I Signori delle Terre
dell’Ovest
4. Svolgimenti
inaspettati
Sam, scivolando sul buio
della notte come la mano di un poeta scivola sulla carta odorata di fresco e
vitello, si fermò sul ciglio di un tetto, osservando la città dormire mentre
lei, assassina e ombra di morte, è sveglia già dal tramonto.
Avere questi ritmi, a
volte, stanca. Alcuni desiderano mollare tutto per avere una vita normale, alla
luce del sole, poter magari vivere dei propri sforzi, prendersi un pezzo di
terreno e vivere di esso, farsi una famiglia ed essere...felici.
Schioccò la lingua sui
denti, provocando un suono scocciato. Questa è vita, non quella fiaba che
propinano a tutti. La felicità è come la politica. Non è mai quello che dicono
che sia.
A lei, Sam, quella vita
bastava. Bastava per raggiungere il suo scopo.
Una fiamma la individuò
sul tetto, ma fu veloce a sfuggire allo sguardo della guardia.
Svanì, come uno sbuffo di
fumo. E l’uomo, osservando lo spazio prima scuro e ora chiaro, scrollò il
testone facendo tintinnare l’elmo, continuando a camminare lungo la cinta.
Sam, illuminata dalla
sbavatura di luna, sorrise, fiera di quella piccola dote dello scomparire al
momento giusto, e saltò ferina, lanciandosi verso una nuda parete nascosta
dalla luce. Alcuni ganci fecero breccia nella pietra, e cominciò a salire.
Fanaon dormiva, placido, nell’enorme letto a
baldacchino, contornato da figure indistinte di elfe dagli svariati capelli,
tutte dame di corte o leggiadre incantatrici ingaggiate per il nobile signore.
Si sentivano, nell’aria
riscaldata dalle ceneri di un vecchio fuoco, i respiri sommessi delle donne e
il russare forte dell’uomo. La grande vetrata, affianco al grande letto, veniva
pallidamente illuminata dall’astro notturno, colorando leggermente i contorni
di quella stanza piena di tutto ma anche di niente. Una sala che conteneva
dalle armi da cerimonia a un enorme armadio ripieno di vestiti eleganti e
sgargianti, un manichino che supportava una fine e dolce armatura da
combattimento, rimasta ancora scalfita dalla Guerra degli Elfi del Sud, durata
ben cinquant’anni, dove lo vide vincitore.
Quadri di inestimabile
valore artistico e storico, una mappa aggiornata del Feudo, un tavolo ripieno
di missive. Eppure, per quanto fosse la stessa stanza di quando era piccolo,
conservava solo una cosa al suo interno: un dipinto, di mano dolce e
concentrata, che raffigurava il vecchio regnante, sorridente, con accanto una
dama dal taglio freddo ma dagli occhi dolci, una bambina in piedi vicino a lei e
un bambino in braccio, ovviamente Loole e Fanaon da giovani.
Tutto ciò strideva con
questo unico - vero - ricordo di famiglia.
Per il resto mostrava
quanto vuota era la stanza e l’animo di quell’uomo dalle mille pretese e poche
virtù.
Intanto fuori si sentiva
uno strano ticchettio, come di una pioggia che cade sul ferro.
Ma il vetro era pulito,
come il cielo, dalle nuvole, e dall’acqua.
Sam arrivata al grande
terrazzo d’onore del Re, che si affacciava sulla camera, entrò lesta, sapendo
che aveva poco tempo prima di compiere il misfatto.
Entrò, trovando la porta
di vetro aperta. Osservò il letto, il cappuccio calato, due occhi chiari
osservavano l’ambiente, come brillanti di luce.
Evitò il russare del
principe e si avviò alla scrivania, leggendo con facilità come se fosse alla vicino
a una fiamma, le orecchie tese nel caso il sonno del principe venisse
interrotto.
Prese un paio di carte
con un silenzio e, conscia del suo obbiettivo, si avvicinò con silenzio, in
mano una bottiglietta di liquido trasparente. Veleno.
Lo stappò, la mano tesa
sopra la bocca aperta, il liquido che sta per cadere quando sentì il grido
stentato di una delle serve, sveglia.
Gli occhi di lei si
incrociarono con quelli fiammanti di Sam, e poi urlò con tutta la voce che
prima dallo spavento aveva spento.
Sam corse con un amaro
nello stomaco lasciando cadere la boccetta, sapendo di aver fallito, per la
prima volta, una missione.
L’uomo all’urlo scattò,
afferrando un pugnale nascosto nel cuscino e, vedendo l’ombra scampare verso il
terrazzo, considerò di averlo in pugno. Non aveva minimamente calcolato il
fatto che l’ombra si sarebbe gettata con ovvia sicurezza oltre il bordo.
Corse, per individuare
chi avesse avuto il coraggio di gettarsi da quell’altezza suicida.
L’ombra cade, cade, e il
principe pensò che avesse fatto male i conti, sogghignando tra sé e sé,
pregustando il suono sordo di un corpo che si scontra con il suolo. Ma non
avvenne ciò che previde.
Scivolò l’ombra su uno
spiovente del muro, le tegole che impedivano la presa resero claudicante
l’equilibrio dell’uomo, che al bordo invece di afferrarlo, lo usò come base per
un salto lungo, agile, diretto verso il muro del torrione più in basso.
Sfregiando la superficie
rocciosa con un metallo tenuto in mano, facendo scaturire scintille, scivolò
ancora, fin quando, con un ennesimo balzo potente si lasciò cadere al di là
della cinta difensiva.
Atterrò come un ferino, e
fuggì nella babele della città. Fanaon rimase di
stucco. Tra tutte le meraviglie dell’essere umano e non, quella magia lui non
l’aveva mai vista, e gli occhi si disegnarono di rabbia, trasfigurando il bel
volto di un elfo nel pieno della vita in una maschera di ira e frustrazione
pura. Rientrò in camera, ovviamente dove le guardie erano già entrare per
proteggere il re, ovviamente in ritardo.
«Andate via,
buzzurri, è già fuggito.» a niente
valse far suonare l’allarme per tutto il palazzo, l’ombra era già stata
inghiottita dalla notte.
Loole, convocata di gran urgenza, raggiunse la camera
regale ancora in camice da notte e con i capelli lunghi raccolti per il sonno,
correndo dal fratello preoccupata. Entrando nella porta spalancata della stanza
più grande, senza notare le presenti dame scivolare silenziose con poche vesti
addosso, si diresse verso il biondo. Venne scacciata con un gesto freddo e
duro, e la donna spense ogni sua preoccupazione.
«Se stai bene, fratello mio, allora è inutile che io stia
qui.» affermò, guardandolo con rabbia. Ottenne lo stesso sguardo in cambio.
«E invece un motivo c’è sorella...» rispose, incrociando
le mani sul petto nudo. Anche lui era in tenuta da notte.
«Cosa vuoi domandarmi, nel cuore della notte?» chiese,
con un silenzioso timore nella voce. Gli occhi nascosti dalla lanterna non
fecero intuire le sue paure dal fratello.
«Devi capire chi è quella persona che ha tentato di assassinarmi
stanotte.» negli occhi ancora quella magia, quella scaltrezza e dolcezza ferina
di un animale che balza sul labirinto di muri invalicabili, atterraggio sicuro
sul terreno, nonostante l’altezza.
Loole lo guardò negli occhi, vide un
bagliore di rabbia e desiderio mista a impazienza. Si preoccupò.
«Ci stanno già pensando le guardie a cercarlo...» disse,
ottenendo una risposta secca dall’uomo.
«Lo voglio. Vivo. Devo sapere una cosa da lui.» disse,
gli occhi come avvelenati da una nuova frenesia, come grondanti di cieca
follia. Quella che aveva visto tempo addietro per la conoscenza dell’arte
dell’uccidere.
Loole si preoccupò ancor di più.
«Perché vuoi parlargli, Fanaon?
Cosa vuoi sapere che già non sai?» e in risposta ricevette silenzio.
«Tsk, tu non puoi capire,
donna.» ribatté, «E poi sono affari miei, tu fallo. Dopotutto...non sei tu la
migliore cacciatrice del Feudo? Trovare le tracce, fiutare le prede, seguirle
nel bosco, catturarle...».
«Sono animali quelle, non persone.» rispose lei, gli occhi
acidi.
«Anche il tuo amico - come si chiama? Ah, Matias - è un uomo. Ma è anche bestia...no?» non credette
alle sue orecchie, Loole, a sentire quella vena di
minaccia nella voce del fratello. Cosa c’entrava ora Matias?
«Nelle battute di caccia non importa se è bestia o uomo,
l’importante è che faccia divertire il re... l’importante è che faccia
divertire me.». Loole
intuì cosa c’entrava ora il suo piccolo amico muti forma. Ed ebbe paura.
«Va bene fratello, farò quello che desideri... ti porterò
quest’uomo vivo...» e stringendosi nelle braccia scivolò veloce verso la
propria camera, dall’altra parte del corridoio. Finché sentì gli occhi
divertiti di Fanaon sulle spalle, non osò tremare
nemmeno un secondo, conscia del fatto che lui l’avrebbe intuito. Se anche la
sorella del re ora tremava al suo cospetto, il Feudo sarebbe morto. Lei era il
suo ultimo baluardo, prima della completa disfatta. Non poteva crollare. Non
ora.
Si chiuse la porta alle spalle e respirò forte, cercando
di fermare quel tremore nelle mani. Per una volta nella sua vita Loole ebbe paura di suo fratello.
Sam rientrò nel covo con particolare fretta, dirigendosi
verso la porta del capo, trovandolo ovviamente ammantato nell’ombra. La donna
stette vicina alla porta, come cosciente dell’errore compiuto di cui l’uomo
sapeva, ovviamente.
«Mi hai deluso, Sam... questa è la prima volta che
fallisci una missione.» disse l’uomo, con tono mellifluo, come sempre. Sam
abbassò lo sguardo, da sotto il cappuccio, gli occhi ancora fiammeggianti.
«Datemi una seconda possibilità e non vi deluderò.»
ribatté, scattando con la testa.
Ci fu silenzio, dall’altra parte, prima che cadesse una
cartellina sul raggio di luce che filtrava da una grata. Luce di luna.
Sam l’afferrò, aprendola e leggendo con velocità.
A un certo punto si fermò, alzando lo sguardo irata.
«Come sarebbe a dire, affiancata?! Non sono più una
novellina, so fare il mio lavoro senza l’aiuto di nessuno! Men
che meno lui!» risposte, gli occhi accesi di rabbia.
Una voce fuori dal campo interruppe la sua ira,
prendendola di sorpresa. Non aveva percepito la sua presenza. Silenzioso come
sempre, quell’elfo.
«Ti dà così tanto fastidio la mia presenza, Sam?» una
voce calda, apparentemente affettuosa, che a Sam fece venire i brividi di
disgusto.
«Francamente? Sì.» rispose la donna austera, osservando
l’ombra nel buio, come il chiarore della luna sulla superficie acquatica. Il
capo prese la parola.
«Smettetela di bisticciare e fate i bravi, dopotutto è
solo una missione breve. Prima la porterete a termine, meglio sarà, sia per noi,
sia per coloro che hanno comprato i nostri egregi servigi.» La donna, ancora
con la rabbia che le scorre nelle vene e con l’orgoglio schiacciato sotto un
tacco sporco di fango, uscì dalla stanza, dirigendosi verso le proprie umili
camere.
Si fermò solo quando sentì i suoi passi seguirla.
«Ho orecchie più buone di quanto pensi. Smettila di
seguirmi.» non si voltò, non le serviva. Non voleva rivedere il suo volto, né i
suoi occhi. Gli bastava l’immagine nei suoi incubi.
Sentì un movimento di tessuto, e il suo fiato caldo le
sfiorò l’orecchio, di nuovo brividi.
«Lo so, mia cara Sam...» la sua mano le sfiorò i capelli.
Si scostò, irata. La mano che assaggiava l’elsa di un pugnale.
«... avevi capelli più lunghi, nei miei ricordi...»
soffiò ancora.
«...e tu un’intelligenza più fine.» Sam scattò, compiendo
un arco dal basso per cercare di ferirlo al ventre, ma l’elfo, veloce, lo
schivò, prendendo il braccio e torcendoglielo dietro la schiena. Le sfuggì un
grugnito di dolore, mentre lui si avvicinava di nuovo all’orecchio.
«Vedo che conservi la rabbia per me ancora adesso.»
«Non rabbia, odio.» sbuffò tra le labbra, mentre con la
testa gli diede un colpo forte sul naso, movimento inaspettato dall’essere. Si
liberò della sua prese e afferrando un pugnale per mano si preparò al
combattimento. Di fronte a lei, l’oggetto dei suoi incubi.
Alto, come tutti gli elfi, d’altronde. Occhi color
ghiaccio, freddi e impenetrabili, capelli biondi quasi bianchi, lunghi,
raccolti in un’elegante treccia, con forme e fattezze androgine, le spalle
piccole e le braccia fini ma stranamente lunghe, come le gambe, il bacino
stretto.
Con una mano sistemò un ciuffo scampato all’accorata
capigliatura, sorridendo con un ghigno. I suoi incubi non avrebbero mai
raggiunto quel sorriso fatale.
«Continua ad odiarmi, Sam. Il tuo odio per me è come
nettare di vino.» e ridendo le voltò
le spalle, muovendo le spalle, scivolando dietro il primo angolo. Quella risata
maligna di quella voce rimbombava nelle mura, ma peggio ancora, nei corridoi
della mente, dei ricordi, di Sam come il rintocco della campana nei giorni
funesti di morte e guerra.
Quella notte, perdendo il
sonno, ritrovò se stessa.
C’era ancora una cosa che
doveva fare, in vita.
Doveva uccidere l’uomo
dei suoi incubi.
Doveva uccidere Helvorn.