“Lui non ce l'aveva, lo sguardo del vincitore. Lui aveva solo il tipico sguardo di chi ha troppa malinconia e non sa dove metterla. Lo sguardo di chi è nato tormentato e non sa da cosa. E, paradossalmente, quello era il tipo di sguardo che catturava chiunque lo incrociasse.
“Era rimasto a guardare quasi in estasi, ritrovando in quel caos immotivato un equilibrio labile, una debole giustizia che si andava a delineare sempre più nitida, affondo dopo affondo, mano a mano che la pozza di sangue si allargava. Una risposta così semplice e ovvia nascosta fra le sue urla disperate. Era tutto lì, già scritto solo perché lui lo leggesse. Poi, qualcosa in quell'incanto si era rotto, ed aveva visto una ragazza affogare nel sangue e nell'odio, completamente perduta, infierire su un cadavere con la lama che lui le aveva dato, e si era riscosso."

S''interruppe bruscamente, trasferendo tutta la sua attenzione sull'uomo della scalinata. Lo vide scendere le scale con studiata lentezza ed un'innata eleganza nei movimenti, appoggiandosi ad un bastone finemente lavorato. Vestito né meglio né peggio degli altri, ma con un portamento insolito per un uomo così giovane. Non doveva avere più di trent'anni. I suoi occhi emanavano un'eccitazione febbrile. Lo seguì con lo sguardo, mentre un brivido le percorreva, gelido, la spina dorsale. Qualcosa in quello sguardo le trasmetteva una strana inquietudine.
[...]
Il sedicente dio la guardò, come si guarda una preda braccata, un animale ferito incapace di difendersi.
«Se non vuoi inginocchiarti dinanzi al tuo Re, lascia almeno che ti spieghi cosa significa esser inferiori, sottomessi, succubi. Ti dimostrerò che non puoi fare altro che arrenderti al mio volere. Sono il tuo dio e come tale posso disporre di te come meglio mi aggrada. Hai osato sfidarmi? Ora ne pagherai le conseguenze.»