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Autore: sweetharry    22/03/2012    7 recensioni
Quest’anno mi ha cambiata, lui mi ha cambiata. Mi ha fatto conoscere l’amore, facendomelo respirare a pieni polmoni. Mi ha insegnato che nella vita si va avanti. Mi ha insegnato quanto si tenga ad una persona a tal punto di fare tutto per lei, anche rischiare la vita. Mi ha insegnato quanto un’amicizia sia forte e duratura anche a distanza di anni, e che questa può tramutarsi in qualcosa di ancora più bello come l’amore.
Se ero felice? Eccome se lo ero.
Se lo amavo? Ogni giorno di più.
Se lo avrei continuato ad amare? Sempre.
Se sarei rimasta con lui per il resto della vita? “Finché morte non ci separi”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Sam, devi muoverti! Siamo già in ritardo di mezz’ora per i tuoi comodi! Dico, perché non hai preparato tutto ieri sera come ti ho detto?! – Queste furono le urla di mia madre alle otto e trentacinque di mattina, ovviamente rivolte verso me, come sempre.
- Ho quasi finito, dammi solo cinque minuti! – Stavo finendo di riporre i miei abiti nella valigia. Cercavo di farli entrare tutti in una sola, in modo da non dover portare due valige per quei pochi indumenti che tenevo nell’armadio. Con un colpo secco, mi sedetti sopra di essa, ormai stracolma, e chiusi la zip. Feci un respiro di sollievo e corsi in bagno a pettinarmi i capelli. Se devo essere sincera, mi piacevano i miei capelli. Un enorme massa bionda e boccolosa che arrivava fino a metà schiena, e questa contornava il mio viso e metteva in risalto i miei occhi azzurri con delle lievi sfumature di marrone sui bordi. Non ero la tipica ragazza che amava truccarsi, andare dal parrucchiere, farsi le unghie e spettegolare di tutto e di tutti. No, ero completamente il contrario, e lo si capiva dal mio abbigliamento quella mattina: pantaloncini corti di jeans, converse nere e una felpa a dir poco enorme bianca. Questo era il mio abbigliamento, questo era ciò che mi faceva essere a mio agio. Questo era ciò che ritraeva Sam, una diciassettenne italiana, che stava per partire verso Londra. Londra… la città natale di mia madre. Mia madre si chiamava Jennifer, era una donna abbastanza alta, con capelli corti castani appena sopra la spalla e due occhi color verde acceso. Alla mia nascita aveva combattuto fino allo sfinimento con mio padre per darmi un nome inglese, e ci riuscì. Ma mio padre voleva avessi anche un nome italiano, quindi mi diede un secondo nome: Ginevra. Perciò eccomi qui: Samantha Ginevra de Santis. Lo odiavo. Insomma, un nome inglese, più un secondo italiano, più un cognome italiano. Non andavano bene. In più odiavo il mio nome, per questo mi facevo chiamare Sam. Un po’ mascolino, ma meglio di niente. Come dicevo, mia madre è londinese, ma mio padre italiano DOC. Era un uomo alto, con un po’ di baffetti sotto il naso e una chioma color pece in testa, che contornava due occhi color nocciola. Non assomigliavo per niente ai miei due genitori, ero completamente diversa da ognuno. Inoltre mi sentivo diversa anche per carattere. Non mi capivano, non comprendevano ciò qui cui avessi bisogno, forse è per questo che da un giorno all’altro, per motivi di lavoro, mio padre decise di lasciare l’Italia e di trasferirsi all’estero. Non mi preoccupava la lingua, no, l’inglese lo sapevo benissimo avendo una madre madrelingua, era il cambio d’ambiente che mi traumatizzava. Essendo una tipa asociale, facevo fatica a fare amicizia, figuriamoci in un altro paese.
- Giuro che se non ti sbrighi ti lascio qui! – Mia madre interruppe i miei pensieri, per cui decisi di cacciarli dalla mia testa e iniziai a portare giù la valigia, che era pesantissima.
- Sei una cosa impossibile Sam. –
- Scusami mamma. – Abbassai la testa e misi la valigia nel cofano, dopodiché entrai in macchina. Mi aspettava un viaggio lungo un’ora per arrivare all’aeroporto, e sei in aereo per arrivare nella mia nuova casa, o meglio, per intraprendere la mia nuova vita. L’idea mi eccitava, ma mi rendeva terribilmente triste. Avevo un’unica amica in Italia: Francesca. Lei mi capiva, mi ascoltava. Forse era l’unica che c’era sempre stata quando ne avessi bisogno. Ed ora mi toccava abbandonarla.
- Allora, sei pronta per questa nuova avventura? – Domandò mio padre guardandomi dallo specchietto retrovisore.
- Non mi vedi? Sprizzo felicità da ogni singolo poro! – Improvvisai un finto sorriso.
- Come la prendi male! Sarà… come dite voi giovani? Ah si… figo! –
- Dio papà, non ti cimentare in linguaggi che non fanno parte della tua epoca passata! – Soffocai una risata. Anche se sfottevo mio padre, lo amavo. Aveva fatto sacrifici, tanti sacrifici per me. Essendo l’unica figlia mi trattava al meglio, ma senza viziarmi.
- Ah, Sam, ho dimenticato di dirti una cosa. – disse mia madre continuando a guardare la strada. – Ti ricordi di Harry, Harry Styles? –
Harry Harry Harry… Cercai di associare questo nome ad una persona di mia conoscenza, ma non mi veniva nemmeno un volto nella mente.
- No, chi è? – Risposi dopo averci pensato.
- Jenn, aveva cinque anni quando ci giocava, come può ricordarselo? – Puntualizzò mio padre.
- Giusto, giusto. Bè, da piccola ci giocavi molto quando vivevamo a Holmes Chapel, poi quando siamo venuti in Italia, per lavoro di tuo padre, non li abbiamo più rivisti. – diede un’occhiata a mio padre e poi mi guardò dallo specchietto retrovisore. – La madre, Anne, è una mia carissima amica nonché vicina della nostra nuova casa. Magari potresti riavvicinarti al figlio, tanto per passare i primi giorni con qualcuno. Che ne pensi? – Mia madre era stata sempre una donna frettolosa. Anche lei voleva il mio bene, e nonostante i miei diciassette anni e mezzo badava ancora a cercarmi amici con cui passare il tempo.
- Se proprio insisti. – Dissi sospirando e guardando fuori dal finestrino, eravamo arrivati all’aeroporto.
Papà scaricò le valige e chiuse il cofano dell’auto, lasciando quest’ultima agli addetti che ce l’avrebbero fatta trovare all’atterraggio. Presi la mia valigia che pesava sicuramente il doppio di me, e mi incamminai dietro ai miei genitori. L’aeroporto era affollato, e pieno di gente che andava avanti e indietro con carrelli e borsoni.
“L’aereo per Londra partirà esattamente fra mezz’ora. Invitiamo tutti i passeggeri del volo A12 ad imbarcarsi sull’aereo, grazie.”
Ci sbrigammo subito ad arrivare davanti all’aereo, dare le valige agli addetti e salire prendendo i nostri posti. Io avevo il posto davanti ai miei, ed ero sola. Come passare queste sei ore? Presi il mio I-pod e misi il volume al massimo. Dopo circa dieci minuti mi addormentai.
- Sam? Sam! Svegliati, siamo arrivati! – Mio padre mi tirava colpetti sulla testa da dietro. Mi svegliai subito e cercai di fare il punto della situazione. Da quel che aveva detto mio padre, e da quel che vedevo io, capivo che eravamo finalmente arrivati a Londra. Mi alzai e, stiracchiandomi e ancora insonnolita, feci la fila e scesi dall’aereo. Mio padre mi porse le valige che aveva preso mentre attendeva che scendessi dall’aereo. Le caricammo in macchina e partimmo verso Holmes Chapel.
Era una cittadina abbastanza grande, con case tutte, tutte uguali. Sapevo già che mi sarei persa il primo giorno che avessi messo i piedi fuori casa.
- Come ti sembra? – Mi chiese mamma euforica. Forse più felice di me.
- Carina. Un po’ monotona, ma accettabile. – Dissi con un mezzo sorriso. Mia madre lo ricambiò e si girò. La macchina si fermò davanti ad una piccola villetta di mattoni color terra, con una vialetto pieno di piante di ogni genere che portavano ad una porta bianca latte. Io e mia madre entrammo per prime, mentre mio padre era rimasto fuori a prendere le valige. La casa dentro era spaziosa: un salone ampio con TV, una porta scorrevole da dove si accedeva alla cucina, e una rampa di scale lunghissima che portava alle camere. Notai qualche giocattolo, molto vecchio.
- Con questo ci giocavi quando eri piccola. Non lo mollavi mai. – Mi diede in mano un orso pezzato molto impolverato. Lo misi sul divano senza darci troppo peso.
- La mia camera? – chiesi.
- In fondo alle scale, è l’ultima camera. –
Salii frettolosamente le scale, e aprii quell’unica porta che si trovava in fondo al corridoio. Davanti trovai un letto matrimoniale con coperte bianche con dei merletti ai bordi, e due cuscini rosa. Le pareti della camera erano rosa pallido, e il parquè era marroncino sbiadito. Inoltre c’era una scrivania bianca panna e una libreria dello stesso colore accanto al letto.
Detestavo il rosa, e quella camera sembrava una bomboniera. Sospirai, e mi buttai a peso morto sul mio nuovo letto. Come sarebbero stati i prossimi trent’anni della mia vita? Ma cosa più importante, la nuova scuola? I nuovi compagni? No no no, non poteva succedere a me. Mi sentivo un piccolo puntino nero in mezzo ad un foglio completamente bianco.
Chiusi gli occhi, ma quell’attimo durò davvero poco.
- Sam! Scendi giù, andiamo a trovare Anne! –
Oh giusto, l’amica di mamma. Chissà com’era, e chissà com’era il figlio. Se davvero da piccola ci ho giocato, in fondo, doveva essere simpatico. Con uno scatto mi alzai dal letto e percorsi velocemente la rampa di scale rivestita da moquette: tipico dei Londinesi.
Mia madre mi prese sottobraccio e mi fece suonare al campanello della casa Styles.
- Si chi… Oh mio dio! Jennifer! Da quanto! – Anne era una donna davvero bella. Mora, occhi chiari e un sorriso davvero bellissimo. Mia madre e lei si abbracciarono, un abbraccio che durò secoli.
- Ma sei cambiata! Hai tagliato capelli? Oppure hai preso più sole? Quando vivevi qui eri bianca cadaverica! E… oh mio dio, lei è Sam?! – sgranò gli occhi. – Eppure mi ti ricordavo quando eri ancora un piccolo scricciolo! Ora sei una ragazza davvero bellissima! – Mi abbracciò e mi strinse forte a sé.
- Sam, lei è Anne, non so se ti ricordi di lei. – Disse mamma sorridendomi. – Giocavi tanto da piccola con il figlio, Harry! –
- Oh si, Harry! Te lo ricordi vero? – Feci di no con il capo. Non avevo la minima idea di chi fosse questo Harry.
- No? Bè comunque è di sopra, lo faccio scendere. Harry!? – strillò. Sentii una voce borbottare qualcosa dall’inizio delle scale che si fece sempre più intensa. Eccolo lì, il famoso Harry. Devo ammetterlo, era uno dei ragazzi più belli che io abbia mai visto: Riccio, moro, occhi verde prato, e un sorriso stupendo.
- Ehm mamma… ? – Harry guardò Anne con la faccia da punto interrogativo.
- Tesoro, loro sono Jennifer e Sam. Giocavi con Sam quando eri piccolo… Quanto è passato! Avevate solo cinque anni! –
Mi porse la mano, confuso, forse più di me. – Piacere, Harry! – fece un sorriso a trentadue denti. Era bellissimo.
- Samantha, ma puoi chiamarmi Sam. – Ricambia il sorriso.
- Suvvia vi comportate come degli estranei! Entrate, che parliamo dentro. – Anne ci invitò nell’accogliente casa, che era simile alla nostra.
Ci offrì un bicchiere d’acqua che accettai volentieri, visto che per tutto il viaggio non avevo toccato né cibo né acqua.
- Ci credi che sono passati dodici anni, Anne? Me li ricordavo così piccoli che giocavano in giardino! – Mia mamma attaccò il discorso.
- Ok, sarò l’unico, ma io non mi ricordo di…? – Perfetto, non ricordava già il mio nome. Sinceramente, ora che ci penso, il suo modo di fare mi urta un po’ i nevi.
- Sam. E comunque no, anche io non mi ricordo di te. – dissi fredda.
- Comprensibile, avevate cinque anni. – Puntualizzò mamma. – comunque, Harry! Anche tu sei cresciuto tantissimo, e ti sei fatto anche un bel ragazzo! – mia madre gli fece l’occhiolino. No ti prego, non iniziare a fargli gesti d’intesa, non mettermi in imbarazzo.
- Grazie Signora! – fece un sorriso compiaciuto. Quasi lo sapesse già di avere un bell’aspetto. Bè, come dargli torto.
- Perché non esci fuori a parlare un po’ con Sam? Scommetto che avete molte cose da dirvi. Inoltre inizierà la scuola dopodomani e l’ho iscritta alla tua stessa scuola, in modo da poter andare insieme i primi giorni. – sgranai gli occhi. Mia madre aveva fatto ricerche su di lui? No dico, sapeva anche che liceo frequentava.
Harry si alzò dalla sedia, e quasi scocciato, mi invitò a seguirlo. Per un momento esitai, guardando mia madre, poi lo seguii e ci dirigemmo in giardino.
- Dove sei stata tutto questo tempo? – disse Harry, appena fuori da casa.
- in Italia. –
-Sei italiana?! Che forza! – Quanto entusiasmo ci metteva in ciò che diceva.
Annuii. Per un momento ci fu silenzio, dopodiché lo interruppe di nuovo lui.
- Sei silenziosa. Perché non parli? – E tu perché fai domande stupide?
- Il viaggio mi ha turbata un po’. – mentii. Non era per quello, ero timida difronte a nuove persone.
- Capisco. Ma, tu ci credi che da piccoli giocavamo insieme? –
- Se lo dicono le nostre mamme sarà vero, no? – dissi in maniera acida.
- Calma! – alzò un sopracciglio.
- E chi si agita. – feci un sorriso strafottente. Lui alzò gli occhi al cielo.
- Comunque… - continuai io. – parlami della mia nuova scuola, com’è? –
- Bella. Ci sono ragazze davvero bellissime, e inoltre, io sono il più popolare fra i ragazzi, oltre agli altri quattro miei amici Louis, Zayn, Niall e Liam. – lo disse in modo altezzoso, come se fosse una cosa  di cui vantarsene. No, non lo era.
- Oh wow, sarai il tipico ragazzo morto di figa che corre appresso ad ogni ragazza facile che gli capiti fra i piedi. – lo squadrai.
- Centrato in pieno baby. – mi fece l’occhiolino.
- Te ne vanti? – dissi sedendomi sul bordo di una staccionata.
- Abbastanza. – Lo avevo già inquadrato: presuntoso, arrogante. Il tipico ragazzo “bello e impossibile” che tutte le galline vorrebbero. Questo era uno di quei tanti motivi per il quale andavo fiera di essere single.
- Quindi ti sarai fatto tutto l’istituto. – Ero molto schietta con le parole, lo ammetto. Lo sono sempre stata.
- Perspicace. – fece un sorrisetto malizioso e si sedette accanto a me. – tu invece? –
- Io cosa? –
- Hai mai fatto…? – mi fece intendere. Le guance mi andarono a fuoco e abbassai subito la testa, iniziai a giocherellare con le dita.
- Ti vergogni a dirlo? – rise. – Evidentemente la risposta è no. – fece spallucce.
- Perché non ti fai gli affari tuoi? – dissi ancora con lo sguardo fisso sulle mie mani.
- Posso ben intuire che sei una di quelle ragazze acide e con un bel caratterino, vero? – mi si avvicinò al viso, per cercare di intuire una mia risposta.
Alzai subito il viso e quasi i nostri nasi si sfiorarono. Lo guardai per esattamente due secondi prima di respingerlo via.
- Forse. – feci spallucce e lo guardai alzando le sopracciglia.
- Sai che le tue risposte mi urtano i nervi? – disse incrociando le braccia al petto.
- Ci conosciamo da nemmeno mezz’ora e già ci sfottiamo a vicenda, che emozione! – dissi seccata.
- Bè sei stata tu ad ini… - Lo interruppe il suono della voce di Anne, che urlava di rientrare. Lui ubbidì subito, rivolgendo prima un’occhiata al mio esile corpo seduto sulla staccionata. Fece un sorrisetto malizioso e andò da Anne. Io sbruffai, e lo seguii.
Erano passati solo trenta minuti, e già Harry Styles non mi andava a genio.

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Ciao belle :3 questa è la mia prima Fan fiction, come vi sembra? Il primo capitolo è un pò lungo, lo so D: Comunque, continuerò molto presto! Ma solo se ricevo almeno quattro recensioni! Non è cattiveria, è solo che vorrei vedere se interessa a qualcuno prima di continuarla C: bè... buona lettura! xx Fla.
  
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