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Autore: theGan    25/03/2012    4 recensioni
Ordinanza 94.3
 
I mutanti non sono esseri umani e non godono dei diritti di questi
Tutti i mutanti devono essere registrati e marchiati e rispondere alle direttive di Zero Tolerance
Tutti i mutanti considerati utili per la società avranno l’idoneità alla riproduzione  in forma controllata, gli altri saranno sterilizzati
Tutti i mutanti che si arrenderanno senza opporre resistenza verranno giudicati dalla Corte Suprema di Zero Tolerance: chi resisterà sarà terminato
 
INOLTRE
 
Il trattamento di un mutante viene lasciato alla discrezione del proprietario umano
I proprietari di mutanti dovranno  sempre agire nei confronti di questi facendo riferimento alla loro natura e senza elevarli allo stato di esseri umani
 
Ai ribelli sarà applicata tolleranza zero
 
                                               ALL HAIL BASTION
Genere: Avventura, Dark, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Logan/Wolverine, Remy LeBeau/Gambit, X-men
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Ordinanza 94.3

  • I mutanti non sono esseri umani e non godono dei diritti di questi
  • Tutti i mutanti devono essere registrati e marchiati e rispondere alle direttive di Zero Tolerance
  • Tutti i mutanti considerati utili per la società avranno l’idoneità alla riproduzione in forma controllata, gli altri saranno sterilizzati
  • Tutti i mutanti che si arrenderanno senza opporre resistenza verranno giudicati dalla Corte Suprema di Zero Tolerance: chi resisterà sarà terminato

INOLTRE

  • Il trattamento di un mutante viene lasciato alla discrezione del proprietario umano
  • I proprietari di mutanti dovranno sempre agire nei confronti di questi facendo riferimento alla loro natura e senza elevarli allo stato di esseri umani

Ai ribelli sarà applicata tolleranza zero

ALL HAIL BASTION



 
 
 
L’aria dello scantinato era satura di muffa e cibo in scatola stantio, le pareti gonfie di umidità scaricavano nel sistema di areazione un puzzo di marcio che finiva per insinuarsi nei vestiti e sotto le ossa.
- L’hai trovata?
Fece scivolare una mano sul lungo impermeabile accarezzando in modo eloquente un rigonfiamento all’altezza del torace. Il compagno grugnì attorno al sigaro spento e mezzo smangiucchiato.
- Uhmpf! Sarà meglio. Non so che diavolo di grilli ti passino per quella testa per andarti a ficcare in mezzo alle linee nemiche a recuperare un fondo di bottiglia.
Sorrise e si passò una mano tra i capelli che, ostinati, gli cadevano davanti al viso. Aveva bisogno di una doccia e di un nuovo taglio.
- Sta attento, Logan… quando parli così sembra quasi che tu ti sia preoccupato per me.
- Per te?!- sbottò Wolverine tra il disgustato ed il risentito – Manco morto, cocco, ma se ci restassi secco Jubes non la smetterebbe di menarmela ed ho fin troppe preoccupazioni per mettermi anche a fare da balia.
- E dove sarebbe la differenza rispetto al solito scusa?
Al nome della ragazza si sciolse un po’ della tensione accumulata attorno agli occhi dell’anziano mutante, Logan sempre immortale, sempre uguale a se stesso, parve ringiovanire di dieci anni. Il suo tono burbero suonava quasi affettuoso ora.
- Vedi di tenere da conto la pellaccia, Cajun, Sarai pure inutile, ma per quanto tu sia inutile, marmocchio, vali sempre più di niente.
Remy Lebeau non era più un ragazzino, forse non lo era mai stato per davvero, aveva quasi trentasette anni ed almeno il doppio di quell’età a riflettersi nei suoi occhi. Aveva visto troppa morte per una vita sola ed ora si trovava a suo agio solo tra i morti. Qualche cosa quel giorno di dodici anni fa si era irrimediabilmente spezzato dentro di lui.
- Nà, cher, ti preoccupi troppo… avevo Rogue a guardarmi le spalle ed Anna Marie è meglio del sistema di sorveglianza del Baxter Building. Vero, chérie?
La bocca di Logan si torse su se stessa come se qualcuno vi avesse ficcato a forza qualcosa di acido ed amaro. Il Wolverine ingoiò la sbobba con un rumore doloroso e gli piantò addosso due occhi tristi ed attenti come a volergli vivisezionare il cervello.
- Rogue eh…
Il filo teso tra i loro sguardi si mantenne per diversi secondi, Logan parve soddisfatto di quello che aveva trovato perché continuò.
- Bhè… allora è tutto a posto, salutamela quando la vedi.
- Perché non lo fai tu stesso? Dopotutto è proprio dietro di te.
Logan sussultò e con un brusco gesto diretto alle sue spalle uscì dalla stanza.
Remy osservò il volto di Rogue accompagnare la dipartita del leader del Fronte Liberazione Mutante con smorfie decisamente poco educate, ma molto buffe. Non era invecchiata di un giorno, gli anni e le sofferenze avessero mantenuto la sua pelle giovane e liscia.
A livello razionale era perfettamente consapevole che Anna Marie era morta dodici anni prima, ma di fatto sua moglie in quel momento lo stava guardando dall’altro lato della stanza con dolore misto ad affetto.
Tutto era cominciato sette anni fa durante la disastrosa evacuazione di quell’asilo. Stavano mettendo al sicuro i primi bambini quando le Sentinelle avevano attaccato. Era stata una carneficina. Remy era rimasto indietro a fare da scudo alla ritirata di Maggot e Sarah. Mentre il sangue di decine di bambini mutanti si coagulava attorno alle sue caviglie, era sceso in campo Bastion in persona.
Aveva resistito una manciata di minuti, poi i suoi occhi si erano chiusi sul mondo e riaperti sull’oscurità della prigione. Le settimane avevano cominciato ad assottigliarsi fino a confondersi nel vuoto riempito dalle sue urla.
I cuccioli telepati di Bastion non erano riusciti a farlo parlare, le promesse di ricchezza e libertà non erano riuscite a farlo parlare, il dolore e la tortura non erano riusciti a farlo parlare. Ma tutto era diventato troppo.
Troppo. Troppo. Semplicemente troppo come un impasto lasciato a lievitare.
Avrebbe finito per parlare. Era inevitabile. Quindi sarebbe stato meglio morire al più presto.
Rogue era apparsa per la prima volta quella notte.
- Ssh, ssh, dolcezza… ssh, ssh… va tutto bene… ci sono io qui con te.
Quel fantasma, partorito da una mente intorpidita da droghe e antibiotici, gli aveva dato la forza di resistere ancora quelle tre settimane che lo avevano separato dal blitz nel carcere dei suoi vecchi compagni.
Qualcuno, forse lo stesso Logan, lo aveva raccolto dal pavimento metallico della cella e preso tra le proprie braccia come si fa con i giocattoli rotti. Non ne era sicuro. L’unica cosa che era riuscito a sentire era la voce di Anna Maria che gli sussurrava piano
- Ssh, ssh, dolcezza, fai il bravo… bravo dolcezza… bravo mio coraggioso soldatino.
Si era aggrappato a lei con la disperazione di un condannato a morte e non l’aveva più lasciata.
All’inizio gli altri avevano creduto parlasse da solo. Ci era voluto parecchio tempo per farli capire che non si era del tutto ammattito: stava semplicemente parlando con Rogue. La defunta Rogue, sottoterra da almeno cinque anni.
Jubilee lo aveva fissato stralunata, ma il suo commento poco lusinghiero era stato interrotto da una gomitata di Logan.
Logan lo aveva fissato a lungo con un’intensità che lo aveva fatto sentire tutto strano. Si era trattato di una specie di test (il primo di molti) e, dentro di sé, aveva compreso che se lo avesse fallito sarebbe stata la sua fine. Logan aveva annuito tra sé, come a segnare una decisione presa.
Jubilee lo aveva studiato con curiosità e, dopo aver borbottato qualcosa sulla “solidarietà tra chi parla coi fantasmi”, gli aveva chiesto come stava Rogue.
Col passare del tempo Rogue era diventata una presenza fissa nelle loro vite, Jubilee le chiedeva questo e quell’altro: se nell’aldilà si stava bene, come stavano Tempesta e gli altri, se sapeva qualche cosa dei suoi genitori. Così che, quando un giorno lo aveva visto entrare con un anello al dito e cedendo alla sua raffica di domande le aveva risposto che aveva sposato Anna Maria, l’adolescente si era limitata a fare loro le congratulazioni come se la cosa fosse del tutto logica.
Remy sapeva. Sapeva perfettamente che nulla di tutto ciò era reale (tanto per cominciare la Rogue fantasma era molto più gentile rispetto alla sua controparte in carne ed ossa), ma se questa finzione serviva a dargli la forza necessaria per andare avanti, allora che male c’era?
Logan pareva dello stesso avviso ed era proprio quella consapevolezza che cercava nel suo sguardo ogni volta che la presenza del fantasma si faceva troppo ingombrante. Come leader non poteva permettersi nel proprio branco un cane sciolto suonato come un’intera orchestra di flauti traversi.
Quando, immancabilmente, sarebbe giunto il giorno in cui avesse sbragato, Logan lo avrebbe abbattuto come si fa coi cavalli feriti. Remy gli era un po’ grato per questo.
Con una smorfia tastò il rigonfiamento del cappotto, per assicurarsi che la gemma fosse ancora al suo posto. C’era.
Non era certo del motivo per cui fosse così importante. Suo padre le aveva dato la caccia per più di due vite ed ora che ne aveva ereditato il fardello, aveva portato a compimento la sua volontà con l’eleganza e la precisione che lo contraddistinguevano.
La Principessa Passeggera.
Più leggenda che tesoro. Non c’era dubbio che Logan pensasse che fosse impazzito. Si era messo a dare la caccia alle fate con una guerra in corso.
Solo che le fate si erano poi rivelate reali e forse ora sarebbero state al loro fianco.
Ritrasse la mano con un sospiro un po’ forzato. Non sapeva esattamente chi stesse cercando di prendere in giro. La gemma era stato un suo ghiribizzo personale, una questione più d’orgoglio che di pratica. Non sarebbe stata di alcuna utilità, né avrebbe giocato alcun ruolo in quella guerra.
Ancora non sapeva quanto si stava sbagliando.
Seguì Logan nell’altra stanza. Quest’ultima era un salone ottagonale con quattro uscite cieche che portavano ad altrettanti magazzini di armi e provviste. Sei fari al neon piazzati sul soffitto riempivano la stanza di una luce intensa e verdognola.
L’atmosfera in cui si muoveva il Fronte Liberazione Mutante era surreale ed attutita come da giganteschi cuscinetti di ovatta. Uomini e donne percorrevano lo spazio con falcate lunghe ed a scatti. Sembrava di muoversi sottacqua col costante terrore di finire la propria scorta di ossigeno.
L’infermeria (se così poteva definirsi) occupava la parte più luminosa della sala e riempiva l’aria di grida e puzzo di morte.
Mentre era a Lipsia con Rogue a recuperare la Principessa Passeggera, Sarah era rimasta ferita durante il raid nel campo di concentramento per mutanti ed umani indesiderati in Nebraska.
La sua coscienza, che aveva stranamente la voce di Logan, continuava a rimproverargli che se fosse rimasto invece di andare in cerca di favole, forse, ci sarebbe stato lui e non Marrow su quel lettino. Per Remy sarebbe stato un esito decisamente più accettabile.
I capelli rosa acceso della ragazza contrastavano dolorosamente coi toni grigi di federe e lenzuola, accentuando il pallore spettrale assunto dalla carnagione olivastra. Il petto si alzava ed abbassava con regolarità, battendo il ritmo della vita che prosegue.
Non riusciva a distogliere lo sguardo da quel prodigio di scienza e magia primordiale.
- La prognosi?
Gracchiò infine con una voce roca che sorprese persino se stesso. Il vuoto soppesò le parole prima di rispondergli.
- E’ stata fortunata. Due centimetri più giù e la lama le avrebbe reciso un’arteria. Cinque giorni massimo e pregheremo perché qualcosa ce la rispedisca lunga e distesa.
La voce della dottoressa Cecilia Reyes era brusca come sempre, ma anche calda ed accogliente, sapeva di casa insomma.
Avevano trovato Cecilia quasi subito, ma c’erano volute quattro settimane e la promulgazione degli Atti di Intolleranza, prima che la donna si unisse alla loro squadra sgangherata. E che squadra!
Del massacro della Scuola erano rimasti solo i pochi che quel giorno, si erano trovati da un’altra parte. Vale a dire tre persone: Jubilee, Logan e Remy.
Dei team satellite X-Force, X-Factor, Excalibur, non avevano avuto notizie che molto più tardi, dopo che la sonda di Reed Richards era riuscita a forare il grande buio delle comunicazioni del satellite Atlas di Bastion.
Cable era morto, Kitty catturata e la Frost era sparita nel nulla (si diceva che avesse portato i suoi studenti al sicuro in qualche isola tropicale e da lì stesse aspettando l’esito del conflitto).
I protocolli di Xavier erano stati la loro pista, o meglio, il salvagente a cui si erano disperatamente aggrappati per stare a galla.
Si trattava di due liste. La prima elencava ordinatamente tutti i mutanti identificati da Cerebro nel corso degli ultimi quindici anni. La seconda il modo per ucciderli.
E nelle mani di Bastion avrebbero rappresentato la falce ed il martello per l’annichilimento della razza mutante. Jean, l’ultima a morire e doppiamente martire per questo, si era assicurata nei suoi ultimi istanti di vita che l’androide non li trovasse mai e scolpendoli per sempre nella mente dell’uomo che amava.
Logan era diventato il loro archivio vivente, per un po’ almeno, prima che il peso di una tale quantità di dati lo costringesse a spartire la conoscenza tra gli altri due sopravissuti.
Attualmente Remy includeva tutti i nomi dalla N alla Z e per quei nomi era stato torturato fino a scambiare un pezzetto della propria anima per il fantasma della donna che aveva amato.
A Remy, Cecilia Reyes piaceva.
Non aveva mai avuto molto amore per i dottori, ma per lei aveva fatto un’eccezione. Aspra e dura come se la sua colazione ogni mattina consistesse in un mattone cosparso di limone, difendeva dietro la barricata del sarcasmo e del cinismo, un animo buono e premuroso. Era diventata la mamma segreta di almeno una dozzina di reclute negli ultimi sei anni. Forse, un po’ anche la sua.
Rogue, stranamente, spariva sempre quando era in compagnia di Cecilia. Remy aveva da tempo stabilito di non domandarsi mai il perché.
- Hai trovato quello che cercavi?
La voce calda e leggermente nasale della dottoressa lo distrasse dalle sue rimuginazioni.
Aveva trovato quello che cercava? Aveva trovato una pietra, preziosa, sì, ma fredda e vuota come i suoi morti. Il suo sguardo cadde sulle mani di Cecilia che, nel frattempo, si erano timidamente posate sulle sue. Non erano i morti che stava cercando, ma il caldo abbraccio dei vivi.
Sottrasse la mano con uno scatto e fece quello che, da sempre, gli riusciva meglio: mentì.
- Sì. Ho avuto qualche problema con le coordinate a causa del movimento orbitale e dell’inclinazione dell’asse terrestre, ma poi grazie a Rogue siamo arrivati appena in tempo, vero chérie?
Al momento Anna Maria non era presente, ma la dottoressa Reyes non poteva (e doveva) saperlo.
Codardo. Sussurrava una insistente vocina nella sua testa.
Cecilia ritornò in sé con un movimento brusco e batté in ritirata dietro le sue barricate.
Codardo, codardo e doppiamente codardo.
Chi l’avrebbe sentita poi Rogue più tardi?
Anche ad Anna Maria piaceva la dottoressa Reyes.
- Bhè… allora, se c’era Rogue… Remy accidenti sei un uomo, dovresti smetterla di fare affidamento solo su tua moglie!- sbottò con quel tono burbero che lo metteva sempre, stranamente, a suo agio e pronunciò quella dannata frase – Se continui così guarda che alla fine ti lascerà!
L’intento era buono, ma quelle parole, riuscirono a superare la fitta corazza di Remy e gli si piantarono nel petto come un pugno, facendogli perdere l’equilibrio ed uscire tutta l’aria in un singolo colpo.
- Non! Lei non mi lascerà mai! Non parlare di lei… non parlare di noi, come se ci conoscessi, come se… se ne avessi il diritto… Io non permetterò mai che se ne vada!
Aveva urlato. Erano cinque anni che non lo faceva, pensava di aver dimenticato come farlo.
Le pupille di Cecilia si erano allargate come due piattini da tè, nel salone era sceso un silenzio irreale: più di due dozzine di sguardi gli si erano piantati addosso. Logan lo osservava attento, mordicchiando il sigaro spento con aria feroce. Si sentiva svuotato, ma non più leggero.
Gli occhi di Cecilia erano leggermente appannati e lo guardavano dal basso.
Perché dal basso? Era caduta? La concatenazione logica dei suoi pensieri proseguì con orrore crescente. L’ho spinta io?
Fece un passo indietro, il suo piede incontrò un oggetto duro e cilindrico con un rumore sordo. La sedia. Giusto. Era seduto ed alle parole di Cecilia si era alzato di scatto facendo cadere la sedia e, a quanto pareva, Cecilia. E’ colpa mia.
Lo colse come un senso di vertigine.
E’ colpa mia.
A Westchester una casa era piena di cadaveri. Perché li avevano lasciati lì?
I pezzi di Robert marcivano sparsi sul campo da pallacanestro, una gamba, chissà perché, aveva deciso di concludere il suo viaggio fra i rami di una siepe. Forse aveva cercato di ricomporsi nella sua forma ghiacciata, prima che gli attivassero il campo di soppressione attorno. Il campo di soppressione. Il fiore all’occhiello di Zero Tolerance, ancora oggi i migliori cervelli di Bastion lavoravano giorno e notte per espandere l’influsso dei vecchi collari genoshiani di qualche metro.
Con Hank non avevano voluto correre rischi: l’avevano decapitato. Buon vecchio Hank che parlava sempre troppo di scienza e poco di uomini e che quando aveva visto le cicatrici sulla sua schiena l’aveva guardato con due occhi grandi, grandi e non aveva detto niente. Psylocke.
Perché Betsy era tornata dall’Inghilterra? Perché non era rimasta dove l’influenza del suo cognome avrebbe potuto proteggerla da quei porci?
Jean.
Jean non l’avevano trovata, così come Scott e tanti altri. Nessuno ne aveva più avuto notizie. Logan era certo che almeno lei fosse morta. Lo aveva sentito nella testa.
Ororo era stata quasi fortunata. Doveva essere stata in volo quando le avevano sparato col soppressore. Chissà con quale orrore aveva riconosciuto l’arma del suo amato Forge fare fuoco una seconda volta contro di lei. Aveva volato fino alla fine e poi il suo collo si era spezzato con un rumore secco. Non era tornata adulta che da poche settimane e lui le aveva chiesto cosa si provasse a volare, lei gli aveva sorriso e risposto: “E’ molto simile al cadere”. La sua saggia Tempestina. Un bellissimo cigno nero aggraziato anche nella morte.
La sua Anna… (“Non!” gridava una voce nella sua testa “Non andare lì…”).
Anna Maria non era stato lo spettacolo peggiore (quel primato era spettato a Bobby). La sua invulnerabilità doveva averla protetta quel tanto che bastava, prima che un cecchino le spaccasse il cuore a metà, centrando, con un solo colpo, due cuori. Remy si domandava quando qualcuno si sarebbe deciso ad aprirlo in due ed ad estrarre quel dannato proiettile testardamente incastrato.
Cecilia era a terra. Forse l’aveva spinta lui. Tutti lo fissavano.
I medici di Bastion lo fissavano dall’alto del loro intonso camice bianco, come si guarda una rumorosa cavia, c’era una curiosità malevola in quegli occhi. Quelli di Sinistro avevano brillato, mentre la sua voce metallica aveva bisbigliato attraverso denti lucidi ed appuntiti: “Niente anestesia”.
Le sue mani erano sporche di sangue per quanto le unghie si erano conficcate in profondità quando si era intestardito a non urlare (poi aveva finito per dargli quella soddisfazione comunque).
Le sue mani erano sporche di sangue ed i tunnel dipinti di rosso e riempiti di grida. Una bambina si aggrappava al suo braccio come se fosse stato il polo nord di una bussola rotta. Sarah. Era colpa sua.
Cecilia era a terra.
Il sapore acre della bile gli riempì la bocca ed un filo tirato gli scoppiò nel petto con un tonfo sordo.
Girò sui suoi tacchi e corse via dalla sala come se avesse tutti i diavoli dell’Apocalisse al suo inseguimento. Il che, in effetti, non era molto lontano dal vero.
Percorse i corridoi grigi del labirinto metallico e, giunto a destinazione, si chiuse alle spalle la porta della sua stanza. Si assicurò che i quattordici lucchetti fossero al loro posto e saldamente sigillati e si lasciò ricadere con un sibilo contro la porta. Nella camera (se così si poteva definire quel ripostiglio dove ci stava si e no una lampada ed un letto) c’era già da un pezzo Rogue ad aspettarlo. L’espressione sul suo viso non prometteva niente di buono.
Prendendosi la testa tra le mani, Remy iniziò piano ad auto commiserarsi.
- Adesso Logan penserà che sono completamente andato.
- E avrebbe ragione!- tuonò Rogue, facendolo sussultare (era troppo sperare che non lo avesse sentito)- Certo che ti ho sentito, dolcezza! Non provare a cambiare argomento…. sbottare contro Cecilia a quel modo!
Remy si sentì in dovere di difendersi.
- Non volevo farlo! E’ che lei ha iniziato a dire tutte quelle cose e…- la sua lingua cercava disperatamente le parole adatte (che strano… chi l’avrebbe mai detto che un giorno la lingua sciolta si sarebbe ingarbugliata?)- Non volevo farla cadere.
La sua conclusione aveva lo stesso sapore amaro della sconfitta. Logan sarebbe arrivato da un momento all’altro a tagliarli la gola (e gli avrebbe tagliato la gola, perché quello era il modo più rapido per uccidere qualcuno, glielo aveva visto fare centinaia di volte per cui ne era sicuro). Avrebbe detto qualcosa tipo “Mi dispiace cocco” e zachete, sarebbe finita. Finalmente.
Remy aspettava di sentire il rumore dei passi risuonare nel corridoio quasi con trepidazione.
- Codardo.
La voce di Rogue lo rimproverò da dentro la sua testa. Non osò incontrare il suo sguardo per paura di trovare in quegli occhi, soltanto il suo riflesso.
- Sarebbe poi così terribile lasciarmi andare e provare a vivere di nuovo una volta tanto?
Le sue difese attualmente avevano la stessa consistenza del burro fuso ed i toni pacati ed ipnotici di sua moglie penetrarono come una granata.
- Ho bisogno di te!
Era imbarazzante come la sua voce sembrasse un piagnucoloso pigolio. Dove era finito il Remy Lebeau ammaliatore e sicuro di sé? Il mascalzone dalla parlantina veloce e soave? Il rubacuori, il ladro gentiluomo, l’uomo a cui piace vivere pericolosamente e non sentirsi mai legato?
Dove erano finite tutte le sue maschere? Dove gli erano cadute? Come poteva affrontare il mondo scoprendosi così nudo, scoperto, vulnerabile?
- E ti sei mai domandato, tanto per cambiare, di cosa ho bisogno io invece?
Arrestò la sua catena di autoflagellazione con un gesto rapido come si fa con le macchine in corsa. Il contraccolpo del freno lo lasciò interdetto. Di che cosa aveva bisogno Rogue? Francamente, da quando era ricomparsa nella sua vita, non ci aveva mai pensato.
Intuendo quello che gli stava passando nel cervello, la giovane donna si chinò e, prendendogli la testa tra le mani, lo costrinse ad incontrare i suoi occhi.
- Ho bisogno che mi lasci andare, dolcezza.
Anna Maria voleva lasciarlo. Dentro di sé l’aveva sempre saputo, ma si era testardamente rifiutato di riconoscere la realtà.
- Ti sto trattenendo qui, non è vero chérie?
Rogue non rispose, ma i suoi occhi verdi si appannarono di un velo che la luce artificiale fece brillare una singola volta. Era davvero Anna Maria dopotutto. E cos’era oggi quel giorno in cui faceva piangere tutte le donne che amava?!
Amava. Donne. Plurale. Ops.
Rogue sorrise.
- Vedi, dolcezza, non sono mica quel genere di moglie che se ne va lasciando il marito tutto da solo…
Remy scosse la testa e sistemò, dolcemente, dietro un orecchio, una ciocca dei capelli castani di lei.
- Non… non l’ho mai pensato, chérie…
- Sarà meglio!- rispose Rogue ed appoggiò una guancia sulla sua spalla, abbandonandosi al suo tepore –Sono una donna seria e responsabile, io.
- Di chi stiamo parlando di nuovo, pardon?
Rogue gli dette una gomitata senza convinzione e si posizionò meglio nell’incavo delle sue braccia (si incastrava alla perfezione) mormorando uno “Scemo” e ricordandosi di respirare (non le serviva, ma Remy era sempre più a suo agio quando si ricordava di farlo).
I minuti si allungarono, distendendosi placidamente nel silenzio scandito dal ritmo dei loro respiri.
- Ho fatto cadere Cecilia.
- Scemo…- Rogue non si era mossa dalla sua posizione, perché la sua voce si posò direttamente sul suo collo in una carezza gelida – Non l’hai mica spinta tu, è caduta da sola… quando ti sei alzato così improvvisamente, lei ha fatto un passo indietro, ha appoggiato male il piede ed è caduta a terra… tutta da sola.
Remy chiuse gli occhi, si riempì le narici dell’odore dei suoi capelli (mandorla, uhmm…) e contò fino a dieci.
Meno male. Non era stata colpa sua. Almeno in senso stretto. Non si sarebbe mai perdonato se l’avesse spinta.
- Come fai a dirlo con tanta sicurezza se neanche eri lì?
Remy sentì, più che vedere, il sorriso di Rogue farsi strada sul suo viso.
- Scemo, io sono sempre con te anche quando non mi vedi.
Non disse niente, ma circondò con le sue braccia l’esile corpo del fantasma e strinse forte.
- Me lo prometti?
Rogue depositò un bacio sulla sua guancia (da quando era un fantasma non aveva più paura di toccarlo), sapeva stranamente di sale e di bagnato.
- Sempre.
Remy annuì una sola volta e lo spettro, così come era apparso, svanì.
Non si faceva illusioni.
Non è che di colpo gli fosse stata restituita la sanità mentale (e chi ha bisogno della sanità mentale al giorno d’oggi. No grazie, messere, vi rinuncio volentieri).
Aveva perso il conto dei loro addii strappalacrime quando avevano raggiunto la settantina.
Lo spettro, per sua somma gioia e disappunto, finiva puntualmente per riapparire.
Non che gli dispiacesse, in fondo, ma dentro di sé sentiva che fino a quando Rogue non fosse del tutto scomparsa sarebbe rimasto arenato nella vita: incapace di tornare indietro o proseguire in avanti.
Si passò una manica della camicia sul viso ed attorno agli occhi a mo’ di fazzoletto. Non era del tutto certo che le lacrime di poco prima fossero state di Rogue e non sue. Fece scorrere le dita tra i capelli nel tentativo di darsi un contegno (o rendersi quantomeno presentabile). Raccolse la sua maschera da terra, sganciò l’ultimo dei quattordici lucchetti e si trovò faccia a faccia col muso di Logan.
Wolverine lo studiò a lungo, passando oltre i vestiti un po’ troppo grandi e penzolanti e soffermandosi sul suo volto ancora sfatto dal pianto (dopo un’attenta analisi era stato costretto ad ammettere, con somma vergogna, che le lacrime erano state effettivamente sue). Dopo secondi lunghi due vite, Logan, sempre scrutandolo con due occhi troppo attenti ed azzurri, disse:
- Facciamoci un drink.
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Non aveva contemplato che la cosa potesse risolversi così: con Logan che prima lo trascinava a scusarsi (cosa che avrebbe fatto benissimo anche da solo… solo, ecco, magari… diciamo il giorno dopo) con Cecilia che sbraitava qualche cosa sui Cajun molesti, ma stranamente accomodante e poi alla caffetteria del Fronte Liberazione (soprannominato ironicamente da Wolverine “Il punto Stark”).
Quando dopo tre shot di vodka, quattro bottiglie di birra e due bicchieri di gin gli animi si erano fatti più sereni e le lingue più loquaci, Logan aveva asserito con la risolutezza di chi si accinge a sparare una profonda massima nell’inconsapevolezza di star citando un popolare orco cinematografico:
- Meglio fuori che dentro.
La Reyes, che per qualche motivo che centrava con un risarcimento spirituale in forma di superalcolici, li aveva seguiti fin lì, aveva annuito in maniera convinta ed aggiunto:
- Che il diavolo ti porti se non è vero! Posso curare le ferite del corpo, ma se queste si inzuccano nelle teste delle persone, mi dici tu come io, da chirurgo, possa fare?!
Ed era andata avanti così, sostenendo che avrebbe presentato al più presto possibile un richiamo formale.
- Formale ti dico!
Era sembrata particolarmente affezionata alla parola.
A volte Cecilia gli ricordava il dottor McCoy di Star Trek, tanto che a Remy non sarebbe parso strano se ad un certo punto la donna si fosse rivolta alla sfortunata vittima (cioè il barista di turno) ed avesse ordinato birra romulana.
Il pensiero lo fece prima sorridere, poi iniziare a ridacchiare apertamente tra sé. I suoi due compagni lo guardarono per un paio di secondi senza capire, poi, attribuendo la sua improvvisa ilarità all’influenza dell’alcol, scossero le spalle e decisero di berci su.



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