Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Padmini    11/04/2012    4 recensioni
Sherlock è tormentato da uno strano incubo ricorrente. Non sa ancora che quel sogno presto avrà una parte importante nella sua vita e lo aiuterà a capire molte cose di se stesso. Perchè non riesce a fidarsi delle donne? Quali dolorosi ricordi sono racchiusi nella sua anima?
Non mi ricordo da quando ce l’ho. Forse da sempre. Ciclicamente è tornato per tormentarmi. Quindi, ciclicamente, sono ricaduto nel mi vecchio vizio. Non è sempre stato così. Mi ricordo che quando ero bambino c’era mia madre. Lei veniva in camera mia e mi consolava.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Violet'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A






Oggi c’è il funerale.
Mycroft ha pensato proprio a tutto. Se non ci fosse stato lui. È una roccia. Spesso mi fermo a pensare a lui. Tanti ci paragonano. Dicono che siamo così uguali. Così apparentemente privi di sentimenti. Lui si. Non si è scomposto quando ha visto papà steso su quel pavimento con il petto squarciato dal suo stesso pugnale. Si è limitato ad abbracciarmi mentre io davo uno spettacolo a dir poco indecoroso. Piangevo come un bambino.
Anche oggi, sento salire le lacrime agli occhi. Prepotenti, mi ricordano che mio padre non c’è più. È morto senza mai volermi bene. Senza darmi quello che avevo sempre cercato da lui. Lo odio per questo ma non posso fare a meno di piangere.
Che stupido! Sono solo uno stupido! Odio le emozioni e tutto il dolore che portano! Non voglio più provarle! Mai più! Mi fa male ricordare mio padre. Sembra che ogni maltrattamento voglia tornare in superficie.
 
Sono davanti alla sua tomba. Al funerale ha partecipato tanta gente. La chiesa era stracolma. Tutti i suoi ex studenti, i colleghi di lavoro, i colleghi di Mycroft, i suoi amici. Non vedo nessuno che conosco, a parte John. Come avevo detto tempo fa io non ho amici. Solo John. Mi sta vicino tutto il tempo. Non piango ma sento le lacrime pronte ad uscire.
Ho la vista appannata così John mi aiuta. Dopo la cerimonia raggiungiamo il cimitero. Non ricordo quello che ha detto il prete. Probabilmente non ho nemmeno sentito. Non mi sono neanche accorto di quando ha smesso di parlare. Ho solo visto la bara di mio padre calata piano sul terreno. I becchini, con solerte precisione, riempiono la buca di terra e se ne vanno. È un lavoro come un altro.
Eppure mi sembra che abbiano sepolto anche una parte di me, con la bara. Ogni badilata di terra mi fa tremare. Mai più, sembra dire quella terra scagliata così brutalmente sul legno che sovrasta il suo corpo, non lo vedrai mai più. Non ti amerà mai più. Non ti ha mai amato.
Sono in trance. Sento la mia voce ma è come se non mi appartenesse. La sento come un eco in lontananza.
“Perché?” continuo a ripetere tra i singhiozzi che ormai non riesco più a fermare.
Perché non mi hai amato? Perché mi picchiavi? Perché volevi uccidere quell’uomo?
Ogni lacrima scandisce domande a cui purtroppo non posso più dare risposta.
 
Una mano sulla mia spalla. Non la riconosco. Non è John. Mi volto. È l’ultima persona che mi sarei aspettato.
“Mi dispiace Sherlock”
È Sally. Dietro di lei, imbarazzati, ci sono Lestrade e Anderson. Mi vergogno. Non voglio farmi vedere così da loro. Cosa proveranno per me? Pietà? Li guardo. Li osservo. No. Sembra … compassione. Mi vogliono bene, nonostante tutto. Posso considerarli miei amici? Si. Sono venuti per me. Siger Holmes non era che un semplice caso per loro ma sono venuti qui per me. Tento di sorridere per ringraziarli per la loro presenza perché parlare mi risulta difficile.
Subito dopo arriva Mycroft. Mi prende per una spalla e mi accompagna a casa. Vicino a lui c’è John. Non diciamo nulla. Io continuo a guardare fisso davanti a me. Non ho pensieri. John mi afferra la mano e la stringe dolcemente. Mi volto verso di lui. Mi sorride e tutto mi sembra andare meglio. Non è la prima volta che il sorriso e gli occhi così rassicuranti di John mi aiutano a trovare calma e tranquillità.
 
Arriviamo a casa. Mia madre è con una sua amica, in cucina. Stanno bevendo un caffè. Parlano fittamente di qualche segreto immagino perché smettono appena ci vedono.
“Sherlock tesoro” mi dice vedendomi “Vieni qui amor mio”
Si avvicina e con un fazzoletto di cotone mi asciuga il viso prima di abbracciarmi.
“Volevi molto bene a tuo padre, vero?” mi chiede. Si. Gli volevo bene. Non posso dire che mi manchi ma gli volevo bene. Annuisco.
“Vai a lavarti il viso” mi dice teneramente “Ti preparo una tazza di tè?”
Annuisco di nuovo, la gola ancora chiusa per poter emettere un suono, e vado in bagno.
Sento mia madre parlare di me a John. Di come sono sempre stato tanto emotivo. John fa fatica a crederci ma è vero. Tento di nascondere le mie emozioni ma loro sono lì. Presenti, vive, inopportune, fastidiose. Più le caccio e più loro riemergono. Come una pallina di gomma sulla superficie dell’acqua. Cerco di farla affondare e lei riemerge con più forza, fino a farmi male.
 
Mi guardo allo specchio. Chi sono? Sono davvero io quello? Non riconosco più il consulente detective così freddo e distaccato. È andato in vacanza? No, non c’è mai stato. Era solo una maschera. Un modo per autoconvincermi di non avere sentimenti. Sarebbe stato più facile se non li avessi avuti sul serio.
Cosa me ne sarebbe importato di mio padre? Nulla! Invece eccomi qui a piangere per lui! Maledetto!
Mi lavo accuratamente il viso con acqua gelida. Più volte. Anche l’asciugamano, premuto violentemente contro il mio viso, sembra aiutare. Mi riguardo. Meglio. Molto meglio. Posso tornare di là.
 
Tornando vedo che si sono tutti spostati in salotto. Sul tavolino sono posate alcune tazze dalle quali vedo fumare il tè. Sto per fare un altro passo per raggiungerli quando John fa cadere un vaso. Un incidente da nulla. Era un vecchio vaso che mia madre aveva comprato ad un mercatino per metterci i fiori. Niente di che. Eppure perché sto cominciando a tremare? Perché non riesco a sopportare tutto questo? Perché sentire la ceramica del vaso infrangersi sul pavimento mi turba così?
 
14 anni prima
“Con chi sei uscita, stasera?” la aggredisce con violenza, con una voce baritonale che non ammette menzogne.
“Con nessuno Siger, con nessuno” sembra sincera ma ha paura.
“Non ti credo! Dimmi la verità!” è rabbioso, non le crede.
“Ero solo con una mia amica, davvero”
“Dove siete andate?”
“Siamo andate a bere qualcosa al bar” è in difficoltà. Sa che il marito non si fida di lei e ha paura.
“Ascolta un po’, credi che sia scemo?”
“No Siger, davvero, credimi. Puoi telefonare a Susanne quando vuoi. Ti confermerà che eravamo insieme stasera! Sai, non ci vedevamo da tanto tempo … avevamo molto di cui parlare”
“Di me?”
“No, mi stava raccontando di suo figlio che …”
“Non mi interessa!” la aggredisce, la prende per le spalle e comincia a scuoterla “Voglio solo che tu mi dica la verità!”
“Questa è la verità! Te lo giuro!” e parte il primo schiaffo.
Un bambino, in piedi in mezzo alla porta, osserva la scena inorridito. Gli scappa un singhiozzo. Non gli piace quando il papà maltratta così la mamma. L’uomo lo vede.
“Cosa ci fai tu qui? Non dovresti essere a letto?”
“Non litigate” supplica lui piangendo.
“Non stiamo litigando” cerca di rassicurarlo la mamma “Stiamo solo parlando. Ora va’ a dormire, su. Tra poco arriverò io e ti racconterò una fiaba, va bene?”
Tutto ciò è molto rassicurante ma il bambino non riesce a muoversi.
“Tua madre ti ha detto di andare a letto! Muoviti!” gli urla il padre.
Il bambino è paralizzato dal terrore. Sa che il padre si arrabbia quando non gli si obbedisce ma non riesce a muovere un passo. Siger, accecato dall’ira, afferra la prima cosa che gli capita sotto le mani e la tira al bambino. Un vaso di ceramica si schianta sulla porta a pochi centimetri da lui. Una scheggia si conficca sulla spalla del bimbo che comincia ad urlare dal dolore. La mamma gli si avvicina di corsa.
“Come hai potuto, Siger? Gli hai fatto male!”
L’uomo non può rispondere. È troppo arrabbiato. Sicuramente non si sente in colpa.
La donna prende in braccio il bambino che continua a piangere e osserva la ferita.
“Dobbiamo portarlo al pronto soccorso” dice al marito “Serviranno dei punti”
“Arrangiati” le dice lui brusco “Ce l’hai la patente, no? Porta tuo figlio all’ospedale e non scocciarmi! Ho una marea di compiti da correggere e non voglio essere disturbato per queste sciocchezze!!”
 
Come è possibile? Quel suono …  è bastato quel suono per farmi ricordare? Sento sulla spalla lo stesso dolore di allora. Quanto mi ha fatto male mentre i medici mi mettevano i punti! Avevo l’anestesia locale ma faceva male lo stesso!
Mi accascio alla parete. Piango senza ritegno. Ho paura. Ho di nuovo paura. Questo ricorodo fa troppo male.
Perché? Perché sono così? Non voglio essere così! Non voglio soffrire così tanto!
Ho freddo. Sono appoggiato al muro e seduto sul freddo marmo del pavimento. Un’ombra mi sovrasta. È Mycroft. Mi prende per le spalle e mi costringe a guardarlo negli occhi.
“Sherlock!” mi urla addosso “Riprenditi, per l’amor del cielo RIPRENDITI” e mi molla uno schiaffo. Il rumore della sua mano contro la mia guancia rimbomba nella stanza e ottiene il risultato di farmi piangere ancora di più. Vedo nostra madre che si avvicina. Fa alzare Mycroft e si accuccia vicino a me. Mi ha fatto male lo schiaffo di Mycroft. In tutti i sensi.
“Sherlock” mi dice abbracciandomi “Va tutto bene. Sono qui. Sono qui. Vedrai, andrà tutto bene”
La guardo mentre le lacrime continuano a uscire silenziose dai miei occhi. Perché non riesco a crederle?
Il mio corpo è scosso dal pianto. Non riesco a fermarmi. Sento una puntura. Poi solo il buio.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Padmini