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Autore: shotmedown    19/03/2012    2 recensioni
No, lei non ci credeva più. Inutile negarlo, c'era qualcosa che non andava nella sua vita, e non poteva far altro che crogiolarsi nella sua ignoranza; un giorno, forse, qualcuno le avrebbe fatto capire quanto contasse, e le avrebbe donato un mondo fatto di sicurezza e passione, ma per ora, si limitava a partire, ad andare lontano. Boston le stava stretta, Montréal era la libertà.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cinque amici e un paio di chitarre.'
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Scopro con malinconia che il mio egoismo non
è poi  così grande, visto che ho dato ad
altri il potere di farmi soffrire.


Antoine De Saint-Exupéry












Silenziosamente chiusi la porta e feci scattare la serratura; controllai in borsa: avevo tutto. Scesi in fretta le scale che mi avrebbero condotta all'uscita del palazzo, e quando fui lì, ebbi timore. Avrei dovuto ricordare la strada, o sarei stata finita. Mi strinsi nella giacca, e conscia del fatto che quasi sicuramente mi sarei persa, mi diressi verso la fine della strada. 
<< Mi sento un'adolescente disobbediente. >> Affermai, proseguendo fino al semaforo. Erano le due di notte, e per strada non c'era anima viva. Notando un gruppo di barboni, optai per cambiare strada, ma l'alternativa sarebbe stata un cane randagio. Non che avessi qualcosa contro gli animali, anzi. Ma quello sembrava affamato. E tanto. A capo chino affrettai il passo, cercando di non guardare nessuno negli occhi. Avevo paura. Ero sola. Ma di quella situazione non sarei stata ancora la vittima. Non quando avevo lottato per l'indipenza per poi vedermela strappare via da un momento all'altro. Pierre aveva ragione: dovevo uscire dal meccanismo, o vi sarei rimasta intrappolata tutta l'esistenza. Mi fermai dinanzi alla mappa della città, e lì valutai quanto mancasse alla mia meta. Ora che ci pensavo, ero stata a casa di Pierre solo il primo anno in cui ci eravamo conosciuti, quando avevo perso la possibilità di fare un colloquio e gli avevo quasi spaccato la faccia, e mi sembrò di comprendere anche il perché. 
Ma che stavo facendo? 
Fui sul punto di tornare indietro, ma se mi fossi arresa, non me lo sarei mai perdonato. Lotta, una buona volta, pensai, rimproverando la mia ignavia. In un tempo che mi parve infinito, mi trovai dinanzi ad una serie di villette, tutte molto simili. Mi addentrai in una strada, rendendomi conto che non c'era neanche un lampione. Buio totale. Chiusi gli occhi, cercando di ricordare il numero civico dell'abitazione; erano trascorsi troppi mesi dall'ultima volta che avevo dovuto riportarlo alla mente, ma quando mi parve di rimembrare delle cifre, fui contenta di constatare che ero nel posto giusto. Trovata. Mi guardai intorno, con fare circospetto, poi imboccai il vialetto che mi avrebbe condotta all'ingresso. E ora? 
 
Pierre p.o.v
 
Mi ricomposi, cercando di far scorrere sangue anche nel resto del corpo. Non riuscivo a chiudere occhio, e solo Dio sapeva quanto necessitassi di una lunga dormita. Guardai la parte di letto vuota al mio fianco, e riflettei. Lachelle era andata a vivere dai genitori, fuori città. Avevo combinato un casino. Avevo rovinato ogni cosa. Fui tentato di chiamare prima lei, ma mi resi conto che era tardi, poi Sam. I suoi genitori non erano come me li aveva descritti: la loro autorità era ben lungi dal poter essere definita sobria. Erano arrivati proprio quella mattina. Quella in cui avrei voluto dirle che andava tutto bene, che eravamo liberi. Dopo quella notte che avevo atteso per anni. Avevo bisogno di un bicchiere d'acqua. Lentamente scesi le scale, per non inciampare e accesi le luci, dirigendomi verso il frigorifero. L'ideale sarebbe stato una birra, effettivamente. Ne stappai una, ma dopo un sorso sentii un profondo senso di disgusto. La spinsi sul bancone, arrendendomi al fatto che neanche l'alcol poteva nulla. Fui sul punto di tornare a dormire, quando sentii un rumore provenire dal giardino. Sussultai, afferrando la prima cosa che mi ero trovato davanti. La chitarra di Jeff; mi avrebbe perdonato. Impugnai la paletta e mi avvicinai alla finestra, per sbirciare fuori. C'era realmente qualcuno. Cercai il cellulare con gli occhi, e quando lo trovai chiamai David. 
<< Sono le tre di notte, Bouvier. >>
<< Ma, Dave, c'è qualcuno! >> 
<< E allora apri la porta, urlagli contro. Io intanto chiamo la polizia. >> Non ero molto convinto che quel metodo fosse sicuro. Ma mi fidavo di David, e avendo questi appena composto il numero della centrale, mi avvicinai alla porta. Con uno scatto la spalancai, pronto a gridare. Ma non ce ne fu bisogno, almeno non di paura. Intimai al mio amico di stare tranquillo e poggiai la chitarra alla parete. Le ci volle un istante, prima di correre ad abbracciarmi. La strinsi forte, provando a recuperare quel tempo perduto ad evitare di incontrarci. Una settimana senza vederla. Come avrei potuto resistere ancora? 
<< Mi sei mancata. >> Sussurrai, baciandola. << Dannazione, se mi sei mancata. >> 
<< Sei solo? >> Chiese. Annuii. 
<< Vuoi dare una festa? Io penso agli alcolici. >> Feci per allontanarmi, ma nonostante possedesse poca forza, riuscì a riportarmi di fronte a lei. Per arrivare alla mia altezza fu costretta ad ergersi sulle punte, sicché per darle una mano la sollevai lievemente. 
Entrammo in casa, e prima di offrirle qualcosa inviai un messaggio a David. Quando mi misi a sedere al suo fianco, notai che aveva lo sguardo perso. 
<< Sei scappata di casa? >> A quella mia domanda scoppiò in una fragorosa risata, che io riuscii a leggere solo come nervosa. 
<< Ho ventisei anni e sono costretta a scappare di casa per vederti. E' assurdo. >> 
<< Con dei genitori come i tuoi l'infanzia non ha mai fine. >> Affermai, carezzandole i capelli. 
<< E' un incubo. Io voglio solo... >> Attesi che continuasse, ma evidentemente aveva bisogno di un'esortazione.
<< Solo? >>  Inspirò ed espirò profondamente, chiudendo gli occhi. 
<< Stare con te. >> Non riuscii a fermare il sorriso che mi si disegnò sul volto. Le sollevai il mento, sfiorandole la punta del naso con le labbra. Io conoscevo lei e me stesso; quella reazione, da parte di entrambi, non era nell'ordinario. Avevo a lungo sperato che per Samantha provassi solo una forte attrazione fisica, ma a lungo andare le poche convinzioni - avrei potuto definirle meglio "speranze" - erano svanite, lasciando posto alla realtà dei fatti: io...
<< Ti amo. >> Udire tali parole da altri mi aveva sempre fatto detestare quella frase. Ora mi sembravano semplicemente imbevute di sincerità. I suoi occhi divennero lucidi, e quello, pensai, doveva essere l'unico motivo per cui avrebbe potuto piangere. Non per altro, non glielo avrei permesso. Non mi aspettavo mi rispondesse subito, non volevo si sentisse costretta. Ma infondo, ricordai, in tre anni mi aveva detto tutto ciò che pensava, eccezion fatta per quello che sentiva nei miei riguardi. 
<< Quando partirai per quel tour? >> Domandò. 
<< Tra due giorni. >> Risposi, rimembrandomene improvvisamente. << Vuoi venire? >> Non colsi l'assurdità di quella proposta fino a quando non fu lei a rispondermi in modo razionale.
<< Non posso, lo sai. Piuttosto, se quando torni non mi trovi, aspettami. >> La fissai con sguardo interrogativo. << Devo far perdere le mie tracce. >> 
<< Vuoi fuggire? >> Assentì. << Non se ne parla. Non ho intenzione di saperti in giro per gli Stati Uniti nel disperato tentativo di far arrendere i tuoi. >> 
<< La decisione l'ho già presa Pierre. >> Affermò, decisa. A quel punto mi alzai dal divano, e afferrai la giacca all'entrata. 
<< Spiacente, ma mi hai dato il diritto di immischiarmi nella tua vita. >> Chiusi la porta alle mie spalle e presi l'auto dal garage. Quando Sam tentò di raggiungermi, le intimai di tornare dentro e di aspettarmi, o non avrei risposto delle mie azioni. Per quanto importanti fossero per lei, i suoi genitori non potevano e assolutamente non dovevano immischiarsi. Volevano il meglio per la loro unica figlia? Io non ero un grand'uomo, ma ero tutto ciò che speravo di poter essere per lei. Per me. Per i ragazzi. In quelle condizioni forse non avrei fatto altro che aggravare ciò che già di per sé era ad un livello critico; ad una sorta di punto di non ritorno. Sbattei violentemente la portiera, e presi a suonare con insistenza affinché capissero che era urgente. A sporgere il capo dalla finestra fu Leah, che scese di sotto ad aprirmi. Le confermai che Sam era da me e che potevano smettere di preoccuparsi. Quando entrai nell'appartamento, fui sul punto di trovarmi schiacciato contro la parete. Il signor Gordon era su tutte le furie. 
<< Riportami mia figlia! >> 
<< Ora lei sta zitto e mi sta a sentire! >> Gridai, ammutolendolo. << Sam ha ventisei anni. E non è un'idiota. Se ha scelto di stare con me, un motivo ci sarà. Qualcosa di buono in me ci deve essere, o, mi creda, mi avrebbe allontanato il primo giorno in cui sono passato a prenderla per trovarle un lavoro. Dovete smetterla di cercare di dettar legge, o sarò io a costringervi. >> 
<< E come credi di fare? >> Lo sguardo minaccioso del padre non mi colse per nulla alla sprovvista. 
<< Se lei osa mettere Sam in condizione di dover scappare, giuro che gliela faccio pagare. >> L'uomo arretrò, avvicinandosi alla moglie. Per un istante incontrai gli occhi di Leah, spaventati e speranzosi al tempo stesso. Lanciai un'ultima occhiata agli astanti, dopodiché, con calma, tornai alla mia auto. Durante il tratto di ritorno, non feci altro che pensare a cosa dire a Samantha; avevo minacciato suo padre.   


Tornata! Per poco D: Essendoci il concerto tra dieci giorni (**) ho migliaia di cose da fare, per andarci TRANQUILLA. Grazie per tutte le recensioni, e grazie anche a tutti i lettori (=

Lisa.
  
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