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Autore: Beatrix Bonnie    21/03/2012    2 recensioni
E se Silente avesse sbagliato i suoi conti? Se Harry, quel giorno a King's Cross, invece di tornare e combattere, avesse deciso di prendere il treno che lo avrebbe portato avanti?
Con un Voldemort al vertice del suo potere, il mondo magico nel caos e il Ministero della Magia definitivamente nelle mani dei Mangiamorte, uno sparuto gruppo di ribelli si oppone ancora all'autorità centrale: sono i membri dell'Ordine della Capra, i sopravvissuti della Grande Battaglia di Hogwarts.
Ma per sconfiggere Voldemort ci vuole ben altro: ci vogliono madri pronte a tutto per salvare i propri figli, una ragazza capace di mettere da parte il proprio egoismo per scendere in campo contro il dittatore e, soprattutto, la forza dell'innocenza di un bambino Veggente.
Storia prima classificata al "What if contest".
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Neville Paciock, Nuovo personaggio | Coppie: Dean/Luna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La saga del bambino Veggente'
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Il sacrificio

Quartier Generale dell'Ordine della Capra
il giorno successivo, dopo pranzo



Sam si era fatto regalare da Kreacher una vecchia foto di Regulus e l'aveva messa nella tasca dei jeans, dove teneva le cose importanti: il sasso a forma di cuore che una volta Esther aveva trovato sulla spiaggia e la macchinina blu che suo padre gli aveva regalato per il compleanno.
Aveva passato tutta la mattina a meditare sulla sua decisione: sinceramente, Neville era un ragazzo gentile, ma lo conosceva solo da tre giorni. Perché diavolo avrebbe dovuto sacrificarsi per lui?
Eppure aveva come l'impressione che quella fosse la cosa giusta da fare. Dopotutto, la sua presenza metteva in pericolo non solo la vita di Neville, ma anche quella di tutta la sua famiglia. Era stata colpa sua se gli uomini del Pelatone li avevano rintracciati ed erano stati costretti a fuggire. Era potenzialmente dannoso per chiunque entrasse in contatto con lui. Non aveva alternative, se ne doveva andare.
La spinta decisiva gliela diede l'ennesima visione che ebbe quel pomeriggio, subito dopo pranzo. Se ne stava tranquillo in cucina insieme a Dean, a sgranocchiare i biscotti preparati da Kreacher, quando Neville entrò nella stanza. Sam sgranò gli occhi e inghiottì un urlo, quando vide che il ragazzo aveva le mani completamente ricoperte di sangue. Si alzò di scatto dalla sedia, terrorizzato, e scappò fuori dalla cucina.
«Che diavolo gli è preso?» domandò Neville, colto di sorpresa.
«Che ne so» rispose Dean, stingendosi nelle spalle. «Tu, piuttosto, che hai fatto alle mani?»
Neville si lasciò sfuggire un sorriso. «Mi è esploso un bulbo di Pizzallora tra le dita e mi sono ricoperto del suo pus rossastro» spiegò con un sospiro, avvicinandosi al lavandino per sciacquare via il puzzolente secreto della pianta.
Sam, nel frattempo, aveva raggiunto il salotto, per recuperare il suo zainetto. Esther, sua madre, Filius, Minerva, Ab, Luna e Dennis erano sul retro del giardino ad esercitarsi negli incantesimi. Aberforth aveva detto che Esther e Rachel avrebbero dovuto imparare a difendersi, almeno nelle fratture base, se qualcosa fosse andato storto nel loro piano per fuggire in Francia. Quanto al fratello David e a suo padre, dovevano essere da qualche parte in giardino a giocare a calcio, l'unica passione che li accomunava. Dean e Neville erano in cucina, Percy come al solito chiuso in camera sua, Andromeda stava dando lezioni di piano ad Abigail e dei piccoli Ted o William non doveva affatto preoccuparsi.
Era il momento migliore per svignarsela senza dare nell'occhio.
Indossò il suo giubbotto, infilò lo zainetto sulle spalle e calò la cuffia con il pompon sulla testa. Pronto per partire. Attraversò il giardino a passo di marcia, come se stesse per andare incontro ad un duello epico come quelli dei film western. Quando ormai aveva raggiunto il misero cancellino divelto dai cardini che segnava il confine della proprietà, sentì la voce di Esther che lo chiamava, ma decise di ignorarla: non voleva essere fermato, non questa volta.
«Samuel, torna immediatam...»
Non appena il bambino scavalcò il cancello, la voce di Esther scomparve. Sam si voltò, ma la vecchia villa abbandonata era sparita: al suo posto, lo stesso prato desolato e brullo che circondava la casa. Sam fece qualche passo indietro, ma del Quartier Generale non c'era più traccia. Era come se non fosse mai esistito.
«Ops...» mormorò Sam, ben consapevole che non c'era più modo di ritornare sui propri passi. Voltò nuovamente le spalle al luogo dove si sarebbe dovuta trovare la villa e riprese il suo cammino.
«Samuel, sei impazzito?» strillò Esther, comparendo all'improvviso dietro di lui. «Dove pensi di andare?»
«Non ti impicciare, Etty» replicò Sam, senza nemmeno voltarsi.
Esther allora lo afferrò per il braccio e lo strattonò per costringerlo a fermarsi. «Mi impiccio eccome! Che diavolo ti è saltato in mente?» gli gridò contro, facendolo voltare verso di sé.
«Tu non puoi capire!» strillò in risposta Sam. «Io devo andare!»
«Tu non vai da nessuna parte» ordinò Esther in tono perentorio. Sam notò che con la bacchetta in mano aveva un'aria decisamente più minacciosa del solito.
«Siamo anche bloccati fuori. Dobbiamo aspettare Ab che venga a prenderci» sbottò la ragazza, accennando al paesaggio desolato alle loro spalle. Sembravano persi nel nulla.
Sam scosse vigorosamente la testa. «No, io non posso tornare» replicò, con maggiore convinzione.
«Sammy, ti prego...»
«No!» gridò il bambino, liberandosi con uno strattone dalla presa della sorella. Proprio in quel momento, fu assalito da un'altra visione. Ormai aveva capito che dipendevano dai suoi stati d'animo, ma non era ancora in grado di controllarle. Vide di nuovo la scena della morte di Neville, ma quella volta era tutto estremamente dettagliato: si trovavano in un antico castello, con preziosi tappeti sui pavimenti di marmo. Correvano, stavano scappando da qualcosa, poi una terribile figura intralciava il loro cammino... quel lampo verde e Neville che stramazzava a terra.
La visione si interruppe bruscamente e Sam realizzò si essere accasciato sul prato, con il volto rigato di lacrime.
Esther si inginocchiò al suo fianco e lo strinse in un abbraccio, nel tentativo di calmarlo. «Ci sono qui io, Sammy» gli sussurrò all'orecchio, cullandolo nella sua stretta materna. Andava tutto bene. Sam si era lasciato prendere dal panico, com'era normale. Ma, ora, avrebbero aspettato Aberforth e sarebbero tornati al più presto nel perimetro della villa, al sicuro.
Fu in quel momento che arrivarono. Si materializzarono intorno a loro, comparendo dal nulla. Li circondarono.
Mangiamorte.
E lord Voldemort in persona.
Esther ne aveva tanto sentito parlare, se l'era immaginato spesso dalle descrizioni, ma non aveva mai pensato che potesse essere così terrificante, con quella pelle bianca tirata sugli zigomi, il naso da rettile e quegli occhi rossi che sembravano cerchi dell'inferno. Non era rimasto più nulla di umano in lui.
La ragazza si alzò di scatto da terra, la bacchetta levata davanti a sé. Ma chi voleva prendere in giro? Aveva di fronte il più grande mago di tutti i tempi, che sarebbe stato in grado di ucciderla tanto rapidamente da non avere nemmeno il tempo di accorgersene.
Lord Voldemort, infatti, scoppiò a ridere, una risata acuta e squillante che provocò a Esther un brivido ghiacciato sulla schiena. «Sei patetica, ragazzina. Spostati, non voglio te» le intimò con la sua voce simile al sibilo di un serpente.
«Non avrai mio fratello» replicò Esther. Avrebbe voluto dare un tono sicuro e spavaldo alle sue parole, ma non le uscì altro che un sussurro. Non riusciva nemmeno a controllare il tremore della mano che reggeva la bacchetta. Il mago oscuro aveva ragione, era patetica.
«Oh, il Veggente è tuo fratello?» si informò lord Voldemort, con un tono che voleva essere cordiale. Ma bastava guardare i suo occhi per sentire la morte addosso. Il mago sorrise. «Aspettavo da giorni che la sua magia si manifestasse di nuovo. Sai, per rintracciarlo».
Rintracciarlo. Certo, non aveva usato a caso quel termine: Sam era minorenne, quindi aveva addosso la Traccia. Era bastato uscire dal perimetro di protezione della villa perché le sue visioni venissero registrate dagli apparecchi del Ministero.
«Ora, ragazzino, vieni da me e risparmierò tua sorella» ordinò lord Voldemort, allungando la sua mano ossuta e biancastra verso Sam.
«Sammy, non lo ascoltare!» gridò Esther, questa volta con maggiore determinazione.
«Vieni da me, Sammy» ripeté il Signore Oscuro, in un tono di voce melodioso. Sembrava ipnotico.
Sam si alzò lentamente da terra. Era terrorizzato, certo, ma non voleva che accadesse qualcosa di male alla sua sorellona. Dopotutto, era colpa sua quello che era successo: aveva cercato di salvare Neville e invece aveva trascinato con sé nel baratro Esther. Lo sapeva, lo sapeva di non essere altro che un pericolo per le persone che amava. Fece un passo incerto verso il mago oscuro e vide che un sorriso di vittoria si disegnava sul suo volto incavato.
«Bravo, Sammy, così» lo incitò, mentre una folle luce di bramosia illuminava i suoi occhi come tizzoni ardenti.
«Sam, no!» gridò invece Esther, cercando di fermarlo.
Ma lui, ormai, era arrivato di fronte al Signore Oscuro. Allungò incerto la mano verso di lui e poi le loro dita si sfiorarono. Quelle di lord Voldemort erano fredde come delle sottili stalattiti.
Il Signore Oscuro sorrise. Alzò gli occhi sulla ragazza, uno sguardo di sprezzante vittoria. «Uccidetela» sibilò. E poi strattonò il giovane Veggente verso di sé e si smaterializzò.
«Nooo!» gridò Esther, lanciandosi in avanti, in direzione del punto in cui, fino a poco fa, si trovavano suo fratello e lord Voldemort.
Uno dei Mangiamorte puntò la sua bacchetta contro la ragazza, per eseguire gli ordini del suo Signore, ma qualcosa si frappose sulla sua traiettoria. Anzi, qualcuno: Neville Paciock.
Improvvisamente comparvero altri membri dell'Ordine della Capra, tutti con le bacchette levate, pronti a battersi. Scoppiò una veloce scaramuccia, ma i Mangiamorte capirono subito di essere in netta minoranza e presero la saggia decisione di abbandonare il combattimento.
«Sammy, no!» strillò Esther, quando delle braccia la strinsero da dietro per impedirle di scagliarsi contro i Mangiamorte, che si stavano smaterializzando. Erano quelle di Neville, le riconobbe dal maglione di pessimo gusto e dalle mani sporche di terra.
«Esther, è meglio se rientriamo» le sussurrò all'orecchio la voce calda di lui.
«Nooo!» gridò la ragazza, come un animale ferito, scoppiando a piangere per la disperazione.
Si erano portati via il suo Sammy, il suo fratellino!
«Non possiamo fare più nulla qui» mormorò Neville, quando anche l'ultimo Mangiamorte se ne fu andato.
Una raffica di vento investì la landa desolata, sputando in faccia a Esther le prime gocce di pioggia di un prossimo temporale.
«Torniamo dentro» sussurrò infine Neville, senza lasciare la presa intorno alla vita di Esther, per evitare di vederla accasciarsi a terra ai suoi piedi.
E i superstiti membri dell'Ordine della Capra ritornarono nel sicuro perimetro della villa.

Malfoy Manor,
quella sera

L'altera donna si era offerta di prendersi cura dei prigionieri solo perché ce n'era uno che le interessava particolarmente: suo figlio.
Malfoy Manor non aveva mai avuto delle celle, ma il Signore Oscuro aveva fatto alcuni cambiamenti da quando aveva eletto il luogo come sua dimora personale. I criminali maggiori venivano sbattuti ad Azkaban, ovviamente, ma quelle segrete erano comode per punire Mangiamorte inadempienti o per tenere vicini a sé prigionieri di cui il Signore Oscuro aveva bisogno frequentemente. Erano state sistemate nei sotterranei, sorvegliate giorno e notte da solerti Mangiamorte di basso livello.
«Prego, signora Malfoy» biascicò uno, aprendole la porta che conduceva al corridoio dove si trovavano le celle.
La donna entrò con il mento sollevato e lo sguardo altero. Sapeva che i Malfoy erano caduti in disgrazia, che gli altri Mangiamorte ridevano alle sue spalle e qualche volta anche davanti a lei, ma non aveva alcuna intenzione di abbassare gli occhi. Soprattutto non in casa sua.
Aprì la porta della prima cella con la bacchetta, per portare la cena al nuovo prigioniero. Rannicchiato sul fondo, stava un fagottino smunto e tremante. Cielo, ma è solo un bambino! pensò Narcissa, con un sospiro. Era proprio brutto, povero, con la testa spelacchiata, delle strane macchie bianche sulle mani e gli occhi cerulei spalancati. Erano arrossati, doveva aver pianto.
«Ti ho portato la cena» mormorò con un debole sorriso, tirando fuori il suo lato materno. Non sapeva chi fosse, né cosa avesse fatto al Signore Oscuro per meritarsi quella punizione, ma le faceva comunque pena.
Il bambino tirò su con il naso, reprimendo un singhiozzo. «È vostro figlio?» domandò poi, in modo del tutto inaspettato.
«Chi?» chiese Narcissa, allarmata.
Il bambino poggiò una mano sulla parete umida della segreta e la guardò come se potesse vederci attraverso. «Il ragazzo nella cella qui a fianco».
«Come fai a saperlo?» esclamò la donna, spaventata. Che fosse un trucco del Signore Oscuro per farle ammettere colpe inconfessabili?
«L'ho visto» rivelò il bambino, con un debole sorriso. «È biondo e ha i vostri stessi occhi. Siete una Black, non è vero?» si informò Sam, ricordandosi della foto di Regulus e dei suoi occhi grigi così intensi, che assomigliavano in modo impressionante a quelli della donna che aveva davanti e del figlio rinchiuso nella cella a fianco della sua. La strega, tuttavia, restò in silenzio, troppo preoccupata di capire come il prigioniero potesse sapere tante cose di lei per essere in grado di rispondere.
Sam, però, non si arrese. «E poi, perché una strega Purosangue dovrebbe abbassarsi a fare la carceriera, se non per venire a trovare suo figlio?»
Narcissa appoggiò a terra il vassoio e retrocedette di un passo, decisamente spaventata. Quel bambino aveva qualcosa di inquietante nello sguardo e i suoi modi tranquilli stridevano con l'umida cella in cui era rinchiuso.
Sam strisciò lentamente verso la sua cena, affamato come non lo era mai stato in vita sua. Addentò con foga un boccone di pane, come una bestia rabbiosa. La donna era ancora ferma in piedi a commiserare le sue penose sventure e fu allora che Sam capì che era arrivato il momento di giocare il suo asso nella manica. «Lui morirà, lo sa vero?» chiese con perfetta innocenza.
«Cosa?» esclamò Narcissa, incredula, gli occhi grigi sbarrati per il terrore. «Come... tu come fai a saperlo?»
Sam si strinse nelle spalle con disinvoltura. «Sono un Veggente» rispose, bevendo un sorso dalla brocca dell'acqua che gli avevano portato e che sapeva vagamente di ruggine.
«Un vero Veggente?» sussurrò Narcissa, cercando di trattenere le lacrime.
Sam non si fece troppe domande sul contenuto acquoso del suo piatto, nel quale galleggiavano strani pezzi di verdure cotte, e prese a mangiare con ferocia. Lasciò la domanda della donna in sospeso per una manciata di secondi, non solo perché aveva troppa fame per pensare a rispondere, ma soprattutto perché voleva accrescere il senso di tensione.
«Sì» mormorò infine, quando ebbe concluso la sua razione di minestra. «Uno vero. È per questo che il Pelatone mi ha catturato e mi tiene rinchiuso qui».
Una singola lacrima attraversò il volto stanco di Narcissa. Era sempre stata una donna forte, ma nessuna madre poteva reggere al dolore portato da una notizia del genere. «Quando accadrà?»
«Presto, molto presto» rivelò Sam, in tono grave.
Un sospiro scivolò fuori dalla bocca di Narcissa, debole come la brezza del mattino, profondo e intenso come il suo dolore.
«Ma... io ho visto anche un'altra cosa» annunciò il bambino, dopo una pausa di silenzio. Il suo tono di voce sembrava studiato apposta per ridare speranza alla strega. «Vi ho visto insieme ad una giovane donna mora. Vi ho viste andare all'Ordine della Capra a chiedere aiuto».
Narcissa arretrò ancora di un passo, atterrita. Per suo figlio Draco avrebbe fatto qualsiasi cosa, ma... tradire? E se l'avessero scoperta? E se quello fosse solo un teatrino messo in scena dal Signore Oscuro per testare la sua fedeltà?
«Io... è impossibile. Ti sbagli! Io accetto gli ordini del Signore Oscuro, gli sono fedele» mormorò a fatica, cercando di dare alla sua voce tremula un tono fermo e sicuro.
Sam le rivolse un sorriso sereno. «Non sono una spia, fidatevi di me» le sussurrò. In realtà, non era stato del tutto sincero con lei: sì, aveva visto il ragazzo biondo e aveva visto le due donne che si recavano al Quartier Generale, ma non aveva avuto alcuna visione sulla morte del figlio. Ma aveva capito che, se il futuro non poteva essere cambiato, ciò che vedeva si doveva realizzare in qualche modo; e lui doveva esserne l'artefice, trovando tutto da solo il modo di convincere la signora bionda a compiere il suo destino.
«Io voglio solo aiutarvi» mormorò infine Sam, fissandola con uno sguardo intenso.
Narcissa osservò per un attimo quegli occhi cerulei, infine si lasciò sfuggire un sospiro. E, chissà perché, decise di fidarsi.









Vi avevo promesso un punto di svolta, no?
Altro che punto di svolta, qui cominciano i guai! Per fortuna che Sam è un tipo sveglio, e sa come sfruttare le situazioni sfavorevoli a proprio vantaggio. Il tradimento di Narcissa... be', avviene anche nella realtà (ricrodo che Narcissa mente a Voldemort dicendo che Harry è morto pur di salvare il figlio!), quindi perché non fare leva di nuovo sull'amore materno della cara Black?
E chi sarà la donna mora che accompagna Narcissa?
Surprise!
Prossimo capitolo: vediamo se almeno questo riesce a smuovere quell'egoista di Esther! ;)
Alla prossima,
Beatrix

   
 
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