VI.
Rientrarono
al castello inzaccherati di neve, i visi arrossati per il freddo e il
gran
ridere.
Draco
Malfoy guardava Hermione e pensava di essersi sbagliato. Sì,
doveva essersi
sbagliato su tutto e tutti: la Grifondoro non poteva essere poi
così indegna,
inferiore. Riusciva a capirlo, lo trattava come se fosse stato un semplice mago, invece che un Mangiamorte. Forse suo padre aveva
torto, forse i Sanguesp… i Nati
Babbani,
erano come loro.
“Madre,
era
questo che intendevi, quando mi dicevi che in questo mondo
c’era posto anche
per me?”
Hermione
Granger guardava Draco e pensava di aver sbagliato a lungo, su di lui.
Come
tutti, aveva giudicato solo quel caratteraccio già
difficile, esasperato dagli
insegnamenti sulla purezza del sangue di Lucius Malfoy e del resto del
parentado. Eppure, in quel momento, il Serpeverde sembrava
così diverso
dall’immagine che aveva sempre dato di sé: era
allegro, sereno, quasi
simpatico. Forse si era sempre sbagliata. Forse, nonostante tutto,
c’era sempre
una speranza di redenzione. Del resto, anche Piton l’aveva
ottenuta, no?
-Granger,
smettila di pensare: prima o poi ti scoppierà la testa.- la
riprese Malfoy,
posandole una mano sui capelli scompigliati e pieni di neve e
spettinandoglieli, se possibile, ancor più.
-Mi
dispiace, ma i miei neuroni sopportano il carico di lavoro a cui sono
sottoposti. Sono i tuoi ad essere sottosviluppati.- gli rispose,
storcendo il
naso in una finta espressione seccata.
-Sì,
sì, va bene. Mangi con me?- le chiese, guardandola fisso
negli occhi marrone
scuro.
-È
un appuntamento?-
inquisì la ragazza,
cercando di non lasciar trapelare la sua improvvisa ed insensata
agitazione.
Perché, improvvisamente, sentiva quella morsa allo stomaco?
Perchè si
innervosiva così? Insomma, era solo
Malfoy!
Il
ragazzo ghignò. –Granger, non sono ancora così
disperato. Diciamo che è un pranzo tra…
insomma… gente che si sopporta.
-Se
avessi detto amici, avrei chiamato un esorcista, sappilo.- lo prese in
giro
Hermione, tranquillizzandosi. No, niente appuntamenti. Niente
sdolcinatezze,
niente sciocchezze che non si sarebbero addette né a lei,
né al Serpeverde. Era
sollevata… allora, perché, sotto sotto, sentiva
una punta di fastidiosa
delusione?
-Un
eso-che? No, Granger, risparmiami!-
esclamò, appena la vide aprir bocca –Va a
cambiarti, che sei fradicia. Ci
vediamo al tavolo dei Serpeverde.- le ordinò, autoritario
come gli era stato
insegnato da bambino, lasciandola.
Hermione
scrollò il capo, con un mezzo sorriso sulle labbra. Malfoy
era sempre Malfoy:
odioso. Ma anche un amico, sotto sotto.
Corse
verso il dormitorio dei Grifondoro, ringraziando che non ci fosse
nessuno in
giro, tantomeno Pix.
Draco
scese nei sotterranei di Serpeverde, riflettendo. Non sapeva spiegare
perché
avesse fermato Hermione, quando l’aveva scorta nel parco,
immersa nella neve
fino a metà coscia: gli era parsa estremamente fragile, in
tutto quel bianco
gelido. E l’aveva rivista sul pavimento di marmo, ad urlare e
contorcersi.
Le
si era avvicinato: la ragazza era così presa dai suoi
pensieri da non averlo
sentito avvicinarsi.
Non
sapeva nemmeno spiegarsi perché l’avesse invitata
a mangiare con lui… era un
modo stupido per ripagare il suo aiuto e quella fiducia che gli stava
pian
piano accordando?
Alzò
le spalle, cambiandosi e cercando qualcosa nel baule: estrasse un
pacchetto
avvolto in una carta violetta, che proveniva da sua madre.
“Immagino
che tu
non abbia comprato un regalo alla signorina Granger, caro. Rimedio io a
questa
dimenticanza, sperando di averne indovinato i gusti.” gli
scriveva sua madre, nel
biglietto che accompagnava il regalo.
Massì,
glielo avrebbe dato, dopotutto la Granger se lo meritava: sapeva bene
di non
essere uno studente facile, sua madre era quasi impazzita nel tentativo
di
insegnargli a leggere e scrivere.
Era,
infatti, stata Narcissa Malfoy ad occuparsi dei primi anni
dell’istruzione del
figlioletto: Draco era sempre stato un bambino curioso ed intelligente,
ma
indemoniato.
Era
stato difficile tenerlo inchiodato alla scrivania, insegnandogli a
scrivere,
leggere e far di conto, illustrandogli la storia della loro famiglia e
della
comunità magica, i diritti di cui godeva e poi le buone
maniere, la danza, la
musica. Eppure la signora Malfoy, con tanta pazienza, aveva istruito il
bambino, affinchè diventasse un gentleman perfetto, anche se
Draco ricordava
perfettamente le punizioni di suo padre per essere stato troppo
pestifero o
disattento. Sua madre era una santa, senza ombra di dubbio. Come la
Granger.
Senza
curarsi dei pochi Serpeverde che erano rimasti ad Hogwards,
s’incamminò verso
la Sala Grande, si sedette al tavolo della sua Casa e
aspettò, finchè non vide
comparire la compagna di studio, che, intimorita, quasi, si sedette di
fronte a
lui.
-Sai,
Granger, che tutti parleranno di questo.
-Di
cosa? Io seduta al tuo stesso tavolo? Sì, lo so.- rispose
Hermione –Ma ormai ci
ho fatto l’abitudine, a quanto pare lo sport preferito dei
nostri compagni, ultimamente,
è sparlare di noi.
-Se
ci fosse un noi, potrebbe anche starci. Peccato che ci sia io, Draco
Malfoy e
tu, la secchiona Granger.
-Sempre
gentile.
-Sempre.-
rispose Draco, annuendo con un leggero sorriso divertito sulle labbra.
–Prima
che mi dimentichi.- le disse poi, tendendole il pacchetto viola.
Hermione
sgranò gli occhi, prendendolo.
-Per me?
-Vedi
qualcun’altra, qua? Aprilo.- le ordinò.
Hermione,
titubante, stracciò la carta luccicante, estraendone un
libro. “Storie dei più
grandi Maghi Nati Babbani e
Ibridi”. Lo sfogliò per qualche istante,
lentamente, prima di rialzare lo
sguardo.
-Grazie.
-Te
lo manda mia madre, Granger. Pensava che ti avrebbe fatto piacere
leggere di
altri come te che hanno fatto strada.- le rispose Draco, ruvido. Era
imbarazzato
dal sorriso felice della ragazza.
-Mi
sarebbe piaciuto conoscerla in occasioni differenti.
-È
una grande strega e una persona magnifica.- commentò il
ragazzo, asettico come
solo lui era in grado di essere. Hermione ormai sapeva con che
velocità Draco
fosse in grado di cambiare umore e tono di voce, quindi non si
stupì più di
tanto.
-Sapevi
che Merlino era un Ibrido
e Morgana
una Mezzosangue ?- chiese.
-Di
Morgana sì, mio padre ancora non se ne capacita, ma di
Merlino no. Non lo
sapevo.- ammise il ragazzo, servendosi dell’oca arrosto
natalizia.
-Già…
e pensare che sono due dei più grandi maghi della storia
dell’umanità. Due
persone col sangue sporco. E
qualcuno
ha avuto il coraggio di iniziare un’epurazione in nome del
sangue puro
nonostante questo.-
sussurrò, lo
stomaco improvvisamente stretto in una morsa. Quante persone erano
morte?
Quanta gente che conosceva?
Eppure
la prova che la purezza del sangue fosse una sciocchezza
l’aveva sotto gli
occhi. Tutti i maghi l’avevano sotto gli occhi. Eppure
Salazar Serpeverde aveva
fatto della purezza del sangue un criterio per la scelta dei maghi
della sua
casa e Voldemort direttamente il criterio per decidere chi fosse degno
di
vivere e chi no.
Suo
nonno John era nella RAF, durante la Seconda Guerra Mondiale. Quando
era
piccola, ogni tanto le raccontava qualcosa delle sue missioni o di sua
nonna
Jane, che era morta durante uno dei massicci bombardamenti di Londra,
che
avevano ridotto interi quartieri in macerie. Suo padre aveva tre anni,
ma già
da tempo era stato evacuato con altre centinaia di bambini e mandato in
Scozia.
Hermione
ricordava che un giorno suo nonno si mise a piangere, così.
Non aveva collegato
il film che stava guardando con quello stato d’animo. John
Granger l’aveva
presa in braccio, indicando il vecchio treno del film.
“Tutte quelle persone, Minnie. Tutte quelle
persone, eppure potevo salvarle. Potevo bombardare i binari, fermare
quei treni.
E non l’ho fatto, non lo sapevo e sono morte.”
All’epoca era troppo piccola
per capire i sentimenti del nonno, ma poi era sentita così
anche lei, guardando
i morti dopo la Battaglia di Hogwarts e leggendo le liste dei caduti e
dei
dispersi di quell’anno di terrore che giornalmente la Gazzetta del Profeta pubblicava. Ogni
giorno saltava fuori una
nuova salma che reclamava degna sepoltura e giustizia e certe volte si
era chiesta
“Ma ho fatto abbastanza? Potevo
salvarli?
C’era qualcosa che avrei potuto fare per loro? È
colpa mia?” e tutte le
volte non trovava una risposta, ma solo altre domande e altri dubbi.
-Granger,
che muso lungo! Guarda che è Natale, non un funerale.- le
disse Malfoy,
osservando attentamente l’espressione triste e contrita della
ragazza.
-Scusa…
stavo pensando.
-Che
novità. Ci fosse una volta in cui non pensi!- la prese in
giro il ragazzo,
prima di tornare serio. –A cosa pensi?
-Alla
guerra, a Voldemort… a quelli come me. Sai che nel mondo
Babbano è successa una
cosa estremamente simile a quello che è successo a noi?- gli
disse.
-No.-
le rispose, sinceramente.
-Mio
nonno ha combattuto quella guerra, ma non aveva idea…
poi… quando li vide…
immensi campi di prigionia e sterminio in cui rinchiudevano chi era
diverso.
C’erano quasi solo donne e uomini adulti. Nessun anziano,
quasi nessun bambino.
Magrissimi, quasi morti di fame, malati, spenti. Alla fine, Babbani o
maghi,
siamo tutti uguali.- disse la ragazza, tenendo gli occhi sul piatto,
intenta a
ridurre a brandelli l’agnello arrosto con patate.
Draco
avrebbe voluto dire qualcosa. Ma cosa? “Mi
dispiace, Granger”? “Ti
capisco”?
“Sono cose orribili, hai
ragione”?
Sarebbe stato ipocrita. Lui era dalla parte di chi aveva mandato a
morte tanti,
troppi innocenti. Egli stesso aveva ucciso o aveva taciuto,
accondiscendendo
alle crudeltà dei suoi compari.
Era
rimasto a guardare mentre Greyback dilaniava un bambino di tre anni
nella sala
col pavimento a scacchi di Villa Malfoy. Poteva salvarlo, poteva fare
qualcosa.
Invece era rimasto in silenzio, osservando la punizione che Bellatrix
aveva
inflitto ad una Purosangue resasi colpevole di aver amato un Babbano:
farle
vedere il figlio massacrato da un lupo mannaro. Quando poi sua zia le
aveva
inflitto la Maledizione Cruciatus, quella donna non aveva urlato, non
si era
lamentata. Aveva capito che era morta dentro nello stesso momento in
cui suo
figlio aveva smesso di respirare e per quanto Bellatrix si fosse
sfogata sul
suo corpo con crescente stizza e disappunto, la traditrice
del suo sangue non si era lamentata.
Sua
madre Narcissa era pallidissima e anche Lucius si era accorto dello
stato in
cui versava sua moglie: l’aveva portata via,
perché non dovesse più vedere
quella scena. Quel bambino.
“Poteva
essere
Draco.” aveva
sussurrato la donna bionda, quasi catatonica. Invece Bellatrix rideva
di gusto,
nel raccontare quella carneficina.
Era
stata la prima volta in cui aveva capito cosa stesse realmente
succedendo là
fuori. Non era quella gloriosa crociata che il Signore Oscuro invocava.
Era un massacro.
Guardò
Hermione negli occhi, rimanendo in silenzio. “Siamo
sulla stessa barca, Granger. Anche se siamo stati in due
schieramenti diversi.”
La
ragazza captò il suo sguardo e comprese.
Dal
suo tavolo, Minerva McGranitt sorrise.
Silente sarebbe stato felice, guardando Hermione Granger e Draco
Malfoy: anche
dall’odio e la paura, stava nascendo l’amicizia. O
forse qualcosa di più, se
solo i due ragazzi fossero venuti a patti col passato e i pregiudizi,
propri e
della gente. Alzò il calice di succo di zucca, facendo un
brindisi silenzioso
al suo antico mentore, sperando che li stesse guardando, ovunque fosse.
Rimasero
in silenzio per un po’, mangiando. Non era un silenzio
imbarazzato, di quelli
che si tenta disperatamente di riempire con chiacchiere vuote, era un
silenzio
rilassato.
Ad
un certo punto, però, ad Hermione venne in mente una
domanda.
-Scusa,
Malfoy, posso farti una domanda?
Il
ragazzo alzò un sopracciglio, come a dirle di far pure.
-Ecco…
perché sei tornato a scuola?
Draco
posò le posate, guardandola. Perché
c’era tornato? Perché aveva bisogno di
allontanarsi da quella casa-prigione, perché aveva voglia di
andare avanti,
perché Hogwarts era un posto sicuro. Certo, la gente lo
disprezzava, ma era
sempre meglio che stare fuori.
Il
mondo esterno era diventato improvvisamente estraneo ed ostile, mentre
lì, a
scuola, in un certo senso si sentiva a casa. Sentiva che
c’era qualcuno ad
aspettarlo. La Granger. L’odiata Mezzosangue, la perfettina
saccente che gli
era valsa tanti rimproveri da suo padre per essersi fatto surclassare
da quella
ragazzetta bruttina e dal sangue sporco.
Eppure
non glielo disse. –Mi sono assentato per gran parte
dell’anno scorso e quel
poco di educazione che ho ricevuto… be’, quella
non era magia. Non quella che
sento di voler imparare.
-Desideravi
essere potente, Malfoy.- gli
ricordò
Hermione, ma senza cattiveria.
-Ho
scelto la strada più breve. E la più errata.-
disse, con un gesto stizzito della mano e decise di cambiare argomento.
–E tu,
Granger? Insomma, ti hanno offerto un posto da Auror.
-E
non è quello che voglio fare. Non fraintendermi,
è una carriera intrigante, ma
non fa per me. Maghi oscuri? Penso di averne abbastanza. E
poi… la verità è che
non mi sento pronta per il mondo che ci attende fuori. E tu?
-Nemmeno
io, Granger. Allora, hai finito?- le chiese.
-Certo
che no, mancano i cracker!- esclamò la ragazza, afferrandone
uno ed aprendolo.
Gli soffiò i coriandoli che fuoriuscirono in faccia, mentre
prendeva lo
stravagante cappello da strega che saltò fuori dal cilindro,
giallo oro con
buffi gufi verdi che ballavano sul bordo e la punta che eruttava stelle
filanti, calcandoselo in testa. Le stelle filanti le si impigliavano
nei
capelli crespi lasciati sciolti, rendendola ancora più buffa
del solito, mentre
da sotto la testa del copricapo, i suoi occhi scuri splendevano,
allegri. Anche
Draco aprì uno dei cracker, da cui uscì un
biglietto-origami a forma di drago,
che prese il volo, ed uno strano cappello di forma sferica, verde e
bianco,
tempestato da piccoli cristalli che cambiavano forma e colore.
La
ragazza rise, quando se lo infilò, attirando gli sguardi
smarriti o disgustati
degli altri studenti.
Hermione
non lì udì, ma due Corvonero, uscendo, la
guardarono male.
-Che vergogna.- commentarono. Draco digrignò i denti: egli li aveva sentiti eccome. E non gli piacque per niente.
Note
Buonasera, sono tornata. Come va? *fischietta Jingle Bells Rock* sì, siamo sempre a Natale e allo pseudo appuntamento di Hermione e Draco. Niente smancerie nemmeno qua. Deluse?
Be', ci vediamo ;)