Recensione Premio Speciale per il contest "Ignotus - Indovina chi (Edizione Deluxe)
Sì, con tutto il ritardo che ho potrei anche non presentarmi e fare una figura migliore. Mi dispiace, non so se hai dimenticato questa recensione che ti dovevo, o se hai fatto finta di niente per non mettermi nei guai con l'amministrazione del forum, o se hai avuto un’incommensurabile fiducia in me. Io però sono qui, con la faccia di bronzo e zero scusanti per tutto questo tempo d'attesa. E passo subito alla recensione, che ti dico subito non avrò nessunissimo senso.
Mi sono goduta questo secondo capitolo (sì, anche se sono passati eoni ricordo perfettamente il primo, è impossibile dimenticare questi due) ma devo confessarti una cosa, e spero che non ti arrabbierai, ma dopo l'ultima mia lettura...
Boh, credo che non riuscirò più a leggere questa storia con gli occhi di prima, sappilo. E se dovessi recensirti ancora tu mi odierai, sicuro. Perché i tuoi Ole e Homer sono appena diventati nella mia testa delle nuove versioni di Achille e Patroclo. Fine.
Davvero, non ho fatto altro che fermarmi quasi a ogni step e dire "oddio ma questo punto" e "oh cavolo ma è lui"... Sì, perché oltre ai personaggi sono le situazioni che sembrano delle rivisitazioni del libro della Miller, e so quanto dà fastidio essere messi in analogia con le opere altrui, ma sappi che a me sta cosa me li ha fatti amare ancora di più i tuoi Ole e Homer. IO SONO MORTA D'AMORE PER LORO.
Nella mia testa c’è tanta confusione al momento, un mix di Harry Potter, Canzone di Achille e loro. Loro che sono semplicemente perfetti. Parli di un’amicizia unica, speciale, che va a toccare l’anima, corde nascoste, che io davvero reputo quasi ultraterrene, tanto non sono di questo mondo. Un’amicizia come questa emoziona e lascia senza parole. Toglie le parole perché è fatta di personaggi che commuovono, lo fa Ole, certo, con la sua ansia, il suo sentirsi sempre inadeguato, con i suoi tarli, ma anche l’apatia e il distacco con cui affronta il mondo. Ma ancora di più lo fa Homer con la sua disarmante innocenza, la sua spontaneità, la luce che riversa da ogni poro. Speciale: lo sa e comunque non se ne vanta, ne è consapevole, lo dice apertamente, ma la vive con la naturalezza di chi la considera la normalità. Figlio del mondo, eppure del mondo sembra sapere così poco, lui che è così ingenuo, così puro, così aperto.
Già solo da queste descrizioni, non ho potuto ricordarmi di Patroclo e Achille, e di una delle loro prime interazioni. Ma ancora prima del modo in cui i personaggi corali li percepiscono. Sì, perché Ole viene avvicinato da Eloise solo perché la curiosità straordinaria abbate i soliti muri, e tutti sembrano essere calamitato, e non solo per mera curiosità, ma proprio per fascino, da Homer. Lo stesso carisma istintivo, lo stesso sorriso che mette tutti a proprio agio, la stessa philia d’approccio (la posso definire così?), quell’amore e quella benevolenza che spinge tutti a volergli stare accanto.
E poi c’è l’incontro. Questo letto/tavolo, questo posto che è un po’ una tana che di botto viene occupato da un estraneo. Ma se Patroclo reagisce con rabbia, Ole si sposta semplicemente in un altro cantuccio. Questa piccola differenza non ha fatto altro che rendermeli ancora più perfettamente affini, perché in realtà se la reazione fisica, palese, è diversa, uguali sono le emozioni, quel senso di essere strappati all’unico punto di controllo che avevano fino a quel momento avuto. Ma c’è un’immagine ancora più bella, quasi metaforica che voglio sottolineare. Ed è il fatto che questo angolo buio nel quale Ole si era chiuso viene letteralmente inondato dalla luce di Homer. Homer, al contrario di Achille, lo ha fatto inconsciamente, è stato quasi il destino, una forza superiore a spingerlo lì, eppure lo inonda, e lo fa una seconda volta nel momento in cui va a presentarsi a Ole. E se Achille (sì, mi odierai, ma non posso fare a meno di confrontare le due opere) viene attratto dalla sfrontatezza apparente di Patroclo, Homer lo è della riservatezza di Ole. E in tutto questo hanno la capacità di far sentire questi due soli più normali, più naturali.
C’è un’ultima cosa che voglio sottolineare dei personaggi di Patroclo e Ole, ed è la loro empatia. Entrambi vivono fortemente sulla propria pelle il dolore e le emozioni altrui, per Ole è proprio una vera e propria capacità magica. Per entrambi questa capacità significa debolezza, significa non essere all’altezza; per chi gli osserva e impara a conoscerli, tra primi Achille e Homer, è questa capacità a renderli i migliori, le persone più degne.
Di Homer poi, ho apprezzato la spontaneità – ho già usato questa parola, credo che la ripeterò a oltranza – che potremmo in qualche modo rendere sinonimo di testardaggine in questo caso, con cui si impone nella vita di Ole. Lo fa con gentilezza, con discrezione, quasi con una timida speranza, come se fosse lui quello che non si sente degno di tale amicizia, ma lo fa con una naturalezza e una costanza ammirevole, ogni suo gesto è luce, ogni suo sorriso irradia benessere. La scena della guferia mi ha conquistata, ma ancora di più mi ha conquistato l’introspezione che hai portato in campo e che non riuscirò a commentare a dovere.
Ho amato il modo in cui Ole sente il bisogno di parlare, di sapere di Homer, la voglia di parlare, di chiedere, il suo superare il freddo e il fastidio pur di stare con lui, di far parte di quel momento magico, un po’ scemo, così sciocco e allo stesso tempo dolcissimo. E di Homer che si accorge del freddo di Ole e con una scusa baratta il maglione (che, di nuovo uccidimi, mi ha ricordato la questione della cetra della mamma di Patroclo e del dono con “noncuranza” che Achille fa a Patroclo dandogli la sua) con il suo punto d’orientamento, ho amato l’idea di un Ole-punto-di-orientamento, soprattutto ho amato la profonda metafora e sottigliezza che si nasconde dietro, perché sembra quasi anticipare quello che sarà l’emblema di questo rapporto, il ruolo che Ole andrà a ricoprire per Homer, qualcosa che va al di là del momento singolo e dell’atto pratico, ma che va a colpire e ingarbugliare anche l’anima. Ho amato la definizione di un Homer che è un po’ un casino geopolitico – l’ho amato – e ho amato, no, ho ammirato il senso del dovere e della temperanza di Ole (cioè, io avrei pensato come lui fino al momento di attuarlo quello studio, all’atto pratico avrei poltrito sul divano, sono una procrastinatrice nata). Ho amato infine il modo in cui Ole si apre a Homer, quella spavalderia che non riesce a trattenere, come se per un momento si fosse dimenticato di essere timido, come se per un momento avesse dimenticato di distaccarsi dalle persone. Ole non può fare a meno di bere del sole di Homer. Non riesce a trattenere la sua allegria, quasi. È questo che hai trasmesso.
Mi piace come hai caratterizzato il loro modo di esprimersi poi. Homer sembra più sicuro di sé quando parla, più grande persino, eppure ha una freschezza nella voce che lo fa apparire per certi versi più ingenuo di Ole, il quale dal canto suo ha una parlata più timida, introversa, limitata, il che lo fa apparire quello più “ignorante”, più piccolo, più acerbo e insicuro. Se Homer è sfrontato, Ole sembra camminare nella sua ombra tanto si fa piccolo. Eppure io non vedo l’ora che DIVENTI l’ombra di Homer.
Non so davvero se qualcosa di buono c’è in questa recensione, non so nemmeno se con tutto il mio sproloquiare io abbia recensito il capitolo o abbia costruito castelli in aria. Ma sappi che li ho davvero amati, ho amato il loro diverso bisogno dell'altro e il loro diverso modo di lasciarsi calamitare, Homer in maniera così spontanea e ingenua, Ole che non può proprio farne a meno nonostante quest'affinità gli sia così estranea e mi hanno riempito la giornata di sole (un sole fresco, avvolgente, nulla a che vedere con il caldo umido che c’è qua).
A presto!
P.s. Ma quanto mi ha fatto male capire che Ole e Homer sono praticamente coetanei – anno più, anno meno – dei Malandrini???? Qui tu mi hai ucciso <3
E davvero, il fatto che il cappello non abbia esitato un attimo a inserire Sirius nei Grifoni (anzi, quello strafottente, sta parola mi ha fatto ghignare) è stato il dolce più doloroso da mandare giù: tanto bello, tanto buono da fare male. (Recensione modificata il 24/06/2021 - 04:34 pm) |