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Autore: Simply96    08/04/2012    15 recensioni
1900 - Inghilterra.
Courtney Dawson non avrebbe mai voluto intraprendere quel viaggio.
Non avrebbe mai voluto sposare un uomo che non amava.
Non avrebbe mai dovuto innamorarsi dell'uomo sbagliato.
Dalla storia:
Duncan non si era lasciato fuggire nemmeno una parola.
Strinse a sua volta la mano di Courtney.
Era chiaro che la ragazza stava dalla sua parte e questa era la cosa più importante. [...]
- Perché vuoi uccidermi? – chiese lei, prendendo la parola.
- Perché mi ami, non è così? –
Di punto in bianco, Heather sentì il mondo crollarle addosso.
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alejandro, Courtney, Duncan, Heather | Coppie: Alejandro/Heather, Duncan/Courtney
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Ok, so di essere in un brutale ritardo, ma i motivi sono 2:
- SCUOLA, SCUOLA E ASCUOLA!- Non avevo tanta ispirazione D:
Comunque, mi scuso veramente tanto per questo ritardo ç_ç Spero che il capitolo vi piaccia :)
Per la parte DxC .. ehm ... non ne sono per niente sicura, mi sembra uno schifo.
Al contrario, la parte AxH l'ho scritta con piuù facilità :)
Ah, magari la scena finale AxH .. non so, può non piacere a tutti, ma mi sembrerebbe un'esagerazione alzare il Raiting, dato che non succede un bel niente di ... esplicito .... 
Buona o cattiva lettura!
p.s. Stiamo giungendo alla fine di quest'avventura, euindi questo credo sia il terz'ultimo capitolo xD

Capitolo 10
False promesse


Duncan ha perso suo padre e sua madre è morta davanti a lui.
Tutto questo, a causa di una sola famiglia.
Della famiglia dei Burromuerto.
 
Queste frasi erano come pugnalate al cuore di Courtney.
Non si era mai accorta di quell’alone scuro che alleggiava su Duncan.
Nonostante vivesse a stretto contatto con il Capitano, lo aveva sempre giudicato e ritenuto stupido.
Courtney voleva sapere perché era lì, perché dopo circa un mese non si era sbarazzato di lei.
- Ti vedo pensierosa. –
La ragazza sollevò leggermente la testa, voltandosi.
Duncan le stava di fronte, intento ad affilare il suo fedele piccolo coltellino.
- Bè, ci vedi male! – rispose con fare altezzoso, incrociando le braccia.
Il ragazzo storse leggermente la bocca, poi ripose l’arma ben affilata lungo la cintura dei pantaloni.
- E’ da quando siamo tornati da quell’isola che non fai altro che spiarmi di nascosto e cambiare strada non appena mi vedi. – ghignò lui, appoggiandosi con i gomiti al bordo della nave, proprio come stava Courtney.
Duncan non aveva tutti i torti.
Da quando, finalmente, Harold aveva deciso di liberarla, Courtney non aveva fatto altro che rimuginare su quanto le aveva detto il ragazzo.
Non voleva affrontare direttamente il discorso, ne tanto meno fargli altre domande.
Sapeva già che non le avrebbe mai risposto, se non con una qualche stupida e rozza battutina.
- E’ successo qualcosa su quell’isola, non è così? – continuò, in attesa di una risposta.
Courtney mosse leggermente il capo facendo “si”.
- Ma non aspettare che ti dica altro! – disse poi, posando le mani sui fianchi.
Il ragazzo roteò gli occhi.
Possibile che doveva comportarsi sempre così?
Duncan ci azzeccava spesso sulle persone.
Ma con Courtney era tutto così difficile!
La ragazza era come un libro aperto per lui, ma il fatto è che lui non riusciva a leggerla. Capiva quando qualcosa la turbava, quando era triste o quando era felice. Ma continuava a non capire quali fossero i fattori a renderla così turbata, così triste o così felice.
- E dimmi, perché non vorresti dirmelo? – azzardò.
Sperava solo che Courtney non fosse venuta a conoscenza della sua infanzia.
Avrebbe ricollegato la storia dei Burromuerto alla sua e ben presto avrebbe capito perché l’aveva rapita.
- Non hai mai risposto a nessuna delle mie domande e ora ti aspetti che io risponda alla tua? –
Il ragazzo alzò un sopracciglio, irritato dal fatto che da quando Courtney era salita sulla sua nave non aveva fatto altro che riempirlo di domande.
A meno che non fossero troppo personali, avrebbe anche potuto risponderle sinceramente.
Comunque, spinto da una curiosità eccessiva, prese nuovamente la parola.
- Avanti, cos’è che ti turba così tanto? Che vuoi sapere, sono a tua completa disposizione! –
Quel sorriso beffardo e quella parlata ironica fecero innervosire Courtney più del dovuto.
Duncan non faceva altro che prenderla in giro, continuamente!
Non volendo continuare la conversazione, se così poteva essere chiamata, fece per girarsi, ma il ragazzo fu più svelto e le si mise davanti.
- Non c’è motivo per cui tu non voglia rispondere. Se mi dici cosa ti è successo, forse risponderò a una delle tue domande. –
Quello che Duncan le proponeva era un semplice accordo.
Ma poteva veramente fidarsi di un pirata?
Certo che no, pensò subito. Ma se quel pirata era l’unico che potesse darle la risposta tanto desiderata, doveva cedere e fare buon viso a cattivo gioco.
- Va bene … ma devi promettermi che risponderai a una mia domanda! – disse puntandogli il dito contro.
- Eh no, gli accordi sono che tu rispondi e che io forse risponderò! – si difese lui, mettendo una mano sul cuore in segno di promessa.
La ragazza strinse i pugni e divenne rossa dalla rabbia.
- E se tu non risponderai? –
Duncan abbassò il viso all’altezza di quello della ragazza.
- Hai il cinquanta per cento di probabilità che ti risponda. Se non accetti, avrai solo lo … zero per cento! – sussurrò fissando lo sguardo livido di rabbia di Courtney.
- Oh, un pirata che parla di contabilità ad una principessa! –
Il Capitano si tirò su, domandando per l’ennesima volta cosa turbasse Courtney.
Titubante, Courtney pensò di rifiutare.
Ma d’altra parte, poteva almeno provare. Infondo, non ci perdeva nulla.
Iniziò a raccontargli di una storia che Duncan conosceva fin  troppo bene.
Iniziò a raccontargli della sua infanzia, della sua adolescenza e di come divenne un pirata.
Ogni volta che Courtney si concedeva una piccola pausa, Duncan sbuffava e volgeva lo sguardo altrove.
A fine racconto, rimasero entrambi immobili, a guardarsi.
- Non ha lasciato nessun particolare, vedo … - sussurrò il ragazzo, volgendo lo sguardo all’albero maestro, dove si trovava appollaiato Harold.
- Volevi sapere perché ero turb… -
- Cosa ne pensi? –
Courtney non fece a tempo di finire la frase che Duncan le fece un’altra domanda.
Una domanda che ammetteva solo una risposta.
La ragazza dava spesso giudizi, solitamente molto critici.
Ma questa volta, prima di rispondere, dovette rifletterci.
La situazione non era fra le migliori.
Durante il racconto, Courtney non aveva distolto lo sguardo dal viso di Duncan.
Un viso che cercava di nascondere tristezza e rancore, ma anche rabbia e … vendetta.
- Io … non penso a nulla, veramente. – cercò di mentire Courtney. Ma il pirata, che aveva imparato a conoscerla, non sfuggì quel piccolo particolare.
A lui importava.
Importava cosa Courtney pensasse di tutta questa faccenda, gl’importava cosa Courtney pensasse di lui, della sua ciurma.
Come si trovava.
Courtney non era altro che una vittima della situazione, ma …
No, non poteva andare avanti.
Scacciò quel pensiero dalla testa e si voltò, dirigendosi verso la sua cabina.
Aveva bisogno di parlare con l’unica persona che in questi momenti riusciva a calmarlo, ma una mano lo bloccò.
- Aspetta! –
Questa volta fu Courtney a fermarlo.
Lo aveva preso per il braccio, ma poi la sua mano era scesa verso quella di Duncan e ora la stringeva.
- Non penso nulla perché non voglio dare giudizi troppo azzardati. E’ una situazione difficile la tua, non trattarmi come una bambina, non so come ci si sente ma posso immaginarmelo! La tua famiglia ha dovuto chinare il capo per anni ad un’altra famiglia molto più potente. Non potevano andargli contro in nessuna maniera. Tu non sei così, lo capisco. Tuo padre ha servito fedelmente la famiglia spagnola, poi è stato ucciso. Tua madre ha fatto lo stesso, ed’è morta anche lei. Con la giustizia hai capito che non potevi risolvere le cose. Arruolarti in una ciurma e diventarne addirittura il capitano è stata per te come una scelta di liberazione da quel mondo di prigionia. E ora, so cosa vuoi fare. So che vuoi andare in Spagna. La direzione è questa, non ne ho alcun dubbio. Poco prima che … lasciassi la mia nave Inglese, il Capitano mi aveva mostrato le cartine dove era segnato il percorso per arrivare in Spagna. La stessa cartina ce l’hai attaccata su una parete della tua cabina. Avevo tutti i pezzi, ma non riuscivo a collegarli fra di loro. Scoprendo la tua storia ora capisco il motivo. Capisco perché ti stai dirigendo lì. Capisco perché per anni non hai fatto altro che prendere più uomini possibili e crearti una ciurma. Non vuoi un colpo di stato, non vuoi niente di così grosso. Vuoi solo chiarire le cose, faccia a faccia, con il capo dei Burromuerto.
Con il padre di colui che dovevo sposare. –
Duncan non si era lasciato fuggire nemmeno una parola.
Strinse a sua volta la mano di Courtney.
Era chiaro che la ragazza stava dalla sua parte e questa era la cosa più importante.
Il calore che la mano di Courtney emanava era come una spinta in più verso il suo piano.
Era come un’approvazione alle sue scelte.
Con questi pensieri, sciolse la stretta e proseguì la camminata verso la cabina.
- Un momento. –
La Principessa lo richiamò per una seconda volta.
Duncan si voltò nuovamente, lasciando la porta della sua stanza aperta a metà.
La figura della ragazza dolce e sensibile che vi era stata circa trenta secondi prima aveva lasciato posto alla solita Courtney, quella dallo sguardo altezzoso e che non ammetteva repliche.
- Mi avevi promesso una risposta. – iniziò – e ora la pretendo! –
Duncan le fece cenno di avvicinarsi.
Courtney non se lo fece ripetere due volte.
Finalmente avrebbe potuto chiedergli perché l’aveva rapita, perché proprio lei!
Con quella risposta, tutto sarebbe stato più chiaro.
Aveva deciso di aiutarlo in quella faccenda con i Burromuerto. In fin dei conti, lui non era stato altro che una povera vittima.
E inoltre, lo aiutava solo per il piacere di farlo …
- So già che vuoi chiedermi … vuoi sapere che “ruolo” hai, giusto? – chiese conoscendo già la risposta.
- Sapevo che potevo fidarmi di te, in fin dei conti non sei così ma-
- Regola numero uno, Principessa: mai fare accordi con un pirata, è il primo che non li mantiene. –
Detto questo, sorrise alla ragazza e le sbatté la porta in faccia.
Inutile descrivere il profondo odio che ora provava per quel pirata, mentre pochi minuti prima gli aveva persino stretto la mano.
Iniziò a sbattere i pugni sulla porta urlando quanti più insulti conosceva e lo minacciò pure.
- Sappi che non finisce qui! – gridò infine, dando un ultimo calcio ad una porta che continuava a reggersi per miracolo e incamminandosi velocemente nella sua stanza, borbottando fra sé e sé cose come “stupido” e “meschino pirata”.
 
All’interno della cabina, Duncan tratteneva a stento una risata.
- Che tipetto, eh? – disse qualcuno alle sue spalle.
Il Capitano di ricompose, sedendosi al piccolo tavolinetto centrale.
- Già, è una vera tigre. Ma ora pensiamo a come mettere in atto il piano. –
Geoff non se lo fece ripetere due volte e si sedé anche lui.
- Avanti, non fai altro che parlare di questo tuo stupido piano! Rilassati ogni tanto. –
Duncan fulminò l’amico con lo sguardo.
- Fra pochi giorni giungeremo in Spagna. Non voglio che si crei troppo caos, d’accordo? Tu e gli altri stordirete quante più guardie vi capiteranno, mentre io arriverò indisturbato alle stanze dei Capi.
Da lì, cercherò il Boss. Qual’ora non ci fosse, mi accontenterò anche di Josè o Alejandro. –
 Geoff ascoltava in silenzio, approvando.
Conosceva Duncan da anni.
Suo padre faceva parte della ciurma comandata, inizialmente, dal padre di Izzy.
Non appena Duncan era stato salvato, lo avevano subito spedito in quella famosa isola abitata da pirati, l’isola dove Geoff era nato e cresciuto.
Erano come fratelli e aiutarlo non era solo un dovere, ma anche un piacere.
- E con quella ragazza, con Courtney. Cosa pensi di farci? – domandò poi.
Duncan sospirò, poggiando la testa sul tavolo.
- E’ questo il problema. Anche lei è d’accordo sul piano, ha detto che appoggerà qualunque scelga io faccia.-
- Oh si, è cotta di te! –
Il Capitano assunse un’espressione fra l’imbarazzato e lo stupito.
Courtney non si sarebbe mai innamorata di lui.
Era … fuori questione! Lui l’aveva rapita, le aveva privato ogni beneficio e ricchezza.
Al contrario, lui si sarebbe potuto innamorare perfettamente di lei.
- Taci … anche se fosse, penso inizierebbe ad odiarmi non appena scoprirebbe la verità. –
E questo, gli faceva male.
Fuori riusciva ad apparire spavaldo e si divertiva a prenderla in giro, ma dentro …
- A meno che tu non gliela dica, non verrà mai a saperla. –
- Hai ragione, ma un giorno lo saprà. Saprà che è stata sempre e solo una pedina in questo gioco. E questo, la distruggerà. –

 

***

Alejandro dava le spalle ad una Heather perplessa.
Sedeva alla sua scrivania e aveva chiamato la ragazza. In fin dei conti, era pur sempre una serva e aveva l’obbligo di venire non appena qualcuno della famiglia la chiamava.
Ora, sulla soglia della porta chiusa, Heather non faceva altro che penetrare Alejandro con il suo tipico sguardo inacidito.
- Allora? – domandò pochi minuti dopo, infastidita.
Non le dispiaceva passare del tempo con Alejandro, ma quando questo non la degnava neppure di uno sguardo, si sentiva d’impiccio e preferiva alzare i tacchi e andarsene
- Vieni più avanti, Heather. –
Un brivido le corse lungo la schiena.
Non per il fatto che, dopo un lungo silenzio, aveva parlato.
Nemmeno per il fatto che il suo nome era stato pronunciato lentamente.
Ma il tono, il tono di voce era diverso.
Non era il solito tono sarcastico e spavaldo.
Era freddo, distaccato, più del solito.
Ora che ci pensava bene, gl’ultimi tempi era rimasto chiuso nelle sue stanze e lei non lo aveva più visto da quel colloquio con suo padre.
Il colloquio con il capo …
Un pensiero le balenò in testa: e se per caso fosse successo qualcosa, quel pomeriggio, fra Alejandro e il padre?
Ma cosa? Cosa poteva avergli detto il Boss?
Alejandro era distrutto, lo si capiva dallo sguardo spento e dall’aria abbattuta.
Heather si posizionò al centro della stanza, così come le aveva chiesto di fare.
Ma perché si comportava in quel modo?
Era strano, diverso …
Finalmente Alejandro si voltò, fissandola.
Heather guardò la sua figura, dimenticandosi di respirare per un momento.
Quello sguardo sembrava non appartenergli, così come quella … quella pistola, tenuta in mano, stretta a lui.
- Cos’hai intenzione di fare? – riuscì a dire, tra un respiro e l’altro.
Il ragazzo non disse nulla.
Con il cuore in lacrime, si alzò dalla comoda poltrona e si diresse con passo sicuro verso la ragazza che stava immobile.
Heather non aveva abbassato lo sguardo.
Al contrario, lo teneva alto. La schiena dritta, le mani composte lungo i fianchi.
Sembrava una figura surreale.
Osservandola, si poteva dire che fosse la malvagità in persona, ma agl’occhi di Alejandro era solo la purezza.
- Mio padre è venuto a saperlo. – sussurrò, avvicinandosi.
Heather s’irrigidì, tenendo sempre gli occhi puntati sulla pistola. Strinse i pugni e cercò di mantenersi calma e lucida.
In realtà, dentro stava morendo.
Capì al volo che Alejandro voleva ucciderla, ma perché?
No, non lo avrebbe accettato.
Lei non sarebbe morta per mano sua, non glielo avrebbe permesso!
Inoltre, non era così stupida da lasciarsi sparare. Avrebbe reagito, in un modo o nell’altro, e sarebbe fuggita da quella situazione.
- Qualunque cosa sia venuto a sapere, l’unica soluzione è quella di farmi fuori? –
Alejandro alzò l’arma, indirizzandola al petto della ragazza.
- Non è questo il punto. – disse avvicinandosi.
Quando la pistola toccò il petto di Heather, si fermò.
- Il fatto è che sono stato cieco. E anche poco furbo, devo ammetterlo. Al contrario, tu sei stata molto brava in quest’impresa. Ti faccio i miei complimenti, davvero. –
Ma di che diamine stava parlando?
- Le frasi, oltre al verbo, hanno anche un soggetto.  Se anziché copiare qualche periodo poetico letto in qualche tuo stupido libro mi dicessi cosa diamine sta succedendo, magari capirei anche io qualcosa! – sbottò Heather, prendendolo per il colletto.
Erano talmente vicini che l’unica cosa che li separava era quella dannatissima arma, come se fosse li a ricordare il suo scopo ad Alejandro.
Il ragazzo alzò il braccio libero, iniziando ad accarezzare il volto di Heather.
Non poteva farlo, sapeva che non era abbastanza coraggioso per togliere la vita ad una ragazza.
Alla sua Heather!
Ma doveva. E, prima di compiere quel gesto così meschino, voleva parlarle.
- Perché vuoi uccidermi? – chiese lei, prendendo la parola.
- Perché mi ami, non è così? –
Di punto in bianco, Heather sentì il mondo crollarle addosso.
Molte volte Alejandro la punzecchiava con le sue battutine sarcastiche, dicendo cose stupide e insensate.
Ma questa volta era diverso.
Non stavano giocando e lo sguardo di Alejandro non era mai stato così serio.
Heather strinse ancora di più la presa, avvicinandosi maggiormente.
- Che vorresti dire? –
- Che i giorni del ballo alla casata dei Mijant tu non ti trovavi a casa. Eri lì, con me. Mio padre era rincasato con un giorno d’anticipo e, anziché recarsi alla reggia, ha preferito riposarsi qui. Ha chiesto a tutte le altre serve, ha chiesto alle guardie, ha chiesto a tutti. Nessuno sapeva che fine avessi fatto, nessuno. Quando tornammo, lo chiese a Josè, e anche lui non ne era a corrente. Tu sei riuscita a giustificarti con una banale scusa, ma il cocchiere, quello vero, disse che la notte del ballo non fu lui a portare me e mio fratello alla reggia. Heather, eri tu, quella che baciai la stessa sera. –
Il cuore le scoppiava nel petto. Negare l’evidenza non aveva senso.
Nonostante la testa iniziò a girarle, Heather cercò di mantenere la calma.
- E così … lo sei venuto a sapere. Ma c’è ancora una cosa che non sai, Alejandro. – disse scandendo il nome di quest’ultimo.
- Cosa? – chiese lui di rimando.
Heather nascose un furbo sorrisetto, prima di dargli un calcio sotto al ginocchio.
Questo portò al cedimento di una gamba e quindi il ragazzo, per non cadere, dovette lasciare la pistola e sorreggersi con la mano libera.
Prima che l’arma toccò terra, Heather la prese.
- Oh, ma che brava. Ora che intenzioni hai tu? –
Alejandro si era lasciato fregare.
Farsi dare un calcio per cadere rovinosamente a terra e guardare dal basso Heather era proprio quello che la ragazza voleva. Ma ad Alejandro andava bene così, dopo tutto.
- Non pensare che voglia ucciderti, non sono così sadica. Al contrario, senza che tu mi dicessi niente, sono giunta ad una stupida conclusione. Tuo padre è venuto a sapere del bacio, ma tu devi sposarti e quindi, per far si che io non decida di “riprovarci”, ti ha ordinato di togliermi dai piedi, giusto? –
Alejandro si stupì, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu riderle in faccia.
- Ci sei quasi. Ma c’è una cosa che ti è sfuggita. –
- E sarebbe? –
Ormai Alejandro si era scordato del gran discorso che suo padre gli aveva fatto qualche sera prima.
Si era scordato di tutte le raccomandazioni, di tutte le minacce e quant’altro.
Quello era il momento giusto per farlo, il momento giusto per dirlo.
Velocemente si era alzato in piedi e aveva raggiunto Heather che continuava ad impugnare la pistola, senza puntargliela.
Alejandro si avvicinò paurosamente alla ragazza che, irrigidita, indietreggiò.
- Non scappare, Heather. – disse poi, prendendola per i fianchi e stringendola contro il suo corpo.
Posò le mani fra i suoi lunghi capelli, mentre lei aveva lasciato cadere l’arma.
- Alejandro …. – sussurrò lei, prima che le sue labbra furono imprigionate da quelle del ragazzo.
Chiuse gli occhi a quel contatto e non fece altro che alzare le mani e stringerlo.
Toccarlo, era sempre quello che aveva voluto.
Baciarlo, morderlo, sentirlo così vivo e vicino.
Quel bacio fu qualcosa di passionale, qualcosa che racchiudeva tutto quello che non erano mai riusciti a dirsi.
Quel bacio era qualcosa di proibito.
Quando, delicatamente, si staccarono, videro la realtà impressa negl’occhi dell’altro.
Una realtà che non gli avrebbe mai accettati insieme.
Alejandro non avrebbe ucciso Heather, non più.
Avrebbe raccolto le sue ultime forze e si sarebbe diretto dal padre, umiliato, per riferirgli la sua intenzione di sposare l’unica dei Mijant.
Heather, invece, avrebbe dovuto tacere e acconsentire il volere del padre, restando così la serva di Josè.
Le nozze erano già state prefissate dal padre di Alejandro.
Quel bacio aveva un retro gusto d’addio.
Entrambi sapevano che non bastava. Un bacio non bastava per sfamare quel desiderio affamato che li distruggeva dall’interno.
Quella notte la passarono insieme, fra le lenzuola pregiate di Alejandro e le mani vorticose di Heather che non lo lasciavano mai solo, che avevano deciso di toccarlo e prenderlo più volte.
Quella, fu l’unica notte dove entrambi si sentirono per la prima volta liberi.


 

  
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