Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: Melanto    22/03/2012    7 recensioni
Aria. Acqua. Terra. Fuoco. Alla disperata ricerca del Principe scomparso, mentre nel cielo rosseggia un'alba che odora di guerra. Una lotta contro il tempo per ritrovare la Chiave Elementale, prima che finisca nelle mani del Nero, e salvare il pianeta.
Siete pronti a partire?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Hajime Taki/Ted Carter, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Teppei Kisugi/Johnny Mason
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Elementia Esalogy'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

ELEMENTIA
- The War -





CAPITOLO 14: All'ultimo respiro (parte III)

Via Crociata – Sistema Montuoso del Nohro Sud, Regno degli Ozora, Terre del Sud Meridionali

Come gli aveva già accennato il Naturalista, Yuzo non faticò a trovare le foglie di cui l’uomo aveva bisogno. I cespugli di caglio(1) e blupleurum(2) crescevano molto rigogliosi, così come quelli di bocca di lupo(3) e lui ne prese in abbondanza.
Quando ritornò alla casa, Shibasaki aveva quasi finito di applicare un impasto di acqua, fango e non sapeva che altro sulla spalla di Teppei, dove c’era la ferita.
Hiroyuki gli rivolse un’occhiata fugace quando sentì la porta aprirsi. Scorse la sua espressione preoccupata e sospirò, spiegando cosa stesse facendo. “Acqua per reidratare i tessuti, terra per cicatrizzarli. Essendo un Elemento di Tyran, bisogna usare cure specifiche.”
Yuzo annuì pur senza rispondere e si sentì leggermente più sollevato nel sapere cosa ci fosse dietro al suo operato. Si stava sforzando di fidarsi di quell’uomo, ma fissava ogni suo gesto con attenzione, per non scorgere mosse false o tradimenti improvvisi che potessero mettere ancora di più in pericolo la vita di Teppei, già appesa a un filo.
“Deva, prendi le erbe. Venti per ciascuna pianta, mettile a bollire con acqua, quattro gocce di distillato di tricaudato e sangue di golkorhas.”
L’assistente si mosse svelta, prendendo le erbe dalle mani di Yuzo e pulendone i rami per staccarne la quantità richiesta. Dopodiché, uscì svelta per preparare il calderone e il resto.
“Posso fare qualcos’altro?” domandò il volante. Detestava dover rimanere con le mani in mano.
“Sì, sederti e dirmi che diavolo ci fanno quattro Elementi di scuole diverse, insieme, al Sud.” Shibasaki aveva finito di applicare la fanghiglia medicamentosa sulla spalla di Teppei e si stava lavando le mani per preparare la pozione che avrebbe rallentato gli effetti dell’avvelenamento. Accennò una specie di sorriso ironico. “E non dirmi che siete amici di vecchia data in vacanza di piacere.”
“Non posso rivelarlo, mi dispiace.”
Hiroyuki lo inquadrò con la coda dell’occhio, la lente riflesse un piccolo bagliore esterno. Il sorriso più teso e quasi divertito. “Non puoi o non vuoi?”
Yuzo non mentì. “Non voglio.”
L’altro si strinse nelle spalle, sfregando bene la pelle per togliere il fango già indurito. “Non ti fidi, fai bene, ma non dimenticarti che sto curando il tuo amico.”
“Non posso esser certo nemmeno di questo, che lo curerete davvero.”
Shibasaki sbuffò un sorriso e si asciugò le mani su un pezzo di stoffa. Prese mortaio e pestello e strappò altre quattro foglie di ciascuna pianta. Le lavò con cura, le asciugò nello straccio e poi le spezzò, mettendole nel mortaio. Da un barattolo prese della polvere scura che Yuzo non seppe identificare, ma che emanava un odore pungente.
Shibasaki ne mischiò una manciata alle foglie e aggiunse un paio di bacche rosse, anche quelle sconosciute al volante che seguì ogni suo movimento senza dire nulla. Poi, si mise a pestarle per bene.
“Almeno chi ha ridotto così il vostro amico posso saperlo? Giusto per curiosità, magari lo conosco.” Tornò a guardare l’Elemento di Alastra con aria di sfida e divertimento; il vecchio retaggio che faticava a morire.
Yuzo si disse che almeno quello avrebbe potuto concederglielo, anche se non gli piaceva quello sguardo, lo trovava irritante. “Erano in tre, ma non sotto le loro vere sembianze. Credo che uno di loro si chiamasse Sakun.”
“Sakun?” Hiroyuki lo guardò da sopra gli occhiali e poi fischiò. “I fratelli Konsawatt. Siete stati fortunati se solo uno di voi è ridotto così male; già è tanto se non ci è ancora scappato il morto.” Il pestello in agata spezzettava e mischiava verde di foglia con grigio e rosso. “Quei tre sono pericolosi, che vi è saltato in mente di battervi con loro? Non mi sembrate affatto maghi esperti.”
Colpito e affondato. Shibasaki lo capì dal modo in cui Yuzo distolse lo sguardo per un attimo, prima di tornare a guardarlo.
“Ce li siamo trovati davanti all’improvviso. Non ci saremmo lanciati in un combattimento senza avere almeno un piano, ma loro sono sbucati inaspettatamente e noi-”
“Non avete mai lottato contro degli Stregoni, non è così?”
Yuzo assottigliò lo sguardo, valutando fino a che punto poteva sbottonarsi; dopotutto, chi gli diceva che non avrebbe comunicato informazioni preziose su di loro ai suoi compagni Stregoni?
“Saperlo non vi cambierà la vita, e se comunque tre di noi ne sono usciti illesi, significa che non siamo poi così tanto inesperti. Né da sottovalutare.”
Un mezzo ghignetto tese le labbra del Naturalista. “Attento a ogni parola, vedo. Tattici e cerebrali, come avevo sentito dire. Ma puoi anche rilassarti, ragazzino, non sono una spia, dopotutto non sono nemmeno più uno Stregone.”
“A questo proposito…” Yuzo assottigliò lo sguardo e il tono aveva assunto la sfumatura guardinga di chi stava sondando il terreno. Cercava di carpirgli informazioni, Hiroyuki se ne accorse, e forse gli aveva anche un po’ esposto il fianco per permettergli di pungolarlo. “…tre Stregoni alla fine del Nohro, con voi fanno quattro. Un po’ troppi, dopo che non ne abbiamo visti per quasi un anno di viaggio.”
Lui cercò di sviare il discorso, ma Yuzo non si distrasse. “Addirittura un anno, però, bel viaggetto.”
“Si dice che al Sud vi sia una importante base dell’AlfaOmega, ma nessuno è mai riuscito a trovarla.” Finse di spostare lo sguardo senza però perderlo nemmeno per un attimo attraverso la vista periferica. “Chissà, magari ci siamo vicini.”
“Ti ho già detto che non sono più uno Stregone” tagliò corto Shibasaki e capì d’aver risposto con troppa fretta. Aveva sbagliato.
“Sapete dov’è e non è lontana.”
Il medico interruppe ciò che stava facendo, fissando il miscuglio che aveva nel mortaio pur senza vederlo; il tono dell’Elemento era fermo, eppure avvertì nettamente un filo di agitazione nelle sue parole.
“Se è così, vi prego di dircelo, potrebbe essere importante.”
“Sì, e magari vi ci debbo anche accompagnare?” sbottò con sarcasmo, sollevando lo sguardo su di lui; un sopracciglio inarcato, il tono sulla difensiva. Non era più lui a gestire quella specie di reciproco interrogatorio, ma il giovane che l’Elemento con i capelli neri e lunghi aveva chiamato Yuzo.
“Perché avete smesso di essere uno Stregone?” domandò quest’ultimo a un tratto e lui strinse il pestello con forza.
“E tu perché sei così ostico con me?” domandò di rimando. “Guarda che l’ho capito che non ti vado a genio e non perché io sia solo uno Stregone.”
“Non mi avete risposto” sorrise il volante e l’altro riprese a pestare con forza, tornando in silenzio.
Era insopportabile essere messo nel sacco da un dannato ragazzino! Maledetti Elementi d’Aria!
Shibasaki si ammonì e in un guizzo di irritazione il lampo del tradimento balenò come un vecchio ricordo lontano: avrebbe potuto finire di uccidere quello stupido Elemento di Terra dando la colpa al veleno di Rankesh e nessuno se ne sarebbe accorto, ma mentre lo pensava, una fitta dolorosa lo stilettò al ventre e poi al cuore.
Shizuru avrebbe pensato che fosse tornato il vigliacco Stregone che era stato un tempo e l’avrebbe maledetto una volta di più dall’alto del Paràdeisos. Rallentò i movimenti, quasi non vedesse più ciò che faceva. Sollevò appena lo sguardo sul giovane moribondo e rivide l’espressione determinata e disperata del suo amico Tritone.
Nella Terra e nell’Acqua avrebbe trovato le risposte.
Ma a quali domande?
E sarebbero state le risposte giuste?
Hiroyuki fissò il viso contratto di Teppei e pensò a come il Tritone si fosse fidato delle sue parole, quando gli aveva detto di andare alle paludi per cercare lo zaikotto.
Fiducia.
E Teppei che rimaneva aggrappato alla vita con ogni brandello di anima, nella speranza che i suoi amici lo salvassero.
Speranza.
Fiducia e speranza. Erano queste le risposte?
Fiducia in sé stesso, che era stato uno Stregone e aveva tentato d’essere un Naturalista per cambiare la propria vita e salvare gli altri.
Speranza di poter ancora essere utile in qualche modo.
Poteva ancora credere nelle proprie capacità?
Poteva essere perdonato per aver fallito?
Queste erano le domande.
E Shizuru gli aveva sempre detto che se non si dava niente, non si riceveva niente.
Hiroyuki  finì di pestare il composto che ormai era polvere fine.
“Sei mai stato innamorato?” Lo domandò così all’improvviso che Yuzo rimase spiazzato. “Innamorato?” fece eco il volante rendendosi conto solo allora di non poter rispondere perché non lo sapeva.
Cosa intendeva con ‘l’essere innamorato’? Lui amava suo padre, amava i suoi fratelli d’Aria, i suoi amici. Le phaluat. O forse, parlava di un amore diverso, come quello che magari era esistito tra i suoi genitori?
Ci pensò, mentre l’altro continuava.
“Sì. Quando sei convinto che la tua vita non possa cambiare e poi ti ritrovi davanti una persona che te la stravolge in un attimo.”
La vita stravolta…
“Una persona che ti capisce così tanto che, a volte, non hai nemmeno bisogno di dire nulla.”
Yuzo drizzò la schiena, lo sguardo fisso in un punto, l’espressione tesa.
“Una persona che riesce a farti sentire a casa ovunque ti trovi.”
Lo sguardo del volante saettò per incrociare quello dello Stregone con perplessità e forse anche sconcerto, perché l’uomo aveva appena descritto…
“Vedo che hai capito cosa intendo” sorrise Shibasaki mentre Yuzo sentiva d’essere arrossito di colpo. L’uomo si appoggiò al mobile alle proprie spalle. “E’ stato per questa persona se ho lasciato la Magia Nera. Ho lasciato l’AlfaOmega, correndo il rischio d’essere ucciso perché non si abbandona la gilda come se niente fosse. Però avevo molte conoscenze tra gli Stregoni che contavano, con la mia magia ne avevo salvati svariati, e quindi loro intercedettero affinché venissi lasciato in pace, tanto non sarei stato un problema. Mi controllarono per un po’, e quando si resero conto che, effettivamente, non gli sarei mai stato d’intralcio, si disinteressarono a me.” Hiroyuki tirò un profondo sospiro, poi si mosse. Prese un’ampollina con dell’olio grigio e ne versò una goccia nel mortaio, riprendendo a mischiare il composto che iniziò ad amalgamarsi e divenire una pasta. “Fu per lei che divenni un Naturalista. Mi convinse che la mia magia, se ben utilizzata, avrebbe potuto essere utile agli altri, avrebbe potuto convivere nello stesso mondo di quella elementale, bastava solo non esagerare. E stava andando bene. Le mie conoscenze furono preziose per riuscire a compensare gli incantesimi con le scienze mediche. Andava tutto liscio.” Il pestello veniva brandito con più forza e vigore.
“E poi che è successo?”
“Ho sbagliato una cura, ho perso una paziente.” Hiroyuki sollevò lo sguardo, gelido e carico di amarezza e rimpianto, di colpa e di fallimento. “E quella paziente era lei.”
“Per questo avete smesso anche di essere un Naturalista” concluse il volante.
“Per quelli come me non c’è spazio in nessuna parte del mondo. Una volta Stregone si è destinati a esserlo per sempre, ed io che l’ho rifiutato, ormai non sono più nulla.” Hiroyuki guardò il composto e parve soddisfatto della consistenza. “Adesso dovrò usare un incantesimo di Magia Nera, se non ti spiace.”
Yuzo annuì, appena. “Basta che non lo applichiate su di lui.”
L’altro accennò un sorriso, stranamente rassicurante. “No, sta’ tranquillo.”
Mentre gli vedeva sollevare una mano sul mortaio e masticare formule incomprensibili, Yuzo si ritrovò a valutare le parole dell’uomo e convenne che erano sincere. Non nascondevano nessun tentativo di menzogna o raggiro: quello Stregone aveva davvero provato a essere una persona qualunque, un medico. Forse poteva fidarsi.
Dal mortaio, Yuzo gli vide estrarre quella che sembrava una pillola. Con i suoi poteri aveva modificato la forma del composto, plasmandola per compattarla in qualcosa di facilmente assimilabile. Gliela vide mettere da parte.
“E tu, invece? Che problema hai? T’abbiamo ammazzato il gatto?” Il sorriso si fece nuovamente ironico.
Shibasaki non si aspettava che l’Elemento gli rispondesse sul serio, aveva buttato lì la domanda solo per cambiare argomento, ma quando l’altro parlò si volse a guardarlo, con attenzione e serietà.
“Durante il viaggio ho incontrato un uomo, un Naturalista, con le manie da Stregone. Non lo era davvero, altrimenti avrei dovuto avvertirlo come è accaduto con voi. Era solo un emule pazzo, ma attraverso un oggetto lavorato con siero di Rankesh, è riuscito a sottomettere la mia volontà costringendomi a uccidere decine e decine di persone.”
Sul suo viso, l’uomo lesse uno sguardo rassegnato. In quel momento ebbe come un’intuizione che gli fece stringere gli occhi e sollevare un sopracciglio, con sorpresa. “Sei il mostro di Sendai?”
Quella frase lo ferì, visibilmente; Shibasaki lo poteva leggere nel modo affranto in cui aveva piegato le labbra in una specie di sorriso.
“Mi chiamano così? Capisco.” Yuzo abbassò lo sguardo e poi lo spostò altrove, girando il viso.
Lui tirò un lungo respiro. “Mi erano giunte delle voci, mesi fa, ma non erano molto precise. Ero ancora dall’altra parte del Nohro. Ci vado periodicamente per fare rifornimento; una delle ultime volte, prima d’allora, ho anche incontrato il Principe Ozora.”
Il volante tornò a guardarlo, l’espressione improvvisamente attenta. “Il Principe?”
“Sì.”
“Quanto tempo fa?”
Hiroyuki incrociò le braccia, tirando gli occhiali sul naso con fare pensieroso. A mente fece un rapido calcolo. “Più di un anno sicuro. Era in procinto di attraversare il Nohro, ma a quanto sembra non lo ha mai passato.”
Yuzo si fece dappresso al tavolo su cui era sdraiato Teppei e si appoggiò al legno con foga. Forse avevano finalmente trovato il punto in cui il Principe era scomparso. “Che volete dire?”
“Beh, sapevo che il Principe sarebbe dovuto passare per Hemur e poi muoversi alla volta del Dogato di Nankatsu, ma a quanto sembra non si è mai fatto vedere da queste parti. Me lo hanno riferito sia gli abitanti della città che la mia assistente.” Shibasaki assottigliò lo sguardo, studiando le reazioni dell’Elemento: sembrava preoccupato.
“Siamo sulle tracce del Principe” confessò Yuzo. “Oltre a non essere arrivato a Hemur, Vostra Altezza non è mai tornato a Raskal.”
Hiroyuki sgranò gli occhi, disincrociando le braccia e cambiando postura. “Che cosa?”
“Noi siamo stati mandati alla sua ricerca. Abbiamo ripercorso tutto il tragitto compiuto dal Principe per capire cosa gli fosse accaduto e cercare degli indizi che ci permettessero di ritrovarlo sano e salvo. Ma se voi mi dite che era arrivato al Nohro, ma non lo ha mai oltrepassato, allora abbiamo appena trovato il luogo in cui è scomparso.”
“Eh, no, un momento! Se è scomparso nella zona del Nohro significa che-” Il Naturalista tacque all’improvviso, completando solo mentalmente il proprio ragionamento. Fu Yuzo a dargli voce.
“Significa che è stato rapito dagli Stregoni, qui, dove hanno il loro avamposto principale nelle Terre del Sud.”
Shibasaki strinse i pugni, distogliendo lo sguardo: non poteva essere che così.
“Per favore, voi sapete come raggiungerlo! Aiutateci!”
Yuzo si era proteso in avanti, cercando il suo appoggio, ma lui non sapeva che fare. Quando aveva lasciato la Stregoneria l’aveva fatto solo per vivere in pace, ma se avesse rivelato l’ingresso della base avrebbe tradito i suoi compagni e lui… lui non era un traditore, in fin dei conti.
Ma non era ancora il momento di prendere una decisione, così scosse il capo, sfregando le mani e prendendo la medicina.
“Occupiamoci di una questione alla volta, ragazzo, e la priorità, adesso, è di curare il vostro compagno. Sei d’accordo?”
Yuzo annuì, significava che comunque il discorso non era concluso del tutto e adesso che finalmente sapevano dove cercare, avrebbe potuto aspettare di avere tutte le spiegazioni del caso.
Poco dopo, l’assistente rientrò con una ciotola piena di brodaglia calda; le foglie galleggiavano sulla superficie assieme agli altri componenti dell’intruglio finale che Teppei avrebbe dovuto bere.
Shibasaki le fece cenno di poggiarlo sul ripiano da lavoro e prese colino e bicchiere. Filtrò il composto e ordinò alla giovane di farlo bere lentamente al paziente, mentre lui gli teneva la testa.
“Dopo lo sposteremo nel letto, starà più comodo” disse l’uomo, la pillola nella mano e il capo di Teppei nell’altro braccio, per tenerlo su.
Yuzo si fece da parte per non essere loro d’intralcio. Si avvicinò alla finestra, spostandone le tende per guardare l’esterno e cercare di ordinare i pensieri. In quelle poche ore erano venute fuori più cose di quelle che avrebbe mai potuto credere. Avevano trovato il Principe, rischiavano di perdere Teppei e lui si era trovato, inaspettatamente, a fronteggiare un concetto su cui non si era mai fermato a pensare.
L’Amore.
Quella parola tornò per portargli altri significati, diversi, che però sembravano incastrarsi alla perfezione con ciò che lui non era ancora riuscito a capire di sé stesso.
Shibasaki aveva parlato di vita creduta immutabile e poi stravolta, di comprensione senza la necessità di parole, di sentirsi a casa ovunque.
Aveva parlato di quello che lui provava quando era con Mamoru.
La stessa intesa immediata, lo stesso benessere, lo stesso cambiamento di abitudini che però non spaventava, ma anzi gli aveva aperto un mondo nuovo davanti che non gli aveva mai fatto rimpiangere il vecchio, nemmeno per un momento.
Era da quando si erano fermati a Ghoia che se lo domandava e forse ora poteva provare a rispondersi.
Cos’era quello?
Amore.
Cos’erano loro? O era meglio dire: cos’era lui?
Innamorato.
Innamorato di Mamoru.
Era strano, ma era sempre stato sicuro che lo avrebbe riconosciuto, l’avrebbe capito all’istante se si fosse mai innamorato. Era convinto che avrebbe dovuto sentirsi il cuore pieno di emozioni fino a esplodere e invece era solo confuso. Perché non sapeva dire quanta paura gli facesse l’idea di veder spezzata l’amicizia che aveva con la Fiamma. Quel legame unico ed esclusivo, che non aveva con nessun altro. Se avesse detto a Mamoru una cosa simile, di essere innamorato di lui, sarebbe stata una catastrofe: il giovane di Fuoco rifuggiva i legami, come avrebbe potuto sbattergliene in faccia uno così importante e sperare che non sarebbe cambiato nulla tra loro? Che sarebbe comunque rimasto al suo fianco come gli aveva promesso?
Ed egli stesso… sarebbe stato disposto ad accettare che tra loro potesse esserci solo amicizia e null’altro?
Mamoru non gli aveva mai detto cosa pensava di lui, dopotutto. Le sopracciglia si aggrottarono e il sorriso si fece mesto. Forse credeva che fosse ancora uno stupido volante?
A conti fatti, non aveva proprio idea di cosa pensare.
Quando ci si innamorava si era felici, era stato sicuro anche di questo: che sarebbe stato felice. E allora perché si sentiva così preoccupato e in ansia?
Timoroso di perdere Mamoru se avesse infranto il loro equilibrio, timoroso di vederlo allontanarsi, di perdere il calore del suo fuoco che bruciava in ogni parte di quello spirito ribelle e sfrontato.
D’un tratto capì cosa ci fosse dietro la sensazione di necessità.
Ma se quello era amore, allora cos’era stata quella sensazione caldissima che aveva provato quando si erano trovati a Sithe e Mamoru lo aveva toccato in quel modo?
Con un gesto deciso, Yuzo scosse il capo per scacciare qualsiasi altro pensiero diverso dalla guarigione di Teppei. Non poteva permettersi di pensare ad altro, non in quel momento.
Svelto si allontanò dalla finestra, rivolgendosi al Naturalista. “Non avete più bisogno del mio aiuto, giusto?”
“No” scosse il capo Shibasaki, fissandolo da sopra gli occhiali.
“Allora vado a raggiungere i miei compagni; altre due braccia e occhi possono sempre servire.” Senza attendere una risposta, lasciò la casa di corsa per poi spiccare il volo in direzione della palude.
Hiroyuki osservò la porta chiusa, tirando un profondo sospiro e quasi invidiando quella incredibile forza d’animo che ognuno di quei giovani aveva dentro di sé. La forza di chi non si sarebbe mai arreso.
“Dottore, guardi!”
La voce allarmata di Deva gli fece muovere lo sguardo ed emettere un ringhio. “Dannazione!”
“Che sta succedendo?” La giovane osservò prima il medico e poi il piede dell’Elemento la cui pelle era divenuta di pietra.
Shibasaki lo prese dalle mani dell’assistente che ancora lo reggevano, dopo avergli tolto lo stivale, e lo appoggiò sul tavolo, con movimenti calibratissimi e lenti.
“Si sta pietrificando.”
“Che significa?”
L’uomo la guardò, l’espressione tesa. “Che sta morendo” disse senza mezzi termini. “Quando gli Elementi di Terra muoiono, il loro corpo diventa di pietra per ricongiungersi al loro elemento principale. Lo dice anche il motto della loro scuola: ‘Il nostro destino è scritto nella polvere’. Basta un niente per mandarlo in frantumi per questo è impossibile spostarlo, al momento.”
Deva si portò una mano alla bocca, spaventata. “Quanto tempo gli resta?”
“Non lo so, ma se la pietrificazione dovesse arrivare al cuore… non ci sarebbe più niente da fare.”
“E quei ragazzi…”
“Dobbiamo sperare che facciano in fretta.” E in quel momento, Shibasaki si trovò a sperare, addirittura pregare, che la lotta degli Elementi non fosse vana.

Volò sfrecciando sopra le fronde boschive, per avere una maggiore visuale del percorso da compiere. Dall’alto, non aveva bisogno di cartelli.
Da un lato riusciva a scorgere la foresta diradarsi, segno che da quella parte doveva esserci la palude, mentre dalla parte opposta, la vegetazione si infittiva, correndo lungo il perimetro delimitato dalla montagna che non era niente più di un enorme costone di roccia nuda e irta, con i picchi innevati.
Yuzo stava per prendere la via che conduceva alla palude, quando vide uno stormo di uccelli levarsi all’improvviso a seguito di rombo cupo. Poi, tra le fronde, si levò del fumo.
Il volante si bloccò rimanendo in volo e scrutando da quella parte con attenzione. Anche se era piuttosto distante, gli parve di percepire della magia ostile nell’aria, molto attenuata, ma non ne era sicuro.
Poi, un altro boato e della polvere, altri uccelli e di nuovo del fumo.
Yuzo planò scendendo a una quote minori e guardandosi attorno. Trovò un piccolo crocevia e lo raggiunse, fermandosi nel suo centro. Un cartello logoro indicava la direzione per le paludi.
Cercò di concentrarsi, per riuscire a percepire eventuali voci trasportate dal vento, ma gli giunsero solo suoni più o meno forti di qualcosa che andava in frantumi, di incantesimi lanciati e stridere d’uccelli spaventati.
Infine, delle frasi.

“…ma come? Non ti si sono ancora sedati i bollenti spiriti?”
“…fottiti…”

Fruscii più vicini di animali, il contatto venne interrotto. E se la prima voce gli era parsa sconosciuta, la seconda, per quanto debole e sussurrata, non avrebbe mai potuto confonderla con nessun’altra.
Yuzo aprì gli occhi, puntandoli in direzione del costone di roccia.
“Mamoru…”

Hajime era fradicio, completamente.
Gli abiti zuppi, i capelli attaccati al viso.
Con un gesto secco si tolse una sanguisuga dal collo gettandola nuovamente nella pozza da cui era emerso. Le branchie si richiusero, ma senza scomparire. Non aveva trasformato le gambe in coda poiché gli acquitrini erano troppo bassi ed era inutile mutarsi completamente in Tritone, bastava immergersi e affondare il viso nelle acque torbidi per riuscire a vedere sul fondo.
Ma tutte le sue ricerche si erano rivelate infruttuose e Hajime stava per esplodere. L’emicrania batteva contro le tempie allo stesso ritmo del cuore e il respiro era andato serrandosi a ogni momento che passava e si ritrovava solo con un pugno di mosche tra le mani.
Non poteva continuare così, setacciando a vuoto quelle acque fangose senza riuscire a trovare niente, nemmeno la più piccola traccia di quel maledetto animale.
Un serpente.
Aveva bisogno di un banalissimo serpente.
Perché non riusciva a trovarlo? Perché le Dee sembravano avergli voltato le spalle proprio nel momento in cui aveva più bisogno di loro?
Per quanto Elemento, era raro che si rivolgesse alla Divina Yoshiko con le sue preghiere; lo faceva solo in caso di necessità estrema perché per il resto aveva sempre teso a cavarsela da solo, senza aver bisogno di chiedere aiuto a una qualche entità superiore; fosse solo con un sospiro. Ma adesso… adesso ne aveva bisogno come mai in vita sua. Aveva bisogno di aiuto, di un segno, di qualsiasi cosa perché da solo non ce la faceva. Non era riuscito a venire a capo di nulla, aveva setacciato tutti gli acquitrini delle paludi, sollevato tronchi sommersi, si era immerso e aveva seguito il percorso dei pesci che si era trovato davanti, così come quello degli anfibi, di rane e rospi, tarantole di paludi e rettili di vario tipo, ma non era servito a niente se non a fargli aumentare il mal di testa e l’ansia verso il tempo che passava.
Non aveva idea di quanto ne fosse trascorso da che aveva iniziato la sua ricerca e fino a quel momento, sapeva solo – lo sentiva – che era troppo, che era agli sgoccioli, che non poteva tirare ancora la corda, che stava per impazzire. E la testa continuava a picchiare, batteva nell’emicrania incessante ed era così forte che avrebbe voluto spaccarsi il cranio a metà contro una pietra per farla smettere, oppure urlare, urlare con tutta la voce che aveva in corpo per liberarsi della paura accumulata e dell’ansia, del peso delle responsabilità – perché lui si sentiva responsabile verso Teppei – che lo stavano schiacciando; foglia sotto la scarpa di un gigante. Non sapeva ancora con quale forza stesse riuscendo a imporsi di non cedere alle pressioni che sentiva dentro e fuori di sé.
Tornò a riva, si guardò intorno. L’acqua sporca scivolava da ogni parte del suo corpo, tracciava percorsi sul viso ma non riusciva a offuscarne lo sguardo neanche quando si insinuava tra le ciglia e andava a coprire gli occhi, quest’ultimi restavano aperti e vigili, alla ricerca del più piccolo movimento nel sottobosco.
Le iridi scure trovarono un’altra pozza, si sarebbe diretto lì, e si ostinò di non chiedersi se non l’avesse già perlustrata perché non se lo ricordava più. Forse sì, forse no, era meglio non rischiare. Lì, poi, sembrava tutto uguale; ovunque si girasse c’era una patina verde che copriva la terra e la superficie delle acque, celandole a una prima occhiata. Odiava le paludi e il loro lezzo malsano, così lontano dalla purezza delle acque di Agadir, ma non avrebbe mai permesso che fosse quello a fermarlo.
Lentamente si trascinò verso l’acquitrino successivo, gli occhi costantemente bassi per trovare tra l’erba, il muschio e le foglie cadute e divenute poltiglia la vita di quei luoghi.
Una rana nascondina uscì dalla mimetizzazione saltando su un tronchetto più lontano. Hajime la guardò con occhi gelidi e labbra tese. La rana sembrò fissarlo a sua volta, inclinò la testa e gracidò. Poi tornò a mimetizzarsi con l’ambiente circostante.
I passi del Tritone producevano uno scalpiccio che cominciava a diventare fastidioso allo stesso Hajime e a ogni movimento che faceva, una creatura delle paludi lo imitava, quasi di riflesso, emergendo da sotto una foglia o librandosi in volo. Al sibilare d’un serpente si volse di scatto, il cuore che batteva velocissimo come il suo respiro, ma quando scorse che si trattava solo di una vipera smeraldo fu l’emicrania a battere ancora di più, mentre espirava sonoramente e tornava a guardare altrove. I passi lo guidarono al bordo della pozza, ma la melma verdognola lo ingannò, facendogli mettere un piede in fallo e scivolare in acqua di schianto tanto da lanciare un’imprecazione e sollevare lo sguardo al cielo. Lì, tra una liana che scendeva da un tronco di faggio e del muschio che sembrava divorare la roccia su cui cresceva, scorse una piccola statua della Divina Yoshiko. La osservò, sospirò e gli venne da ridere. Una risata di quelle ironiche e piene di frustrazione, quasi isterica. Sicuramente esausta.
“Che altro devo fare?” domandò al piccolo simulacro che rappresentava la Dea seduta su uno scoglio, con le gambe mutate nella bellissima coda di una sirena, i lunghi capelli a coprirle i seni, una mano poggiata al petto e l’altra – palmo rivolto al cielo – indicante le acque. Il viso era inclinato verso il basso, ma sembrava guardare proprio lui. Aveva la bocca leggermente aperta, come avesse voluto parlargli ma, in quel momento, Hajime non vedeva altro che un pezzo di pietra lavorato. Tanto bello, quanto inutile.
“L’ho setacciata tutta, non prendiamoci in giro.” Sciaguattò un piede nell’acqua, sollevando un’onda. “Anche questo, sicuro, l’ho già controllato. Perché non lo trovo? La mia magia non è ostile… perché non si avvicina? I zaikotti sono… sono serpenti socievoli e affettuosi e allora perché?” rise ancora allargando le braccia. “Che altro devo fare, dimmelo. Devo vendere l’anima a Kumi? Lo faccio, se vuoi, dico sul serio. Sono disposto a fare qualsiasi cosa… qualsiasi… ma fammi trovare quel serpente. Ti supplico…”
La statua non rispose e Hajime abbassò il capo, scuotendolo adagio. Stava uscendo fuori di testa se si ritrovava a parlare con un pezzo di pietra nella speranza di un aiuto divino.
“Sono disposto a tutto…” ripeté, rivolgendosi più a sé stesso che a un interlocutore invisibile. “…anche a morire…”
Pur di salvare Teppei sarebbe arrivato a tanto, perché per lui era tutto. Era sempre stato tutto. Il fratello che non aveva mai avuto, l’amico da cui non si sarebbe mai voluto separare, l’affetto indissolubile che l’avrebbe accompagnato fin dentro la tomba. A conti fatti, si rese conto che anche se da bambini era sempre stato il tyrano a fare i capricci per non andare in scuole diverse, mentre lui si era sforzato di mantenersi più posato e farlo ragionare, chi davvero aveva sentito di più il distacco e la mancanza era stato lui. Quei nove anni senza potersi scambiare neppure una lettera erano stati i più lunghi della sua vita e si era buttato anima e corpo nello studio solo per aiutarsi a non pensare al tempo che passava. E ogni volta che rientrava a Ilar, dentro di sé fremeva perché avrebbe potuto rivederlo, e ogni volta che c’erano delle manifestazioni scolastiche si segnava i giorni sul calendario affinché passassero prima.
Chi aveva vissuto la lontananza quasi come fosse una punizione divina era sempre stato lui. Aveva solo imparato a nasconderlo bene, dietro la calma e il distacco dell’Acqua che era un tutt’uno compatto e unito. Adesso che rischiava di perderlo per sempre, ogni cosa veniva a galla, come pesci morti, e Hajime continuava a sentirsi come se stesse morendo anche lui, un po’ alla volta, perché non era in grado di salvarlo, perché la vita di Teppei era appesa a un dannato serpente e lui non riusciva a trovarlo. Si sentì inutile.
La testa continuò a martellare senza pietà, costringendolo ad affondare il viso in una mano per riuscire a concentrarsi quanto bastava per non pensare al dolore.
“Yoshiko, non abbandonarmi adesso…” mormorò al proprio palmo. Poi un nuovo sibilo gli fece sollevare la testa di scatto. Veniva dalle proprie spalle. Forse questa volta poteva essere lo zaikotto.
Con gli occhi pieni di speranza si volse, ma le sue aspettative vennero disattese nel peggiore dei modi.
L’anaconda di palude aveva le fauci spalancate ed erano enormi, ben più grandi di quanto gli erano sembrate sul libro ‘Rettili di mare, fiumi, laghi e paludi’. I denti affilati erano in mostra, pronti per fare di lui il pasto della giornata. Gli occhi piccoli e neri erano fissi nei suoi e Hajime ebbe solo il tempo di sollevare il braccio prima che l’animale lo attaccasse con talmente tanta forza da spingerlo interamente nella pozza.
I denti si aggrapparono alla carne e facevano un male del diavolo. Hajime gridò sott’acqua, ma i suoi versi vennero assorbiti dal liquido e resi incomprensibili.
La coda dell’anaconda gli si avvolse attorno alla vita e alle gambe. Aveva letto che potevano raggiungere i quindici metri e quell’esemplare rientrava nella norma, per sua sfortuna.
Hajime sentì la stretta farsi serrata. Quella bastarda voleva spezzargli le ossa, in modo da poterlo ingurgitare per intero e senza difficoltà. Lui cercò di divincolarsi, afferrandola per il muso, ma l’anaconda iniziò a ruotare in acqua e più si avvolgeva più le spire si stringevano.
Tutt’intorno all’acquitrino, gli animali erano fuggiti, allontanati dal trambusto del predatore e della preda: pochi momenti e quest’ultima sarebbe stata pronta per essere mangiata, ma questa volta l’anaconda aveva scelto il pasto sbagliato.
Con gli occhi spalancati e fissi su di lei, Hajime richiamò i propri poteri e l’acqua della pozza si mosse a un semplice comando. Un piccolo mulinello si formò al suo fianco e lui gli diede una consistenza più solida. Con la mano libera, lo indirizzò verso il serpente e affondò il colpo senza nemmeno guardare. L’anaconda spalancò le fauci, mollando la presa; un occhio centrato in pieno e reso irrimediabilmente cieco. Con un guizzo più svelto di quando l’aveva attaccato, si ritrasse e lo lasciò andare, cominciando a scuotere la testa come fosse impazzita. Riemerse in superficie e guadagnò la riva, fuggendo nel sottobosco.
Hajime rimase immobile sott’acqua, respirando attraverso le branchie. Il braccio gli doleva e lo sentiva intorpidito, ma non era importante, tanto il suo morso non era velenoso. Mosse appena le gambe per sentire se fossero tutte integre e gli era andata bene; lo scontro era durato nient’altro che pochi momenti, l’anaconda non aveva avuto possibilità di arrecargli troppo danno.
Mentre si lasciava appoggiare sul fondale, Hajime fissava il mondo, oltre la superficie, che tremava tutto e sembrava quasi privo di consistenza, come fosse stato solo un riflesso e il fondo della pozza la realtà. Quel pensiero gli ricordò i tempi di quando lui era piccolo e per sfuggire alla tristezza per la mancanza della sua famiglia e di Teppei correva a tuffarsi nelle acque di Agadir per perdere il contatto con il mondo di superficie e fingere che non esistesse, così non aveva motivo di provare nostalgia. Il mondo vero era solo sotto il pelo dell’acqua.
In quel momento, si rese conto di essere stanco, stanco morto e senza più energie, totalmente sopraffatto dal senso di sconfitta. Senza più speranza.
Non c’erano zaikotti in quella maledetta palude, l’aveva setacciata palmo a palmo e non ne aveva trovati. Il suo elemento e le sue preghiere erano andate a vuoto e Teppei se ne sarebbe andato senza che lui avesse potuto impedirlo, nonostante ci avesse provato.

“E comunque non mi sarebbe successo niente. Ho la mia squama portafortuna, no?”(4)

Accennò un sorriso, ripensando alle parole del tyrano.
Non portava affatto fortuna, nemmeno in quello sarebbe stato utile.
Le labbra assunsero una piega contrita, mentre aggrottava le sopracciglia.
“Non servo a niente, Teppei…” mormorò nell’acqua in versi incomprensibili per chi non era un Tritone. Strinse gli occhi, sentendo le lacrime abbandonarli e divenire parte stessa dello stagno in cui giaceva. Inspirò a fondo e poi rilasciò tutta la frustrazione accumulata in quell’anno in un pianto liberatorio, urlando sotto la superficie a quel mondo che si trovava dall’altra parte e che voleva prendersi la persona più importante che aveva. Il suo lamento impregnò l’acqua e si diramò, cavalcando le onde, ma lui non era in grado di sentirsi, troppo preso dalla forza di ciò che aveva dentro e che voleva lasciarsi alle spalle, liberarsene e ricominciare, riconquistare di nuovo la determinazione e la lucidità di alzarsi da quel fondo torbido, emergere in superficie e cercare l’antidoto per Teppei.
Quando aprì gli occhi, gli sembrava di non avere più fiato. La superficie dello stagno era immobile e restituiva spessore e profondità alla terra fuori dalle acque.
Sospirò, sentendosi incredibilmente meglio. La testa non gli faceva più male. Era da troppo tempo che non si concedeva un momento solo suo per sfogarsi e liberarsi di quei pesi che si accumulavano dentro con l’andare dei giorni. Non ricordava nemmeno quando avesse nuotato, solitario, in qualche fiume o lago. Le coste non le avevano mai toccate durante il loro viaggio e avrebbero continuato a non toccarle nemmeno una volta arrivati alla meta finale, il Dogato di Nankatsu.
Ora, però, si sentiva più leggero e poteva farcela. Doveva farcela. Se Teppei l’avesse sentito piangersi addosso in quel modo l’avrebbe rimproverato e spronato a non mollare.
“Sono pronto.” Mormorò, poi girò il viso di lato e gli occhi si sgranarono. Una fila di pesci restava stranamente ferma al suo fianco, guardandolo fisso.
Hajime si girò dall’altro lato e un’altra fila di pesci restava immobile nella stessa posizione.
Adagio si sollevò, emergendo in superficie. Gli occhi ancora più grandi e increduli, mentre le gocce d’acqua scivolavano sul suo viso.
Rane, rospi, uccelli pescatori, insetti, serpenti, anfibi di ogni genere erano schierati ovunque, in circolo attorno all’acquitrino. Lo guardavano come se si stessero aspettando qualcosa: un ordine, un cenno.
Hajime spostò le iridi scure da una parte all’altra, ruotando la testa in movimenti calibratissimi e lenti un po’ per la sorpresa e un po’ per il timore di spaventarli. Aveva visto solo una volta una cosa simile e l’aveva fatta Magister Levin: i pesci del lago Agadir erano accorsi a un verso che lui, però, non era riuscito a sentire, come fosse a una lunghezza d’onda differente da quelle che gli esseri umani potevano percepire.
Incantesimo di Richiamo.
“Ma… lo insegnano solo… a quelli dell’ultimo anno…” mormorò e lui non era ancora un diplomando. Eppure non vi era alcun dubbio, ne aveva appena eseguito uno.
Gli occhi si spostarono alla statuina della Divina Yoshiko che indicava l’acqua ma guardava lui, ancora, benevola. Differentemente dal comportamento distaccato tenuto dalla maggior parte dei membri della sua scuola, la Dea era rappresentata sempre con tutt’altra espressione, anzi, per lo più, nei grandi affreschi, sul suo volto c’erano sempre le lacrime, limpide, quasi di cristallo. L’immensità delle emozioni racchiusa in una piccola goccia, come la vastità degli oceani.
Poi, una nota di colore scivolò attorno alla base della statuina e si arrampicò lungo la stessa. Girò attorno alla mano protesa e si acciambellò al centro del palmo. Una nota gialla, luminosa, con una pietra rossa al centro della testa. Una pietra che era valsa l’appellativo di rubinati agli animali che la portavano. E quegli animali erano gli zaikotti.
L’incantesimo di Richiamo aveva avuto effetto anche su di lui, portandolo a rivelarsi perché non c’era pericolo.
Lo zaikotto aveva la testa alta e dritta, la spostava da un lato e dall’altro mostrando la lingua biforcuta, poi iniziò a farla schioccare, producendo un suono simile a una risatina. Aveva gli occhi color argento vivo che lo fissavano con attenzione.
Hajime rimase immobile, non riuscendo a credere a ciò che vedeva. Questa volta nessuna vipera smeraldo o anaconda delle paludi. Questo era uno zaikotto vero, con tanto di pietra sulla testa e colore abbagliante.
La salvezza. La salvezza di Teppei era a un passo, non doveva far altro che allungare la mano e afferrarla. Ma doveva muoversi con cautela o l’animale sarebbe potuto fuggire via, spaventato, e l’incantesimo di Richiamo si sarebbe potuto rompere all’improvviso. E lui, che non aveva mai gestito una simile magia, non aveva la minima idea di come dovesse agire. Però gli veniva da piangere. Sentì le lacrime pungergli gli occhi e la tensione addentargli lo stomaco. Se avesse sbagliato, questa volta non ci sarebbe più stata speranza per Teppei.
Lentissimamente allungò una mano verso quella della statua della Dea.
“Vieni… non ti faccio nulla… promesso.” L’acqua di cui erano ancora intrisi i capelli scivolò lungo il viso, mischiandosi alle lacrime che colavano dall’occhio non coperto dal ciuffo. “Avvicinati, non avere paura… ti ho cercato… così tanto.” La mano più vicina, a un soffio dal serpente che aveva smesso di far schioccare la lingua.
Quest’ultimo si ritrasse e lui si fermò all’istante. L’animale si fece diffidente, oscillò ancora il capo, dondolandolo quasi al ritmo di una musica che sentiva solo lui.
“Vieni con me… ti prego.”
Lo zaikotto avvicinò il muso per annusargli la pelle delle dita, la linguetta biforcuta fece capolino velocemente per leccarla.
“Ho bisogno del tuo aiuto, non ti verrà fatto alcun male.” Gli parlava, quasi che l’animale avesse potuto capirlo, ma non si sentì stupido a discorrere con una serpe.
Quest’ultima sollevò il capo e rimase ritta e ferma. Immobile come si fosse pietrificata. Lo sguardo fisso nel suo.
Hajime era convinto che sarebbe fuggita l’attimo successivo e invece, con un guizzo rapidissimo, gli si arrotolò al braccio, salendo fin sulla spalla per acciambellarsi definitivamente attorno al suo collo a mo’ di sciarpa.
Il Tritone rimase spiazzato per alcuni momenti, ma quando lo sentì sibilare quieto, un genuino sorriso gli piegò le labbra. “Grazie” esalò, carezzandogli la testa con un dito e lo zaikotto gli dimostrò il suo carattere docile e affettuoso, strofinandosi contro di lui. Un gesto che riuscì a strappargli addirittura una mezza risata. Rivolse lo sguardo alla statua della Dea, ancora con la sensazione che i suoi occhi di pietra lo stessero guardando a loro volta. Sorrise di nuovo, giungendo le mani al viso e intrecciandone le dita in segno di preghiera e gratitudine perché quel piccolo serpente, che fino a un attimo prima si trovava nella mano del simulacro, era come se glielo avesse donato lei. La Dea era venuta in suo soccorso.
Lo stesso gesto lo rivolse a tutti gli animali radunatisi al richiamo, che ancora restavano fermi ad osservarlo. Si ritrassero solo quando sciolse le mani, scivolando nel sottobosco, tra le fronde e le canne o sopra a qualche albero.
Rimasto solo, si volse per guardare lo zaikotto con la coda dell’occhio, il sorriso ancora sulle labbra.
“Forza, allora. Abbiamo un tyrano da salvare.”

 

 


[1]CAGLIO, [2]BLUPLEURUM, [3]BOCCHE DI LUPO: sono tutte piante curative (reali) dai molteplici effetti. Ovviamente Shibasaki li mischia ad altra robetta per creare il suo intruglio rallentante. XD

[4]: frase detta da Teppei nel Capitolo 14: All'ultimo respiro (parte I)


…Il Giardino Elementale…

 

Oh, questo capitolo ha tante cose, o sbaglio? :3
Abbiamo uno Stregone divenuto Naturalista per amore e che poi ha scelto di non essere più 'nessuno' per il dolore del fallimento e della perdita.
Abbiamo un volante che, ops, forse ha appena fatto tombola con il proprio cuore e un Tritone che per disperazione è riuscito a usare un incantesimo di livello superiore.
E HABEMUS PRINCIPE!!! \O/
E HABEMUS ZAIKOTTO!!! \O/
XD insomma, tanta roba.
E ora?
Riuscirà Hajime ad arrivare in tempo per riuscire a portare lo zaikottino al Naturalista e salvare Teppei?
E Mamoru? Come se la starà cavando con i tre Stregoni che, ormai, avrete tutti capito, essere i Fratelli Konsawatt?! XDDD
Yuzo che sceglierà di fare: raggiungere Mamoru o cercare Hajime?
Lo saprete nel prossimo aggiornamento! YAY! (XD mi sento molto cretina)
Ah, sì: e Domenica aggiornerò anche i "Fragments" con il primo dei tre Extra :3

:*** grazie ancora per continuare a restare con me e questa storia! :*****


Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

- Elementia: Fanart

Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  •  

       
     
    Leggi le 7 recensioni
    Segui la storia  |        |  Torna su
    Cosa pensi della storia?
    Per recensire esegui il login oppure registrati.
    Capitoli:
     <<    >>
    Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Melanto