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Autore: Giulsing    18/03/2012    5 recensioni
Mi guardava e io guardavo lui. Stava lì fermo, senza dire niente, senza dire una parola. Sorrideva.
Le sue fossette iniziavano ad accentuarsi leggermente, il sorriso si fece più forte, stava per scoppiare dalla felicità evidentemente. Sinceramente? Anche io.
Mi venne vicino e mi attaccò al suo viso, non me ne resi nemmeno conto.
Eravamo diventati di nuovo una cosa sola, le mie mani salivano sui suoi capelli che iniziai a toccare. Intrecciai le dita in quei boccoli stupendi assaporando ogni secondo di quel momento. Era la prima volta che chiamavo un ragazzo amore. Ed era la prima volta in tutta la mia vita che mi sentivo completa.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le cose, a Londra, erano piuttosto diverse rispetto a quelle in Italia. Ti dovevi svegliare un ora prima o più, per prendere un autobus, stracolmo di visitatori e turisti; non sapevi mai come ti dovevi vestire, il tempo cambiava ogni 3 ore; ma cosa più importante.. il caos totale la mattina. E dopo 6 mesi ancora non me ne ero abituata.
Il motivo per cui me ne sono andata dalla mia amata Italia? Mia madre. Lei lavorava per una ditta piuttosto importante, ed era responsabile di una di queste linee, e quando proprio 6 mesi fa le anno proposto un aumento, lei accettò subito. Ma dovette anche accettare il fatto di cambiare del tutto le cose. Città, vita, casa. Ed era questo che non sopportavo di lei, anche se un po’ aveva ragione. Erano ormai anni che era coperta di debiti, debiti più che altro di mio padre, era arrivata ormai a cento mila euro. Nel corso degli anni aveva ormai coperto la metà di questi, ma quei 500 mila non cadevano dal cielo. Per questo l’aumento le fu davvero di aiuto. Mi ricordo ancora quando me lo disse, quando mi disse che ci saremmo dovute trasferire, di nuovo. In realtà al momento non l’avevo presa così male, la mia città faceva seriamente cagare, piena di prostitute e ragazze in bichini che non aspettavano altro che un ragazzo si avvicinasse a loro. Totalmente schifata da quella città, non detti peso alle parole di mia madre, quelle sue parole: ‘Se non ne sei certa posso rinunciare, questo aumento è una buona cosa, ma voglio che tu stia bene. Questo è quello che conta per me. I soldi non mi interessano.’
Si, mia madre era una di quelle donne a cui non interessava il denaro, oserei dire una di quellepoche donne.
Così, in un batter d’occhio mi ritrovai su un aereo stracolmo di gente per andare in una città mai vista prima.
Avrei iniziato la scuola due settimane dopo, sarei andata in uno di quei licei linguistici, dove avrei potuto imparare l’inglese alla perfezione. L’idea di una nuova scuola non mi faceva proprio impazzire, ma il mio carattere non ci mette tanto a fare nuove amicizie.
-Ag, svegliati siamo arrivate!- mi bisbigliò mia madre dal posto accanto a me. -Dai Ag, ti prego non voglio arrivare in ritardo all’hotel, per favore! Svegliati su’..-
No mamma non ho voglia di svegliarmi, stavo dormendo cazzo, aveva sempre avuto l’abitudine di svegliarmi in un modo davvero poco gentile.
-M..Ma..Mamma? Che.. s.. siamo arrivate?-
-Si Ag, vieni scendi dobbiamo prendere i bagagli.-
Ok ora ero completamente sveglia e in preda al panico. Mi stiracchiai leggermente, presi la borsa, il cellulare e la sacca, e mi alzai. Barcollai e andai addosso a mia madre, che mi prese al volo.
-Scusa ma’, ho dormito troppo. Ah.. madonna che confusione!-
-Lo so, ci dobbiamo abituare entrambe a questo nuovo stile di vita.- mi disse, ma sembrava dirlo più per me che per lei, dato che si sa ambientare subito. E poi era vantaggiata. Londra l’aveva già conosciuta anni prima della mia nascita. Ci misi un po’ prima di riprendermi, poi scesi dall’aereo e andammo a prendere i bagagli. Avevo il terrore che succedesse come nei film, quando non trovi i tuoi oggetti e c’è la musichetta di sottofondo che ti avvisa che è successo qualcosa. Ma questo non successe, le valigie erano lì, riconoscevo la mia blu e quella rossa di mia madre. Poi c’era anche il suo beauty giallo e il mio pc nella borsa nera. Si insomma, c’era tutto. Prendemmo le nostre cose e ci dirigemmo verso un autogrill, la cosa più bella di quel momento. Mia madre tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans e compose il numero del taxi.
-Pronto? ..si un taxi a Elthon Road per piacere. Si grazie.. Ag abbiamo avuto culo, era l’ultimo.-
-Direi che allora cominciamo bene.- risposi io ridendo. Mia madre era davvero come una compagna di classe, una persona di cui mi potevo sempre fidare. Il taxi arrivò dopo poco per fortuna, salimmo e dopo una mezzoretta arrivammo all’hotel. Ah si non l’avevo detto? Io d’ora in avanti vivevo in un hotel pagato dall’azienda di mia madre. Una cosa figa si, ma speravo di avere almeno la stanza più grande dell’albergo, sicuramente mia madre avrebbe spiegato la situazione in cui ci trovavamo. Infatti accadde proprio questo, la stanza 306 era la più grande dell’hotel ed era nostra. Mi buttai sul mio letto appena entrata, appoggiai le cose sulla scrivania gigantesca e mi tolsi il giubbotto, appoggiando anche questo sulla scrivania. –Ag, ma hai visto quant’è grandee?-
-Si ma’, è gigantesca! È forse più grande della nostra vecchia casa!- strillai io da sotto il cuscino. Sentivo mia madre canticchiare, era una cosa che adoravo sentire, e non è che lo facesse spesso. Era felice. Io un po’ meno, ma volevo che lo fosse lei per prima. Il resto non importava.
 
I giorni passavano davvero velocemente, la mia iscrizione al liceo linguistico era stata mandata, accettata e facevo parte di quella scuola ormai da quasi un mese. Le amicizie? Si direi che anche quelle non erano andate maluccio. Avevo conosciuto più ragazzi che ragazze. Niente di che eh, ma molto carini e avevamo davvero tante cose in comune. L’unica ragazza con cui legai di più era Miriam, la mia vicina di banco nonché la mia migliore amica. Aveva una storia molto simile alla mia, anche lei si trovava a Londra per via del lavoro di suo padre, anzi quello stronzo di suo padre. Non aveva una famiglia più unita della mia, proprio per questo legammo quasi subito.
Quella mattina ero sul serio in ritardo. Volevo urlare parolacce per tutto l’hotel per il fatto che l’ascensore non andava e io ero all’ultimo piano. –Ma volete muovere il culo?! No cazzo sono qui da un ora, devo uscireeee!- continuavo a sbattere la mano contro la porta dell’ascensore chiusa urlando per i corridoi cercando di chiamare qualcuno. Mia madre era già andata al lavoro, come non lo so, ma era riuscita a scendere prima che l’ascensore si bloccasse. –C’è cazzo muoveteviiii devo andare a scuolaaaaa! Ma merda… COME FATE A NON CAPIRE, DEVO USCIREEE! CAZZO CAZZO CAZZO FANCULO!-
Arrivò una signorina piuttosto carina e gentile che mi guardò con aria schifata. –Agape, sai che sono le 7.30 del mattino? Non devi urlare così, mi fai finire nei casini!- mi urlò lei da dietro quella scopa immensa che era più grande di lei.
-Lo so bene Hanna, ma quella nei casini ora SONO IO PERCHE’ QUESTO COSO NON VUOLE SALIRE O SCENDERE E IO SONO IN RITARDO QUINDI SE NON VUOI CHE FACCIO UNO DI QUEGLI URLI PEGGIO DEI FILM HORROR, E’ MEGLIO CHE MI DAI UNA MANO A SCENDERE!- strillai io togliendole la scopa dalla faccia piena di polvere. Finalmente si accese una lucina sul tasto per chiamare l’ascensore, e finalmente il ‘coso’ arrivò e fece in modo di aprire le porte velocemente. Io entrai di corsa cercando di non inciampare sul gradino e spinsi il bottone ‘terra’.
Dopo una vera corsa contro il tempo, appena uscita dall’hotel mi accorsi che c’era più confusione del solito. Una mandria di ragazzine era appostata davanti ad un palco dove si intravedevano cinque teste comparire una dopo l’altra. Non capivo di chi si trattassero e sinceramente non mi interessava, l’unica cosa che mi importava era di arrivare in orario al liceo. Solo questo. Ripresi a correre verso la strada che portava alla scuola.
-Si Ag, stai per arrivare, dai cazzo dai caaaazzo!-pensai quando vidi la porta della scuola chiudersi. Correvo così forte che avevo paura di perdere qualcosa dalla borsa o dallo zaino, le mie gambe non ce la facevano più.. rallentai un po’ nel momento in cui vidi la porta chiudersi lentamente. Volevo davvero urlare al bidello di fermarsi, di farmi entrare, di aspettare cinque secondi, ma non avevo fiato così feci uno sforzo e corsi ancora un po’ per arrivare all’entrata. Nel preciso istante in cui attraversai la porta, lo fece anche un ragazzo che non vidi benissimo, ma notai soltanto che aveva una folta chioma riccia sulla testa. Entrammo nello stesso momento e come da copione cademmo l’uno contro l’altra, scontrandoci. 




Lalalalalalala ciao :3
allora evito di annoiarvi dal primo capitolo, quindi dico solo che se volete recensire potete farlo anche perchè mi fa piacere ascoltarvi.
questa storia che sto scrivendo prima di postarla ci ho pensato mooolto ma mooolto tempo perchè ero seriamente indecisa sul da farsi.
Vabbe' niente, spero che vi piaccia e mi raccomando recensite e se vi piace continuate a seguirla.
ps: Ag è il soprannome della protagonista, che si chiama Agape, più avanti vi dico il significato del nome o lo scoprirete da soli.
Ok Giulia la smetti? -si-
Un bacio forte <3
  
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