Ciao, carissima Benni!
Speravo tanto di riuscire a passare prima di qui a ringraziarti come si deve e a dirti per bene quanto bella sia questa storia, ma sono stati giorni un po’ folli. Però ora mi ritaglio tutto un angolino per te e Lee prima di pranzo.
Innanzitutto sono stata felicissima che qualcuno scrivesse per bene di Lee: è un personaggio che ti sta subito simpatico fin dalla prima lettura, che rimane impresso con la sua voce irriverente e spassosa che commenta le partite di Quidditch e strappa continue risate al lettore – e agli spettatori e alla McGranitt, lo sappiamo tutti che nemmeno troppo velatamente si divertiva un mondo anche lei. insomma, è uno di quei personaggi che almeno io mi sono ritrovata ad amare fin da subito e di cui purtroppo si trova però molto poco. E tu invece gli hai dedicato un pezzo bellissimo, gli hai dato una storia e un passato, che non hanno fatto altro che farmelo amare ancora di più – perché gli hai dato tridimensionalità –, e poi lo hai analizzato ancora più nel profondo le sue motivazioni, le sue emozioni, il lutto per la morte di Fred – che credo sia stata la parte più toccante e che hai saputo toccare con estrema delicatezza. Davvero, hai reso a Lee il tributo che meritava, e lo hai fatto nel migliore dei modi.
Mi è piaciuto molto come a livello di struttura hai scelto di racchiudere tutta la sua vita tramite questi momenti “rubati” da vari momenti temporali, che ci hanno permesso di aprire finestre sui momenti salienti della sua crescita, e soprattutto ho adorato come si aprissero tutti con la stessa frase ricorrente, a creare una sorta di leitmotiv che accompagna il lettore lungo la lettura e in un certo senso scandisce il ritmo della storia. Sarà che amo le simmetrie e il ripetersi di strutture simili che creano organicità in un testo, ma ho proprio apprezzato molto questa tua scelta stilistica. E – preparati perché forse ora andrò troppo di fantasia, ma almeno queste sono state le impressioni che mi sono rimaste, non so quanto volute da te – il fatto che i momenti diversi siano due, la guerra e la resistenza con Radio Potter e poi il finale, mi è sembrata una scelta ancora più giusta. Il momento sulla Guerra è un momento altro, in cui vita, pensieri, priorità cambiano radicalmente, è una parentesi totalmente estranea alla vita che ha condotto o condurrà, è un momento in cui in prima battuta viene difficile dire “sono fortunato”; il tuo Lee lo dice, certo, ma non all’inizio del paragrafo, e in modo diverso rispetto al resto del racconto, quasi come se ritenersi fortunato sia comunque un pensiero difficile da fare, sia un pensiero che “viene dopo”. Non sono certa di riuscire a spiegarmi, ma mi ha restituito la realistica e assolutamente comprensibile immagine di Lee che fortunato non si ritiene sempre, in questi momenti, che si chiede quasi perché proprio a loro, e che sì, a pensarci bene e a riflettere si rende conto che in un mondo che cade a pezzi lui è “fortunato” rispetto ad altri, ma non è comunque il primo pensiero che gli verrebbe pensando alla sua vita in guerra – ed è giusto anche così, non è una gara a chi soffre di più o a chi subisce più perdite, la vita di ciascuno è terribile in guerra e nessuno merita un solo secondo in essa, anche se in una posizione “più sicura”. Ma ad ogni modo Lee questa riflessione poi la fa, e lo trovo così perfettamente nel personaggio che ringrazi di essere vivo, si renda conto di quello che ha rispetto a tanti altri, si dia da fare per dare allora anche agli altri speranza, qualcosa in cui credere, a cui aggrapparsi nella disperazione, tiri fuori la positività che lo contraddistingue e aiuti gli altri grazie al suo dono e alla sua passione.
Mentre la diversa formula nel finale mi è forse piaciuta ancora di più, perché in un certo senso racchiude il senso di tutta la storia: nel corso degli altri paragrafi lo vediamo ragionare su se stesso, sui suoi doni, sulla sua vita e le sue emozioni nel profondo del suo cuore, lo abbiamo visto fare i conti con una guerra, la perdita di un amico, la difficoltà di ritornare quelli che si era prima dopo quello che si è passati, quella di guardare in viso un amico che ti ricorda in modo tanto doloroso un altro amico perso… e ora, alla fine, ce lo mostri adulto che quel profondo del cuore ormai lo conosce perché lo ha vagliato tanto nel corso della sua vita. Insomma, questo ribaltamento di prospettiva mi è piaciuto moltissimo e l’ho trovato assolutamente perfetto per chiudere la storia e mostrarci un Lee adulto che ripensa quasi con affetto al sé bambino, ragazzino, ragazzo, giovane sopravvissuto.
Come ti dicevo già all’inizio, la parte che forse ho più amato e più mi ha toccata è stata quella dell’immediato dopoguerra, sia per come hai gestito la questione del lutto per Fred – bellissimo l’inserimento di Angelina, a questo proposito –, ma anche la difficoltà di reinserirsi nella normalità dopo una Guerra, mostrata attraverso quel non riuscire a riavvicinarsi alle radio, ai microfoni, le cose che ha tanto amato sin da piccolissimo. Non ci riesce perché sembra quasi impossibile tornare a sorridere quando tanti sono morti, sembra quasi ingiusto perché Fred non è più con lui, perché dopo aver visto certi orrori pare quasi impossibile poter tornare a sorridere, alla vita di prima. Credo sia una sensazione terribile da vivere, ma anche così realistica per i sopravvissuti e i reduci, questa difficoltà a reinserirsi in una vita normale dopo quello che si è sofferto e vissuto, e credo che con quelle poche righe – efficaci, pregnanti – tu ci sia riuscita molto, molto bene.
Io credo di aver saltato qualcosa per strada, in questa recensione, che non renderà giustizia alla tua storia, e per questo ti chiedo scusa, però grazie per averla scritta (e anche per la dedica e la lettura in anteprima, sei stata dolcissima). Davvero complimenti, Benni, questa storia è finita dritta tra le preferite da subitissimo!
Ora ti saluto e vado a cucinare qualcosa, ma ti mando un grandissimo abbraccio e ancora tanti complimenti di cuore: sei una compagna Grifondoro davvero meravigliosa!
Un abbraccio,
Maqry ❤ |