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Autore: Il Romanticismo Perduto    29/03/2012    1 recensioni
Nelle lontane terre dell'Ovest, la Casta Reggente degli Elfi sta per fronteggiare il suo declino, richiamato dalla politica scellerata di uno dei figli di Avenor. Ad intrecciarsi con queste vicende, una storia fuori dal comune vedrà un'umana e un'elfa, Sam e Loole, accavallare le proprie esistenze.
Genere: Fantasy, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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I Signori delle Terre dell’Ovest

 

4. Svolgimenti inaspettati

 

Sam, scivolando sul buio della notte come la mano di un poeta scivola sulla carta odorata di fresco e vitello, si fermò sul ciglio di un tetto, osservando la città dormire mentre lei, assassina e ombra di morte, è sveglia già dal tramonto.

Avere questi ritmi, a volte, stanca. Alcuni desiderano mollare tutto per avere una vita normale, alla luce del sole, poter magari vivere dei propri sforzi, prendersi un pezzo di terreno e vivere di esso, farsi una famiglia ed essere...felici.

Schioccò la lingua sui denti, provocando un suono scocciato. Questa è vita, non quella fiaba che propinano a tutti. La felicità è come la politica. Non è mai quello che dicono che sia.

A lei, Sam, quella vita bastava. Bastava per raggiungere il suo scopo.

Una fiamma la individuò sul tetto, ma fu veloce a sfuggire allo sguardo della guardia.

Svanì, come uno sbuffo di fumo. E l’uomo, osservando lo spazio prima scuro e ora chiaro, scrollò il testone facendo tintinnare l’elmo, continuando a camminare lungo la cinta.

Sam, illuminata dalla sbavatura di luna, sorrise, fiera di quella piccola dote dello scomparire al momento giusto, e saltò ferina, lanciandosi verso una nuda parete nascosta dalla luce. Alcuni ganci fecero breccia nella pietra, e cominciò a salire.

 

Fanaon dormiva, placido, nell’enorme letto a baldacchino, contornato da figure indistinte di elfe dagli svariati capelli, tutte dame di corte o leggiadre incantatrici ingaggiate per il nobile signore.

Si sentivano, nell’aria riscaldata dalle ceneri di un vecchio fuoco, i respiri sommessi delle donne e il russare forte dell’uomo. La grande vetrata, affianco al grande letto, veniva pallidamente illuminata dall’astro notturno, colorando leggermente i contorni di quella stanza piena di tutto ma anche di niente. Una sala che conteneva dalle armi da cerimonia a un enorme armadio ripieno di vestiti eleganti e sgargianti, un manichino che supportava una fine e dolce armatura da combattimento, rimasta ancora scalfita dalla Guerra degli Elfi del Sud, durata ben cinquant’anni, dove lo vide vincitore.

Quadri di inestimabile valore artistico e storico, una mappa aggiornata del Feudo, un tavolo ripieno di missive. Eppure, per quanto fosse la stessa stanza di quando era piccolo, conservava solo una cosa al suo interno: un dipinto, di mano dolce e concentrata, che raffigurava il vecchio regnante, sorridente, con accanto una dama dal taglio freddo ma dagli occhi dolci, una bambina in piedi vicino a lei e un bambino in braccio, ovviamente Loole e Fanaon da giovani.

Tutto ciò strideva con questo unico - vero - ricordo di famiglia.

Per il resto mostrava quanto vuota era la stanza e l’animo di quell’uomo dalle mille pretese e poche virtù.

Intanto fuori si sentiva uno strano ticchettio, come di una pioggia che cade sul ferro.

Ma il vetro era pulito, come il cielo, dalle nuvole, e dall’acqua.

 

Sam arrivata al grande terrazzo d’onore del Re, che si affacciava sulla camera, entrò lesta, sapendo che aveva poco tempo prima di compiere il misfatto.

Entrò, trovando la porta di vetro aperta. Osservò il letto, il cappuccio calato, due occhi chiari osservavano l’ambiente, come brillanti di luce.

Evitò il russare del principe e si avviò alla scrivania, leggendo con facilità come se fosse alla vicino a una fiamma, le orecchie tese nel caso il sonno del principe venisse interrotto.

Prese un paio di carte con un silenzio e, conscia del suo obbiettivo, si avvicinò con silenzio, in mano una bottiglietta di liquido trasparente. Veleno.

Lo stappò, la mano tesa sopra la bocca aperta, il liquido che sta per cadere quando sentì il grido stentato di una delle serve, sveglia.

Gli occhi di lei si incrociarono con quelli fiammanti di Sam, e poi urlò con tutta la voce che prima dallo spavento aveva spento.

Sam corse con un amaro nello stomaco lasciando cadere la boccetta, sapendo di aver fallito, per la prima volta, una missione.

L’uomo all’urlo scattò, afferrando un pugnale nascosto nel cuscino e, vedendo l’ombra scampare verso il terrazzo, considerò di averlo in pugno. Non aveva minimamente calcolato il fatto che l’ombra si sarebbe gettata con ovvia sicurezza oltre il bordo.

Corse, per individuare chi avesse avuto il coraggio di gettarsi da quell’altezza suicida.

L’ombra cade, cade, e il principe pensò che avesse fatto male i conti, sogghignando tra sé e sé, pregustando il suono sordo di un corpo che si scontra con il suolo. Ma non avvenne ciò che previde.

Scivolò l’ombra su uno spiovente del muro, le tegole che impedivano la presa resero claudicante l’equilibrio dell’uomo, che al bordo invece di afferrarlo, lo usò come base per un salto lungo, agile, diretto verso il muro del torrione più in basso.

Sfregiando la superficie rocciosa con un metallo tenuto in mano, facendo scaturire scintille, scivolò ancora, fin quando, con un ennesimo balzo potente si lasciò cadere al di là della cinta difensiva.

Atterrò come un ferino, e fuggì nella babele della città. Fanaon rimase di stucco. Tra tutte le meraviglie dell’essere umano e non, quella magia lui non l’aveva mai vista, e gli occhi si disegnarono di rabbia, trasfigurando il bel volto di un elfo nel pieno della vita in una maschera di ira e frustrazione pura. Rientrò in camera, ovviamente dove le guardie erano già entrare per proteggere il re, ovviamente in ritardo.

«Andate via, buzzurri, è già fuggito.» a niente valse far suonare l’allarme per tutto il palazzo, l’ombra era già stata inghiottita dalla notte.

 

Loole, convocata di gran urgenza, raggiunse la camera regale ancora in camice da notte e con i capelli lunghi raccolti per il sonno, correndo dal fratello preoccupata. Entrando nella porta spalancata della stanza più grande, senza notare le presenti dame scivolare silenziose con poche vesti addosso, si diresse verso il biondo. Venne scacciata con un gesto freddo e duro, e la donna spense ogni sua preoccupazione.

«Se stai bene, fratello mio, allora è inutile che io stia qui.» affermò, guardandolo con rabbia. Ottenne lo stesso sguardo in cambio.

«E invece un motivo c’è sorella...» rispose, incrociando le mani sul petto nudo. Anche lui era in tenuta da notte.

«Cosa vuoi domandarmi, nel cuore della notte?» chiese, con un silenzioso timore nella voce. Gli occhi nascosti dalla lanterna non fecero intuire le sue paure dal fratello.

«Devi capire chi è quella persona che ha tentato di assassinarmi stanotte.» negli occhi ancora quella magia, quella scaltrezza e dolcezza ferina di un animale che balza sul labirinto di muri invalicabili, atterraggio sicuro sul terreno, nonostante l’altezza.

Loole lo guardò negli occhi, vide un bagliore di rabbia e desiderio mista a impazienza. Si preoccupò.

«Ci stanno già pensando le guardie a cercarlo...» disse, ottenendo una risposta secca dall’uomo.

«Lo voglio. Vivo. Devo sapere una cosa da lui.» disse, gli occhi come avvelenati da una nuova frenesia, come grondanti di cieca follia. Quella che aveva visto tempo addietro per la conoscenza dell’arte dell’uccidere.

Loole si preoccupò ancor di più.

«Perché vuoi parlargli, Fanaon? Cosa vuoi sapere che già non sai?» e in risposta ricevette silenzio.

«Tsk, tu non puoi capire, donna.» ribatté, «E poi sono affari miei, tu fallo. Dopotutto...non sei tu la migliore cacciatrice del Feudo? Trovare le tracce, fiutare le prede, seguirle nel bosco, catturarle...».

«Sono animali quelle, non persone.» rispose lei, gli occhi acidi.

«Anche il tuo amico - come si chiama? Ah, Matias - è un uomo. Ma è anche bestia...no?» non credette alle sue orecchie, Loole, a sentire quella vena di minaccia nella voce del fratello. Cosa c’entrava ora Matias?

«Nelle battute di caccia non importa se è bestia o uomo, l’importante è che faccia divertire il re... l’importante è che faccia divertire me.». Loole intuì cosa c’entrava ora il suo piccolo amico muti forma. Ed ebbe paura.

«Va bene fratello, farò quello che desideri... ti porterò quest’uomo vivo...» e stringendosi nelle braccia scivolò veloce verso la propria camera, dall’altra parte del corridoio. Finché sentì gli occhi divertiti di Fanaon sulle spalle, non osò tremare nemmeno un secondo, conscia del fatto che lui l’avrebbe intuito. Se anche la sorella del re ora tremava al suo cospetto, il Feudo sarebbe morto. Lei era il suo ultimo baluardo, prima della completa disfatta. Non poteva crollare. Non ora.

Si chiuse la porta alle spalle e respirò forte, cercando di fermare quel tremore nelle mani. Per una volta nella sua vita Loole ebbe paura di suo fratello.

 

Sam rientrò nel covo con particolare fretta, dirigendosi verso la porta del capo, trovandolo ovviamente ammantato nell’ombra. La donna stette vicina alla porta, come cosciente dell’errore compiuto di cui l’uomo sapeva, ovviamente.

«Mi hai deluso, Sam... questa è la prima volta che fallisci una missione.» disse l’uomo, con tono mellifluo, come sempre. Sam abbassò lo sguardo, da sotto il cappuccio, gli occhi ancora fiammeggianti.

«Datemi una seconda possibilità e non vi deluderò.» ribatté, scattando con la testa.

Ci fu silenzio, dall’altra parte, prima che cadesse una cartellina sul raggio di luce che filtrava da una grata. Luce di luna.

Sam l’afferrò, aprendola e leggendo con velocità.

A un certo punto si fermò, alzando lo sguardo irata.

«Come sarebbe a dire, affiancata?! Non sono più una novellina, so fare il mio lavoro senza l’aiuto di nessuno! Men che meno lui!» risposte, gli occhi accesi di rabbia.

Una voce fuori dal campo interruppe la sua ira, prendendola di sorpresa. Non aveva percepito la sua presenza. Silenzioso come sempre, quell’elfo.

«Ti dà così tanto fastidio la mia presenza, Sam?» una voce calda, apparentemente affettuosa, che a Sam fece venire i brividi di disgusto.

«Francamente? Sì.» rispose la donna austera, osservando l’ombra nel buio, come il chiarore della luna sulla superficie acquatica. Il capo prese la parola.

«Smettetela di bisticciare e fate i bravi, dopotutto è solo una missione breve. Prima la porterete a termine, meglio sarà, sia per noi, sia per coloro che hanno comprato i nostri egregi servigi.» La donna, ancora con la rabbia che le scorre nelle vene e con l’orgoglio schiacciato sotto un tacco sporco di fango, uscì dalla stanza, dirigendosi verso le proprie umili camere.

Si fermò solo quando sentì i suoi passi seguirla.

«Ho orecchie più buone di quanto pensi. Smettila di seguirmi.» non si voltò, non le serviva. Non voleva rivedere il suo volto, né i suoi occhi. Gli bastava l’immagine nei suoi incubi.

Sentì un movimento di tessuto, e il suo fiato caldo le sfiorò l’orecchio, di nuovo brividi.

«Lo so, mia cara Sam...» la sua mano le sfiorò i capelli. Si scostò, irata. La mano che assaggiava l’elsa di un pugnale.

«... avevi capelli più lunghi, nei miei ricordi...» soffiò ancora.

«...e tu un’intelligenza più fine.» Sam scattò, compiendo un arco dal basso per cercare di ferirlo al ventre, ma l’elfo, veloce, lo schivò, prendendo il braccio e torcendoglielo dietro la schiena. Le sfuggì un grugnito di dolore, mentre lui si avvicinava di nuovo all’orecchio.

«Vedo che conservi la rabbia per me ancora adesso.»

«Non rabbia, odio.» sbuffò tra le labbra, mentre con la testa gli diede un colpo forte sul naso, movimento inaspettato dall’essere. Si liberò della sua prese e afferrando un pugnale per mano si preparò al combattimento. Di fronte a lei, l’oggetto dei suoi incubi.

Alto, come tutti gli elfi, d’altronde. Occhi color ghiaccio, freddi e impenetrabili, capelli biondi quasi bianchi, lunghi, raccolti in un’elegante treccia, con forme e fattezze androgine, le spalle piccole e le braccia fini ma stranamente lunghe, come le gambe, il bacino stretto.

Con una mano sistemò un ciuffo scampato all’accorata capigliatura, sorridendo con un ghigno. I suoi incubi non avrebbero mai raggiunto quel sorriso fatale.

«Continua ad odiarmi, Sam. Il tuo odio per me è come nettare di vino.» e ridendo le voltò le spalle, muovendo le spalle, scivolando dietro il primo angolo. Quella risata maligna di quella voce rimbombava nelle mura, ma peggio ancora, nei corridoi della mente, dei ricordi, di Sam come il rintocco della campana nei giorni funesti di morte e guerra.

Quella notte, perdendo il sonno, ritrovò se stessa.

C’era ancora una cosa che doveva fare, in vita.

Doveva uccidere l’uomo dei suoi incubi.

Doveva uccidere Helvorn.

 

   
 
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