Fior di Ciliegio
Quel pomeriggio aveva singhiozzato più forte degli altri, aggrappandosi ai vestiti caldi di Midori.
Tarō aveva a stento espresso ciò che gli accadeva dentro al cuore, la tempesta di dolore che gli inondava le membra. Ma Midori lo capiva, non aveva bisogno delle sue parole e continuava pazientemente ad accarezzargli i capelli, aspettando che quel pianto frenetico si spegnesse.
Intorno a quella panchina, il mondo era rimasto immobile per un tratto di tempo. Forse aveva smesso di girare per dare un attimo, dando calma alle persone di riprendersi.
“Non capisco il perché di tutta questa storia, questi pianti interminabili. Forse sono le lacrime di tanti anni, che escono fuori solamente adesso” diceva Tarō boccheggiando.
“Era tua madre, è normale. Se io avessi saputo subito di tutto quello che ti era successo, sarei corsa subito da te…” confessò la ragazza fissando un punto nel vuoto.
Meccanicamente, continuava a sfiorargli delicatamente la testa.
Strano che si faccia toccare… forse è solamente per via della brutta situazione. Eh dolce ingenua Midori, non azzardati ad essere felice di questa conseguenza! Si lascia accarezzare fra le tue braccia solamente perché… sta così.
*
Era tornato in Giappone da poco più di due ore, e l’assordante rumore delle chiavi che sbattevano contro il piccolo mobile in ciliegio dell’ingresso, lo riportò veramente alla vita di sempre.
Si chiuse il portone alle spalle e stanco, trascinò il suo corpo verso la cucina. La sua mente era dall’altra parte del mondo, in Italia. Il suo cuore, era ormai fatto a pezzi e nel mondo ne vagavano le scheggie.
Pesante, ricadde su una sedia, carico del “niente” che aveva fatto durante quel viaggio.
Hai perso nuovamente del tempo, Nobu. Perché ti ostini a continuare? Cos’è che ti fa fare tutto questo?
Era arrivato fino a Milano per ricevere l’ennesimo, avvilente “no”.
“No papà, vattene! Sparisci dalla mi vita, non tornare mai più. Nessuno qui ti vuole, nessuno qui ti cerca! I tuoi nipoti pensano che tu sia morto, vattene! Basta, non cercarmi più in futuro!”
E gli chiuse la porta in faccia, quel ragazzo che tanto gli assomigliava. Stessi occhi bruni e grandi, stesso sorriso sbilenco… nient’altro che suo figlio.
E così, senza pensarci, Nobu si diresse verso l’aeroporto di Malpensa per ritornarsene a casa.
Era molto abbattuto.
Avrebbe voluto presentare la nuova persona che era, al suo amato Daisuke.
Erano passati molti anni e mano a mano, il tempo gli aveva modellato una nuova personalità. Un nuovo modo di vivere, aveva permesso lui di riconquistare la retta via.
Non era più il codardo che scappava lasciando la sua famiglia in miseria per un po’ di alcool e donne diverse ogni notte.
“Papà, ricordi le puttane che ti scopavi tutti i sabati sera? Bè, la mamma ha dovuto lavorare accanto a loro per mettermi del cibo e una casa in cui vivere. Per evitare che ci sfrattassero, addirittura. E nel contempo, la sua reputazione andava a pezzi. La sentivo singhiozzare tutte le notti che poteva permettersi di rimanere a casa, senza essere sbattuta per hotel e posti vari da squallidi uomini come te!”
Quelle parole facevano veramente male, bruciavano fortissimo.
Ma Daisuke non voleva più saperne di suo padre Nobu, e ogni volta che vedeva i suoi occhi riempirsi di tristezza e rabbia era uno schiaffo doloroso e sonoro alla sua coscienza.
Spazio autrice:
Un ringraziamento speciale a mamie, painAsura777 e smikra!
(visitateli, sono fantastici)
E a tutti quelli che leggono silenziosamente, e che probabimente recensiranno.
Al prossimo capitolo!
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