2. Qualche
mese dopo…
McPhermont Street –
tarda mattina
“Papà, i pantaloni
sono sporchi… io non li voglio!” Maggie, dall’alto dei suoi tre anni si tirò via
alla meglio i pantaloni e li lanciò, irritata, sul letto.
Fred, in piedi in
bagno, prese un gran respiro, prima di reagire. Chiuse gli occhi, li riaprì, si
prese in braccio, avvolgendola nell’asciugamano, Reggie alla quale aveva appena
finito il bagno, e andò nella stanza della figlia maggiore, che trovò ferma di
fianco al letto con le braccia incrociate.
Appena il padre varcò
la soglia, Maggie lo affrontò a muso duro.
“Io voglio andare a
casa!”
“Sei a casa, Maggie.”
Tono calmo e deciso. Come da manuale. Controllato.
“No.” Il labbro
inferiore stava pericolosamente tremando.
“Maggie, ne abbiamo
parlato anche ieri. Questa è la nostra nuova casa. È diversa da prima, dobbiamo
conoscerla bene. Ma questa è la nostra casa. Adesso dobbiamo andare dai nonni
per mangiare,è domenica, quindi rimetti i pantaloni che hai indossato questa
mattina e andiamo non appena ho vestito Reggie.”
“No!” Gli occhi si
stavano arrossando.
“Maggie, vestiti e
andiamo dai nonni. Lì ne parliamo insieme.”
“Voglio la mamma…”
cominciò a singhiozzare Maggie.
Fred chiuse per un
secondo gli occhi e strinse la bocca. Poi si mise Reggie appoggiata su un
fianco, che osservava curiosa la sorella con le lacrime agli occhi, si avvicinò
alla figlia maggiore per abbracciarla, ma venne fermato.
“Non voglio te,
voglio la mamma!” lo respinse Maggie.
“La mamma non può più
venire, Maggie,” le sussurrò Fred.
“Non è
vero…”
“Maggie
…”
Qualcuno bussò alla
porta di casa al piano inferiore. Fred si sentì sull’orlo delle
lacrime.
Si girò verso la
porta della camera e urlò verso il basso.
“Chi è?” con tono
chiaramente al limite della sopportazione.
Dopo un attimo di
silenzio arrivò la risposta.
“Tonks… ripasso
più…”
“Sali!” le urlò di
nuovo Fred come fosse ai suoi ordini.
In pochi secondi
Tonks arrivò alla porta della camera e si trovò di fronte Fred che le tendeva
Reggie sul punto di piangere, mentre alle sue spalle Maggie piangeva a dirotto.
Aveva lo sguardo un po’ allarmato per il tono con il quale l’aveva accolta il
ragazzo.
Non era la prima
volta che passava a trovare Fred. Lo aveva anche aiutato nella preparazione del
trasloco poche settimane prima, lo aiutava con le bambine quando lo
chiedeva.
Molly e Arthur
Weasley erano per lei quanto di più vicino poteva avere dell’idea di famiglia
dopo che i suoi genitori erano morti e metà della famiglia era imprigionata ad
Azkaban o uccisa dai suoi colleghi perché passata dalla parte dei Mangiamorte
durante la guerra. Dalla morte di Remus Lupin era sola e la famiglia Weasley era
il suo appoggio per sentirsi ancora viva. A parte qualche relazione occasionale
e momentanea. Andare regolarmente da Fred lo aveva preso come un impegno verso
Molly, che vedeva il figlio a volte troppo orgoglioso per chiedere
aiuto.
Quella mattina,
sapendo che era previsto un pranzo alla Tana, era passata per salutare. E si
ritrovava nel mezzo di una crisi familiare.
“Vestila per favore,
io devo parlare con Maggie.”
“Io non ti voglio!”
gridò l’interessata.
Fred chiuse gli
occhi, mentre Tonks prendeva in braccio Reggie e si spostava nella camera della
bambina più piccola parlando per tranquillizzarla. Sempre con il sorriso
continuò a descriverle tutto quello che stava facendo, dalla ricerca del
pannolino a quella del vestito e delle scarpine, giocando a trasformarsi il
colore dei capelli e facendole il solletico così che Reggie ritrovò in breve il
sorriso. A giudicare dalle grida della camera a fianco invece Fred era in seria
difficoltà.
Alla fine Fred arrivò
nella camera di Maggie, stravolto.
“Non ce la faccio
Tonks, ho bisogno di un cambio.”
Tonks lo guardò
triste. Lo preoccupava davvero quel ragazzo in quel periodo. Anche Molly le
raccontava di quanto teso e preoccupato fosse per la figlia maggiore che
dimostrava tutto il suo dolore per la mancanza della mamma arrabbiandosi con il
padre. E inoltre si era intestardito di fare a modo suo, senza l’aiuto di
nessuno.
“Provo a parlarle
io…” gli propose, anche se aveva scarsa fiducia nelle sue abilità di dialogo con
i bambini di tre anni.
Bussarono di nuovo
alla porta.
“No!” esplose Fred,
coprendosi il volto con le mani, esausto.
“Chi è?” urlò Maggie
dalla camera accanto.
Fred alzò lo sguardo
meravigliato.
“Lo zio Ron…” sentì
rispondere.
“Zio!” esclamò la
bimba e cominciò a correre giù dalle scale verso la porta.
Fred guardò
sconsolato Tonks.
“Non so cosa
fare…”
“Valle dietro…”
disse, un po’ a caso, Tonks.
Fred sospirò e scese
le scale. Tonks lo seguì con Reggie in braccio che tentava di infilarle una mano
in bocca.
Ron, appena entrato,
prese in braccio la nipote per salutarla.
“Ehi, abbiamo pianto
qui…” le disse serio e preoccupato.
“Voglio la mamma…”
gli rispose lei imbronciandosi.
“Tutti vogliamo cose
che non possiamo avere,” disse Ron sbrigativo.
Maggie lo fissò
perplessa e poi guardò il padre. Lo zio le sembrava poco simpatico in quel
momento. Molto meno del solito. E non stava giocando con lei. Si girò verso il
padre e stese le mani per farsi prendere in braccio. Sarebbe stata più al sicuro
con lui. Fred la prese velocemente con sé, lieto della tregua e della
possibilità di abbracciarla tranquillamente e guardò perplesso il
fratello.
“Cosa è successo?”
chiese Tonks, più veloce di lui.
“Ho lasciato
Grimmauld Place. Per non tornarci. Harry mi ha schifato, decisamente,” affermò
Ron sprezzante e irritato.
Fred e Tonks si
guardarono meravigliati.
“Gran bella giornata,
questa…” commentò Fred ironico.
“Papà,” disse Maggie
mettendogli le braccia al collo e stringendosi a lui. “Ma la mamma non torna,
vero?” gli chiese sottovoce, del tutto disinteressata alla rabbia dello
zio.
Fred la strinse a sé,
con forza. Lanciò uno sguardo di scusa al fratello che scosse la testa,
comprensivo. Gli fece segno che ne avrebbero parlato dopo. Si allontanò dalla
porta con Maggie in braccio.
“No, amore, non può.
Vorrei anch’io, ma non può,” rispose alla figlia.
“Neppure tu puoi
farla tornare?” gli chiese speranzosa.
“No, tesoro, neppure
io,” le confermò triste il padre.
“Davvero?”
“Davvero, Maggie.
Nessuno può farla tornare.” La guardò negli occhi con
dolcezza.
Maggie rimase in
silenzio. Fred le accarezzò i capelli.
Tonks intanto aveva
messo la mano libera attorno alle spalle di Ron e lo stava accompagnando verso
il divano, parlandogli a bassa voce. Reggie, incuriosita dai capelli quasi
rasati dello zio tentava di afferrare quelle punte rosse che aveva in testa,
senza successo.
“Papà…” cominciò
seria Maggie.
“Dimmi…”
“Tu non te ne vai
vero?” chiese quasi piangendo.
“No, no! Hai paura di
questo?” le chiese sorpreso e ansioso. Ma perché non riusciva a seguire il filo
dei pensieri di sua figlia? Aveva solo tre anni e già lo metteva in
crisi.
Maggie annuì in
silenzio, un po’ meno preoccupata.
Cercando le parole
più semplici che trovava Fred le parlò nuovamente della mamma e di quanto amasse
le sue figlie e di quanto avrebbe voluto rimanere con loro. Le ricordò che anche
lui le amava tanto e non le avrebbe lasciate. Le parlò dei nonni e di tutti gli
zii e le zie cercando di farle capire quante persone le volevano bene e si
sarebbero presi cura di lei e della sorella. Maggie lo ascoltò appoggiata alla
sua spalla. La parola “strazio” per Fred diventava ogni giorno più
significativa. Poi però, dopo un po’ di silenzio, Maggie rialzò la testa
sorridendo al padre.
“Non è vero che non
ti voglio… ma ero come…” strinse gli occhi alla ricerca delle parole giuste.
“Come lo zio prima!” concluse soddisfatta.
Fred le sorrise
sentendosi un peso in meno sul cuore. Fino alla prossima
battaglia.
“Ma cosa vuol dire
schifato?” gli chiese curiosa.
Fred guardò Ron che
strinse le spalle in segno di scusa.
Ron sedeva
imbronciato sul divano a guardare Maggie e Ernestine che cercavano di prendere
una bolla verde costruita con le alghe da Neville Paciock che volteggiava in
aria, ma senza riuscirci, mentre l’inventore, seduto di fronte a lui,
abbracciava e baciava sua sorella Ginny, trattenendosi notevolmente da ulteriori
effusioni, data la presenza di Molly e Arthur poco
distante.
Sembrava che fossero
passati molto più di tre mesi dal loro matrimonio. Era stata una giornata
piacevole e divertente, la prima dalla morte di Angelina. Tutto era stato
programmato da tempo e Fred aveva rifiutato categoricamente di far posticipare
l’evento. Lui e Ginny ne avevano parlato seduti davanti alla porta della nuova
casa dei futuri sposi dopo aver controllato il lavoro degli idraulici e dei
muratori che era stato concluso in giornata. Ginny gli aveva appoggiato la testa
su una spalla e lo aveva tenuto stretto per un braccio. Lentamente aveva
affrontato la data del suo matrimonio e la possibilità di spostarla, dato il
lutto recente del fratello. Fred le aveva circondato le spalle con un braccio e
le aveva dato un bacio in fronte. Voleva gente allegra attorno, aveva detto alla
sorella, voleva vedere sorrisi e sentirsi circondato dalla famiglia. Lui e le
figlie. Poi avevano continuato a guardare le stelle, parlando ogni
tanto.
Adesso Ron invidiava
la sorella. Notevolmente. Aveva lasciato Grimmauld Place da qualche giorno e
ancora temeva di vedersi comparire davanti la faccia arrabbiata e tesa di Harry.
Per parecchi mesi aveva sopportato il suo silenzio, la sua rabbia mascherata da
indifferenza, il disinteresse che dimostrava verso di lui e verso il resto del
mondo. Poi, una sera, se n’era tornato a casa dicendogli che lasciava gli Auror.
Semplicemente.
Ron chiuse gli occhi
ripensando agli anni dopo l’uscita da Hogwarts. Diventare Auror era il loro
sogno comune. Avevano lavorato insieme per arrivarci. Avevano condiviso ogni
momento negli ultimi sei anni… ogni momento di vita era stato insieme. Parlavano
di ogni cosa, seria o meno, si confortavano a vicenda, si sostenevano a vicenda.
Parlano, insomma. E quanto gli era stato vicino solo qualche mese prima quando
Angelina era morta. Negli ultimi tempi il lavoro era sempre meno interessante e
coinvolgente, lo riconosceva anche lui, ma lasciare la squadra senza farne
parola con il suo migliore amico né prima né dopo… si era sentito tradito,
abbandonato, aveva perso in poche ore tutta la sua fiducia in Harry. Pensava che
la loro amicizia sarebbe arrivata prima di ogni altra cosa, prima dell’amore,
prima del lavoro, prima dei problemi. Ma a quanto pare per Harry non era così.
Aveva scelto da solo.
E dopo averlo tradito
non si era neppure degnato di spiegargli i motivi della sua scelta, non aveva
parlato con lui per giorni, gli semplicemente comunicato che aveva accettato
l’incarico di Ministro della Guerra che gli era stato offerto. Ron avrebbe
voluto urlargli che la guerra era finita sei anni prima e oltre, che non c’erano
attacchi dei Mangiamorte da almeno quattro anni, che tutti i seguaci di
Voldemort erano in prigione… che accidenti di lavoro era occuparsi della guerra
in tempo di pace?
Ogni tentativo di
parlare con Harry, però, cadeva nel vuoto. Non rispondeva, cambiava argomento,
faceva finta di non sentire. Ron aveva avuto la tentazione di rompergli la
faccia a pugni parecchie volte, ma non aveva ceduto alla rabbia, tranne quando,
una sera, stanco e arrabbiato per una giornata di lavoro del tutto
insignificante e inconcludente, era rientrato nella loro casa e si era ritrovato
solo, con il cibo freddo nei piatti, il disordine della casa, poco curata da
Harry e aveva pianto di rabbia e di delusione. Gli stava crollando tutto
addosso. Ma non avrebbe aspettato di morire così. Aveva fatto velocemente le
valige con poche cose e aveva lasciato un pezzo di pergamena ad Harry
informandolo che se ne andava, che cercava un’altra casa. Quello che era stato
il suo migliore amico stava partecipando a qualche festa, oppure era già a
letto. Ma a Ron non interessava più. Voleva solo poter ricominciare a vivere
senza il dolore della vicinanza di Harry che sembrava non vederlo
più.
E adesso era lì. A
casa dei suoi. Che cercava di pensare a come far quadrare i conti, come prendere
casa e lasciare gli alloggi nel quartiere generale degli Auror, dove si era
rifugiato, sicuro che Hary non vi avrebbe messo piede, per potersi ricostruire
uno spazio suo, solo suo. Harry non si faceva sentire e vedere da giorni, forse
settimane. A dire il vero non si erano mai più visti. E Ron non lo aveva
cercato. Era arrabbiato in quel momento. Furente, per essere precisi. E guardare
Ginny e Neville felici e sereni lo faceva imbestialire ancora di più. A lui
quello non era stato concesso più dopo la fine della storia con Hermione. E
anche se fosse proseguita si sarebbero dissanguati emotivamente a vicenda. Non
si era pentito, ma a volte gli mancava la sicurezza di avere una persona al suo
fianco. Adesso non aveva neppure Harry.
Sul tavolo di cucina
Fred e George stavano discutendo dell’organizzazione del negozio, definendo la
distribuzione delle varie attività. Fred aveva ripreso a lavorare dopo poco più
di una settimana dal funerale di Angelina, dopo essersi occupato
dell’organizzazione della vita sua e delle figlie. Ma era stato un lavoro un po’
disordinato. Non amava più starsene con i clienti, presentare pazientemente i
prodotti o attirare la curiosità dei ragazzini provandoli con loro. Preferiva il
lavoro d’ufficio, le carte da controllare, ricevere e smistare gli ordini che
arrivavano.
“Allora,” puntualizzò
George, dopo un sorriso veloce alla moglie che discuteva di dolci con Molly,
“per quanto riguarda la vendita e la produzione siamo quasi a
posto.”
“Potremmo chiedere a
Lettie di lavorare in negozio,” propose Fred.
“Era brava con i
clienti,” proseguì George.
“Togliendole
l’amministrazione che prenderei io,” disse Fred.
“Potrebbe stare con
me tutto il giorno, ma l’invenzione…” aggiunse George.
“Quella no, voglio
farla,” chiarì Fred.
“Ci prendiamo del
tempo per noi, per sperimentare.” Gorge si rilassò sulla
sedia.
“Potremmo usare la
parte del negozio di Jackson che è rimasto vuoto.”
“Lo sistemiamo come
laboratorio.”
“Ci entriamo solo
noi, lo proteggiamo dagli intrusi.”
“Facciamo in modo che
da fuori non si veda né senta nulla.”
Si guardarono
soddisfatti. Avevano fatto un buon lavoro.
“Così posso uscire
dal negozio per andare dalle bambine se serve,” disse Fred rilassandosi contro
la sedia. “Anche per quando dovrò cominciare a portare Maggie
all’asilo.”
“Maggie può
continuare a venire con noi e Ernestine al mattino. Il pomeriggio se vuoi
Lucinda può tenere anche lei e Reggie.”
“Lo so. Ma vorrei che
stesse a casa nostra. Voglio che si affezioni alla casa nuova. Voglio che impari
ad amarla come uno spazio suo. Costa una baby sitter per il pomeriggio…
tanto.”
Fred ogni tanto si
chiedeva se stare troppo a lungo con le bambine lo aveva contagiato: i pensieri
si rincorrevano nella sua testa senza sosta, a volte senza concludersi, oppure
si contraddicevano l’un con l’altro. Era estenuante prendere una decisione in
quel periodo.
“Fred, ma avete visto
Tonks oggi?” gli chiese la madre, sovrastando le voci nella
stanza.
“È passata questa
mattina, prima che arrivassimo. Le ho chiesto di venire qui, ma era passato solo
a controllare che non ci fossero troppi problemi per me. Non so dove sia
andata…” Fred sapeva di non averle praticamente parlato quella mattina se non
per chiederle aiuto, senza dimostrare interesse per lei, ma proprio non aveva
spazio per pensare agli altri in quel periodo, nonostante Tonks fosse da sempre
una persona estremamente simpatica e divertente. Vide la madre sorridere,
soddisfatta. Lucinda, più pronta di lui, sorrise di riflesso e chiese: “Cosa sai
Molly che noi non sappiamo?” Per tutti Tonks era parte della famiglia, anche
prima della morte di Remus. E quindi era parte dell’interesse e della curiosità
di tutti.
“Ha conosciuto un
ragazzo…” lanciò il sasso Molly.
“Molly!” intervenne
secco il marito per fermarla.
“Andiamo, Arthur è
una buona notizia per lei,” rispose piccata “ed era ora che trovasse un po’ di
pace, la mia ragazza.”
“Beh,” intervenne
Ginny, lasciando stare per un attimo la faccia del marito che stava baciando,
per sviare un po’ il discorso e salvare l’amica, “almeno adesso posso dividere
lo spazio con qualche altra donna Weasley, senza essere il centro
dell’attenzione di tutta la famiglia. Dovrò ringraziare
Ninpha…”
“Tesoro,” disse,
giocando con lei, la madre, “non provarci. Ci sono novità?” chiese con aria
ingenua e ironica.
“Mamma! Siamo sposati
da tre mesi!” la sgridò la figlia, pentita dello slancio fraterno verso Tonks.
Neville non la aiutava ridacchiando divertito dell’imbarazzo della moglie. Il
resto dei fratelli cominciò a ridere apertamente. “Chiedi a Ron di darsi da
fare, invece. Lui viene prima e Percy anche!”
“Non mi mettere in
mezzo!” Ron la guardò preoccupato. “Parla con Percy, mamma,” propose
direttamente a Molly che rideva della sua reazione
imbarazzata.