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Autore: _hurricane    07/04/2012    97 recensioni
Quando Blaine viene assunto da un ricco signore per dare ripetizioni a suo figlio, non sa ancora che la sua vita cambierà.
Non sa ancora che conoscerà un ragazzo misterioso e bellissimo, la pelle bianca come la neve e troppo fragile per sopportare i raggi del sole. Non sa ancora che si innamorerà di tutti i segreti nascosti nell'abisso dei suoi occhi azzurri.
Questa è la storia di Kurt e Blaine, e di come si sono amati.
"Preoccuparsi della vita di Kurt, del dolore che si nascondeva dentro i suoi occhi, lo aveva fatto sentire per la prima volta come se avesse una missione, un motivo per cui svegliarsi ogni mattina. Ma allo stesso tempo, gli aveva fatto capire chiaramente che prima questo motivo non c’era, e non era un bene.
Non era forse un rischio, un rischio inutile, quando poteva benissimo vivere sereno tra le mura accoglienti della Dalton e lasciare quel ragazzo allergico al calore del sole ai suoi problemi, alla sua vita? Lasciare che passasse il resto dei suoi giorni nel buio, ma quello del cuore e dell’anima?"
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Come sempre, quando finisco una storia è come se mi staccassi un pezzetto di cuore per lasciarlo qui, e questo epilogo non fa eccezione. Spero così tanto che vi piaccia, non avete idea.

Ci rivediamo a fine capitolo, buona lettura e beh... fazzoletti pronti!

Questo è l'epilogo di Let Me Be Your Sun.

 


 

 

 

Il vero amore non lascia tracce
Se tu e io siamo una cosa sola
Si perde nei nostri abbracci
Come stelle contro il sole.

- Leonard Cohen

 


Blaine si svegliò lentamente, rigirandosi tra le lenzuola, finchè non si accorse del fatto che la sua sveglia segnava le undici. Era domenica, quindi poteva concedersi di non chiudersi nel suo studio per lavorare alla colonna sonora che gli era stata commissionata; ma c’era una cosa importante che voleva far vedere a Kurt da molto, moltissimo tempo, e aveva deciso che quello sarebbe stato il giorno giusto.

Si stiracchiò leggermente e si voltò, sorridendo teneramente alla vista di capelli castani arruffati e appiattiti in più punti in contrasto con il bianco del cuscino. Kurt era voltato dall’altro lato e dormiva a pancia in giù come sempre, la sua schiena che si alzava e si abbassava con regolarità.

“Kurt” sussurrò Blaine, allungando una mano per scuoterlo leggermente per la spalla. “Kurt, svegliati.”

“Mmm?” mormorò Kurt, allontanandosi di qualche centimetro e seppellendo ancora di più la testa nel cuscino. Blaine si trattenne dal ridere e lo scosse ancora.

“Svegliati, voglio farti vedere una cosa importante.”

Kurt sembrò colpito dal suo tono solenne e lentamente si voltò, ruotando su se stesso e sbattendo le palpebre per scacciare via il sonno. Alzò una mano per strofinarsi gli occhi e poi guardò Blaine, un piccolo sorriso che crebbe naturalmente sul suo volto.

“Va bene” disse con voce assonnata, e Blaine si avvicinò per baciarlo teneramente sulla fronte prima di scendere dal letto e andare in bagno per lavarsi e vestirsi.

“Ora puoi andare tu, io preparo la colazione” disse quando uscì qualche minuto dopo, e Kurt, seduto sul letto con la schiena contro il cuscino, annuì nella sua direzione prima di ruotare le gambe verso il bordo e scendere dal letto.

Quando raggiunse Blaine nella loro piccola ma accogliente cucina, l’aspetto vagamente rustico in abbinamento allo stile della casa, lui aveva già apparecchiato la tavola e preparato latte caldo per Kurt e un cappuccino per lui. C’erano anche vari tipi di marmellata, fette biscottate e pancakes.

“Adoro i pancakes” mormorò Kurt quasi eccitato mentre si sedeva al tavolo, afferrando una forchetta per prenderne almeno tre in una volta dal vassoio centrale e spostarli sul piatto vuoto che aveva davanti. Blaine lo osservò con la coda dell’occhio mentre sistemava la caffettiera al suo posto dietro il bancone, per poi raggiungerlo e unirsi a lui per la colazione.

“Allora, sei curioso?” gli chiese quando stavano ormai per finire, alzandosi per riordinare tutto.

“Moltissimo” rispose Kurt, asciugandosi la bocca con un fazzoletto e poggiandolo poi sul tavolo. Rivolse a Blaine un grande sorriso e lui lo ricambiò con calore, gli sguardi incatenati per un attimo. Una volta sistemato tutto, si presero per mano e si diressero verso la porta d’ingresso.

Era una calda giornata estiva, con il sole che splendeva alto nel cielo azzurro totalmente privo di nuvole, e si potevano persino sentire gli uccelli cantare tra le fronde degli alberi. L’acqua del laghetto quasi brillava sotto tutta quella luce, sembrando praticamente immobile a causa del vento troppo debole e l’aria afosa, seppur abbastanza sopportabile.

Blaine condusse Kurt al di là della porta e insieme scesero giù per i gradini di legno che dal portico conducevano direttamente sul prato del giardino, a pochi passi dallo specchio d’acqua chiara. Kurt si schermò il viso con un braccio in attesa che le sue pupille si abituassero alla luce, continuando a camminare al fianco di Blaine che silenziosamente gli fece fare il giro della casa fino ad arrivare sul retro, per poi incamminarsi in linea retta verso una zona alberata più appartata, al limite estremo del muretto che delimitava la loro proprietà.

C’era una serie di alberi che creavano una specie di semicerchio, una sorta di radura artificiale, intima e tranquilla. Quando finalmente si trovarono davanti ad essa, si fermarono e rimasero per qualche secondo in silenzio. Kurt sentì la mano di Blaine farsi più forte e sicura sulla sua, e quando si voltò per guardarlo si accorse che stava fissando un punto preciso davanti a sé, le labbra serrate. Seguì silenziosamente il suo sguardo e rimase a riflettere, cercando di capire. Alla fine, fu costretto a chiedergli spiegazioni, troppo incuriosito da ciò che aveva davanti.

“Papà, perché c’è scritto il mio nome su quella pietra?”

Blaine accennò un sorriso e abbassò lo sguardo su di lui, prima di inginocchiarsi in modo da poter essere alla sua stessa altezza. Gli prese entrambe le mani e lo fissò con intensità, in un modo in cui non lo aveva mai guardato.

“Perché quello è il nome dell’altro tuo papà” gli disse, e Kurt inclinò la testa con curiosità e arricciò le labbra.

“Ho un altro papà?” chiese, la voce leggermente acuta per l’incredulità di fronte ad una notizia del genere. Non credeva che si potessero avere due papà: conosceva dei bambini che ne avevano uno soltanto, come lui, ma nessuno che ne avesse due.

“Sì” disse Blaine, sorridendo di fronte alla sua ingenua meraviglia. “Ho aspettato che tu fossi abbastanza grande per dirtelo, altrimenti non avresti capito.”

“Oh… e dov’è?” chiese allora Kurt, guardandosi intorno come se l’uomo misterioso avesse potuto sbucare da dietro un albero da un momento all’altro. L’espressione di Blaine si rattristò leggermente, ma nel giro di un secondo si ricompose e gli lasciò una mano per accarezzargli una guancia.

“Lui è una persona molto speciale. Lo si può vedere soltanto di notte” disse, strofinandogli lo zigomo con il pollice. Kurt sembrò pensieroso per un attimo.

“Come l’uomo nero?” disse, il tono quasi ansioso e preoccupato. Blaine sorrise e scosse il capo.

“No, non come l’uomo nero. Come una stella.”

Kurt si ritrasse e assunse un’espressione stupita, ripetendosi nella mente quello che aveva appena sentito.

“Vuol dire che brilla come loro?” chiese in tono speranzoso, l’incredulità palese nella luce dei suoi occhi chiari. Somigliavano tanto a quelli di Kurt come colore, ma neanche lontanamente come intensità. Forse avevano semplicemente poche esperienze alle spalle, poche emozioni e storie da raccontare. Ma un giorno avrebbero fatto innamorare qualcuno. Blaine lo sapeva.

“Sì, esatto” gli disse annuendo, lasciando il suo viso per prendergli di nuovo la mano. Alzò gli occhi verso il cielo e poi li chiuse, il calore del sole che quasi pizzicava sulla pelle in modo vagamente piacevole. Quando li riaprì, sospirò e tornò a guardare Kurt, che sembrava come in attesa di sentire dell’altro mentre lo osservava rapito. Blaine sbattè le palpebre e guardò per un attimo in direzione della radura, prima di riportare di nuovo gli occhi su suo figlio.

“Stanotte te lo farò conoscere. Lui è una stella, Kurt.”

 


 

Quella notte, mio padre mi portò davvero a conoscere Kurt. Mi condusse di nuovo in giardino, ma questa volta davanti casa, e mi disse di stendermi accanto a lui proprio al di sotto della collina, tra il pendio e il lago, per poi alzare gli occhi e guardare il cielo.

Io mi meravigliai di fronte alla miriade di astri che c’erano, accentuati dalla quasi totale assenza di luci in giardino e dal fatto che la casa fosse molto isolata, ma mi domandai come avrei fatto a riconoscerlo tra tante. Sembravano tutte uguali, erano come puntini di luce disegnati sopra un grande foglio nero per me, e per un attimo mi sentii perso.

Ma poi un bagliore particolare catturò la mia attenzione, e smisi di vagare con lo sguardo per concentrarmi su una stella ben precisa. Mio padre si accorse della mia espressione concentrata e alzò per un attimo il viso verso il cielo, prima di sorridere e tornare a guardare me.

“Lo vedi?” chiese in un sussurro, e io annuii silenziosamente, incapace di distogliere lo sguardo.

“E’ proprio bello” dissi quasi rapito, sorridendo ampiamente. Con l’ingenuità tipica di un bambino, ero felice di essere l’unico al mondo a poter avere un papà che splendeva nel cielo, e anche se non lo potevo toccare né vedere da vicino, in quel momento, inspiegabilmente, la cosa non mi fece soffrire.

“Sì, lo è” sussurrò mio padre, la voce lievemente incrinata dall’emozione.

Ci vollero un paio di anni per rendermi conto che l’assenza di Kurt, oltre ad implicare il fatto che fosse una stella, significasse anche che un tempo era stato di certo umano e che era scomparso prima che io nascessi. Ero troppo piccolo, all’epoca, per capire il vero significato di una pietra con un nome e delle date incise sopra. Quando lo capii, fu a causa di un film che stavamo vedendo insieme alla televisione in cui ad un certo punto la protagonista andava a lasciare dei fiori su una tomba al cimitero, prima di inginocchiarsi su di essa e piangere.

Mio padre si irrigidì sul divano accanto a me e si affrettò a prendere il telecomando per cambiare canale, ma prima che potesse riuscirci io gli chiesi: “Quindi papà è morto?”

Lui esitò per un attimo, chiudendo gli occhi ed inspirando, e alla fine si voltò verso di me e mi fissò intensamente.

“Sì” disse, prendendomi la mano.

“Allora mi hai detto una bugia, non è una stella!” esclamai, cercando di ritrarmi, ma lui la tenne stretta e me lo impedì.

“No, non era una bugia. Non ti ricordi? Lo hai anche visto” mi disse con disarmante ovvietà, e ancora oggi mi provoca una fitta al cuore pensare che non lo disse soltanto per convincermi, che non era una scusa inventata per rendere le cose più facili, perché lui ci credeva davvero e so che ci crede tutt’ora. So per certo che di notte, quando il suo compagno Richard dorme profondamente nel loro letto, sgattaiola fuori e alza gli occhi verso il cielo come faceva sempre negli anni in cui abitammo nella piccola casa che mio nonno Burt aveva fatto costruire per loro.

Ora ci vivo soltanto io, perché non avrebbe mai potuto condividerla con un’altra persona. Conosco bene Richard, ovviamente: è una brava persona, dolce e gentile, lo ama molto. Credo che anche lui lo ami.

Me lo domando, a volte; mi domando se possa davvero farlo, se creda di farlo, o se sappia che non è così ma allo stesso tempo sappia anche che questo è il massimo che potrà mai dare ad un altro uomo. Ma so che è felice, glielo leggo negli occhi quando vado a trovarlo a New York. So che ha mantenuto la sua promessa, nonostante tutto.

Ma mentirei se dicessi che è andato davvero avanti, perché ama ancora Kurt. Me ne accorgo quando ne parla, anche se lui crede che non si noti; mi accorgo di come i suoi occhi si illuminano e allo stesso tempo sembrano improvvisamente offuscati, persi in un tempo che io ho potuto conoscere soltanto dal diario che mi ha fatto leggere quando sono diventato abbastanza grande da capire.

Mi ha anche insegnato a dipingere e a suonare il piano come lui, mi ha fatto vedere i quadri rimasti che non ha mai avuto il coraggio di vendere e la quantità infinita di spartiti musicali che Kurt ha lasciato sparsa disordinatamente sulla sua scrivania, e che né mio padre né mio nonno hanno mai riordinato. E’ tutto ancora lì, dopo tutti questi anni. Il suo rifugio, il suo piccolo santuario, sembra intatto. Certe volte ci vado, mi chiudo la porta alle spalle e immagino Kurt dipingere sulla tela, e mio padre che lo guarda dalla soglia proprio dove mi trovo io.

Lui dice sempre di avermi scelto perché gli ricordavo Kurt. Mi adottò pochi mesi dopo la sua morte, scegliendomi tra tanti bambini lasciati all’ospedale da madri troppo giovani e inesperte per prendersi cura di loro, con l’intento di sentirsi meno solo, di colmare il vuoto del suo cuore, e di trovare un altro essere umano a cui poter donare tutto l’amore che aveva ancora in corpo per evitare che andasse sprecato, perché Kurt non avrebbe mai voluto che succedesse.

Dice di essersi fermato di fronte al vetro, avervi appoggiato sopra le mani, ed essere rimasto a fissarmi. Dice che i miei occhi hanno brillato, e chissà, forse è stata soltanto un’illusione ottica provocata dalla luce artificiale e biancastra della stanza in cui mi trovavo, è impossibile da dire. Ma anche dopo tanto tempo, mi dice ancora che glielo ricordo in tante cose, anche se non gli somiglio molto.

Avrei voluto tanto conoscerlo. Certe volte mi siedo sul letto, apro il comodino e tiro fuori il loro diario per rileggere qualche pagina, chiudo gli occhi e vi passo sopra le dita immaginando Kurt a scriverci sopra. C’è ancora il segno di qualche lacrima sbiadita, sulle pagine scritte in quel breve periodo in cui si lasciarono.

Credo sia per questo che mio padre mi abbia regalato il diario, perché spera che possa colmare il vuoto provocato dalla sua assenza. O forse lo ha fatto semplicemente per impedire a se stesso di rileggerlo all’infinito. So che ha tenuto l’album di fotografie, al quale nel corso degli anni lui e Kurt aggiunsero quelle del matrimonio e poi tante altre ancora; in fondo, il suo compagno sa che è stato sposato e non è così strano che lo abbia tenuto, mentre forse lo farebbe soffrire leggere parole così piene d’amore, e mio padre non vuole che lui soffra.

Devo dire che le mie pagine preferite sono quelle successive al matrimonio, quando a poco a poco entrarono in una sorta di calma e tranquilla routine ma continuarono ad amarsi come fosse il primo giorno, come due ragazzini incoscienti. Anche a distanza di anni, Kurt scriveva ancora che il sorriso di Blaine era più luminoso del sole e Blaine scriveva ancora che gli occhi di Kurt erano profondi come l’oceano. Nonostante vivessero insieme, alternavano i giorni in modo da poter scrivere a turno le loro sensazioni, creando piccole lettere che non avrebbero mai dovuto spedire e che si accumularono a poco a poco.

So cosa state pensando adesso. Vi state chiedendo cosa c’è scritto sull’ultima pagina. Vi state chiedendo che cosa ha scritto Kurt sapendo che mancava poco, e cosa ha risposto Blaine, e come si sono detti addio. Ma il bello è che non lo hanno fatto, non si sono detti mai addio.

L’ultima pagina l’ha scritta mio padre la mattina del trentesimo compleanno di Kurt. Nei pochi mesi successivi, nessuno dei due scrisse.

 


Ti sto guardando dormire, come al solito te la prendi comoda. Potrei anche convocare una banda musicale per svegliarti a suon di tamburi, ma tu ti limiteresti a voltarti dall’altro lato e grugnire nel sonno. A proposito, mi hai appena dato un calcio. Inizio a pensare che tu mi legga davvero nel pensiero, persino mentre dormi.

Sei bello come allora, lo sai? Come quella notte sulla riva del lago, come quella in cui ti ho baciato per la prima volta, come quella in cui ti ho sposato. Sei perfetto.

E se fossi sveglio adesso, mi daresti una gomitata e mi diresti di smetterla di ripeterlo, e io alzerei le spalle e direi di non poterne fare a meno, perché lo sei.

Chissà se mi stai sognando adesso. Spero di si, perché stai sorridendo ad occhi chiusi. Magari dopo mi racconterai cosa stai sognando e scoprirò che non ha niente a che vedere con me. Quindi se leggi questa pagina prima che io te lo chieda, puoi sempre mentire e dire che c’ero io nei tuoi pensieri, d’accordo? Anche se me ne renderò conto farò finta di non saperlo!

Oh, quasi dimenticavo… buon compleanno, amore mio.

 


Ancora adesso mi chiedo cosa stesse sognando Kurt quella mattina, ma non lo chiederò mai a mio padre, non lo saprò mai. Mi piace pensare che stesse sognando lui, comunque.

Avrei voluto conoscerlo, davvero. Ma quando mi capita di leggere il diario, o di guardare il cielo di notte, penso ingenuamente che forse, in qualche modo, è come se lo avessi fatto.

Mi ha insegnato tante cose, anche se lui non lo sa. Mi ha insegnato ad apprezzare quello che ho, a sfruttare il tempo, e soprattutto, mi ha insegnato che l’amore sconfigge tutto. Perché non può essere altrimenti, se mio padre prende un aereo almeno una volta al mese per tornare qui e venirlo a trovare e ogni volta, ogni volta, gli dice che lo ama e che non lo ha mai dimenticato proprio come ha promesso tanto tempo fa, quando Kurt gli ha chiesto di tenere da parte per lui almeno un pezzo del suo cuore.

Francamente, credo che tutto il suo cuore sia di Kurt. Non so se si possano amare due persone contemporaneamente; forse ci sono semplicemente tipi diversi di amore. Forse quello che prova per Kurt è diverso da quello che prova per Richard, senza che le cose entrino in competizione.

Ma penso che al di là di tutto, la cosa più importante è che sia riuscito a sfruttare ogni attimo proprio come voleva, altrimenti non potrebbe vivere come vive adesso, senza rimpianti. Perché fino a quando ha potuto ha fatto esattamente quello che voleva: ha reso Kurt felice. E credo sia questo pensiero a permettergli di dormire serenamente la notte, sapere con certezza di aver fatto tutto quello che poteva.

Certe volte li invidio, paradossalmente. Potrà sembrare egoista da parte mia, ma sinceramente non posso fare a meno di domandarmi a quante persone nel mondo, nella storia, sia concesso di vivere un amore così. Forse c’è un numero ben preciso di volte, di possibilità gettate a caso sulla Terra da qualcuno come fossero granelli di sabbia, in attesa che qualche fortunato li colga. Mi domando anche quante persone ci passino sopra senza rendersene conto, calpestandoli con noncuranza.

Quante persone non colgano un’occhiata, o non facciano il primo passo, pensando che tanto ci sarà un’altra occasione, ci sarà un’altra volta, ci sarà qualcun altro, ignare del fatto che quell’occhiata ricambiata, o quella telefonata, quell’incontro, avrebbero potuto cambiare la loro vita proprio come quel biglietto attaccato alla bacheca della Dalton cambiò la vita di Blaine.

Ma il brutto, e forse allo stesso tempo il bello della cosa, è proprio questo: le persone sono ignare, inconsapevoli. E’ difficile che riconoscano il vero amore quando ce l’hanno davanti, a volte neanche lo vedono, ci guardano attraverso in cerca di chissà cos’altro come se fosse una lastra di vetro. Ma se invece fossero in grado di capirlo, chissà, magari si perderebbe il gusto di cercarlo.

Se mio padre avesse capito subito di essere destinato ad incontrare Kurt, avrebbe sicuramente perso molto meno tempo a farsi problemi, a scervellarsi per capire, a cercare le risposte nei posti sbagliati. Ma lui mi dice sempre che, se potesse tornare indietro, rifarebbe tutto esattamente allo stesso modo, perché quella che mi ha raccontato, quella che vi ho raccontato, è la loro storia e cambiarla sarebbe un gran peccato. Renderla più semplice, più facile, forse la renderebbe meno triste, sì, ma non sarebbe più la loro. Non sarebbero Kurt e Blaine, e non sarebbe il loro modo di amarsi.

E’ questo il bello delle storie, in fondo. Che piacciano o no, chi le ascolta, chi le legge, non le può cambiare; può soltanto rimanere in attesa di conoscere il finale, di sapere se l’eroe riuscirà a salvare la donzella in pericolo, se l’amore alla fine trionferà su tutto o se invece il cattivo di turno avrà la meglio sui protagonisti.

In questo caso in particolare, credo sia difficile da dire. Forse sta ad ognuno di voi stabilire se Kurt e Blaine abbiano vinto, se la morte li abbia davvero divisi.

Ma visto che sono stato io a raccontarla, vi dirò lo stesso cosa penso. Penso che ci siano tanti modi di morire, e il peggiore fra tutti è morire da soli, essere dimenticati. Ma Kurt non verrà mai dimenticato, né da mio padre, né da suo padre, né da me.

Quindi penso che alla fine dei conti lui abbia vinto. Che loro abbiano vinto. Perché amandosi hanno riempito le loro vite, amandosi hanno imparato a sorridere, hanno imparato a vivere. Ve l’avevo detto che l’amore non è mai banale. Ha così tante forme, così tanti volti, è sempre diverso come l’alba che Blaine descrisse a Kurt prima di diventare suo marito e come il colore che Kurt non riuscì mai a dipingere.

Mi piace pensare che questo sia stato il suo unico rimpianto, alla fine della sua vita. Non essere riuscito a ricreare il miele dei suoi occhi. Ma forse è stato meglio così; forse, se ci fosse riuscito, gli avrebbe subito dato meno valore perché un colore così bello non poteva essere fatto per essere dipinto, così come non si può scolpire, suonare, dipingere o fotografare l’amore. Lo si può fare con le sue forme, con i modi in cui si manifesta, ma l’attimo dopo cambia, sfugge. L’unico modo in cui lo si può imprimere su qualcosa, è nella memoria.

Ed è per questo che ho raccontato questa storia, perché così in qualche modo rimarrà almeno il suo ricordo, e voi saprete che c’è stato un tempo, c’è stato un posto, in cui due persone si sono innamorate un giorno e non hanno mai più smesso.

Un tempo e un posto in cui c’era il buio una volta, e all’improvviso non fu più così.

Perché in quel tempo, e in quel posto, Blaine brillò per Kurt come il sole dell’estate.

 

 

FINE.

 

 

 


 

 

 


Ok. Bene. Spero siate ancora qui perchè devo dirvi tante cose importanti!

Prima di tutto: si, fino a questo momento sono stata la voce del figlio di Blaine e voi non lo sapevate nemmeno! Furba eh? Naturalmente non ho idea di come funzioni l'adozione per i single in Ohio, forse non è neanche possibile, ma sorvoleremo su questo piccolo dettaglio.

Immagino che molti di voi avrebbero voluto altre scene con i 'veri' Kurt e Blaine, piuttosto che questo enorme stacco temporale, ed è per questo che ho deciso di scrivere i Missing Moments! Questo è il link del primo capitolo della raccolta: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1024723&i=1

Se volete seguirmi per non perdervi l'aggiornamento, questa è la mia pagina autore su Facebook e questo è il mio account su twitter.


I miei ringraziamenti speciali di oggi vanno a due persone:

- Tom Rìddle, che ha creato questa locandina per la storia;

- Elisa Porcu, che ha creato questo fanvideo con le citazioni della storia.

Veramente, grazie grazie grazie e ancora GRAZIE. Siete fantastici e sono senza parole.


E ovviamente grazie a TUTTI: chi ha letto, chi ha recensito, chi in più occasioni ha sentito il desiderio di venirmi a cercare per staccarmi la testa dal collo e poi non lo ha fatto, chi mi ha detto "mi emozioni" e "mi trasmetti qualcosa" perchè sono cose che davvero, non hanno prezzo per me.


E visto che Kurt II ve l'ha chiesto, e Kurt II sono io, ve lo domando di nuovo:

Alla fine dei conti, Kurt e Blaine hanno vinto?

 

 

   
 
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