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Autore: tonksnape    18/10/2006    1 recensioni
Torna Danduly Street. Dalla parte di Fred Weasley e Ninphadora Tonks. Entrambi devono fare i conti con il dolore e la solitudine e poi con la ricerca di una famiglia e di qualcosa che va oltre la loro solidale amicizia. Il racconto inizia nel 2005 circa e termina nuovamente nel 2008. Non è necessario aver letto la storia precedente, con le vicende di Harry e Ron, per poter seguire questa. I personaggi sono di JKR, tranne qualche piccolo nuovo inserimento. Il resto è fantasia. Buona lettura. Ai fedelissimi di Danduly Street e a coloro che vorranno aggiungersi al viaggio.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Famiglia, Weasley, George, e, Fred, Weasley, Nimphadora, Tonks
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2.    Qualche mese dopo…

 

McPhermont Street – tarda mattina

“Papà, i pantaloni sono sporchi… io non li voglio!” Maggie, dall’alto dei suoi tre anni si tirò via alla meglio i pantaloni e li lanciò, irritata, sul letto.

Fred, in piedi in bagno, prese un gran respiro, prima di reagire. Chiuse gli occhi, li riaprì, si prese in braccio, avvolgendola nell’asciugamano, Reggie alla quale aveva appena finito il bagno, e andò nella stanza della figlia maggiore, che trovò ferma di fianco al letto con le braccia incrociate.

Appena il padre varcò la soglia, Maggie lo affrontò a muso duro.

“Io voglio andare a casa!”

“Sei a casa, Maggie.” Tono calmo e deciso. Come da manuale. Controllato.

“No.” Il labbro inferiore stava pericolosamente tremando.

“Maggie, ne abbiamo parlato anche ieri. Questa è la nostra nuova casa. È diversa da prima, dobbiamo conoscerla bene. Ma questa è la nostra casa. Adesso dobbiamo andare dai nonni per mangiare,è domenica, quindi rimetti i pantaloni che hai indossato questa mattina e andiamo non appena ho vestito Reggie.”

“No!” Gli occhi si stavano arrossando.

“Maggie, vestiti e andiamo dai nonni. Lì ne parliamo insieme.”

“Voglio la mamma…” cominciò a singhiozzare Maggie.

Fred chiuse per un secondo gli occhi e strinse la bocca. Poi si mise Reggie appoggiata su un fianco, che osservava curiosa la sorella con le lacrime agli occhi, si avvicinò alla figlia maggiore per abbracciarla, ma venne fermato.

“Non voglio te, voglio la mamma!” lo respinse Maggie.

“La mamma non può più venire, Maggie,” le sussurrò Fred.

“Non è vero…”

“Maggie …”

Qualcuno bussò alla porta di casa al piano inferiore. Fred si sentì sull’orlo delle lacrime.

Si girò verso la porta della camera e urlò verso il basso.

“Chi è?” con tono chiaramente al limite della sopportazione.

Dopo un attimo di silenzio arrivò la risposta.

“Tonks… ripasso più…”

“Sali!” le urlò di nuovo Fred come fosse ai suoi ordini.

In pochi secondi Tonks arrivò alla porta della camera e si trovò di fronte Fred che le tendeva Reggie sul punto di piangere, mentre alle sue spalle Maggie piangeva a dirotto. Aveva lo sguardo un po’ allarmato per il tono con il quale l’aveva accolta il ragazzo.

Non era la prima volta che passava a trovare Fred. Lo aveva anche aiutato nella preparazione del trasloco poche settimane prima, lo aiutava con le bambine quando lo chiedeva.

Molly e Arthur Weasley erano per lei quanto di più vicino poteva avere dell’idea di famiglia dopo che i suoi genitori erano morti e metà della famiglia era imprigionata ad Azkaban o uccisa dai suoi colleghi perché passata dalla parte dei Mangiamorte durante la guerra. Dalla morte di Remus Lupin era sola e la famiglia Weasley era il suo appoggio per sentirsi ancora viva. A parte qualche relazione occasionale e momentanea. Andare regolarmente da Fred lo aveva preso come un impegno verso Molly, che vedeva il figlio a volte troppo orgoglioso per chiedere aiuto.

Quella mattina, sapendo che era previsto un pranzo alla Tana, era passata per salutare. E si ritrovava nel mezzo di una crisi familiare.

“Vestila per favore, io devo parlare con Maggie.”

“Io non ti voglio!” gridò l’interessata.

Fred chiuse gli occhi, mentre Tonks prendeva in braccio Reggie e si spostava nella camera della bambina più piccola parlando per tranquillizzarla. Sempre con il sorriso continuò a descriverle tutto quello che stava facendo, dalla ricerca del pannolino a quella del vestito e delle scarpine, giocando a trasformarsi il colore dei capelli e facendole il solletico così che Reggie ritrovò in breve il sorriso. A giudicare dalle grida della camera a fianco invece Fred era in seria difficoltà.

Alla fine Fred arrivò nella camera di Maggie, stravolto.

“Non ce la faccio Tonks, ho bisogno di un cambio.”

Tonks lo guardò triste. Lo preoccupava davvero quel ragazzo in quel periodo. Anche Molly le raccontava di quanto teso e preoccupato fosse per la figlia maggiore che dimostrava tutto il suo dolore per la mancanza della mamma arrabbiandosi con il padre. E inoltre si era intestardito di fare a modo suo, senza l’aiuto di nessuno.

“Provo a parlarle io…” gli propose, anche se aveva scarsa fiducia nelle sue abilità di dialogo con i bambini di tre anni.

Bussarono di nuovo alla porta.

“No!” esplose Fred, coprendosi il volto con le mani, esausto.

“Chi è?” urlò Maggie dalla camera accanto.

Fred alzò lo sguardo meravigliato.

“Lo zio Ron…” sentì rispondere.

“Zio!” esclamò la bimba e cominciò a correre giù dalle scale verso la porta.

Fred guardò sconsolato Tonks.

“Non so cosa fare…”

“Valle dietro…” disse, un po’ a caso, Tonks.

Fred sospirò e scese le scale. Tonks lo seguì con Reggie in braccio che tentava di infilarle una mano in bocca.

Ron, appena entrato, prese in braccio la nipote per salutarla.

“Ehi, abbiamo pianto qui…” le disse serio e preoccupato.

“Voglio la mamma…” gli rispose lei imbronciandosi.

“Tutti vogliamo cose che non possiamo avere,” disse Ron sbrigativo.

Maggie lo fissò perplessa e poi guardò il padre. Lo zio le sembrava poco simpatico in quel momento. Molto meno del solito. E non stava giocando con lei. Si girò verso il padre e stese le mani per farsi prendere in braccio. Sarebbe stata più al sicuro con lui. Fred la prese velocemente con sé, lieto della tregua e della possibilità di abbracciarla tranquillamente e guardò perplesso il fratello.

“Cosa è successo?” chiese Tonks, più veloce di lui.

“Ho lasciato Grimmauld Place. Per non tornarci. Harry mi ha schifato, decisamente,” affermò Ron sprezzante e irritato.

Fred e Tonks si guardarono meravigliati.

“Gran bella giornata, questa…” commentò Fred ironico.

“Papà,” disse Maggie mettendogli le braccia al collo e stringendosi a lui. “Ma la mamma non torna, vero?” gli chiese sottovoce, del tutto disinteressata alla rabbia dello zio.

Fred la strinse a sé, con forza. Lanciò uno sguardo di scusa al fratello che scosse la testa, comprensivo. Gli fece segno che ne avrebbero parlato dopo. Si allontanò dalla porta con Maggie in braccio.

“No, amore, non può. Vorrei anch’io, ma non può,” rispose alla figlia.

“Neppure tu puoi farla tornare?” gli chiese speranzosa.

“No, tesoro, neppure io,” le confermò triste il padre.

“Davvero?”

“Davvero, Maggie. Nessuno può farla tornare.” La guardò negli occhi con dolcezza.

Maggie rimase in silenzio. Fred le accarezzò i capelli.

Tonks intanto aveva messo la mano libera attorno alle spalle di Ron e lo stava accompagnando verso il divano, parlandogli a bassa voce. Reggie, incuriosita dai capelli quasi rasati dello zio tentava di afferrare quelle punte rosse che aveva in testa, senza successo.

“Papà…” cominciò seria Maggie.

“Dimmi…”

“Tu non te ne vai vero?” chiese quasi piangendo.

“No, no! Hai paura di questo?” le chiese sorpreso e ansioso. Ma perché non riusciva a seguire il filo dei pensieri di sua figlia? Aveva solo tre anni e già lo metteva in crisi.

Maggie annuì in silenzio, un po’ meno preoccupata.

Cercando le parole più semplici che trovava Fred le parlò nuovamente della mamma e di quanto amasse le sue figlie e di quanto avrebbe voluto rimanere con loro. Le ricordò che anche lui le amava tanto e non le avrebbe lasciate. Le parlò dei nonni e di tutti gli zii e le zie cercando di farle capire quante persone le volevano bene e si sarebbero presi cura di lei e della sorella. Maggie lo ascoltò appoggiata alla sua spalla. La parola “strazio” per Fred diventava ogni giorno più significativa. Poi però, dopo un po’ di silenzio, Maggie rialzò la testa sorridendo al padre.

“Non è vero che non ti voglio… ma ero come…” strinse gli occhi alla ricerca delle parole giuste. “Come lo zio prima!” concluse soddisfatta.

Fred le sorrise sentendosi un peso in meno sul cuore. Fino alla prossima battaglia.

“Ma cosa vuol dire schifato?” gli chiese curiosa.

Fred guardò Ron che strinse le spalle in segno di scusa.

 

La Tana – alcune ore dopo

Ron sedeva imbronciato sul divano a guardare Maggie e Ernestine che cercavano di prendere una bolla verde costruita con le alghe da Neville Paciock che volteggiava in aria, ma senza riuscirci, mentre l’inventore, seduto di fronte a lui, abbracciava e baciava sua sorella Ginny, trattenendosi notevolmente da ulteriori effusioni, data la presenza di Molly e Arthur poco distante.

Sembrava che fossero passati molto più di tre mesi dal loro matrimonio. Era stata una giornata piacevole e divertente, la prima dalla morte di Angelina. Tutto era stato programmato da tempo e Fred aveva rifiutato categoricamente di far posticipare l’evento. Lui e Ginny ne avevano parlato seduti davanti alla porta della nuova casa dei futuri sposi dopo aver controllato il lavoro degli idraulici e dei muratori che era stato concluso in giornata. Ginny gli aveva appoggiato la testa su una spalla e lo aveva tenuto stretto per un braccio. Lentamente aveva affrontato la data del suo matrimonio e la possibilità di spostarla, dato il lutto recente del fratello. Fred le aveva circondato le spalle con un braccio e le aveva dato un bacio in fronte. Voleva gente allegra attorno, aveva detto alla sorella, voleva vedere sorrisi e sentirsi circondato dalla famiglia. Lui e le figlie. Poi avevano continuato a guardare le stelle, parlando ogni tanto.

Adesso Ron invidiava la sorella. Notevolmente. Aveva lasciato Grimmauld Place da qualche giorno e ancora temeva di vedersi comparire davanti la faccia arrabbiata e tesa di Harry. Per parecchi mesi aveva sopportato il suo silenzio, la sua rabbia mascherata da indifferenza, il disinteresse che dimostrava verso di lui e verso il resto del mondo. Poi, una sera, se n’era tornato a casa dicendogli che lasciava gli Auror. Semplicemente.

Ron chiuse gli occhi ripensando agli anni dopo l’uscita da Hogwarts. Diventare Auror era il loro sogno comune. Avevano lavorato insieme per arrivarci. Avevano condiviso ogni momento negli ultimi sei anni… ogni momento di vita era stato insieme. Parlavano di ogni cosa, seria o meno, si confortavano a vicenda, si sostenevano a vicenda. Parlano, insomma. E quanto gli era stato vicino solo qualche mese prima quando Angelina era morta. Negli ultimi tempi il lavoro era sempre meno interessante e coinvolgente, lo riconosceva anche lui, ma lasciare la squadra senza farne parola con il suo migliore amico né prima né dopo… si era sentito tradito, abbandonato, aveva perso in poche ore tutta la sua fiducia in Harry. Pensava che la loro amicizia sarebbe arrivata prima di ogni altra cosa, prima dell’amore, prima del lavoro, prima dei problemi. Ma a quanto pare per Harry non era così. Aveva scelto da solo.

E dopo averlo tradito non si era neppure degnato di spiegargli i motivi della sua scelta, non aveva parlato con lui per giorni, gli semplicemente comunicato che aveva accettato l’incarico di Ministro della Guerra che gli era stato offerto. Ron avrebbe voluto urlargli che la guerra era finita sei anni prima e oltre, che non c’erano attacchi dei Mangiamorte da almeno quattro anni, che tutti i seguaci di Voldemort erano in prigione… che accidenti di lavoro era occuparsi della guerra in tempo di pace?

Ogni tentativo di parlare con Harry, però, cadeva nel vuoto. Non rispondeva, cambiava argomento, faceva finta di non sentire. Ron aveva avuto la tentazione di rompergli la faccia a pugni parecchie volte, ma non aveva ceduto alla rabbia, tranne quando, una sera, stanco e arrabbiato per una giornata di lavoro del tutto insignificante e inconcludente, era rientrato nella loro casa e si era ritrovato solo, con il cibo freddo nei piatti, il disordine della casa, poco curata da Harry e aveva pianto di rabbia e di delusione. Gli stava crollando tutto addosso. Ma non avrebbe aspettato di morire così. Aveva fatto velocemente le valige con poche cose e aveva lasciato un pezzo di pergamena ad Harry informandolo che se ne andava, che cercava un’altra casa. Quello che era stato il suo migliore amico stava partecipando a qualche festa, oppure era già a letto. Ma a Ron non interessava più. Voleva solo poter ricominciare a vivere senza il dolore della vicinanza di Harry che sembrava non vederlo più.

E adesso era lì. A casa dei suoi. Che cercava di pensare a come far quadrare i conti, come prendere casa e lasciare gli alloggi nel quartiere generale degli Auror, dove si era rifugiato, sicuro che Hary non vi avrebbe messo piede, per potersi ricostruire uno spazio suo, solo suo. Harry non si faceva sentire e vedere da giorni, forse settimane. A dire il vero non si erano mai più visti. E Ron non lo aveva cercato. Era arrabbiato in quel momento. Furente, per essere precisi. E guardare Ginny e Neville felici e sereni lo faceva imbestialire ancora di più. A lui quello non era stato concesso più dopo la fine della storia con Hermione. E anche se fosse proseguita si sarebbero dissanguati emotivamente a vicenda. Non si era pentito, ma a volte gli mancava la sicurezza di avere una persona al suo fianco. Adesso non aveva neppure Harry.

Sul tavolo di cucina Fred e George stavano discutendo dell’organizzazione del negozio, definendo la distribuzione delle varie attività. Fred aveva ripreso a lavorare dopo poco più di una settimana dal funerale di Angelina, dopo essersi occupato dell’organizzazione della vita sua e delle figlie. Ma era stato un lavoro un po’ disordinato. Non amava più starsene con i clienti, presentare pazientemente i prodotti o attirare la curiosità dei ragazzini provandoli con loro. Preferiva il lavoro d’ufficio, le carte da controllare, ricevere e smistare gli ordini che arrivavano.

“Allora,” puntualizzò George, dopo un sorriso veloce alla moglie che discuteva di dolci con Molly, “per quanto riguarda la vendita e la produzione siamo quasi a posto.”

“Potremmo chiedere a Lettie di lavorare in negozio,” propose Fred.

“Era brava con i clienti,” proseguì George.

“Togliendole l’amministrazione che prenderei io,” disse Fred.

“Potrebbe stare con me tutto il giorno, ma l’invenzione…” aggiunse George.

“Quella no, voglio farla,” chiarì Fred.

“Ci prendiamo del tempo per noi, per sperimentare.” Gorge si rilassò sulla sedia.

“Potremmo usare la parte del negozio di Jackson che è rimasto vuoto.”

“Lo sistemiamo come laboratorio.”

“Ci entriamo solo noi, lo proteggiamo dagli intrusi.”

“Facciamo in modo che da fuori non si veda né senta nulla.”

Si guardarono soddisfatti. Avevano fatto un buon lavoro.

“Così posso uscire dal negozio per andare dalle bambine se serve,” disse Fred rilassandosi contro la sedia. “Anche per quando dovrò cominciare a portare Maggie all’asilo.”

“Maggie può continuare a venire con noi e Ernestine al mattino. Il pomeriggio se vuoi Lucinda può tenere anche lei e Reggie.”

“Lo so. Ma vorrei che stesse a casa nostra. Voglio che si affezioni alla casa nuova. Voglio che impari ad amarla come uno spazio suo. Costa una baby sitter per il pomeriggio… tanto.”

Fred ogni tanto si chiedeva se stare troppo a lungo con le bambine lo aveva contagiato: i pensieri si rincorrevano nella sua testa senza sosta, a volte senza concludersi, oppure si contraddicevano l’un con l’altro. Era estenuante prendere una decisione in quel periodo.

“Fred, ma avete visto Tonks oggi?” gli chiese la madre, sovrastando le voci nella stanza.

“È passata questa mattina, prima che arrivassimo. Le ho chiesto di venire qui, ma era passato solo a controllare che non ci fossero troppi problemi per me. Non so dove sia andata…” Fred sapeva di non averle praticamente parlato quella mattina se non per chiederle aiuto, senza dimostrare interesse per lei, ma proprio non aveva spazio per pensare agli altri in quel periodo, nonostante Tonks fosse da sempre una persona estremamente simpatica e divertente. Vide la madre sorridere, soddisfatta. Lucinda, più pronta di lui, sorrise di riflesso e chiese: “Cosa sai Molly che noi non sappiamo?” Per tutti Tonks era parte della famiglia, anche prima della morte di Remus. E quindi era parte dell’interesse e della curiosità di tutti.

“Ha conosciuto un ragazzo…” lanciò il sasso Molly.

“Molly!” intervenne secco il marito per fermarla.

“Andiamo, Arthur è una buona notizia per lei,” rispose piccata “ed era ora che trovasse un po’ di pace, la mia ragazza.”

“Beh,” intervenne Ginny, lasciando stare per un attimo la faccia del marito che stava baciando, per sviare un po’ il discorso e salvare l’amica, “almeno adesso posso dividere lo spazio con qualche altra donna Weasley, senza essere il centro dell’attenzione di tutta la famiglia. Dovrò ringraziare Ninpha…”

“Tesoro,” disse, giocando con lei, la madre, “non provarci. Ci sono novità?” chiese con aria ingenua e ironica.

“Mamma! Siamo sposati da tre mesi!” la sgridò la figlia, pentita dello slancio fraterno verso Tonks. Neville non la aiutava ridacchiando divertito dell’imbarazzo della moglie. Il resto dei fratelli cominciò a ridere apertamente. “Chiedi a Ron di darsi da fare, invece. Lui viene prima e Percy anche!”

“Non mi mettere in mezzo!” Ron la guardò preoccupato. “Parla con Percy, mamma,” propose direttamente a Molly che rideva della sua reazione imbarazzata.

 

  
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