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Autore: Una Certa Ragazza    03/04/2012    5 recensioni
La grammatica, che sia inglese, italiana o latina, fa male, lo sappiamo tutti. Ma che ripassando l'analisi del periodo vengano in mente delle storie su FMA è puro delirio... Eppure, leggendo la parola "subordinata", come fa a non venire in mente la nostra cecchina preferita? Breve raccolta di one-shot e flashfic su Riza, Roy and company, ognuna ispirata da un tipo di frase esistente.
Alcune sono chiaramente post-Brotherhood, altre possono essere interpretate come filler.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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E dopo secoli eccomi tornata ad aggiornare!
... lo so, lo so. "Pull the trigger". Ma vi prometto che il prossimo capitolo arriverà presto, davvero. Negli ultimi tempi sono stata occupatissima, e tutto il tempo che ho avuto a disposizione per scrivere è stato dedicato alla stesura di un romanzo che dovevo inviare ad un concorso. Ora che ho finito tutto (sul filo del rasoio, come al solito) posso dedicarmi alle fanfiction XD
Per compensare l'attesa questa storia è un po' più lunga del solito, spero che vi piaccia! E' un piccolo divertissement, l'argomento è molto leggero, ho solo cercato di rivisitare un po' il caro, tipico argomento del ballo. Ok, ok, c'è un filino di angst ogni tanto, ma giusto un filino. Credo sia la fanfiction con il Royai più "esternato" o palesato che dir si voglia che ho scritto fino a questo momento.
Avvertitemi se c'è troppo fluff. A me non piace. ^^
Vi lascio alla storia, scusandomi ancora per il ritardo.





 SUBORDINATA CONCESSIVA
 
“I’m looking for a hard-headed woman
one that make me do my best
If I find my hard-headed woman
I won’t need nobody else.
[...]
I know a lot of fancy dancers
which will take you gladly on a floor
they know the moves
but have no answers.”
                     “Hard headed woman”, Cat Stevens
 
 
Roy Mustang era stranamente di buon umore, per essere sé stesso che entra nel suo ufficio la mattina presto con un sacco di straordinari da fare e senza aver bevuto nemmeno un caffè.
Eppure fece il suo ingresso al Quartier Generale dell’Est fischiettando.
I suoi subordinati si scambiarono occhiate prima perplesse, poi ottimiste.
Se solo una cosa del genere fosse successa tutti i giorni!
Tutti, però, come ogni brav’uomo d’azione al momento costretto a stare in un ufficio ricoperto di scartoffie, erano ragionevolmente curiosi di sapere perché il Colonnello era contento. Tanto non c’era altro di interessante da fare.
Tutti tranne Riza Hawkeye, che conosceva Roy Mustang da tempo sufficiente per sapere che il suo buon umore non necessariamente corrispondeva a quello degli altri, ed era abbastanza donna per ricordarselo.
I suoi colleghi, al contrario, sembravano aver dimenticato le innumerevoli volte in cui il loro capo annunciava tutto contento che avevano un nuovo incarico.
Questo di solito faceva salire lui di posizione, e faceva scendere sotto le scarpe l’umore dei suoi subordinati costretti a lavorare fino all’esaurimento.
Gli occupanti dell’ufficio guardarono Riza con occhi speranzosi.
“Chiediglielo, chiediglielo!” imploravano senza parlare.
La ragazza chiuse per un attimo gli occhi e sospirò, pensando “Che comari di paese!”
Ma sapeva molto bene che nessuno avrebbe più lavorato seriamente se non avesse saputo di lì a breve il perché del buon umore del Colonnello.
«A cosa dobbiamo tutta questa allegria, Signore?» domandò, mentre Roy afferrava una cartella del tutto casuale da un portadocumenti, giusto per far vedere che stava facendo qualcosa, e apriva la porta del suo ufficio personale.
Roy si fermò e guardò per un attimo tutti gli occupanti dell’ufficio chiedendosi se doveva già dare loro la buona notizia...
 
Era sera già da un pezzo a East City, eppure la luce che proveniva dall’ufficio del Comandante del Quartier Generale non accennava a spegnersi.
Al suo interno due uomini giocavano a scacchi.
«Colonnello» disse il Generale Grumman, sollevando un pedone per spostarlo «sei sicuro di non voler andare a casa?»
«Si figuri» rispose l’uomo più giovane «ultimamente abbiamo lavorato così tanto che non abbiamo più potuto fare una partita in santa pace.» si interruppe per un attimo, soppesando la mossa appena fatta dall’altro «E poi» continuò «non aveva qualcosa da dirmi?»
«Giusto.» convenne il Generale.
Guardò il Colonnello Roy Mustang muovere un cavallo e mangiare una delle sue torri, poi proseguì «Come sai, i damerini di Central coltivano un certo snobismo nei nostri confronti. Noi facciamo il grosso del lavoro, loro se la spassano e ci prendono pure per i fondelli. Mi sono stancato di questa situazione.»
«Come pensa di cambiarla?» domandò Roy, fissando pensoso la scacchiera.
«Forse non la cambierò» ammise Grumman «ma sono vecchio e mi voglio divertire. Fra poco ci sarà la celebrazione della fondazione di Amestris, e questa volta non ho intenzione di stare a guardare mentre quelli di Central danno un ricevimento di lusso e a noi toccano un paio di salatini.»
«Come ha intenzione di risolvere la questione del budget?» chiese interessato il Colonnello, unendo le mani come faceva sempre quando valutava una situazione «Ci danno solo briciole, lo sa bene.»
Per molto tempo l’anziano ufficiale non rispose, ma Roy non se ne stupì. Quando giocavano a scacchi il tempo si dilatava, persino i loro respiri sembravano avere una cadenza diversa.
Poi, dopo aver spostato un alfiere, Grumman parlò «Sono un vecchietto con un considerevole stipendio e senza particolari esigenze. Quindi ho deciso che mi toglierò questa soddisfazione personale e organizzerò la più bella festa che si sia mai vista da queste parti.»
«Ma, se la conosco a sufficienza, dev’esserci anche un altro motivo per cui le è venuta quest’idea...» insinuò Roy, spostando un pedone dopo una riflessione ponderata.
Il Generale fece un sorriso furbo «Oltre allo smacco che gli daremo quando guarderanno i bilanci e si renderanno conto che non abbiamo speso neanche un centesimo, c’è anche un altro fatto: il Quartier Generale di Central preleva quattrini dai fondi stanziati per l’esercito, che sono soldi pubblici...»
«...Mentre noi, utilizzando denaro privato, acquisteremo popolarità presso le masse. Le spese dell’esercito creano malcontento tra i cittadini, specie quando vengono fatte per eventi del genere.» Roy sorrise, guardando il Comandante rispondere alla sua mossa mangiandogli la torre.
«È esatto, Colonnello, è esatto. Se attingo dalle mie tasche l’esercito dell’Est apparirà parsimonioso e lungimirante. Una bella garanzia per il futuro, la stima della gente.»
Roy rise «Lo sapevo, non è del tutto convinto di avere già un piede nella fossa.»
«Ho intenzione di divertirmi un altro po’.» ammise Grumman, mentre Roy spostava il re «E poi è dovere dei più anziani lasciare strade aperte per le generazioni future.» affermò, guardando l’amico più giovane con intenzione.
«A proposito...» riprese, spostando la regina «Scacco matto, figliolo.»
«Acc...» imprecò Roy, rendendosi conto che il suo re era stato accerchiato.
«Ti sei distratto perché stavamo parlando. Non bisogna mai perdere la concentrazione, quando si gioca a scacchi.» il Generale annotò qualcosa su un taccuino nero, poi disse, guardando la scacchiera «Inoltre se ogni tanto esponessi di più la tua regina forse riusciresti a vincere, qualche volta.»
«Lo so. Sono fatto così, quando imposto una strategia...»
«...Non puoi fare a meno di lasciarti coinvolgere.» concluse Grumman con un sorriso «Ma è solo un gioco, ragazzo.»
«È vero.» fece Roy ridacchiando, anche se gli occhi rimanevano seri.
«Tornando al discorso che stavamo facendo, avrò bisogno del tuo aiuto.»
«Mi lasci indovinare, dovrò fare pubblicità al suo generoso gesto?»
Il Generale annuì leggermente col capo, gesto che fece scintillare i suoi occhiali alla luce della lampadina «Devi anche fare un’altra cosa... saresti in grado di trasmutare la sala mensa del Quartier Generale in un’adeguata sala da ballo?»
«Dunque vuole organizzare un ballo?» domandò Roy, con un certo buon umore nella voce.
«Che festa sarebbe, senza un giro di valzer?»
«Sono d’accordo.» replicò il Colonnello, guardando l’orologio e alzandosi «Non ci sarà nessun problema, ho solo bisogno di avere le materie prime.»
«Consideralo fatto.» Grumman seguì l’esempio del suo subordinato e si sollevò dalla sedia, accompagnando Roy alla porta.
«Naturalmente tutte le formalità saranno abolite in occasione della serata» aggiunse l’anziano Comandante sulla soglia «altrimenti non potrei ballare con nessuna delle signorine presenti.» spiegò ridendo, mentre Roy lo guardava tra il perplesso e il divertito. Sempre lo stesso, il Generale. Non che il Colonnello non avesse imparato niente da lui, ovviamente.
«Allora le consiglio di trovarsi al più presto una dama: ci sono più soldati che soldatesse, da queste parti...» commentò Roy, allontanandosi lungo il corridoio.
«Pensa per te! Ho ancora il mio fascino, sai?»
Roy sorrise agli strepitii dell’uomo, e non solo a quelli.
 
...ma alla fine si disse che tanto prima o poi qualcuno glielo sarebbe venuto a dire lo stesso, perciò disse, con fare noncurante, come se parlasse a sé stesso: «Ah, quello... beh, lo saprete presto.»
E fatto questo proclama si ritirò nell’ufficio.
La mattinata di Roy Mustang da quel momento in avanti fu piuttosto tranquilla, almeno finchè la porta del suo studio personale non si aprì con forza.
Il Tenente Riza Hawkeye stava lì, ritta come un fuso.
«Un ballo, Signore?» la voce era calma, chiara. Roy pensò divertito che la sua espressione – che all’apparenza non era diversa da quella che aveva di solito in ufficio – adesso sembrava scolpita nel ghiaccio.
Si chiedeva sempre come ci riuscisse.
«Esatto, Tenente.» fece Roy, tranquillo, continuando a firmare le carte e spiando la sua reazione di sottecchi.
«Posso sapere perché?»
«Il Generale Grumman ha deciso di dare una grande festa in onore dell’anniversario della Nazione.»
«Sì, ma perché un ballo?Abbiamo fatto tutti gli anni una normalissima festa.»
«Quelle, Tenente, con tutta la buona volontà non si possono chiamare così. C’è qualcuno che non è contento di questa decisione?» in quest’ultima frase era contenuta una nota beffarda.
Riza per tutta risposta spalancò la porta che aveva chiuso dietro di sé lasciando intravedere al suo superiore i colleghi impegnati a schiamazzare e a darsi gran pacche sulle spalle.
«È ovvio che siano contenti.» chiarì Riza, a commento della scena «Avranno un giorno di lavoro in meno e uno di divertimento in più.»
«Appunto.» sottolineò Roy.
Si scambiarono un’occhiata.
«Sa che non approvo gli sprechi inutili.»
«Tranquilla, Tenente. Il Generale Grumman pagherà tutto di tasca sua.»
Riza aggrottò le sopracciglia. Suo nonno era un vecchio leggermente eccentrico che amava l’allegria, e dunque non era niente di strano, ma sentiva che c’era qualcos’altro sotto.
«E...?» incalzò.
«E così facendo svergognerà quelli di Central, che attingono dalle casse pubbliche.»
Riza quasi sospirò di sollievo. Per un momento aveva quasi temuto che...
«A proposito» Roy continuava a sorridere. Brutto segno «mi aspetto che tu venga al ballo con me, dal momento che le formalità verranno abolite in onore dell’evento.»
La bocca di Riza si spalancò leggermente, poi la ragazza si riprese, in tempo per dire, secca: «Ma cosa dice, Signore!»
«Esattamente quello che ho detto.»
«Allora temo di non poter accettare.»
«Oh. In tal caso dovrò trovarmi un’altra accompagnatrice.»
Le spalle di Riza si irrigidirono. Era ovvio, era a questo che voleva arrivare, eppure le dava fastidio lo stesso. Ed era una cosa estremamente stupida.
«Sono fiera di lei, Signore.» disse, e al di là del leggero sarcasmo che c’era nella sua voce lo era davvero: quella del Colonnello non era una richiesta fatta alla leggera, lei lo sapeva.
«Però» Roy non aveva ancora finito «Non è un po’strano che l’Alchimista di Fuoco abbia una bella donna in ufficio e non esca con lei non appena si presenta l’occasione?»
«Colonnello Mustang» disse Riza, irritata «se sta cercando di farmi cambiare idea la avverto che...»
«Sei congedata, Tenente.» la prevenì Roy, serissimo ma – Riza ci avrebbe giurato – con gli occhi che ridevano «Pensaci su. Non si devono prendere decisioni avventate.»
Riza uscì dall’ufficio resistendo a mala pena all’impulso di colpirsi ripetutamente la testa con la cartellina che teneva in mano, il che sarebbe stato un gesto molto infantile da parte sua.
Che razza di testardo!
Quando si comportava in maniera così arrogante le faceva venir voglia di tirare fuori la sua fida Calibro 9 – almeno lei era leale e non se ne usciva con trovate stupide – e crivellarlo di colpi.
Beh, magari non in punti vitali, ma insomma...
Il Colonnello non sembrava rendersi conto di quello che rischiavano, e tutto per uno stupido ballo!
Lanciò un’occhiata di fuoco ai suoi sottoposti, i quali, non appena lei era arrivata, avevano chinato il naso sulle loro scrivanie senza fiatare.
Facessero pure i finti tonti, come se lei non sapesse cosa stavano facendo prima che entrasse lei... sul tavolo di Havoc era persino rimasto qualche spicciolo, e un familiare blocchetto nero spuntava malamente da una delle tasche dell’uniforme di Breda.
Prese alcune pratiche che andavano portate in altri uffici e lasciò la stanza, prima che il suo umore peggiorasse ulteriormente.
 
«Se n’è andata?» domandò Havoc. Fuery sbirciò in corridoio e annuì. Il Tenente era già scomparsa all’orizzonte... o meglio, dietro l’angolo più vicino.
«Avete visto com’è di buon umore?» commentò Breda.
«Dunque dite che gliel’ha chiesto?» domandò Fuery, tutto emozionato.
«Sì, e lei ha detto di no.» fece Breda «Piantala di fare la casalinga, Sergente.»
Kain Fuery arrossì, e gli altri uomini risero.
«In ogni caso...» riprese Breda, tirando fuori il libretto delle scommesse «Sgancia, Havoc.»
«4000 cens esatti.» precisò Falman, che teneva conto a memoria di tutti gli importi dovuti, scuotendo la scatola di legno che usavano come cassa.
«Calma, calma, è ancora presto. Potrebbe sempre convincersi.»
Tutti lo guardarono con un’espressione a metà tra il compatimento e lo scetticismo, che diceva: “Ma chi? Hawkeye?”
«Sottotenente» domandò Fuery «come mai ha fatto una scommessa così... improbabile?»
«Perché se vinco mi date più soldi.» Havoc si accese una sigaretta «E poi, magari Catalina insisterà così tanto da farle cambiare idea.»
Falman, colpito in pieno dal getto di fumo, tossì «Perché tenta di ucciderci, Signore?» si lamentò, aprendo la finestra.
«A proposito di Catalina» intervenne Breda con un’espressione furba «noialtri stavamo facendo una scommessa, mi pare.»
«Allora avete già perso.» disse Havoc, tranquillo.
«Non hai intenzione di invitarla?»
«Ma per chi mi hai preso» Havoc radunò tutto il lavoro che aveva fatto quella mattina, che – ahimè! – non sarebbe mai stato abbastanza «Rebecca ha il sex-appeal di un carro armato. No, penso che chiederò a Sylvia, quella bella signorina della sezione archivi...»
«A questo punto la scommessa diventa se riuscirai a trovare qualcuna con cui uscire.» Breda fece qualche segno sull’agendina «Questa la quoto ancora di più di quella sul Tenente e il Colonnello.»
«Spiritoso.»
 
«Che bella faccia che hai oggi, Riza!» la salutò Rebecca, mentre il Tenente si sedeva con l’amica al tavolo della mensa.
«Lascia perdere, Rebecca.» desiderava chiudere l’argomento prima che altre persone si sedessero vicino a loro.
Rebecca tirò fuori il suo miglior tono da rimprovero «Possibile che tu non mi dica mai niente?» disse, esagerando la disperazione sul suo viso «Sei crudele!»
Al di là della curiosità, Rebecca era realmente preoccupata: era raro che Riza mostrasse apertamente il suo malumore.
Quando Riza se ne accorse sospirò, si guardò attorno per assicurarsi che Mary non fosse nei paraggi – era una gran brava ragazza, ma estremamente pettegola – e mormorò: «Il Colonnello mi ha... chiesto di andare al ballo con lui.»
Rebecca la fissò sconcertata, poi scoppiò in una fragorosa risata che quasi la fece cadere dalla sedia.
Riza le intimò il silenzio con un’occhiataccia, ma Rebecca la ignorò «Ed io che pensavo fosse qualcosa di tragico!» esclamò sghignazzando «Beh, è perfetto, no?»
«No, non è perfetto.» scandì Riza «Per niente.»
L’amica la guardò confusa, ficcandosi in bocca il cibo con foga «In tutta onestà non capisco cosa ci sia di così terribile.»
Riza scosse la testa, non rispose e continuò a mangiare.
«Potrebbe essere un’occasione.» Rebecca non sapeva con precisione che cosa ci fosse tra il Colonnello e la sua migliore amica, ma se n’era fatta un’idea piuttosto precisa.
«Un’occasione per cosa, esattamente?»
«Per iniziare ad uscire con lui, mi pare ovvio!» Rebecca alzò gli occhi al cielo. Certe volte non sapeva se Riza la prendeva in giro o se davvero non capiva i sottointesi.
«Non ne ho bisogno.»
«Oh, invece sì!» la contraddisse Rebecca «Quand’è l’ultima volta che sei uscita con un uomo? Intendo uscita sul serio, voi due soli eccetera.»
«Beh, c’è stato il ragazzo del bar, qualche tempo fa...»
«Sì, ci sei uscita una sera e non ci hai combinato niente, per tua stessa ammissione!» esclamò il sottotenente, esasperata «E, se vuoi la mia franca opinione, è perché stai aspettando lui.» fece un cenno con la testa in direzione del Colonnello, che era appena entrato nella sala.
«Non è come pensi.» disse Riza, in tutta sincerità «Davvero. E poi, la vuoi smettere di dare spettacolo?» concluse, guardandola con un sopracciglio alzato.
Ma l’amica non le prestò attenzione e tirò dritta «Adesso lui finalmente ti invita e tu cosa fai? Ti arrabbi. Ma sei impazzita?»
«Rebecca, ma tu sei sicura di aver letto le leggi militari come si deve, quando sei entrata nell’esercito?»
«Certo che l’ho fatto, ma per me il problema non si pone» fece un sorriso malizioso e quasi concentrato «Lo sai che non appena trovo un uomo smetto di lavorare. Perché non puoi fare lo stesso?»
Riza scosse la testa. Rebecca non poteva saperlo, lei non poteva dirglielo e non era colpa di nessuna delle due.
“Prova a indovinare” diceva lo sguardo di Riza, ma Rebecca non aveva bisogno di questo invito: aveva già capito, e il suo sguardo si ammorbidì.
«Riza» disse con una calma che non le apparteneva spesso, quasi con dolcezza «è una serata sola. Vacci e divertiti, sarebbe più strano se non lo facessi. Per una volta nella tua vita, non pensare di fare un torto a qualcuno se sei felice.»
 
Riza tornava quasi sempre nell’ufficio prima che tornassero tutti gli altri, ma quel pomeriggio rientrò più presto del solito e si ritrovò lì, senza neppure sapere bene che cosa ci fosse venuta a fare.
Non avevano portato nessun nuovo rapporto o verbale, perciò si imitò a mettere in ordine quelli vecchi, cosa che non le prese più di cinque minuti.
A questo punto, constatato che davvero non poteva inventarsi qualche altro lavoro, tirò fuori dalla borsa il libro che si era portata dietro.
Sfogliò un paio di pagine, ma frase dopo frase si rese conto di essere infastidita dall’autore, dai personaggi e dalla storia in generale. E dire che non le avevano fatto niente.
Proprio mentre si rassegnava a metterlo da parte squillò il telefono nell’ufficio del Colonnello. Visto che aveva il preciso dovere di rispondere alle chiamate del suo superiore in sua assenza si alzò, quasi riconoscente.
«Ufficio del Colonnello Mustang.» disse nel ricevitore «Posso esserle utile?»
«’Giorno, Tenente!»
«Tenente Colonnello Hughes.» ricambiò il saluto Riza, pensando che era ovvio che fosse lui «A quest’ora sono tutti a mangiare, il Colonnello non c’è.»
«Oh, è così presto? Beh, non importa, lo richiamerò dopo. Nel frattempo do a te questa sensazionale notizia» Hughes fece una pausa ad effetto, prima di esclamare «È nato il primo dentino di Elicia!»
Riza si stupì che dal ricevitore non uscisse un esercito di cuori.
«È fantastico.» commentò Riza con sincerità, poi, sapendo che stava firmando la sua condanna a morte, aggiunse «Come stanno lei e Glacia?»
«Sono così belleee!» rispose Hughes, adorante «Se fosse possibile, direi che migliorano ogni giorno che passa, è sorprendente! La più bella famiglia che si possa desiderare, ma bisogna dire che non stono affatto nel quadretto... lo dicevo io a Roy che Glacia non avrebbe mai mollato un ragazzo come me, e guarda adesso come siamo felici! È davvero una donna speciale, la mia Glacia...» metaforiche cascate di miele che colavano dal telefono e si riversavano in tutto l’ufficio.
«A proposito» Hughes interruppe per un attimo lo sproloquio sulla sua famiglia «Roy mi ha detto che una certa ragazza si è rifiutata di uscire con lui...»
«Non era il caso, Signore. E comunque, a scanso di equivoci, si tratta di un ballo dell’esercito.» era meglio mettere le cose in chiaro, nel caso li stessero intercettando. Non era da escludere, quando si usava una linea militare.
«Ah, lo so. Ma proprio per questo non c’è motivo di essere così rigida: nessuno sospetterà nulla...»
«Ma che dice, Tenente Colonnello Hughes!» nel tono di voce scandalizzato di Riza c’era una nota di ammonimento.
Hughes scoppiò a ridere «Tranquilla, Tenente, non sono al Quartiere. Allora, si può sapere perché non vuoi andare alla festa?»
«Non ho detto che non ci andrò, semplicemente non ci andrò con il Colonnello.»
«Ah, ah, ho capito qual è il problema, Tenente.»
Beh, era ora che qualcuno lo capisse.
«Ti senti in colpa a concederti qualcosa.»
Riza guardò la cornetta con la bocca spalancata, incredula, poi recuperò la voce «Veramente è perchè mi sembra un motivo sciocco, per alimentare pettegolezzi.»
Hughes schioccò la lingua in segno di diniego: «Non è impedendosi di vivere che si onorano i morti, lo sai Hawkeye?»
Riza trasalì.
«Scommetto che saresti contenta di andare alla festa con Roy.»
«Ad una certa età bisogna accettare che non sempre si può quello che si vuole.» disse Riza con voce dura, buttando lì una frase di convenienza per troncare l’argomento.
«In questo caso sì, però.» insistette Hughes «Hanno abolito le formalità?»
«Sì, ma...»
«Avete mai infranto la legge?»
«No, ma...»
«Allora basta, non c’è nient’altro da dire. Tu puoi, e nessuno ha il diritto di dirti il contrario. L’unico ostacolo sei tu, Tenente.» disse l’uomo, con gentilezza ma con forza, come se stesse affermando una delle verità fondamentali dell’universo, poi urlò «Glaciaaa! Diglielo anche tu a Riza che dovrebbe uscire con Roy.»
Riza sentì dall’altro capo del filo un soffocato: «Tesoro, lascia che sia lei a decidere. Non stressarla.»
Cara Glacia, che non metteva mai in imbarazzo le persone.
In quel momento Riza sentì dei suoni, o meglio delchiasso provenire dall’altra stanza, segno che il resto della squadra era tornato.
«Devo salutarla, Signore, devo tornare al lavoro.»
«Oh, allora richiamerò più tardi. Devo ancora raccontare a Roy...»
«Sicuramente» lo tagliò Riza «ma sappia che non gli concederò più di mezz’ora, altrimenti non farà il suo dovere.»
Fece appena in tempo a mettere giù la cornetta che Roy entrò.
«Chi era?» chiese.
«Il Tenente Colonnello Hughes.»
Roy fece un sospiro rassegnato «Cos’ successo? Glacia ha comprato un nuovo vestito che le sta d’incanto?»
«No, ad Elicia è spuntato il primo dentino, ma sono sicura che le racconterà più profusamente quando richiamerà.»
«Tu invece hai cambiato idea?» domandò Roy come se stesse parlando del tempo, guardando fuori dalla finestra.
«A dire la verità sì.»
Riza vide il riflesso del Colonnello nel vetro spalancare gli occhi e sorrise tra sé e sé. Visto che tutti insistevano così tanto poteva fare loro questa concessione.
Roy si voltò, con un po’ del suo contegno recuperato.
Riza stava lì, e non aveva assolutamente l’aria di una che avesse ceduto, anzi: nei suoi occhi c’era quella sorta di solida fierezza che la accompagnava sempre.
«Sei sicura?» domandò il Colonnello, senza poterselo impedire.
Riza annuì «Ho deciso che non c’è alcun motivo valido per cui io non debba andare alla festa con lei, visto che è stato il primo a chiedermelo.»
Roy stava per chiederle che diavolo le fosse successo, ma si morse la lingua: era meglio non sfidare la fortuna.
Non poté però impedirsi di provocarla almeno un po’ «E con le voci di corridoio come hai intenzione di fare?»
«Se non accettassi la gente si domanderebbe il perché.»
Roy la guardò ancora con un filo di sospetto, poi, inaspettatamente, sorrise.
Raramente il Colonnello faceva quel sorriso così semplice, che non era né storto né beffardo né di superiorità, e Riza per un attimo pensò che valesse la pena di accompagnarlo anche solo per vederlo.
«Passerò a prenderti alle otto, allora. Trovati un bel vestito.»
«Sarà fatto.»
Ma per quanto Riza potesse cambiare i suoi piani o rivedere le sue opinioni, un nocciolo duro dentro di lei resisteva e non faceva sconti: qualunque cosa avesse fatto l’avrebbe fatto bene, e soprattutto l’avrebbe fatto a modo suo.
 
Quando il Colonnello si presentò sotto casa del suo Tenente alle otto in punto si aspettava di vederla scendere senza un filo di trucco per ripicca nei suoi confronti, e magari di doverla pregare per tutto il viaggio in auto perché si sciogliesse i capelli.
E sicuramente sarebbe arrivata con un vestito semplice che le sarebbe stato benissimo addosso, mentre lui avrebbe voluto qualcosa che avrebbe fatto voltare tutta East City al suo passaggio.
Lei meritava che tutti la vedessero... e poi Roy era un megalomane e voleva farci una gran figura, bisognava dirlo.
“Probabilmente farà di tutto per non ballare” pensò con una leggera irritazione e allo stesso tempo con affetto.
Perciò quando il portone si spalancò e lei uscì, Roy Mustang, l’Alchimista di Fuoco, rischiò di strozzarsi con la sua stessa sorpresa.
«Tutto bene, Colonnello?» fece Riza mentre apriva la porta, notando che il suo superiore pareva aver avuto una sincope.
«Per fortuna non stavo guidando, altrimenti mi avresti avuto sulla coscienza.» replicò Roy, facendo scivolare uno sguardo di apprezzamento sulla ragazza.
«Non sia sciocco, Signore.» lo redarguì lei, severa ma con un tono abbastanza gentile da farlo sorridere mentre si concentrava sulla strada e metteva in moto.
«Da dove arriva quel vestito rosso?»
«Me lo ha regalato Rebecca al mio ultimo compleanno.»
Questo Roy lo sapeva, quello che voleva capire era il motivo per cui lo aveva messo.
«E i capelli?»
«I capelli li ho sempre avuti, Colonnello.» Naturalmente. Era tipico di Riza dare una risposta del genere.
«Lo sai cosa intendevo.»
«Quando non lavoro li lascio sempre sciolti.» mosse gli occhi verso di lui pur mantenendo il viso girato verso la strada, il suo profilo scolpito contro il finestrino «È stato lei a dire che col lavoro non c’entrava nulla.»
«Non mi sto affatto lamentando.» chiarì Colonnello con quel sorriso sghembo e affascinante che su Riza non funzionava mai «Solo che mi aspettavo che ti presentassi con il tuo solito rigore, tutto qui.» si girò per un attimo verso di lei «È una cosa che avresti fatto.»
Riza accennò una risata a labbra chiuse, un po’sbuffata «È vero, però se devo andare a un ballo lo faccio come si deve.»
Roy sospirò «Non volevo che per te fosse una costrizione.»
Riza scosse la testa «No, avete ragione voi, tutti quanti.» abbassò la voce e guardò fuori dal finestrino la strada e i lampioni. E le loro ombre. «Martirizzarmi sarebbe un insulto.»
Roy trattenne il respiro, poi si voltò verso di lei nello stesso momento in cui lei si voltava verso di lui.
«Sì, anche io la penso così.» disse Roy.
Posarono le mani sul sedile, il Colonnello e il Tenente, fra di loro, a pochi centimetri l’uno dall’altra.
In qualsiasi storia che si rispetti quella sarebbe stata la scena clou della vicenda, ovvero quel meraviglioso momento in cui due persone non sanno se prendersi la mano o meno. Vorrebbero, ma nessuno dei due sa cosa succederà, se verrà rifiutato oppure no, e allora stanno lì con il cuore a mille e il respiro a zero. E alla fine, per una strana alchimia di sentimenti, idee, pensieri e tempismo si prendono la mano contemporaneamente.
Ma la loro storia in particolare non era un granché rispettosa dei suoi protagonisti, e così Roy e Riza – che pure sapevano che l’uno avrebbe sempre accettato la mano dell’altra – per ironia della sorte non potevano toccarsi nonostante ne avessero un disperato bisogno.
Rimanevano in silenzio, posando i palmi sul sedile, a lasciare che l’altro capisse quello che non si doveva né dire né dimostrare.
Quel gesto era il loro gesto, quello di quando avrebbero voluto prendersi per mano e non potevano.
«Tuttavia» riprese Riza come se nulla fosse «tutte le volte in cui avrò qualcosa di importante da fare o quando ciò si rivelasse...» gettò un’occhiata a Roy e constatò che quel completo gli stava davvero alla perfezione «...sconveniente, non lascerò spazio al divertimento. Del resto, checché ne dica il resto del mondo, lo fa anche lei.»
Roy, a sorpresa, ridacchiò «Non mi aspettavo di meno!» la risata cessò, i suoi lineamenti si rilassarono in un’espressione quasi pacata «Non saresti tu, altrimenti.»
«Suona quasi come un complimento.»
«Lo è.» c’era ammirazione nella sua voce «E sei anche una donna testarda, perciò come al solito gestirai la tua vita in un modo a cui non avrei mai pensato.»
Riza alzò leggermente le sopracciglia per la sorpresa, poi si ricompose e fece un sorrisetto, appoggiandosi al finestrino e cercando di vedere se quella sera c’erano le stelle.
Ma certo. Lui lo sapeva, che Riza non si sarebbe mai lasciata andare a meno che non si fosse lasciata andare da Riza.
E valeva la pena di tentare questo nuovo modo di fare, da quel momento in avanti.
 
Il ballo era iniziato, Havoc si lamentava perché non aveva trovato un’accompagnatrice, Breda si era attaccato al tavolo dei rinfreschi mentre Falman gli elencava tutte le malattie che derivavano da un alto tasso di colesterolo nel sangue e Fuery parlava educatamente con la giovane bersagliera che aveva accettato di accompagnarlo.
La musica attraversava la sala come un’onda che infrangendosi contro le tende di velluto alle finestre sembrava quasi solida e tutto era, semplificando le cose, normale.
Fu in quel momento che fece il suo ingresso il Colonnello Mustang. E il Tenente Hawkeye al suo braccio. O meglio, quella che tutti realizzarono essere il Tenente Hawkeye solo dopo aver sbattuto un considerevole numero di volte gli occhi.
Breda si rovesciò addosso lo champagne. Havoc lo sputò direttamente.
Fuery e la sua dama si voltarono simultaneamente verso la porta e così fecero gran parte delle persone nella sala, che divenne presto gremita di gesti abbandonati a mezz’aria.
Persino l’orchestra, che non aveva ben capito cos’era successo ma aveva visto tutti bloccarsi, perse una battuta.
«Beh, che avete tutti da guardare?» fece il Colonnello con noncuranza all’indirizzo dei suoi subordinati, mentre tutti gli astanti si riprendevano dalla sorpresa e tornavano alle loro faccende «Ve l’avevo detto che avrei portato al ballo la più bella ragazza di East.»
Riza gli scoccò un’occhiataccia tale che il resto della squadra si chiese se per caso lui non l’avesse ricattata in qualche modo. Ma Riza Hawkeye non sembrava ricattabile, perciò il Colonnello doveva averle promesso di finire il lavoro burocratico in netto anticipo per tutto il mese.
«Toh, guarda, hanno già iniziato.» riprese Roy, guardando la pista su cui si andavano formando le coppie «Mi concede questo ballo, Tenente?» fece galante.
Se Riza era imbarazzata non lo diede a vedere, e anziché tirare fuori una calibro nove e sparare al suo superiore, come gli uomini si aspettavano che facesse, accettò la sua mano e si incamminò con lui verso la pista da ballo.
Breda, ancora davanti al tavolo dei panini, guardò con interesse la scena.
Aveva sempre avuto la convinzione che il Colonnello ballasse bene, ma non aveva idea di cosa aspettarsi dal Tenente.
Vide Mustang fare un breve inchino ad Hawkeye, poi la musica iniziò e Breda prese un voul au vent al salmone.
Fino a quel momento la maggioranza delle coppie si era limitata a dondolarsi sul posto, a parte qualcuno più bravo che era riuscito a non sembrare impacciato. Tutti comunque avevano dovuto lottare con la scarsa dimestichezza che avevano col partner.
Il Colonnello e il Tenente, invece, sembrava che ballassero insieme da una vita.
Breda ripensò a quando andavano in missione, al modo in cui interpretavano con precisione millimetrica i gesti dell’altro, alla fluidità dei loro movimenti l’uno in funzione dell’altra. Uno sparo, uno schiocco, un passo qui, uno lì.
Forse, pensò, era davvero così: ballavano insieme da sempre.
Si era creato un buco in mezzo alla pista e loro, loro due soli, ballavano al suo centro. Heymans gettò una rapida occhiata al resto della sala e negli spettatori più attenti riconobbe quella che doveva essere anche la sua espressione.
Avrebbero dato tutti i cens che avevano in tasca per sentire che cosa si stavano dicendo quei due.
 
«Non sei cambiata affatto.» disse Roy a Riza quando, dopo averla fatta volteggiare lontano da sé, la riprese tra le sue braccia.
«Tu invece mi sembri un po’ arrugginito.» replicò lei, prima di lasciarsi inaspettatamente cadere all’indietro. Lui la afferrò subito per la vita. Casquè.
«Non direi.» le sussurrò.
Lei sorrise.
«Ti stai divertendo?» le chiese lui, raddrizzandosi e portandola con sé.
Lei per qualche tempo non rispose, e in quel tempo ci fu solo musica. Guardava lontano, come se stesse seguendo con gli occhi un pensiero che piroettava per la sala. Roy non disse niente ed aspettò.
All’improvviso lei piantò su di lui i suoi occhi grandi, seri e disse, quasi con rimprovero: «Quand’è l’ultima volta che hai sentito di essere vivo?»
Lui tacque, ma non distolse lo sguardo.
«Lo so.» aggiunse lei, continuando a guardarlo con quegli occhi grandi, seri e tristi. Lo sapeva. Anche lui come lei fuggiva dalla vita, solo che la sua era una finzione costruita con impegno, quasi simile alla realtà. Quasi.
Roy Mustang giocava a vivere, e come tutti i giochi era solo per finta.
Lo sapevano bene tutti e due, lui sapeva che lei sapeva e lei sapeva che lui sapeva che lei sapeva. Insomma, entrambi sapevano tutto, e il fatto di dirlo ad alta voce l’aveva in qualche modo reso più concreto e più miserevole.
«Dovrei essere soddisfatta.» sì, avrebbe dovuto essere soddisfatta del fatto che neanche lui riuscisse ad andare avanti, del fatto che neanche lui avesse dimenticato i loro errori, le atrocità che avevano commesso. Eppure non lo era, perché avrebbe voluto vederlo sorridere lo stesso, e stare bene, ed essere sereno.
«Ma non lo sei.» Roy fece eco ai suoi pensieri.
«No.»
«Allora hai capito.»
Rimasero in silenzio per un po’, poi Roy, senza staccare un attimo gli occhi da quelli di Riza, sorrise e le disse: «Ce la faremo.»
Lei sorrise di rimando «Sì.»
Non c’era bisogno d’altro.
La prese per mano e la portò in una nuova canzone, lontano per una notte dagli incubi che loro stessi avevano disegnato.
Per una sera fecero finta assieme, finsero di dimenticare chi erano. E quella sera furono felici.
 
«Cosa sono quelli?» domandò il Colonnello Mustang entrando in ufficio un paio di giorni più tardi.
«Quelli cosa, Signore?» disse di rimando il Tenente Hawkeye, con aria perfettamente ignara.
«I fiori sulla tua scrivania, Hawkeye!»
«Ah, quelli.» Riza alzò le spalle, come se la cosa non le importasse poi molto «Dovrò trovargli un vaso.»
«Servirà ben più di un vaso, visto quanti sono.» commentò Havoc squadrando l’immane cumolo di rose, gigli e iris, senza rendersi conto del fatto che le sopracciglia del suo superiore si stavano avvicinando pericolosamente.
«Ad ogni modo, che storia è questa?»
«Non mi dica che non se n’è accorto, Colonnello.» rispose Breda, mentre riordinava gli schedari, mostrando scarso interesse per l’intero discorso.
«Dal giorno del ballo il Tenente Hawkeye ha un sacco di ammiratori!» esclamò il Sergente Fuery, in qualche modo con una punta di entusiasmo «Continuo a sentire di gente che vuole invitarla a cena...»
Roy era assolutamente calmo, eppure anche i suoi ignari subordinati percepivano una certa aura di minacciosità provenire da lui.
«Molto bene. Si assicuri di trovare al più presto un posto dove metterli, Tenente.»
Roy lasciò cadere il discorso e si sedette alla sua scrivania, passando l’ora seguente a gettare occhiate agli ingombranti omaggi floreali quando nessuno lo stava guardando. Ad un certo punto si alzò e finse di controllare un paio di carte sulla scrivania di Riza, mentre leggeva di nascosto i biglietti sui mazzi e i nomi dei pretendenti di Riza si imprimevano a fuoco nella sua memoria.
«Che sta facendo, Signore?» domandò la ragazza, notando che il suo superiore continuava ad inclinare la testa di lato o a fare gesti inconsulti, come muovere i fiori con un gesto troppo ampio della mano.
«Nulla, nulla.» disse il Colonnello, raddrizzandosi «Devo andare dal generale.»
Detto questo spalancò la porta e uscì. Un mazzo di rose rosse. Sì.
Un enorme mazzo di rose rosse, anonimo. Perfetto...
Però a Riza piacevano le margherite, conoscendola avrebbe preferito qualcosa di meno ingombrante e meno sofisticato... magari poteva mandarle un mazzo di rose in ufficio e uno di margherite a casa. Sì, così poteva andare...
Mark, Andrew, Pierre... quei nomi facevano da sottofondo ai suoi pensieri come quei motivetti assurdi che ti si attaccano al cervello e rimangono lì per il resto della giornata.
L’alchimista di fuoco strinse più forte il guanto dentro alla sua tasca. Giusto nel caso gli fosse venuta voglia di incenerire qualcuno strada facendo...
Qualche metro più indietro, nell’ufficio, Riza Hawkeye continuò a leggere il rapporto.
«Gliel’avevo detto.» mormorò tra sé e sé, di buon umore «Quando faccio una cosa la faccio bene.»







NOTE FINALI (quanto mi sono mancate queste note?): In teoria questa FF potrebbe essere inserita nell'headcanon di "Pull the trigger", in pratica il tono mi sembra diverso... ma in fondo la storia ci può stare, è solo una questione di come la si racconta. La mia soddisfazione nei riguardi di questa storia è andata aumentando, passando da bassissima a modesta. Quando è arrivata a questo livello ho capito che di più non riuscivo a fare e l'ho tirata fuori dal cassetto. Spero di avere le vostre opinioni e di capire se c'è del bbbuono e gggiusto in questa ff o se c'è davvero qualcosa che non va.
Quando Roy dice "allora hai capito" si riferisce al fatto che anche lei si sente come si sente lui, ovvero non vuole che lui soffra come lui vuole lo stesso per lei. Riza ha capito che il motivo per cui Roy ha insistito così tanto perchè lei uscisse è perchè non sopporta di averla condannata ad una esistenza dolorosa, e la stessa cosa naturalmente vale per lei nei confronti di Roy. Ho specificato perchè non sempre i miei collegamenti mentali sono immediati e ho la sensazione di complicare le cose a chi legge. Mi auguro che sia passato comunque il contenuto tutto sommato scherzoso e il messaggio di speranza (detta così sembro il papa, ma insomma avete capito). Spero che per il resto sia tutto chiaro, nel caso non lo fosse potete scrivermi. Comunque se mi viene in mente qualcosa da aggiungere edito ;). Au revoir (ho usato un sacco di parole francesi in questa pagina...)


P.S: Naturalmente mi sono dimenticata di tradurre la citazione. Sono un po'di corsa per cui vi prego di perdonare (e di segnalarmi) gli eventuali errori di traduzione:
"Cerco una donna con la testa dura
Una che mi faccia fre del mio meglio
Se trovassi la mia donna dalla testa dura
Non avrei bisogno di nessun altro.
[...]
Conosco molte brave ballerine
Che ti porterebbero volentieri sulla pista da ballo
Sanno le mosse,
Ma non hanno risposte."
   
 
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