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Autore: Buck    15/08/2017    2 recensioni
Settimo anno ad Hogwarts per Lily Evans, la combriccola dei Malandrini, e tanti altri. L'ultimo, prima della Guerra che, già, inesorabile, avanza. Combattere o arrendersi? Vivere o morire? Tempo di scelte, mentre intorno tutto crolla. Pezzi che si sgretolano, e staccano. Imparare ad andare avanti, sempre. Come? Aggrappandosi all'amicizia, all'amore, a quel po' di normalità che resta.
Genere: Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Malandrini | Coppie: James/Lily
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Capitolo sei

 

“Lily, non andare” supplica Alice, le mani giunte in un infantile gesto di preghiera.

Lene, di riflesso, stringe le braccia lungo i fianchi, rabbuiata, senza tuttavia perdere l’abituale contegno Purosangue che, pur scevro di idee marcatamente razziste, le è stato impartito.

“Ali, per Dio, ragiona. Lily non può non presentarsi da Travers per la punizione. Gli servirebbe su un piatto d’argento l’occasione per allungarle il castigo. E noi non vogliamo che l’Orrido Professore affili le sue piume oscure sulla carne di Lils ancora” sottolinea logica Mary, scompigliandosi i corti ricci bruni. 

Marlene rabbrividisce, scandalizzata. Alice protesta. Lily ride apertamente.

Grazie, Mary, mia fedele scanzonata alleata. 

Ho impressa nella mente, tristemente fissata,  l’immagine di una te più giovane, piangente, umiliata, ai piedi di un aspirante giovane Mangiamorte dall’anima già macchiata. 

Allora, non fosti in grado di ribellarti ad un compagno per sempre indegno di essere appellato uomo.

Ti incolpasti, innocente, di non meritare di appartenere alla nobile Casa di Grifondoro cui il Cappello  Parlante, matto, ti aveva piuttosto fermamente assegnata. 

Ammettesti, tra lacrime amare, con commovente candore, di essere vigliacca, di non possedere in minima quantità la temerarietà che una figlia di Godric dovrebbe indiscutibilmente vantare quale primaria qualità. 

Eri una ragazzina timida, impacciata, non particolarmente brillante: crogiolavi in una rassicurante mediocrità. Te ne stavi, per lo più, in disparte, zitta, ritrosa e mite. Ti limitavi a sopravvivere, nell’ombra, ingabbiando un animo invero ribelle e vivace.

Ti spiegai il vero coraggio, in varie forme declinato. Ti consolai, sorbendo il tuo tremulo sfogo. Quindi, ti esortai a rialzarti, tendendoti una mano. Ti aiutai solerte a metterti in piedi, sì. Subito, però, ti diedi un rude spintone, buttandoti gambe all’aria senza cenno di pentimento. Il tuo stupore fu tanto grande che smettesti di singhiozzare. Ti tirasti su da sola, quasi di riflesso, ed io ti sorrisi. 

“Ecco, brava. Non importa quante volte cadi. Cadere va bene, Mary. Invece, non va bene accettare passivamente di rimanere giù”.

Non è peccato avere paura, chi nulla teme nulla ha da perdere, in questo regno segnato che pure  è il migliore dei mondi possibili.

Ti rivelai le mie di paure, una ad una, perché ti fidassi di me e, nelle mie mancanze, potessi riconoscere le tue, traendone giovamento.

Da mere conoscenti, semplici compagne di stanza e di corso, diventammo amiche per davvero, nell’accezione più vera del termine. Sbocciasti sotto i miei occhi attenti. 

“Non voglio sentirmi mai più codarda e inetta come oggi” fu la tua solenne sentenza.

Mi promettesti che volevi essere più forte tu, delle tue paure.

La Mary di oggi, irriverente, anticonformista e sarcastica, è incredibilmente bella. 

Cela ogni avvolgente paura: senza rifuggerla, la solletica e sfida. Con fatica, ed ammirevole perseveranza, brilla.

Chi se ne frega, Mary, se sei una frana in Incantesimi, se nei duelli sei lenta e scoordinata. Pazienza se, troppo rapidamente, la bacchetta ti vola via dalla destra e il tuo avversario ti atterra prima che riesca ad atterrarlo tu.

Io so, e tu sai, che intercorre una non blanda differenza tra perdere ed essere sconfitti. Tu, sconfitta, non lo sarai più: ti opponi quotidianamente. A testa alta, senza vergogna. 

Finalmente, Mary, allegramente vivi. 

Il giuramento espresso a me, ma rivolto a te stessa, cui strenuamente, con costante perseveranza, tieni fede, è scolpito nel firmamento, ed io non dubito che sopravviverà perpetuamente: votasti solennemente di essere solo Mary, senza fronzoli, né orpelli.

Accettasti i tuoi limiti, senza complessi: non sei ambiziosa per nulla, né aspiravi o aspirerai mai al successo. Non anelavi alla gloria, anelavi ad una felice libertà.

Hai calpestato con tacchi invisibili e micidiali non minute debolezze; sei scesa a patti con altre più ostinate e, infine, un mattino come tanti, specchiandoti, ti sei piaciuta. 

Te lo garantisco: non avrai rimpianti. 

Sono così fiera di te.

Se non è coraggio  questo, allora ne diamo per vera una definizione piuttosto ingenerosa, amica mia, indomita Grifona. 

“Mc, il tuo senso dell’umorismo è macabro quasi quanto quello di Sirius” commenta James, intento a copiare Aritmanzia da un Remus rassegnato e  leggermente pallido. 

“Ehi!” protestano in coro i diretti interessati, divertiti. 

Sono ormai trascorsi una decina di giorni dalla domenica in cui Lily Evans ha sperimentato, per la prima volta, l’astio di Travers sulla pelle. La scritta Sanguesporco, nascosta sotto una benda candida, luccica più che mai, rosso brillante. Anche quando le sarà dato modo di rimarginare completamente, una cicatrice biancastra campeggerà, indelebile, a solcare l’avambraccio altrimenti latteo, ma pazienza, a Lily non importa poi tanto. 

Sono altre le cicatrici tristi, da temere: un segno accennato e storto non si avvicina neanche lontanamente ai solchi di dolore che la Guerra incide a fiamma nel cuore. 

Da allora, ogni sera, i Malandrini si uniscono alle ragazze e, tra battibecchi e risate, germinano amicizie nuove che, negli anni a seguire, si sarebbero evolute e solidificate e che, neanche la Guerra, foriera di dolore, distruttrice, e la Morte, inesorabile mietitrice, avrebbero saputo incrinare e uccidere.

“Evans, piaciuta la nuova acconciatura di Travers?” ghigna James, attirando l’attenzione della Rossa. 

“Niente male, Potter” conviene Lily “il fucsia gli dona. Fa pendant con il gonnellino verde acido a pois blu dell’altro giorno. Mi complimenterei con l’autore, peccato non se ne conosca l’identità” concede, complice. James si illumina, una mano a scompigliare i capelli ribelli.

Ebbene sì, James Potter aveva preso alla lettera il suggerimento, non troppo velato, di Lily Evans, e si era immediatamente accinto con inesausta solerzia e inconsueta dedizione a perpetrare una, pur minima, vendetta. 

Travers aveva avuto il suo bel daffare a contrastare la sorte avversa che, d’improvviso, pareva perseguitarlo.

I Malandrini al completo avevano stilato elenchi corposi di idee atte a ridicolizzare e tormentare il maligno insegnante. 

Pix lo inseguiva stabilmente lungo i corridoi, bersagliandolo di gavettoni zeppi di pus orticante.

Le armature, da immote, leste gli intralciavano di colpo il passo.

Spade inanimate, mulinate da braccia invisibili, parevano determinate ad amputargli qualche arto.

A colazione, quella mattina, uno stormo di uccellini incantati lo aveva beccato a sangue, sinché una divertita Minerva Mcgranitt, corrucciata, si era decisa a farli Evanescere, elogiando a viva voce la brillante Trasfigurazione che li aveva creati.

Un paio di Snasi, il martedì precedente, si erano intrufolati misteriosamente nell’ufficio del docente. Avevano setacciato l’ambiente dei suoi tesori, e quando l’ignaro professore aveva occupato la scrivania ingombra, le creature si erano attaccate alla spessa collana d’oro stretta al suo collo. Le grida di Travers erano rieccheggiate per tutto il Castello.

“Devo andare” annuncia Lily, rassettandosi di malavoglia la divisa già perfetta. Si trattiene un istante per rassicurare Alice, e lancia una tavoletta di cioccolato a Remus, che le riserva un gigantesco sorriso.

“Ti accompagno, posso? Vado in quella direzione” si offre immediatamente James, arrossendo per la mezza bugia. Ancora non ha ben chiaro perché Silente, vecchio pazzo, lo abbia nominato Caposcuola, ma è profondamente grato al vegliardo di avergli regalato un’ottimo pretesto, il migliore in effetti, per trascorrere del tempo insieme a Lily Evans. 

Lily inarca un sopracciglio, ma non protesta. Potter, quando non si dà arie e non combina guai, è quasi sopportabile. 

I due camminano in silenzio, affiancati. Lily nota che James tiene la bacchetta stretta in pugno, sull’attenti. La sua posa è rilassata, l’incedere baldanzoso, il fare giocoso come di consueto, ma Lily riscontra un che di consapevole in lui, una scintilla di maturità nuova. James sa.

“Ehm, la mamma di Remus sta poco bene. Ha la Spruzzolosi, pare. Rem si assenterà da scuola per un paio di giorni, Silente gli ha concesso il permesso. Lo sostituirò io, per i turni” si propone James, scompigliandosi i capelli e fissando ostinatamente le piastrelle.

Lily sbuffa rumorosamente: “Per Merlino, Potter! La Spruzzolosi è come la varicella babbana: in genere si contrae una volta soltanto, da piccoli per giunta. Quella povera donna, a detta vostra, si ammala sistematicamente di Spruzzolosi ogni anno! Siate un po’ più accorti, nell’inventare panzane”.

James si blocca in mezzo al corridoio, la bocca aperta in una o decisamente poco elegante, ma emblematicamente rappresentativa del suo sconcerto. Afferra gentilmente la compagna per un polso.

Un attimo, Lily” James fatica a trovare le parole “Tu… tu sai?”

Lily annuisce senza tante cerimonie, soffiando via una ciocca scarlatta dalla fronte.

“Ma…ma io… lui… cioè…”.

Lily ride: “E’ inutile imbastire scuse anche con me. Provvederò a organizzare le ronde in base al Calendario Lunare. I Prefetti non se ne accorgeranno, aggiustavo i turni di nascosto anche al quinto e al sesto anno. Un Confundus ai Capiscuola, e il gioco era fatto”.

James trasecola. Sta sognando? Si pizzica. Ahi

Lily Evans, Prefetto Perfetto, ha davvero Confuso i Capiscuola, infrangendo svariate regole, per proteggere un segreto oscuro e a lei taciuto, in silenzio? Si è davvero prodigata,  senza rumore, per aiutare un amico fingendo di non muovere dito? 

“Ma… Rem non sa che sai” alita il ragazzo. 

“No” conferma la Caposcuola, riprendendo a camminare.

“Perchè?” azzarda James.

“Se e quando vorrà rivelarmi il suo segreto, Remus verrà a cercarmi” è la semplice risposta.

“Non… da quando esattamente?”

“Novembre del terzo anno”.

Lo sai dal terzo anno, sei la sua migliore amica dal quinto. Ti sei avvicinata a lui in punta di piedi, conscia della sua natura. Remus John Lupin è un Licantropo e, lo urlano i tuoi smeraldi, non ti importa minimamente. Quanto bene gli farebbe sapere che un’altra persona, su questa terra crudele che lo bandisce e schernisce, ferendolo più della Maledizione, lo ama per ciò che è! Ma hai ragione, mia bella Lily: dovrebbe essere lui a parlare di sè. Io, di questa conversazione conserverò il prezioso ricordo di te, non convenzionalmente bella, eppure splendente, nella tua ferrea armatura di giustizia e lealtà.

Ci separiamo senza congedarci veramente. Che bisogno c’è? Abbiamo, condivisa, una muta solenne promessa: di alleggerire il fardello di un’anima pura che si crede nera per colpe che non ha, quando nera non è.

 

***

 

“E’ fuori discussione, Albus! Io non getterò i miei due figli appena maggiorenni in pasto ai Mangiamorte” sibila altera una ex Serpeverde dai capelli corvini e i lineamenti eleganti. 

Dorea Black in Potter non ha bisogno di strillare, per esprimere un autentico sdegno.

Charlus Potter, al suo fianco, capelli spettinati e occhiali storti, si ingozza di Api Frizzole. 

“Mia cara Dorea, siete Auror e Membri attivi dell’Ordine della Fenice. James e Sirius ne verranno a capo. E’ già un miracolo che non si siano intagliati di niente, considerata la loro attitudine a fiutare guai… e a cacciarvisi dentro” commenta Silente, carezzando distrattamente le piume di Fanny, adagiata sul suo trespolo.

“Sono studenti, Albus” ribatte prontamente la donna, fulminando il marito con un’occhiataccia.

“Sono uomini, Dorea. Uomini buoni. Combatteranno” asserisce il Preside.

Dorea reprime faticosamente un moto di stizza. Non è stupida. Lo vede, il fuoco, tenace e impaziente, ardere nello spirito dei suoi ragazzi. E’ fulgido, rosso. Dorea non può, né vuole ingabbiarlo. Il giorno in cui Sir e Jamie scenderanno in campo, la bacchetta sguainata e nessuna esitazione, contro Mangiamorte consumati ed esperti, è pericolosamente vicino. Dorea non si opporrà, perché i suoi uomini buoni non sono codardi e lei non sarebbe altrettanto fiera di loro se non fossero esattamente James e Sirius, pregi e difetti.

“Hanno diciassette anni, Albus. E troppe preoccupazioni. Sanno della Guerra. Da anni, ormai. Come sanno che io e Charl, data la nostra posizione, potremmo morire domani. Ma tu non gli dirai dell’Ordine. Pretenderebbero di farne parte immediatamente, ed io non voglio.  Desidero che ridano, scherzino, si divertano, infrangano regole, giochino a Quidditch, vincano, perdano, stringano amicizia, litighino, ballino, si innamorino, vivano. Mi piacerebbe che ottengano i M.A.G.O agognati e, infine, lascino il Castello con il felice rimpianto di salutare gli anni migliori e la grata gioia di esserseli goduti al massimo. Dopo Hogwarts, probabilmente entreranno entrambi in Accademia, e sicuramente non se ne staranno buoni in un angolo, mentre Voldemort serra i ranghi e la gente muore. Allora, Albus, parlerai loro dell’Ordine, ed io non avrò da ridire. Ma non prima. Non prima”.

Silente scruta Dorea Potter con affetto. E’ una donna forte, Dorea. Non ha avuto una vita facile, no. Ma ha avuto coraggio. Si è ribellata ad anni di insegnamenti razzisti e vuoti, li ha raccolti e gettati al vento. Dorea, che detestava volare, al fianco di Charlus imparò a correre. Albus conosce perfettamente la storia della giovane Purosangue che fu, le tappe che costellarono la sua personale ricerca della felicità. Il prezzo che pagò, il rifiuto che dovette accettare, il dolore che, suo malgrado, imparò a tollerare. La sua ex allieva non merita di soffrire ancora. Ma Albus è uno stratega, lavora per il bene superiore.

“Sono d’accordo con Dorea, Albus” interviene Charlus, a sorpresa, di colpo tremendamente serio.

“Voglio credere che non siamo ancora tanto disperati da ridurci a reclutare diciassettenni non ancora diplomati per mandarli a morire”.

Dorea rabbrividisce impercettibilmente.

“Io non conto di uscire vivo da questa guerra, Albus. Ma conto che ci esca la mia famiglia. Conto in un futuro migliore. E non lo costruiremo sui cadaveri dei nostri figli” sentenzia, animato.

Nè i coniugi Potter né Silente si sono avveduti della figurina smilza e caparbia che, dalla porta socchiusa, ha origliato, interessata e decisa. 

Si abbassa la maniglia: una voce dolce e inflessibile ha da farsi udire.

 

Note: Ciao! Innanzitutto, BUON FERRAGOSTO! 

Questa volta ho lasciato passare un po’ di tempo prima di aggiornare. Me ne scuso, ma garantisco che non è mia intenzione lasciar perdere questa storia. 

Sono partita per le vacanze, e sono rimasta senza computer per un po’. Cercherò di impiegare di meno a scrivere e pubblicare il prossimo capitolo. 

Nel frattempo, lascio questo, sperando non vi faccia schifo! 

Non mi dilungo a spiegare alcunchè, ma come sempre sono disponibile a rispondere a qualsiasi domanda, quesito richiesta, e ad accogliere suggerimenti e critiche.

Grazie mille ha chi ha recensito, ed in particolare a chi non manca mai di farlo, a chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate e seguite, e a chi legge soltanto. A presto!

 
  
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