Val di Susa, estate 1215.
Generalmente quel valico sulle Alpi
era semplice da
attraversare, specialmente in quel periodo dell’anno, senza
la neve e il freddo
che rallentavano la marcia. La carovana camminava lenta lungo il
sentiero. In
lontananza si vedeva già la loro prossima tappa: la Sacra di
San Michele.
L’avrebbero raggiunta entro sera, procedendo a quella
andatura.
Il capo carovaniere apriva la fila.
Il suo cavallo camminava
rapido e prudente allo stesso tempo; era una bestia resistente.
Qualcuno tossì, alle sue
spalle. Il capo carovana non se ne
curò, era normale che qualcuno si ammalasse, durante quei
lunghi viaggi. I
monaci della Sacra lo avrebbero curato e il giorno dopo sarebbe stato
meglio.
Un altro colpo di tosse.
Un’altra persona si era ammalata.
Il capo carovaniere cominciò a considerare l’idea
di assumere dei sostituti nel
vicino borgo di Sant’Ambrogio.
Ancora tosse. Questa volta erano
più persone. Il capo
carovana si voltò. Quello che vide non gli piacque affatto.
Il monaco guardiano stava per
chiudere i cancelli per la
notte, quando vide salire lungo il sentiero che si arrampicava sul
Monte
Pirchiriano e portava all’abbazia la carovana che aspettavano.
I cavalli camminavano lenti, in fila
indiana. Il monaco
guardiano si avvicinò per dare il benvenuto ai nuovi
arrivati. Riconobbe il
capo carovana, davanti al gruppo, ma c’era qualcosa di
strano. Il monaco lo
guardò meglio; era accasciato sulla sella del cavallo, e
grossi bubboni scuri
gli coprivano la pelle. Il monaco riconobbe i sintomi e si
affrettò a dare
l’allarme: la peste nera aveva colpito ancora.