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Autore: suzako    18/10/2006    9 recensioni
Davvero credete che l'amore c'entri qualcosa?
Genere: Generale, Romantico, Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo V
Invisibile
[Ovvero, quando manca l’essenziale]

Draco si guardò intorno per l’ennesima volta. Gli occhi grigi e vuoti riflettevano il cupo paesaggio preinvernale del parco di Hogwarts, gli alberi spogli, il lago plumbeo e appena increspato da quella brezza gelida che penetrava nelle ossa, spegnendo anche il più ardente dei fuochi.
Ma lui, era ghiaccio.
I suoi occhi apatici riflettevano la malinconia del paesaggio, e a guardarlo da lontano, avvolto nel lungo manto nero, la sciarpa verdeargento che ondeggiava leggermente, i capelli tirati all’indietro dal vento, in quella posizione un po’ curva e goffa, aveva qualcosa di penoso e deprimente.
Almeno, questo era ciò che pensava Pansy Parkinson, mentre si avvicinava senza fretta – pur sapendo di essere ingiustificabilmente in ritardo – al luogo dell’appuntamento.

<< Cosa aspetti, Draco? >>, mormorò in maniera appena udibile, facendolo irrigidire.

<< Proprio te, e lo sai bene. >>, borbottò lui, voltandosi di scatto, le sopracciglia aggrottate.

<< Ne sei così sicuro…? >>, continuò in tono sibillino, scrutandolo da lontano con occhi foschi, parzialmente coperti dai capelli corvini.

Draco la fissò per un attimo, rancore e nervosismo chiaramente leggibili nei suoi occhi. Poi, scosse leggermente la testa, quasi stesse rabbrividendo per il freddo.

<< Non ho tempo per i tuoi enigmi. Dammi il messaggio. >>

La ragazza roteò gli occhi con aria annoiata, per poi estrarre dalle pieghe del mantello una pergamena ingiallita e consunta, che Draco le strappò letteralmente di mano, leggendola con febbrile avidità. Pansy lo fissava atona.
Alzò lo sguardo verso di lei, gli occhi che lampeggiavano nella tenue luce del tardo pomeriggio, i capelli argentei scompigliati dal
vento ancora più insistente.

<< Cosa significa? >>, sibilò avanzando.

<< Sai leggere. E’ tutto spiegato perfettamente. >>

<< Smettila! So benissimo che ne sai molto più di me. Che cosa significa ‘lasciare la mia postazione per entrare a tutti gli effetti nella Corte’?! Tu di sicuro sei stata informata su ciò che mi aspetta! E’ per questo che sei qui, no? Per controllarmi, per stare certa che non sfugga al loro controllo, che non faccia passi falsi come mio padre, che sia sempre fedele a Lui… Non è così? Non è così, Pansy?! >>, gridò tutto d’un fiato, stringendo il pezzo di carta in una mano guantata, mentre il vento gli faceva eco.

Lei abbassò lo sguardo.

<< Sì. E’ così. >>, sussurrò piano.

Tutta la sua rabbia sembrò svanire in un attimo. Prese un profondo respiro, lasciandosi cadere sull’erba umida, la testa reclinata sul petto. Chi aveva mai visto Draco Malfoy in quello stato? Chi avrebbe mai potuto vedere la sua incrollabile boria, l’astuzia e il fascino studiato dei gesti precipitare in quel modo sull’erica bagnata di pianto e pioggia?

Non accadrà più, Padre, lo prometto.

Pansy lo fissava intensamente, adesso, gli occhi quasi lucidi, un espressione indecifrabile sul volto pallido e solitamente impassibile. Si inginocchiò vicino a lui, sfiorandogli i capelli con una mano gelida. Lui tremò appena al suo tocco.
Quel freddo pungente sembrò risvegliarlo, e alzò subito il capo, sfidando le iridi nocciola con sguardo deciso.

<< Tu cosa farai? >>, le chiese.

<< Anche io dovrò andarmene. Ho già avuto i miei ordini. >>

Si alzò velocemente, pronta a dileguarsi nella nebbia, sparire senza un suono, come sempre… Ma una mano la trattenne per il polso, facendola sobbalzare.

<< Io non fallirò, Pansy. Non fallirò. >>

La nebbia era sempre più fitta.
Le sue labbra si incurvarono, e annuì leggermente.

<< Ne sono sicura, Draco. >>, mormorò, prima di sparire, lasciandolo solo, seduto sull’erba morbida.

Forse… Forse era stata solo un’impressione, un’illusione d’autunno; eppure, per un attimo, su quel volto duro e freddo, quasi un riflesso del suo, gli era sembrato di vedere, attimo fuggevole, l’ombra di un accennato sorriso…

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Il silenzio è una prigione.
Il silenzio ha sbarre invisibili, e una serratura che neanche le parole più astute riescono a sciogliere.
Il silenzio è a suo modo fragile, ma può diventare incredibilmente forte.
Il silenzio si nutre di bugie e ipocrisia, demoni e falsi sorrisi.
Il silenzio era la loro arma più forte.

Il silenzio di Ronald Weasley era quello dell’ipocrisia e della finzione: contrariamente a quanto chiunque si sarebbe aspettato, dopo tutto ciò che era successo, lui non aveva comunque intenzione di urlare, di gridare fino a sgolarsi, di chiamare a gran voce i suoi amici in nome del rapporto perduto. No, non l’avrebbe fatto.
Avrebbe sorriso a Hermione come se nulla fossa accaduto, sopportando svogliatamente come sempre le sue ramanzine sul buon senso, e tentando di copiare i compiti nel modo più goffo possibile, come sempre. Avrebbe continuato a scherzare e ridere con Harry, a fare il deficiente durante le lezioni, fingendo di ignorare il suo sguardo freddo e distante, le parole mezze sussurrate e i comportamenti inusuali, facendogli credere di essere cascato in pieno nella sua rete di piccoli inganni.
Ma certo, Harry, come sempre sei il migliore.
Avrebbe recitato ancora la parte del fratello apprensivo con Ginny, perché l’eco del suo cambiamento non raggiungesse la famiglia, prendendola un po’ in giro e un po’ sul serio, ma disprezzandola a mal sopportandola dal profondo del cuore.
Ron Weasley si era accorto di una cosa, negli ultimi tempi.
Lui odiava.
Odiava un sacco di cose.
I sorrisi forzati e le bugie di Hermione.
Il comportamento ipocrita e freddo di Harry.
Le lettere piene di raccomandazioni dei suoi genitori.
E tante, tante altre cose. Sì, Ronald Weasley era pieno di odio.
Lo faceva sentire forte.
E cominciava a piacergli.

Il silenzio di Harry era buio e freddo come una caverna.
Un luogo tetro, dove ogni tanto risuonava il pianto di una bambino.
Era un posto solitario e quasi spaventoso, dove aveva raccolto, lungo tutti quegli anni, i suoi incubi più terribili, in modo da chiuderli in una stanza in fondo alla testa, per non doverci pensare mai più.
Ma adesso era venuto il momento di ritirare fuori quella vecchia chiave arrugginita, e immergersi nell’oscurità immobile.
Doveva capire cosa voleva dire.
Voleva capire cosa significasse essere crudele, godere della sofferenza e del dolore, sentire il potere delle ombre e varcare la sottile linea fra giusto e sbagliato.
Trovare il punto debole di quella catena.
E colpire.
Dopo…
…Non ci sarebbe stato nient’altro, per lui.
Il silenzio lo aiutava a capire. Lo aiutava a isolarsi dalla felicità, dalle cose che amava e non voleva perdere, ma doveva lasciare andare.
Doveva farlo, perché era qualcosa che avrebbe perduto comunque.
Così sorrideva come sempre, ma un’ombra gelida a volte faceva assomigliare quei sorrisi più a un ghigno, e scherzava come sempre, ma succedeva che gli incubi si impossessassero prepotentemente dei suoi pensieri, impedendogli di anche solo pensare alla felicità. Correva, parlava, seguiva le lezioni e illudeva dolcemente la piccola Ginny come ogni volta, avendo trovato in lei il suo ultimo divertimento.
Un tempo, forse, non avrebbe mai neanche pensato che ingannare una bambina innocente e innamorata potesse essere divertente, perché era immorale e assolutamente-non-giusto, ma queste oramai erano cazzate che poteva dire solo Hermione.
Già, Hermione.
Chissà come mai, in un modo o nell’altro finiva sempre per pensare a lei…

Hermione non aveva mai amato il silenzio, ma sentiva di appartenergli più che mai.
Non l’aveva mai vissuto, perché qualcosa da dire l’aveva sempre. Ma a volte, le parole, non servono più. Le parole andavano ancora bene per far credere che tutto andasse per il verso giusto, per dire a Ginevra che no, non aveva le sue cose e neanche mal di testa, e sì, tutto era ok. Bastava quello, con il più falso dei sorrisi, a far illuminare il volto della piccola Weasley, in modo che non si sentisse più in colpa, e potendo così tornare a tracciare vie invisibili sul braccio di Harry con le dita sottili, appoggiare la testa sulla sua spalla e guardare lei di sottecchi, per studiare una sua possibile reazione.
Invano.
Hermione continuava a seguire le lezioni, sgridare Ron per i suoi continui tentativi di copiare i compiti, Harry per la sua pigrizia e il poco tatto, e sorridere ingenuamente e senza cuore, come tutte le ragazze della sua età.
Ma dentro, era vuota.
Solo silenzio. Non un eco dentro di sé.
Sentiva freddo. E forse, forse non era soltanto per l’autunno oramai inoltrato.
Forse, quella sensazione che penetrava fino alle ossa…
…Quel presentimento cupo e inaspettato…
Avevano un significato più profondo, che andava giù, sempre più dentro di lei, in pensieri così oscuri e sconosciuti, che neanche sapeva di avere.
Non ci pensava. E sorrideva, sorrideva al vento e alle nuvole gonfie, sorrideva al volto pallido di Ron, agli occhi freddi di Harry, senza neanche chiedersi perché.

Hermione Granger si stringeva la sciarpa attorno al collo, rabbrividendo leggermente nelle prime luci della mattina: stava per arrivare l’inverno…

Il silenzio di Draco Malfoy era una prigione dalle sbarre d’oro e d’argento, dall’ambiente apparentemente caldo e rilassato, quasi confortevole come una casa.
Ma in realtà, possedeva il gelo e la fragilità del ghiaccio. Pronto a cedere ad ogni suo passo. Brancolava nel buio più assoluto, quell’oscurità che aveva tanto bramato, a cui aveva spesso proclamato di appartenere, vantando il suo nobile cognome e il sangue dietro di esso.
Eppure, adesso che si trovava esattamente dove voleva, con quel dolore bruciante sul braccio destro, e gli incubi, unici compagni nelle notti insonni…
…Perché aveva paura?
Lui, il Re delle Serpi, purosangue nobilissimo, che temeva la sua stessa carne. Si trovava, ora, nel castello nero che aveva sognato fin da bambino, in un ingenuo desiderio di gloria.
Il silenzio gli permetteva di nascondere la rabbia e l’orgoglio, la paura e i rimpianti, fingendo una spavalderia che avrebbe potuto ingannare anche se stesso.
Ma adesso, era solo.
Non c’era nessuno a cui chiedere aiuto. Nessuno su cui contare realmente. Poteva solo obbedire agli ordini… Oppure morire. Ma era quello che desiderava realmente? Era quello l’ideale per cui avrebbe combattuto? O forse solo un gioco, ormai noioso e ripetitivo?
Gli restava solo un’ultima carta da giocare.


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Hermione si trovava immersa nell’oscurità immobile.
Il che era curioso, perché non aveva la più pallida idea di come ci fosse arrivata.
Si guardò intorno, stupita, e stranamente per nulla spaventata da tutta quell’ombra.
Notò subito che poggiava i piedi su un materiale morbido e liscio, e indossava la camicia da notte.

Non c’era nulla, là dentro. Il silenzio più assoluto. Neanche il pulsare del proprio cuore.
Due battiti di ciglia più tardi, aveva realizzato.
Era un sogno. Abbastanza ovvio, e fin troppo facile, per una come lei.
A quel punto, si sarebbe dovuta svegliare.
Ma non accadde.
Mosse qualche passo, cercando di prendere cognizione con l’ampiezza dell’ambiente circostante. Non c’era una finestra e neanche una luce. Eppure poteva vedere chiaramente le proprio mani e il proprio corpo. Questo era alquanto strano.
<< C’è nessuno? >>, sussurrò in maniera appena udibile.
In una situazione meno onirica, avrebbe gridato a squarciagola, ma il suo incrollabile buon senso gli suggeriva che mettersi a urlare nel sonno non sarebbe stata una grande idea. Affatto.
La grifondoro sbuffò appena seccata, per tornare ad osservare le proprie mani, che sembravano emettere in lieve bagliore. Ma certo! Riusciva a vedersi perché emanava luce dall’interno. Almeno quello era chiaro. Ma perché?
Alzò lo sguardo dai proprio piedi, e trasalì.
Davanti a lei, adesso, si trovava la sua stessa immagine, che la fissava inespressiva. Istintivamente alzò un braccio, per andare subito a sfiorare la superficie liscia e uniforme di… Uno specchio. Altra cosa ovvia. Si avvicinò lentamente al proprio riflesso, fino ad appoggiare completamente il palmo della mano sulla superficie. Rimase così qualche secondo, a mente completamente sgombra.

Partì con un inudibile scricchiolìo, una crepa minuscola che si formò esattamente dal punto dove la sua mano poggiava, facendole spalancare gli occhi, e ritirare il braccio di scatto. Presto la crepa si era estesa per tutta la lucida superficie, rivelandola molto più ampia di quanto Hermione immaginasse, lasciandola atterrita e confusa, mentre si allontanava goffamente, incespicando.

Scaglie argentate si staccarono dal soffitto, precipitando velocemente al suolo, e conficcandosi nel terreno. Gocce argentee e dure come diamanti.

Si coprì la testa con le mani, in un istintivo gesto di protezione, quando sentì qualcosa caderle su una mano.
Era sangue.

Gocce di sangue.

<< Questa è la guerra, Hermione. >

<< Lo porterò indietro, stanne certa! >>

<< Io… Ho paura. >>

Troppo Odio.

Sangue.

No!

<< NO! >>

Hermione si svegliò di soprassalto, madida di sudore, mentre le sue pupille saettavano impazzite da un lato all’altro della stanza. Lentamente, il suo cuore riprese a battere normalmente, mentre il suo cervello ricominciava a funzionare a dovere.
Un sogno… Era stato solo un sogno.

Tentò di ricordare i particolari di quella visione, del perché improvvisamente si era sentita così angosciata, terrorizzata e confusa.

Troppo Odio

Scosse la testa.
Non voleva pensarci. Non aveva il minimo senso. I sogni non significano nulla. Sono solo i prodotti del nostro cervello quando la parte razionale del subconscio è assopita.
Perlomeno, era ciò che tentava di convincersi in quel momento.
Si sfregò gli occhi, abbandonando il letto tiepido. Tentare di riaddormentarsi era inutile, visto che era praticamente l’alba. Il buio e la strettezza della stanza la rendevano inquieta e nervosa, e non ne poteva più di stare lì ferma e rimuginare.
Afferrò un vecchio golfino di lana, se lo mise addosso, e uscì dal dormitorio.

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L’aria in corridoio era fredda e odorava leggermente di muffa, immersa in un silenzio assoluto, turbato solo dal lieve risuonare dei suoi passi sulla pietra grigia.
Hermione non sapeva perché era lì, quando sarebbe dovuta essere nel suo letto, a dormire, sognare e non pensare a tutto quello che gli vorticava per la mente. Forse cercava delle risposte. Ma dove? Nella polvere dei tendaggi purpurei, fra le crepe del pavimento, o negli occhi vuoti e assonnati dei quadri che sonnecchiavano sulle pareti?
Non sapeva il perché, ma era lì.
Era concreta, reale. Lei esisteva in quel momento, respirava, la sua pelle era calda e le unghie penetravano nella cerna dei suoi polsi. La sensazione di esistere fisicamente le diedero una strana forza, che le permise di continuare a camminare, tentando di mantenere la mente sgombra.

Un lieve rumore la fece sobbalzare, mentre si guardava inutilmente intorno, nell’oscurità densa e impenetrabile. Automaticamente portò la mano alla cintura, dove di solito teneva la bacchetta, per poi accorgersi, con sommo stupore e autorimprovero, di non averla portata affatto.
Prese un paio di respiri profondi. Dopotutto, non aveva nulla di cui preoccuparsi. Era a scuola. Ad Hogwarts. Nessuno le avrebbe fatto del male…

Un rumore regolare di passi si avvicinava lentamente.
Hermione realizzò finalmente che anche se no, di certo Lord Voldemort non si aggirava per i corridoi fischiettando, se un professore l’avesse trovata là, non sarebbe stata in grado di trovare una spiegazione plausibile, e questo avrebbe influenzato non positivamente sulla sua perfetta carriera scolastica. Cosa che non doveva assolutamente accadere. Non sarebbe accaduto. Doveva nascondersi, forse? Ma dove?
In quel momento si accorse con orrore di non ricordare la strada per tornare al dormitorio.
In preda al panico più totale, incominciò a camminare frettolosamente verso una qualunque direzione, lasciando vagare febbrilmente lo sguardo, in cerca di un qualunque punto di riferimento, inutilmente. Ma da quando quella scuola era così dannatamente buia?

I rumori erano svaniti, ma adesso quello era l’ultimo dei suoi problemi.
Sconsolata, ma in un qualche modo sollevata per la scampata ramanzina, Hermione si sedette a terra, stringendosi le ginocchia al petto. Senza un preciso motivo, una strana malinconia la invase: girare per i corridoi, a notte fonda, in completa ignoranza delle regole, non era una cosa molto Hermionesca: più che altro, sarebbe stato tipico di Harry e Ron. O comunque, loro tre insieme. Ma quello, era molto, molto tempo prima. Adesso non c’era più il Trio, non c’erano più Harry, Ron ed Hermione. C’era lei, seduta al buio su un pavimento freddo e duro. C’era Ron, dall’altra parte del castello, immerso in chissà quali sogni e riflessioni. E poi, c’era Harry, lentamente divorato dalle ombre. Solo. Come loro tutti, oramai.
Non erano più amici come prima. Accettò quella semplice consapevolezza con strana rassegnazione, senza razioni. Non c’erano stati litigi, grida, scontri. Semplicemente, era successo così, quasi per caso, senza che neanche si accorgessero del motivo. Ma c’era davvero, poi, un motivo…? Hermione non ricordava, non riusciva a ricordare…
Con un ultimo, pesante sospiro, la grifondoro appoggiò la testa sulle ginocchio, concentrandosi sul suono calmo e regolare del suo respiro. Chiuse gli occhi, pronta a lasciarsi andare al sonno…

<< Hermione? Vorresti spiegarmi che ci fai qui? >>


 

* * *

Colpo di scena! Se mi credevate morta, sappiate che sbagliavate! Nonostante tutto, sono ancora qui. Mi raccomando, più recensite, più la storia va avanti in fretta :P

E non manca molto alla fine...

.

Solo un'ultima cosa: mi fa piacere sapere le vostre opinioni, e vedere come vi scervellate sui possibili pairing e coppie che vorreste vedere e cose così, ma sappiate che molto presto la storia assumerà toni definiti (già da questo capitolo si capiva qualcosa, direi) non voglio sentire lamentele o offese varie perchè non c'è la vostra coppia preferita o Ron/Hermione (che dico subito che NON ci sarà, perchè la detesto).

Spero che appreziate comunque il capitolo, visto che il romanticismo e l'amore restano sempre fra le righe.

suzako

 

 

  
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