare alcuni fucili con le dita. In realtà erano come splendenti alla luce della lampadina.

“C’è un sistema di aereazione sul soffitto. Si attiva ogni due ore e rinfresca un po’ lo spazio, anche se tenuto chiuso. È fantastico, l’ha ideato mio nonno”.

Bion emise un’esclamazione di meraviglia.

“È stato mio nonno che ha iniziato a racimolarle. Aveva una vera e propria passione per le armi. Con il passare del tempo sono andate in eredità a mio padre e ora a me. Le tengo perché non saprei dove altro metterle, nelle mani sbagliate possono essere letali. Non escludo che mi possano sempre tornare utili, per autodifesa, anche se tutte queste non le userò mai. Preferisco averne una con me”.

“Penso che con due ti sentirai meglio” Bion prese una pistola automatica dallo scaffale e gliela spinse contro il petto. Ne prese altre due per sé, diede un’ultima occhiata a tutto il resto e girò i tacchi.

“Non appesantiamoci troppo, ci rallenterebbe soltanto”.

Rigel sospirò e la seguì fuori dallo stanzino. Chiuse la porta e la assicurò accuratamente con il catenaccio.

“Se ce n’erano altri a seguirli, non tarderanno ad arrivare. Dobbiamo andarcene il prima possibile”.

Rigel la guardò a bocca aperta. Era confuso da quella decisione repentina. Non aveva intenzione di lasciare casa sua, o almeno non così velocemente e in piena notte, senza un posto dove andare. Era convinto che lì sarebbero stati molto più al sicuro che dispersi nel bosco. “Dovremmo restare invece, almeno finché non si fa giorno. Saremmo di gran lunga una preda più facile se ci mettiamo a gironzolare nella foresta, non credi? Sarebbe come gridare ‘siamo qui, venite a prenderci!’ Ci troverebbero immediatamente”.

Bion si lasciò sfuggire un sorriso. Chinò il capo e annuì. “Questa volta hai ragione tu”.

Rigel, finalmente, si sentì sollevato e rallegrato di aver fatto qualcosa di utile.

Con un balzo, Freya atterrò in mezzo a loro, senza produrre il minimo rumore. Rigel s’illuminò appena la vide e balzò a terra, stringendola a sé. Accarezzò il morbido pelo e le diede un affettuoso bacio sul muso. “Ti aspettavo” le sussurrò. Freya iniziò a fare le fusa, e quel suono riempì il silenzio, cullandoli come una dolce melodia rilassante.

Bion sentì i muscoli tesi della schiena sciogliersi, e finalmente poté prendere un profondo respiro. Si lasciò cadere sul divano, e chiuse gli occhi. Per lei era stata una lunghissima giornata, si poteva definire interminabile, come i lunghi mesi che aveva passato prigioniera, trasportata da una base militare a un’altra e finalmente il tanto meritato riposo era arrivato.

  
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